giovedì 28 febbraio 2013

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


LA DUREZZA DELLA GUERRA


Questo è forse il romanzo più duro di Dowswell, già autore di Ausländer e de Il ragazzo di Berlino, vedi qui, ma è intenso ed emozionante, con un grande ritmo narrativo. In L’ultima alba di guerra racconta le ultime ore della Prima guerra mondiale, una delle gigantesche carneficine del Novecento. La racconta dal punto di vista di tre ragazzi, e questo è uno degli orrori, due di sedici anni e uno di diciotto: un americano, pilota, un inglese e un tedesco, fanti.
Tanto, tantissimo si è scritto nella saggistica storica, per descrivere il primo orrore con cui il XIX secolo si è presentato al mondo; nei recenti romanzi per ragazzi l’argomento è trattato incidentalmente, per esempio ne La Dogana Volante o L’estate di Abilene Tucker; qui, invece, il cuore della narrazione è proprio la descrizione di queste ultime ore di guerra che si snodano davanti agli occhi terrorizzati o incoscienti di questi giovani, che abbandonano per sempre la dimensione adolescenziale per entrare, loro malgrado, nel teatro di una gigantesca tragedia, in cui non esiste ragione o pietà o commozione, ma solo la speranza di tornare a casa vivi. La situazione in cui sono rappresentati è paradossale: è stato firmato l’armistizio, ma scatterà dopo alcune ore durante le quali la guerra continua a falcidiare esseri umani. I due giovani fanti si ritrovano a cercare di sopravvivere sui due versanti opposti di uno scontro, il pilota americano tenta la sorte per abbattere un ultimo aereo nemico. I tre, nel convulso finale, s’incontrano, nel disperato tentativo di salvarsi. In questo intreccio di destini c’è chi si salva e chi no.
La situazione di una guerra di trincea è rappresentata con crudo e doveroso realismo, senza dilungarsi sui particolari più crudi, ma senza risparmiare al lettore la sensazione di angoscia e di distruzione che la guerra porta con sé. I colpi di mortaio, le raffiche di mitragliatrice, i bombardamenti aerei causano corpi martoriati, paura e sgomento e morti e ancora morti. E se questo era già troppo, sono bastati pochi decenni per fare ancora peggio. Per non parlare di quello che è successo negli ultimi cinquanta anni.
Si può discutere a lungo sull’opportunità o meno di rappresentare con realismo gli orrori del mondo quando il lettore è un ragazzo, e qui, ovviamente, parliamo di lettori ‘maturi’, dai tredici anni in su. Personalmente ritengo che un adeguato vaccino alle sirene del falso patriottismo, dell’inevitabilità dell’uso della violenza, sia necessario, proprio perché i nostri figli non hanno alcuna nozione della guerra, se non molto indiretta, non hanno sentito parlare di fame, di prigionia, di paura; semmai, nel loro immaginario, s’identifica con le immagini dei videogiochi. Quello che trovo viceversa importante e decisivo è non mancare mai nel proporre la speranza, la possibilità di uscire anche dalle situazioni più difficili o comunque, se pure il sacrificio è necessario, come ne Il pianeta di Standish, non sia inutile e fine a se stesso. Qui, il lieto fine è parziale, ma credo che non avrebbe potuto essere altrimenti, a meno di perdere in credibilità. In altri casi, abbiamo visto, il finale positivo manca del tutto, anche se nel descrivere la realtà si sceglie un linguaggio poetico: è il caso, per esempio, de Lo zoo di mezzanotte, vedi qui, dove la dimensione fantastica, onirica vela di poesia un epilogo senza speranza. Francamente ho avuto delle difficoltà a proporlo ai miei giovani lettori, forse perché condizionata da quello che so su ciò che è realmente avvenuto, mentre un ragazzo potrebbe non cogliere il riferimento storico. Resto con questo dubbio.

Eleonora

“L’ultima alba di guerra”, P. Dowswell, Feltrinelli kids 2013.





mercoledì 27 febbraio 2013

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IO, NO! IO, NO! IO, NO!
 
LA GALLINELLA ROSSA, Pilar Martínez, Marco Somà
Kalandraka 2013



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Chi mi aiuta a piantare questi chicchi di grano? - domandò ai suoi amici.
Io no! rispose il cane fannullone.
Nemmeno io! disse il gatto dormiglione.
Neanche io! aggiunse l'anatra festaiola.
D'accordo! Allora lo farò da sola."

A bordo di un triciclo molto ben equipaggiato, con rastrelli, vanghe, zappe e innafiatoi multipli, la gallinella va per campi seguita dai suoi pulcini. Al vedere quei chicchi di grano le viene l'idea di farli fruttare e trasformarli in qualcosa d'altro, decisamente più saporito. Ed è qui che le scatta nella testa l'idea di farsi aiutare dai suoi vicini di fattoria. Risposta unanime: io, no! io, no! io, no!
La gallina tecnologica ed equipaggiata tira fuori il suo aratro rotativo e va a seminare. Nato il grano e divenuto forte e robusto, esso va mietuto e poi trebbiato e quindi la gallina tira fuori dalla rimessa il suo mietitrebbia. Anche questa volta può contare solo sulla collaborazione dei suoi pulcini. Gli altri, alla sua richiesta d'aiuto rispondono sempre allo stesso modo: io, no! io, no! io, no!
Raccolti i chicchi in un grande sacco, la cosa che resta da fare è andare al mulino a macinarli. Di ritorno, con i suoi grandi sacchi di farina chiede ai tre se vogliono aiutarla a fare il pane. Indovinate la risposta?


Così anche questa volta la gallina deve far tutto da sola: impastare con acqua e lievito e poi infornare...
Come sempre succede (a casa mia ogni due o tre giorni, per esempio) quando le pagnotte sono cotte, si diffonde per la casa un profumo irresistibile di pane appena fatto. E solo allora i tre si avvicinano alla cucina della gallina.
Pregustando già la sua sottile vendetta, la gallina non può fare a meno di chieder loro se vogliano aiutarla a mangiare il pane.
La risposta, ancora una volta unanime, è: io, sì! io, sì! io, sì!
Ed è a questo punto che scatta la rivincita della gallina. "Cari miei, mi spiace ma il buon pane lo divido solo con i miei pulcini!". E così fece.

La fiaba arriva da lontano, forse dalla Russia (è per quello che la gallina è rossa?) o dall'Inghilterra, ed è stata già altre volte oggetto di albi illustrati. Io ricordo in particolare quello edito da Babalibri (Byron Barton, La gallinella rossa, Babalibri 2003), che ho consumato a furia di leggerlo e rileggerlo a tutti i bambini che mi son passati davanti.
Della fiaba mi piace il finale secco e lontano da ogni buonismo. Mi piace perché si parla con cognizione di causa del procedimento che parte dal grano per arrivare alla pagnotta e, sotto sotto, si dice a un bambino come si fa il pane. Mi piace perché ha un ritmo ciclico che tanto risulta piacevole soprattutto a bambini piccolissimi.
In particolare questa edizione curata da Kalandraka mi pare molto divertente sotto il profilo dell'illustrazione. Solo giocate sui toni del marrone, le immagini di Marco Somà sono ricche di minuscoli particolari e dettagli, di una cura quasi maniacale per la resa dei piumaggi, della suppellettile, degli arredi, delle texture, per non parlare dei macchinari agricoli che riempiono intere doppie pagine.
Classe 1983, trent'anni giusti giusti, Marco Somà è un illustratore davvero interessante.
Mi pare di leggere nei suoi lavori una passione per le rane, che sono uno dei suoi Leit Motiv. Più in generale, mi sembra attratto dagli animali che veste secondo un gusto sempre tra il dandy e il retrò. Come retrò sono anche le ambientazioni: tavolini bassi su cui poggiano teiere e bricchetti a fiori, circondati da sedie Thonet, lampade da scrivania fine Ottocento, quadretti alle pareti con cornici di gusto un po' liberty, poltrone dai tessuti un po' consunti...la villa in campagna dei nonni paterni in Piemonte dove andavo a passare l'estate aveva quei colori e quegli oggetti: tele un po' ruvide e grosse e lenzuola di lino.



Carla

lunedì 25 febbraio 2013

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

SOGNA IL MIO CANE POLPETTE E SPAGHETTI?

IL GRANDE LIBRO DEI PISOLINI, Giovanna Zoboli & Simona Mulazzani
Topipittori, 2013

ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni)


"Dormono gli orsi sotto il piumone,
spegne la luce anche il leone.
Dorme il delfino, pisola il tonno.
Gallo e gallina cadon dal sonno.
La capra bacia i sette capretti.
Sogna il mio cane polpette e spaghetti."


Ognuno nel proprio letto, matrimoniale o a castello che sia, qualcuno in poltrona o su un'ottomana, taluni appesi al soffitto, tal altri acciambellati sugli aghi di pino o su meno pungenti latifoglie, chi in camicia da notte, chi con pigiami a pallini, ciascuno di loro trova di notte il meritato riposo. Solo uno veglia: è l'assiolo. Lui aspetta la luce del sole per andare a dormire. Quarantacinque animali e due bambini sono i protagonisti assonnati di questa lunga rima. Come se, sul far del buio, chi scrive fosse andato con il suo taccuino in mano, in perlustrazione dentro camere, soffitte, cantine, per boschi, prati e mari (e anche una bacinella) a controllare che tutti stessero prendendo sonno regolarmente. In questo lungo giro anche chi ha disegnato ha avuto modo di annotare, a suo modo con carta e matite colorate e pennelli, che il gatto dorme tra cappotti e tutine e che la sua pallina preferita nessuno gliela potrà sottrarre nel sonno. Vedrà che la scimmia si è premunita per la fame notturna e che ghiro e tasso hanno anche le coperte uguali oltre al pigiama. Al topino piace una lucina accesa per leggere una pagina di libro prima di addormentarsi, mentre la talpa, gioco-forza, riposa nel buio pesto, senza poter vedere che ricamo ha appena fatto il ragno, tra salami e prosciutti.

Una musica per le orecchie, rime perfette, sonore, che ti entrano in testa e che canticchi quando meno te lo aspetti. Rime che saranno utilissime per addormentare un bambino o per accoglierlo al risveglio.
Un testo che si può recitare a due voci, voce di grande e di piccolino, dove finisce il primo comincia il secondo. Grandi disegni, mimetici ma nello stesso tempo immaginari, che si possono seguire con il dito, che puntellano il fondo notturno stellato quasi sempre illuminato da una luna piena. Un vero catalogo di letti, giacigli e coperte. Quadretti, stelle o i fiori della stoffa si moltiplicano sulle pareti, nei prati e nel cielo.
Nonostante lo scuro della notte di sfondo, le pagine si 'accendono' qua e là nelle mele rosse o nelle ciliegie o negli scarafaggi gialli o arancioni.
Questi animali li abbiamo già conosciuti quando andavano a fare la spesa nel supermercato e anche lì, rima dopo rima, abbiamo imparato nomi nuovi (compresa la differenza tra coleotteri e lepidotteri!) ad abitudini alimentari insolite (Giovanna Zoboli, Simona Mulazzani, Al supermercato degli animali, Topipittori 2007). Sono gli stessi di quelli che possiedono ciò che noi sempre abbiamo sognato: la fame allegra dell'orso, la malinconia del cane, i passi di piuma della tigre (Giovanna Zoboli, Simona Mulazzani, Vorrei avere..., Topipittori 2010). E Il grande libro dei pisolini - terza tappa di questo percorso - sembra suggellare in modo definitivo il sodalizio perfetto, una fruttuosa società, tra le rime di Giovanna Zoboli e le figure di Simona Mulazzani, che trova forma in quella & che è comparsa, nuova di zecca, in copertina.

Carla


Sono certa che il mio cane, proprio perché è il mio cane, sogna polpette e spaghetti!


sabato 23 febbraio 2013

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

IL MONDO BUSSA ALLA PORTA


Rizzoli non produce moltissimi libri illustrati, ma, sarà per l’imminenza della Fiera di Bologna, in questo freddo finale d’inverno, ne propone diversi: uno, Orani, è stato già raccontato da Carla (vedi qui); degli altri due che ho selezionato vi parlerò brevemente ora. Mi è sembrato interessante, in particolare, Il favoloso viaggio di Ibn Battuta, d Fatima Sharafeddine e Intilaq Mohammad Ali, pubblicato, in origine, negli Emirati Arabi. Questo rappresenta certamente un punto d’interesse, perché dell’editoria araba si è tradotto poco e molto episodicamente, mentre gli editori per esempio libanesi hanno ricevuto spesso attenzione anche alla Fiera bolognese. Poi, la storia che racconta, un grande viaggiatore arabo che, nel XIV secolo ha girato Medio Oriente, una parte dell’Africa spingendosi fino in India e Cina; viaggiatore di mare e non di terra come Marco Polo, ha scritto le sue memorie in un’opera che descrive minuziosamente i viaggi e gli incontri con popoli lontani. Il testo, ovviamente di una mole notevole, è stato tradotto in Italia dall’Einaudi. Ovviamente, in questo illustrato si propone un’idea di massima delle mirabolanti avventure di Ibn Battuta, disegnando la mappa dei suoi spostamenti dalla Mecca a Bassora, Baghdad, le Maldive, e poi Mogadiscio, la Turchia e l’Asia centrale; è presumibile che i bambini che sfoglieranno questo libro, dagli otto anni in poi, non conosceranno parecchi di questi luoghi; ma proprio questo ingresso in un mondo anche fantastico riesce ad aprire degli orizzonti inconsueti, a comunicare l’idea che il viaggio è anche una condizione esistenziale, è desiderio di conoscenza, senza pregiudizi; l’altro aspetto è proprio quello di far conoscere un pezzettino della cultura araba, di cui si sa poco.


Nell’altro illustrato, Il Salice Piangente che sorrideva, di David Foenkinos e Soledad Bravi, a bussare alla porta non è proprio tutto il mondo, ma la realtà che viviamo oggi. L’incipit sembra molto figlio dei tempi che viviamo, con un papà che perde il lavoro e deve trasferirsi con tutta la famiglia per trovare una sistemazione più economica; la piccola protagonista Shai Lin, ovviamente non vuole lasciare la sua casa, i suoi amici; pone quindi una condizione al trasferimento di tutta la famiglia in campagna: che nel giardino della nuova casa ci sia un salice piangente, il suo albero preferito. Così sarà fatto ma quel salice lì purtroppo è contento, è felice della sua vita. Dopo il primo sconcerto, la bambina si affeziona all’albero strano e ne impedisce il taglio insieme ai suoi amici. Anche in questo caso la lettura è adatta dai sette anni in poi.
Dunque, nel meraviglioso mondo della fantasia, anche nelle storie per più piccoli entra di prepotenza la vita reale, con tutte le sue difficoltà, sperando che raccontare storie aiuti a comprendere quello che succede intorno.

Eleonora

Il favoloso viaggio di Ibn Battuta”, F. Sharafeddine e I. Mohammad Ali, Rizzoli 2013
Il salice piangente che rideva”, D. Foenkinos e S. Bravi, Rizzoli 2013


venerdì 22 febbraio 2013

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN POSTO IN PARADISO

NON ENTRATE NEL SACCO!, Nicolas Hubesch, Gnimdéwa Atakpama
Babalibri, 2013


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Un giorno di ritorno da una scampagnata, una capra scoprì una valle verdeggiante. 'Il Paradiso esiste e io l'ho trovato!' esultò. 'Da domani comincerò a costruire qui una casa dove trascorrere i miei ultimi giorni'. Quella sera un leone s'innamorò dello stesso posto e anche lui decise di costruirci una casa."

Neanche a dirlo. La capra è bianca, magrolina e gira in bicicletta e il leone, pieno di muscoli gira con il suo fuoristrada. Ecco due mondi a confronto. Mentre la capra di giorno procede con i lavori per il suo cottage per la vecchiaia, il leone all'imbrunire controlla i lavori, ormai deciso ad impossessarsi con la forza della casetta, una volta terminata. Zero fatica, anche se esecrabile sotto il profilo morale. Accade l'inevitabile. La capra arriva con le sue carabattole e trova il leone che le ha soffiato il posto in poltrona e l'intera casa intorno.
La risparmia, decidendo che da viva, gli sarà certo più utile: una capra domestica che cucini e faccia i lavori di casa al suo posto. Nessun accordo si può raggiungere sul menu: il leone che non è vegetariano, non tollera mais, broccoli e salsa di gombo, proprio ciò che la capra gli ha appena cucinato. L'incolumità della capra ora è a rischio sul serio.

 Sarà forse perché stanca di essere vessata dal tracotante leone, sarà perché teme di finire lei direttamente in pentola, la capra si organizza...sale, miele e sacco, un po' di faccia tosta e una buona idea per ritornare padrona del suo cottage.

Irresistibile storia di genio. Laddove si dimostra che alla forza bruta spesso è più efficace rispondere con l'acume. Un apologo che ha il sapore di una favola antica intessuta di saggezza dove una capra veste i panni della mitezza, della pazienza, dell'astuzia, del coraggio, e dall'altra il leone veste quelli dell'arroganza, della prevaricazione, dell'ottusità. Ma se già la storia è raffinata in ogni sua piega, le illustrazioni sono semplicemente geniali. A partire dal leone in copertina che pare essere lì a terrorizzare l'ingenuo lettore, ma, una volta letta la storia, quella stessa immagine assume un valore del tutto diametrale. Il ciuffo rockabilly, l'arredo di coltelli e armi di ogni genere appesi alle pareti oppure i trofei di caccia, raccontano un leone che ha molto di umano. 


Il villaggio dei leoni, la panoramica sul mercato, il leone con marsupio e occhialini da vista sono di nuovo lo specchio di un mondo che ci appartiene. Il cottage, la bicicletta, le masserizie della capra ci dicono molto di consuetudini tutte nostre. Per non parlare delle rispettive visioni della vita che ricordano da un lato l'arroganza di chi a questo mondo cerca facili traguardi e dall'altra la serenità d'animo di chi, raggiunta la pace interiore, è lontano da ogni affanno e vuole invecchiare serenamente coltivando il proprio orto.


In perfetto stile École de Loisirs-Babalibri anche Non entrate nel sacco!  -una fruttuosa collaborazione tra un giornalista scrittore di Lomé e un fumettista illustratore della periferia di Parigi- diventa titolo nella mia lista di libri imperdibili. La vena di tremore che attraversa l'intera vicenda, il patema che abbiamo per la sorte della debole capra, l'irritazione che genera il leone prepotente, la grande rivincita che si prende il finale, vera apoteosi del genio, tutto concorre a far sì che questo libro diventi da oggi un best seller delle mie pubbliche letture. Troppo crudele, troppo giusto per lasciarlo sullo scaffale...A me piacciono i libri fatti così.

Carla

mercoledì 20 febbraio 2013

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL CANE CHE RIDE

IO SONO SOLTANTO UN CANE, Jutta Richter
Beisler, 2013

NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni)

 "Da noi in Ungheria c'è una legge, una legge ferrea che dice: di notte il branco deve sempre stare unito. Solo se il branco sta unito è possibile tenere lontani la puzzola delle steppe e lo sciacallo dorato. A che serve un cane pastore in corridoio, se la notte il gatto selvatico entra quatto quatto dalla finestra e li sorprende nel sonno?"

Un cane pastore ungherese, che vive comodamente in una bella casa con Freidbert, Emily e la piccola (una bambina fino a poco tempo fa quadrupede) ma continua ad avere la testa nella puszta, tra le pecore racka, gli sciacalli dorati e i gatti selvatici.
Lui è Anton e questa è la sua storia. E anche quella di tutti quelli che gli girano intorno. Il suo padrone Freidbert, il capobranco, è quello che non vuole concedergli la calda pelliccia d'agnello come giaciglio notturno, ma che testardo vuole vederlo dormire in una rigida cuccia di rametti di salice intrecciato. Emily ha la voce acuta ma il cuore morbido ed è la guardiana delle pentole. Ma la sua preferita è la piccola. Con le condivide la ciotola dell'acqua, i pezzi di formaggio che lei scarta. Con lei gioca, con lei passeggia, con lei si addormenta la notte in cantina. Lei profuma di cioccolata e urla come un manzo e ha le mani morbide come una lingua di cane. Tra atti di eroismo, scuole di addestramento, rocambolesche cene a base di oca natalizia e lotte all'ultimo posto comodo con il gatto di casa procede la vita di questo simpatico cane. Un po' filosofo, molto ironico, con la testa piena di vecchi ricordi, dispensatore di pillole di saggezza imparate dal suo vecchio zio Ferenc, il cane Anton guarda dalla sua postazione ad altezza ginocchio il mondo degli umani e ne sorride. Potrebbe essere diversamente?



Anch'io ho un cane che sorride. Non lo fa sempre e di certo non lo fa quando sente una spiritosaggine. Lo fa sempre quando, al momento del mio ritorno, mi accoglie dall'alto della rampa di scale. Arriccia il naso, alza il labbro e sorride.
È la prima volta che mi succede. E, nonostante siano già passati sei mesi di sorrisi, mi emoziono e mi stupisco come la prima volta che glielo ho visto fare.
Io sono la Emily della situazione: ho il cuore morbido e il mio cane non sa cosa sia una cuccia di salice. Come Jutta Richter guarda il suo Anton e cerca di interpretarne sguardi, atteggiamenti e poi ce li racconta, anche io appartengo a quella categoria umana. Passo il mio tempo a studiare il pensiero del mio cane e lo traduco in linguaggio umano.
Credo che sia l'unico modo che noi abbiamo per entrare in empatia con il 'nostro' animale: guardarlo e cercare di decodificare il suo sistema di comunicazione. La chiave sta nel non voler a tutti i costi applicare i nostri canoni di pensiero a quelli di un cane o di un gatto.
Jutta Richter ci racconta con rara sensibilità il senso profondo che lei attribuisce all'essere cane: una commistione di istinto e adattamento. Odore di cane e profumo di sapone.
Jutta Richter è forse la migliore scrittrice di animali che io conosca. Sempre molto convincente per sensibilità e rispetto di gattosità e canitudine.
Ed è forse per questo che il suo cane sorride...


Carla


Noterella al margine. Il testo suona come una poesia, con una sorta di ritornello che ritorna rassicurante ad ogni conclusione di capitolo. E a proposito di suono, mi sarebbe piaciuto che il titolo avesse suonato così: Io sono soltanto il cane. Un'inezia, potrebbe sembrare, eppure quell'articolo determinativo lo avrei trovato più fedele al senso ultimo del libro, ovvero la vita di quel quadrupede all'interno di quella famiglia di umani.

lunedì 18 febbraio 2013

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

DELLE FORME DELL’AMORE

Chissà cosa penserete su quello che sto per scrivervi, con tutta probabilità che dimostro tutti gli anni che ho e che sono decisamente antica. Comunque, in tutta umiltà, vi propongo una perorazione in favore delle lingue antiche, quelle in cui hanno scritto alcuni dei principali artefici del nostro modo di pensare e sentire

In generale non amo le riduzioni e le riscritture, anche quelle dedicate ai ragazzi, perché inevitabilmente rappresentano delle parzialità delle opere da cui si originano; con alcune valide eccezioni, come la collana dei classici riscritti da noti scrittori, pubblicata dall’editoriale L’Espresso, quella per intenderci, con I Promessi Sposi raccontati da Umberto Eco; progetto editoriale che ha il pregio di rendere fruibili anche ai più giovani testi di grande complessità, pur mantenendo un buon livello 
letterario. 


Altra eccezione è data da Le Metamorfosi, dall’originale latino di Ovidio, ridotto e raccontato da Roberto Mussapi. Il grande patrimonio mitologico della cultura classica, nella meravigliosa versione dell’autore latino, diventa un gigantesco e complesso gioco a incastri in cui una storia entra nell’altra o ne è lo sviluppo, in un susseguirsi d’immagini fantasiose e poetiche. Mussapi prova a dipanare l’intricata matassa e ad estrapolare una serie di storie, partendo da Orfeo, il padre della poesia, dal suo canto e dal suo amore impossibile per Euridice, persa due volte forse proprio a causa del suo troppo amore. Orfeo, infatti, riesce a convincere le divinità degli inferi a restituirgli la sposa tanto amata. Lei può seguirlo nel mondo dei vivi, a patto che lui non si volti ma indietro a guardarla; ‘Orfeo sapeva che lei lo stava seguendo, ma all’improvviso ebbe paura di perderla, non riuscì a tenersi, si voltò per fermarla e lei subito, lentamente, riscivolò all’indietro, tendendo le braccia allo sposo per aggrapparsi ed essere riafferrata, ma non strinse altro che aria sfuggente’. Questo testo, ripreso dalla mirabile edizione Einaudi degli anni ’80, è ricco di storie d’amore declinato in tutti i modi possibili, dagli amori violenti degli dei invaghiti di qualche ninfa o di qualche mortale, amori disperati, come quello, struggente, di Eco per Narciso, di amori coniugali, di amori eterni. Di amore che va oltre la morte parla l’ultimo episodio che Mussapi racconta, quello di Alcione e Ceice. Costui, sposo amatissimo da Alcione, parte per mare e muore in un naufragio. Lei lo vede in sogno e ne comprende la fine; pazza di dolore si getta in mare, proprio quando riaffiora dalle onde il corpo dello sposo; gli dei, commossi da tanto inestinguibile dolore, la trasformano in uccello, che volando sul fiore dell’onda riesce a risvegliare Ceice, anche lui trasformato in uccello; e da allora volano insieme. Mito raccontato da una delle più belle poesie del greco Alcmane.

Non so se un testo del genere, e meno che mai le mie parole, possa rendere la magia della poesia classica; spero che comunque faccia nascere qualche curiosità e spinga qualche lettore o lettrice appassionata ad andare alla fonte, spingendosi, da lì, magari in territorio latino: leggere il testo originale è un’altra cosa, il ritmo e la musicalità della poesia un po’ si perdono nella trasposizione in prosa; ditelo ai vostri ragazzi, studiare il greco e il latino, cosa assai lontana dai loro pensieri, serve ad aprire lo scrigno di testi meravigliosi e vivissimi, che ci parlano di noi anche descrivendo gli amori stravaganti di divinità dimenticate.

Al di là della bellezza poetica, evocata dal testo di Mussapi, Le Metamorfosi è un testo da ragazzi già grandicelli, dai tredici anni in poi, per la complessità del testo e dei riferimenti, e per la cruda descrizione degli amori umani e celesti. Se si vuole un testo più semplice, che comunque renda l’idea dell’immaginosa costruzione del testo latino, si può sempre sfogliare l’illustrato di qualche anno fa, scritto da Laura Russo per La Nuova Frontiera. Anche qui una selezione di storie, alcune conosciutissime, come il rapimento di Proserpina, o il carro di Fetonte; anche qui quella straordinaria commistione, perno dell’opera classica, fra umano e divino, fra divino e natura, che svela i suoi segreti attraverso il racconto mitico.


Come si capisce, la lettura delle Metamorfosi, spesso frammentaria e incostante, mi accompagna dalla giovinezza, regalandomi ancora un po’ di stupore.


Eleonora



Le Metamorfosi”, R. Mussapi con 18 tavole di Mimmo Paladino, Salani 2012

Le Metamorfosi. Storie di uomini e dei”, I. Russo e E. Mantoni, La Nuova Frontiera, 2003


domenica 17 febbraio 2013

 
ROCOCÒ


Si poteva resistere a dei biscottoni con un nome così?
Ma soprattutto, cosa hanno in comune questi dolci della tradizione napoletana legata alle festività natalizie con l'omonima corrente artistica?
Dalle mie ricerche sembrerebbe che l'elemento di congiunzione sia la loro forma assimilabile a quella di una conchiglia, in francese rocaille e di lì, rotolando appunto, fino a rococò.
Spiegazione riportata da più parti, convincente fino a un certo punto, specie quando si considera che l'origine della creazione della ricetta viene fatta risalire al 1300, e forse anche prima, ad opera delle monache del Real Convento della Maddalena, quindi molto prima che il 'rococò' in quanto tale potesse essersi diffuso fino a influenzare, per assonanza, il nome di un biscotto in area napoletana.
Peraltro invece, se la somiglianza con le conchiglie mi sembra discutibile, mi sembra molto più credibile la versione che vuole che il loro aspetto abbia ricordato le rocce utilizzate come abbellimento di padiglioni da giardino e grotte. Quindi un legame su quella strada forse realmente c'è, ma deve anche essere vero che per qualche secolo li hanno chiamati in un altro modo. 
Peraltro invece, se la somiglianza con le conchiglie mi sembra discutibile, mi sembra molto più credibile la versione che vuole che il loro aspetto abbia ricordato le rocce utilizzate come abbellimento di padiglioni da giardino e grotte. Quindi un legame su quella strada forse realmente c'è, ma deve anche essere vero che per qualche secolo li hanno chiamati in un altro modo.
Tutto questo è peraltro perfettamente napoletano, vale a dire un indistricabile connubio tra stratificazioni di alta cultura artistica e prosaici aspetti del vivere quotidiano in tutte le forme, dalle più sane e di base agli aspetti meno condivisibili. Cioè, almeno per me, l'aspetto più intrigante di quel luogo.
Al di là di tutto questo, qualsiasi sia il percorso che ce li ha portati fin qui, i biscottoni sono venuti bene, e appartengono forse proprio in ragione del loro percorso, al genere delle ricette di cui esistono molte varianti negli ingredienti e nelle loro proporzioni.
Questa che riporto mi è stata passata da amicizie in loco e il risultato è ottimo.

Ingredienti per circa 10 pz.
250 gr di farina
200 gr di zucchero
250 gr di mandorle con la pelle
5 gr circa di 'pisto' o in alternativa cannella+noce moscata+chiodi di garofano
1 cucchiaino di bicarbonato (la ricette prevede ½ di bicarbonato e ½ di ammoniaca per dolci ma io non sono riuscita a trovarla e comunque il solo bicarbonato funziona lo stesso)
1 arancia
sale
un uovo per la finitura

Iniziate tagliando a grossi pezzi la buccia di un'arancia e mettendola a bollire in circa un bicchiere d'acqua per una decina di minuti. Spegnete, fate raffreddare un po' e tagliate il tutto a pezzettini piccoli.

In una ciotola impastate la farina con l'acqua di cottura della buccia d'arancia e lo zucchero.
Fate attenzione alla quantità di acqua. Quella della cottura potrebbe non essere abbastanza per permettervi di impastare, quindi aggiungetene un po' alla volta fino a raggiungere la consistenza giusta, tenendo conto che ora che avrete finito di aggiungere tutti gli ingredienti, l'impasto sarà molto più bagnato di quanto vi sembri ora.
Tritate le mandorle più o meno finemente in relazione a quanto vi piace trovarvene poi dei pezzi nel biscotto, e aggiungetele al composto. Il mio consiglio è di tritarne una parte piuttosto fini, in modo che compongano così il gusto della pasta, e un'altra più grossolanamente.
Per ultimo aggiungete le bucce, le spezie il bicarbonato e il sale.

Non è facile pesare le spezie, la mia bilancia seppur elettronica, sui pochi grammi, ammesso che li rilevi, non è per nulla affidabile.
Indicativamente vi posso dire che per queste dosi potete mettere un cucchiaino pieno di cannella, uno raso di noce moscata e 5 o 6 chiodi di garofano che avrete ridotto in polvere (se non disponete di altro va benissimo un pestacarne). Dato che le spezie, insieme alla buccia d'arancia, sono il sapore dominante del biscotto, fatta una prima prova, starà a voi dosarle a piacimento.

A questo punto potete fare delle ciambelle di circa 8 cm di diametro che metterete su una teglia ben distanziate.
Spennellate la parte superiore con l'uovo sbattuto e cuocetele a 180° per circa 20 minuti.
Da calde vi sembreranno molto morbide, ma man mano che si raffreddano, e passano i giorni, se passano, diventeranno sempre più dure.
La consistenza migliore, a mio gusto, è quella dei primi due o tre giorni, rigide esternamente ma morbide internamente.
Si conservano in scatole di latta o sacchetti di carta.


Gabriella

venerdì 15 febbraio 2013

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


A CASA

ORANI IL PAESE DI MIO PADRE, Claire A. Nivola
Rizzoli 2013


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"I cugini mi prendevano per mano e mi portavano fra le case dai muri spessi e poi fuori, nei cortili.
Sotto un fico, accanto ai panni stesi, tra le galline, mi chiedevano: 'Com'è l'America?' 'Oh, è molto meglio di qui' rispondevo sempre io, e loro scoppiavano a ridere, increduli. E andavamo a raccogliere le prugne tiepide e i grappoli d'uva freschi..."

Una bambina americana, figlia di emigranti, torna quasi ogni anno al paese di origine di suo padre. Orani, al centro della Sardegna, non lontano da Orgosolo, a pochi chilometri da Nuoro, è la meta dopo un lungo viaggio in nave. Lì ad aspettare Costantino Nivola e la sua famiglia, emigrato tanti anni prima in continente e poi ancora più lontano, in America e diventato un affermato pittore e scultore, ci sono i suoi numerosi fratelli. La piccola Claire, circondata dai suoi numerosi cugini, gira per il paese, corre con loro libera. Come uccellini in aria, i ragazzini si sparpagliano per i vicoli e vanno dove sta succedendo qualcosa: un bambino che nasce o il vecchio che muore, il mugnaio che macina o il sarto che cuce le giacche di velluto per i pastori. Sullo sfondo delle loro corse, in disparte nei cortili, ci sono caprette e asinelli e sopra ogni cosa volano tante mosche. Intorno alla tavola per pranzo o per cena si riuniscono con i grandi e tutti parlano contemporaneamente. A guardarlo da lontano, Orani è piccolo, raccolto in una valle e silenzioso. Ma quando ci sei dentro è pieno di suoni, odori, colori e cose che ti fanno diventare grande. Ma poi si deve tornare a 'casa': New York, grattacieli, una rete di vie e fiumi di gente che non conosci.


Sorge spontanea la domanda: ma dov'è casa? Anche la piccola Claire pare chiederselo, viste quelle virgolette che mette accanto alla casa di New York...
Di certo per Costantino Nivola, suo padre, la casa è quella di Orani. Come la stragrande maggioranza dei sardi, ha lasciato l'isola. Ma l'isola non ha lasciato lui. Attraversare il mondo per tornare lì significa aver delle robuste radici.
Il merito suo maggiore però è stato quello di aver messo sotto gli occhi dei propri figli questo legame. E naturalmente di averlo fatto senza bisogno di didascalie, ma con autenticità. Senza retorica anche Claire racconta la sua parte di storia. Ciò che in lei, bambina di New York, questi soggiorni nel cuore della Barbagia, a distanza di molti anni, hanno resistito al tempo, mettendo radici.
Giochi, pensieri, usanze, sapori, rumori, colori che ti restano nelle orecchie, negli occhi, nel naso e nella bocca.

Ho sempre pensato che ogni uomo sulla terra avesse diritto ad avere un suo posto nel mondo che considera casa. Lì si è al sicuro.
Datelo ai vostri figli, un posto così. In tempi duri e in tempi sereni, avere la consapevolezza della sua esistenza, della possibilità di poterci tornare sarà ossigeno per l'anima.

Carla


Noterella al margine: Libro che ha preso la menzione al Bologna Ragazzi Award 2012. Claire A. Nivola ha un talento riconosciuto in tutto il mondo: qui una bella intervista di qualche tempo fa e un'ampia panoramica sui suoi numerosi e coloratissimi libri.







mercoledì 13 febbraio 2013

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


MANUALE D'ISTRUZIONE
 
COME FUNZIONA LA MAESTRA, Susanna Mattiangeli, Chiara Carrer
Il Castoro 2013


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"La maestra ha una parte davanti, che è quella che si vede di solito, e una parte dietro che si vede quando si gira.
Sopra la maestra c'è il soffitto della classe, o il cielo quando è all'aperto.
Sotto la maestra c'è il pavimento, o la ghiaia o la strada.
Intorno alla maestra ci sono i bambini...."

Nella vita occorre avere dei punti di riferimento: il sopra, il sotto, il dietro il davanti, la maestra.
Le maestre sono di vario tipo: larghe, sottili, chiare o scure, ricce o lisce. Possono essere maschi. Le maestre spesso sono ricche dentro (fuori, lo sono raramente) perché portano in loro numeri, fiumi, l'uomo primitivo e tutte queste belle conoscenze prima o poi travasano nei bambini e quando questo succede è una buona giornata per tutti. Le maestre parlano sottovoce oppure urlano e la loro voce cambia sempre, come se fosse una canzone. Quando una maestra si arrabbia tutto si ferma: i fiumi smettono di scorrere, i numeri di contare, l'uomo primitivo resta con la lancia a mezz'aria. Tutto riprende vita quando loro si calmano.
Nonostante capiti di rado, le maestre fanno cose anche fuori dalla scuola: come le persone normali, aspettano l'autobus, vanno all'ufficio postale. Ma prima o poi tornano a scuola. Le maestre poi diventano maestre di altri bambini e quando si va a trovarle sembrano più piccole. E nella testa dei bambini grandi si rimpiccioliscono per lasciar posto a nuove cose. Ma quando si vuole ritrovare una cosa insegnata dalla maestra, prima o poi verrà fuori, come una vecchia foto di classe dal fondo di un cassetto.


L'ho già detto. La maestra è un punto cardinale nella vita di ogni persona: c'è il nord, il sud, l'ovest, l'est e la maestra.
Tre anni fa, dopo soli quarant'anni, ho rivisto la mia maestra di quinta elementare. Quella stessa maestra cui avevo chiesto come nascono i bambini. Per quanto abbia cercato di vederla come una pimpante signora di settanta e rotti anni, non riuscivo a togliermi di dosso quella sensazione di io piccola e tu grande.
Un libro per riflettere tutti assieme sulla come funziona una maestra, su cosa significa una maestra è una grande occasione. In un testo che sembra preso da una pagina di taccuino di bambino al quale è stato detto: osserva, studia la maestra e prendi appunti, si susseguono frasi brevi esilaranti, inaspettate, assurde, autentiche, lucide e, soprattutto, mai prive di un senso molto profondo, di un significato denso che si nasconde sotto qualcos'altro.
Gran merito va a Susanna Mattiangeli che modella con sapienti dita un monumento a tutto tondo dell'essenza della maestritudine.


È un vademecum che ogni bambino dovrebbe avere per sé, è come una carta geografica, o se preferite, una tavola di nomenclatura, su cui il piccolo può studiare il soggetto in questione: la propria maestra o il proprio maestro. Per questo suggerisco ad ogni maestra e maestro in ascolto, di farne pubblica lettura, di avere il coraggio di mettersi lì a disposizione della scienza, sotto il microscopio dei propri bambini.
Altrettanto puntuale è la lettura che ne fa Chiara Carrer ridandoci una maestra dal polpaccio forte, dalle scarpette sformate e fuori moda, ma energica, non proprio elegante, sorridente, con i capelli anni Sessanta e con le guance sempre colorite. Un tuffo al cuore per me vederla: il ritratto della mia maestra di III. Pezzi di quegli anni si ritrovano a collage qua e là: carte geografiche, cartamodelli, fogli di millimetrata o di computisteria e tanto sapiente segno a matita. E poi quei bambini, rubizzi, ordinati in fila per due e, mi raccomando, sembra di sentirla ancora dire, i più piccoli davanti e dietro i più alti....

Carla