giovedì 11 dicembre 2014

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


AI CONFINI DI OGNI CONFINE

Domani inventerò, Agnès de Lestrade, Valeria Docampo
Terre di Mezzo 2014


POESIA

"Ai tuoi confini ci sono io,
che ti aspetto tranquillo in cima alla montagna.
Ti infili gli scarponi e gridi: 'Arrivo!'.
Insieme, saliamo ancora più in alto
per vedere cosa c'è dall'altra parte.
Domani a te m'intramerò."


Ai confini del letto ci sono i sogni, in mezzo ai batuffoli di polvere, ai confini dell'inverno c'è il ghiaccio, ai confini del mare c'è la sabbia con i suoi granelli infiniti e ai confini della noia ci sono le idee.
Dopo le lacrime c'è il sapore del sale, e al di là di ogni confine c'è l'ignoto.
Il grande orso azzurro si interroga ogni volta e ogni volta la risposta che dà a se stesso ci intenerisce e ci fa sorridere: lui si imbatuffolerà, si invernerà, si ingranellerà e, contro la noia, si stuficchierà. Lui si ferma davanti a ciò che non conosce, quindi ci pensa, e ogni volta, nonostante non sappia mai cosa l'aspetta veramente, decide di andare al di là.
Perché al di là potrebbe trovare, è vero, qualcosa di brutto o di sbagliato, ma anche qualcosa di nuovo. E se così sarà, di fronte alla novità, l'unica cosa da fare è inventare. Inventarsi.


Le poesie andrebbero lette e basta. Non si possono raccontare, se non a costo di far loro un gran torto. Ma qui c'è un richiamo irresistibile: come un ritornello dietro ogni pagina si svela il mistero di una parola inventata, costruita ad arte, essa allude e si lega a ciò che la precede: intramarsi, stuficchiarsi, ingranellarsi, sono bellissime parole nuove nuove che possiamo far diventare nostre all'istante. Con un innamorato sarebbe bello intramarsi, nella malinconia perché piangere invece di lacrimarsi? E domani con il gelo che tira non sarà difficile invernarsi un bel po'. Sono belli i neologismi, sono adatti ai bambini che con le parole amano giocare, ma lo sono ancor di più i loro risvolti riflessivi: quel 'mi' che precede sempre il verbo è la cifra di questo libro. È la conferma della grande verità che contiene: ognuno per sé deve mettersi di fronte a quella linea immaginaria, una sorta di confine, che è il domani, ciò che la vita riserva. Ognuno per sé deve immaginare il proprio domani e per farlo deve sapersi inventare ogni giorno.


Il grande orso azzurro che, imprevedibile, si ingrandisce o rimpicciolisce, passa da un angolo all'altro della pagina, l'attraversa come fosse una soglia, e si infila in seggioloni o casette solo accennate da un tratto di penna, o fa finta di nascondersi in una grande copertina di libro che gli fa da tetto o si fa racchiudere in una lacrima, è protagonista assoluto. Lui, così ostentatamente azzurro, ha sempre un suo contrappunto in qualcosa di giallo: un innaffiatoio, un ombrello, una tromba o una chiocciola gigante. Una sottile trama narrativa lega ogni immagine in un racconto ancora più surreale del testo che finisce in una sorpresa cromatica di grande stupore.


Ancora insieme, Agnès de Lestrade e Valeria Docampo (altrettanto ricco di spunti fu il loro La grande fabbrica delle parole, Terre di Mezzo 2010) in un albo ben più maturo del precedente ma che -ancora una volta- tocca temi profondi, e lo fa, come già allora, attraverso un uso sapiente della lingua, qui come lì, tradotta con grande sensibilità da Rita Dalla Rosa.


Carla

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