martedì 22 aprile 2014

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


AD ALTEZZA RAGAZZINO
 
Manolito quattrocchi - Ecco Manolito, Elvira Lindo, Emilio Urberuaga
Lapis 2014



NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)

"Ho tolto i cappucci ai superpennarelli e ho cominciato a salire le scale strisciando le punte sulla parete. 'Che figata!', ho pensato.
Facevo tre linee: una rossa, una azzurra e una nera. E cercavo pure di farle dritte, così parevano proprio una ringhiera. Mica per niente, ma ero proprio partito con questa cosa dei pennarelli. E facendo le mie belle righe, mi sono ritrovato al terzo piano. Perché al terzo? Perché ci abito io."


Sarà evidente a tutti che la brillante idea di Manolito, ragazzino di Carabanchel alla periferia di Madrid, non sarà gradita all'intero condominio e soprattutto alla madre di detto bambinetto, conosciuto da tutti come Manolito Quattrocchi per via dei grandi occhiali da vista che porta da quando aveva cinque anni. Ma Manolito, scugnizzo spagnolo, per salvarsi può contare sul nonno Nicolás Superprostata, con cui condivide il letto nella veranda a vetri e anche molto altro.
Che cosa si inventa in questa situazione il vecchietto per salvare l'amato nipote non lo rivelerò neanche sotto tortura, ma vi anticipo che è racconto da sbellicarsi.


Geniale nella sua lettura della realtà e nel suo viverci dentro, Manolito è sempre in azione. E se non agisce, è lì che pensa a come agire...
Le storie di Manolito sono esilaranti, commoventi, autentiche e raccontate in un'ottica che parte dal basso, ovvero ad altezza ragazzino. Il mondo degli adulti e dei più piccoli è raccontato con disincanto, grazie a un po' di sano cinismo, difetto che in piccole dosi ogni bambino dovrebbe avere con sé in dotazione per poter crescere 'robusto'.
A tutti coloro che non hanno avuto l'opportunità di leggere le sue storie, pubblicate nella collana Junior Mondadori -10 dalla fine degli anni Novanta forse va data qualche coordinata per capire meglio chi sia Manolito.
Io narrante di divertenti avventure cittadine, ragazzino di otto anni, agisce per la maggior parte del tempo nel suo quartiere, abitato da operai alla periferia di Madrid, Carabanchel Alto. La scuola, il parco dell'Impiccato, così chiamato per quell'unico albero secco al centro, il bar del quartiere pieno di vecchietti, e il suo appartamento sono teatro delle molte storie che lo riguardano.
Personaggi comprimari: a parte la madre severa e facile allo scappellotto, il padre camionista sempre in viaggio e il nonno, affettuoso suo punto di riferimento, Manolito ha un fratellino, che chiama l'Imbecille dal giorno della nascita. E poi ci sono il suo miglior amico, Lopez-orecchie-a-sventola, Yihad, il bullo, la Susanna panni-sporchi e' l'alieno' Paquito Medina. E in ultimo la povera maestra Asunçion che deve combattere tutti i giorni con questa piccola banda di pesti.
Ultimo personaggio dei suoi libri, per nulla trascurabile, è la vita, quella vera; quella che tutti i giorni sperimentiamo anche noi, comuni mortali.
Ed è proprio quest'ultima, secondo me, a dare ai libri di Manolito quel 'quid' che li rese amatissimi (in Spagna Manolito è stato un personaggio di culto con film e serie in televisione e solo 43 ristampe!). Vincitore all'epoca di molti premi, tradotto in 20 lingue, Manolito in Italia ebbe un discreto successo, ma non diventò mai un fenomeno di massa. 
E invece lo avrebbe meritato.
Lapis offre a questo personaggio e ai libri a lui dedicati una seconda possibilità che, io spero tanto tanto, lo consacri in modo definitivo.
In una prospettiva di 'svecchiamento', il libro è stato vivacemente ritradotto con un lessico preso a prestito dal parlato, ha cambiato titolo e migliorato la veste grafica ma Urberuaga è ancora lì a raccontarlo con i suoi esilaranti disegni in b/n. Elvira Lindo sta a Urberuaga come Roald Dahl sta a Blake. Sono come pane e burro: perfetti insieme.



Carla

Noterella al margine. Storie e geografie della parola 'figata', che nel libro va e viene insieme a 'fico', al posto dei più neutri 'mi piace un sacco' e 'che bello' della prima edizione. Considerata da molti come parola-ponte tra un linguaggio solo per grandi e la trasgressione concessa ai piccoli, l'uso che se ne fa, insieme anche ai vari che palle! sparsi qua e là, mi pare un po' troppo ammiccante. 
Ma, a parte questo, apparentemente le sue due declinazioni -figo/figata e fico/ficata- paiono inscindibili e non tra loro interscambiabili. Ora viene la domanda: sono solo io che associo figo/figata a un lessico del Nord che non varca i confini della Toscana, mentre fico/ficata è usato dall'Arno in giù?
Manolito milanese?

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