venerdì 1 maggio 2015

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN UOMO INFELICE

Quanta terra serve a un uomo? Annelise Heurtier, Raphaël Urwiller da una novella di Lev Tolstoj (trad. Paolo Cesari)
Orecchio acerbo 2015


ILLUSTRATI PER MEDI (dagli 8 anni)

"Ogni mattina, nelle ore bianche e ghiacciate, Pachòm si infila i suoi larghi stivali e se ne va a lavorare.
Non è ricco, ma alla sua famiglia non manca nulla. Il fuoco crepita spesso nel camino e, all'ora di pranzo, il profumo della zuppa si spande per l'isba.
Tuttavia, nel suo piccolo campo spazzato dai venti, Pachòm ci sta stretto."

Il suo sospiro è sempre lo stesso: ah, se solo avessi più terra, sarei davvero un uomo felice.


Così facendo Pachòm, con tutti i suoi risparmi compra altra terra dal vicino. Ma ancora è ben lontano dalla soddisfazione. Il giorno che dà ospitalità a uno straniero scopre che nella regione del Volga la terra è più fertile. Vende ogni cosa e parte con la sua famiglia con il sogno di arrivare a possedere ancora più terra. 


In poco tempo Pachòm ha triplicato gli ettari da coltivare, ma ha ancora il cruccio di lavorare una terra che non è sua. In questo senso è risolutiva l'informazione che riceve da un altro mercante di passaggio: la terra dei baškiri è terra ottima e loro la cedono per un tozzo di pane. Ancora una volta Pachòm si mette in marcia. Dopo sette giorni, arrivato alla tenda del capo, fa la sua richiesta e il signore di questa allegra tribù nomade gli propone un affare: "tutta la terra che riuscirai a circoscrivere in una giornata di camino sarà tua solo per mille rubli. Ma a una condizione: al tramontar del sole dovrai essere di nuovo al punto di partenza, altrimenti perderai tutto."


Perde il sonno al pensiero che per soli mille rubli egli è a un passo da tutta la terra che vuole. Ma il passo sarà ben più d'uno. All'alba Pachòm guarda davanti a sé lo sconfinato territorio e con un pane e una borraccia d'acqua comincia a camminare. Fa un gran caldo, ma il contadino non vuole cedere e fermarsi. Continua a camminare per segnare il perimetro più ampio possibile, ma le gambe cedono sotto il caldo, l'acqua è finita ma lui non molla. Inciampa, cade, si rialza eppure va ancora avanti. Solo al tramonto riesce a intravedere da lontano le tende baškire...ma i suoi occhi sono annebbiati come davanti a un miraggio.
In ginocchio, stremato, raggiunge il capo baškiro e solo lì si ferma. Le ultime parole che le sue orecchie odono sono 'Bravo! Ora sei proprietario di un'immensa tenuta...'

Mi sembra il racconto adatto per santificare la festa dei lavoratori.
Pachòm l'incontentabile contadino russo, non si preoccupava della fatica. A lui premeva possedere il più possibile. Ne parlo al passato, perché Pachòm è appena morto di cupidigia. Malattia questa, piuttosto diffusa, quanto meno nella Russia dell'Ottocento, se pensiamo alla fiaba del Pescatore e del pesciolino che Puskin scrisse solo una cinquantina di anni prima.
Scritto nel 1885, il racconto di Tolstoj, che ha per titolo una domanda, trova la sua risposta alla fine del racconto quando si capisce che l'unica terra di cui un uomo necessita è quella poca che si scava per dargli sepoltura.
Amaro, emblematico, simbolico, questo racconto contiene in sé un po' tutte le declinazioni tolstojane, ovvero è un po' pedagogico, un po' 'politico', un po' filosofico.
Joyce lo ha definito il più bel racconto mai scritto.
E sulla bellezza soffermiamoci.
Bella infatti è la riduzione che ne fa Annelise Heurtier alla quale va il merito di aver saputo 'asciugare' il lungo e dettagliato racconto di Tolstoj senza tradirne mai il ritmo, importantissimo in questo racconto in crescendo, e il senso.
Bella altrettanto è la traduzione di Paolo Cesari che ha saputo rendere in un linguaggio quasi sincopato, da racconto orale, una vicenda che ha i toni della fiaba classica.


Bella ancora è la traduzione in immagini di Urwiller che nelle tavole con gambe sempre in movimento, nel formato orizzontale allungato sottolinea il continuo camminare di Pachòm. Nei rari momenti di pausa del contadino russo, momenti durante i quali il suo pensiero si concentra sulla bramosia di possesso, Urwiller si ferma anche lui ed elenca. In altre parole ne 'espone' quantitativamente l'entità. E allora sulla copertina ci sono tre buoi, tre fattori, un cavallo, un maiale, dodici anatrini e quattro fagiani, quattro pollastre. Per non parlare del sogno nella iurta...


Il rosso, il giallo, l'arancio e quel blu mai visto prima, sono il frutto della continua ricerca cromatica di questo artista e danno corpo al grande calore soffocante che centuplica le fatiche di Pachòm. Il fresco notturno è reso dal blu profondissimo che immagino sia quello dei cieli sconfinati di Russia.
Per il resto è l'Urwiller che conosciamo, il raffinatissimo e immaginifico serigrafo di sempre.

Carla

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