mercoledì 8 febbraio 2017

ECCEZION FATTA!


DI LIBRI VENDUTI E LETTI 
E DI SOMARI A SCUOLA


Sono usciti in contemporanea, o quasi, due testi che inducono a una necessaria riflessione: l'annuale rapporto Aie, l'Associazione Italiana Editori, e la lettera firmata da 600 docenti universitari, che lamenta lo stato disastroso delle competenze linguistiche degli studenti universitari.
Lasciamo stare la difesa d'ufficio delle diverse categorie coinvolte, genitori, insegnanti, bibliotecari e anche librai. Vorrei provare a mettere insieme questi dati, per darne una lettura quasi coerente.
Partiamo dal rapporto Aie: la sostanza dice che aumenta il valore del mercato del libro, ma diminuiscono le copie vendute. Tradotto, vuol dire che è una crescita fittizia, dettata solo dall'aumento del prezzo unitario del singolo libro venduto. Tengono bene i lettori forti, soprattutto quelli dai 45 anni in poi, in particolare gli ultrasessantenni, quelli cioè, che sono cresciuti col mito della cultura che emancipa dalla povertà, non solo intellettuale; tengono bene i libri per ragazzi, quanto a vendite, ma la lettura nella fascia d'età 6-17 anni diminuisce, il che fa pensare male, se non malissimo, sul prossimo futuro.
Aumenta, come è logico aspettarsi, il settore dell'e-commerce e il download dei libri digitali, crolla la vendita nella grande distribuzione, aumenta nelle librerie di catena, diminuisce la presenza di librerie indipendenti. Come interpretare questi dati? La grande distribuzione non offre niente di più al cliente se non l'esposizione di una gamma limitatissima di titoli; cosa hanno in più, rispetto alle librerie indipendenti, l'e-commerce e le librerie di catena? Lo sconto: una leva ben più potente della competenza di un libraio, soprattutto in tempi di crisi e di impoverimento generalizzato.
E considerate che nei dati Aie la quota detenuta dal gigante Amazon è solo ipotizzata.
Se poi andassimo più a fondo, mi chiederei anche quanto incidano, sui dati generali, quelli relativi ai fenomeni commerciali degli youtuber, cioè quegli oggetti dalla parvenza di libri che vendono migliaia di copie senza nemmeno passare nelle librerie. Per intenderci, quelli che inutilmente sconsiglio a ragazzini e ragazzine, bambini e bambine, che per altro mi guardano con un certo disgusto. Se dunque togliessimo queste vendite, che poco hanno a che fare con la lettura, cosa resterebbe dei dati relativi ai lettori più giovani?
E' da considerare esaurito il ruolo delle librerie, specializzate o no, che basano la loro proposta sulla professionalità, sul 'consiglio' ritagliato su misura sulle esigenze dei lettori?
Non c'è davvero nulla da fare, rispetto all'efficacia dello sconto e alla comodità di un e-book? Intanto, mi verrebbe da dire, ci vorrebbe una vera legge sul libro, che impedisse la concorrenza sleale ai giganti dell'e-commerce, con uno sconto massimo al 5% e uguale per tutti i soggetti in campo, come avviene in altri paesi europei.
Cosa c'entra tutto questo con la lettera dei docenti universitari? C'entra moltissimo, perché il futuro di tutta la filiera dell'editoria, dagli autori agli editori ai librai, dipende dalla capacità complessiva di crescere generazioni nuove di lettrici e lettori, senza le quali andremmo tutti a coltivare la terra.
Il breve documento dei docenti universitari non fa che registrare un dato che è sotto gli occhi di tutti: la scarsa padronanza della lingua scritta e parlata da parte degli studenti alla fine del loro ciclo di studi. Mi sono sempre chiesta come fosse possibile che a dieci anni io fossi in grado di leggere un romanzo, mentre i bambini e le bambine di oggi tracollano di fronte alle famose 100 pagine; non solo, se sono 100 pagine di descrizioni, di introspezione, apriti cielo! Ogni giorno sento genitori che si lamentano perché l'insegnante li costringe a leggere un libro al mese (poverini!), ogni giorno sento altri genitori che serenamente mi dicono che nella classe dei figli non sono previste attività di promozione della lettura.
Non penso il problema sia nei singoli insegnanti, ma nell'impianto di una scuola che non mette al centro dei propri obbiettivi anche la competenza linguistica, la comprensione dei testi, l'aggiornamento continuo dei docenti, lasciati soli a far da sé, quando e come si può.
Se non si investe sulle biblioteche scolastiche, che dovrebbero essere presenti in ogni istituto scolastico, se non si investe sulla formazione, se non si investe sulla qualità della proposta editoriale, e qui entrano in gioco le librerie con alto grado di professionalità, continueremo a produrre povertà intellettuale di massa, nascosta da statistiche rassicuranti o quasi, il famoso analfabetismo funzionale, messo in evidenza dal rapporto Ocse, che ci pone in fondo alla graduatorie dei diversi paesi. Ci sono molti centri abitati al di sopra dei 10.000 abitanti che non hanno né biblioteche né librerie.
Dunque ancora una volta, manca una visione politica che metta al centro della famosa 'crescita' la scuola e quello che giro attorno ad essa.
Infine, un'ultima osservazione: credo proprio che sia arrivato il momento di mettere in discussione il modello educativo con cui stiamo crescendo generazioni di web-dipendenti. Se il tempo libero di bambini e ragazzi, dopo la scuola, il nuoto, pianoforte, danza, catechismo e chi più ne ha più ne metta, viene occupato strutturalmente da giochi e attività online, come pensate che possa crescere l'abitudine alla lettura, come può svilupparsi una capacità critica, un punto di vista autonomo? Come può arricchirsi il linguaggio, come si può imparare davvero ad esprimersi correttamente? Come si può venire a contatto con idee nuove, proposte e stimoli che non siano di ignota provenienza, come accade sul web?
Per fortuna, c'è la scuola, nonostante tutto.

Eleonora


















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