domenica 30 aprile 2017


    SMALTIRE LA MENTA

    Complici i biscotti del 'colore' preparati la settimana scorsa, ora ingombra nella mia cucina una bottiglia quasi piena di sciroppo alla menta. 
    Corre l'obbligo di smaltirlo. 
    A parte il grande classico 'latte e menta' che però è prematuro, viste le temperature, devo trovare modi per utilizzare quello sciroppo che occupa spazio utile sul piano di lavoro. 
    Neanche per idea pensare di riporlo altrove: significherebbe oblio totale. E ritrovamento fra anni. 
    Mi metto in caccia di altre ricette del colore.
    Ed ecco che cosa è stato prodotto questa volta: panna cotta alla menta.
    Di una facilità disarmante, di cui mi vergogno anche un po'. 
    Ma tant'è.

    Ingredienti
    500 ml di panna fresca liquida
    60 g di zucchero semolato
    50 ml di sciroppo alla menta
    40 g di mandorle
    12 g di colla di pesce in fogli


    Fate ammorbidire in acqua fredda 12 gr. (ma anche 11 sono sufficienti) di colla di pesce per circa 10 minuti. Quindi strizzatela a dovere, a mettetela da parte.
    In un pentolino sciogliete lo zucchero con un paio di cucchiai di panna poi aggiungete il resto della panna e portare a ebollizione lentissismamente, avendo cura di girare sempre.
    Quando bolle, toglietela dal fuoco e aggiungete il pallocco di colla di pesce e lo sciroppo di menta mai smettendo di girare in modo che la colla di pesce si sciolga uniformemente senza fare grumi.
    Quindi versate il composto in uno stampino da budino e, appena stiepidito, mettetelo in frigo per almeno quattro ore: a casa mia sono sembrate eterne...
    Per sformare senza patema, mettete per un briciolo di tempo lo stampino a bagno maria nell'acqua calda in modo che i bordi si 'scollino' con il calore. Rigirate lo stampino in un piatto di portata e decorate la cupoletta di panna cotta con una granella di mandorle che avrete avuto la cura di tostare una decina di minuti nel forno e poi sminuzzare in modo grossolano.

    Carla

venerdì 28 aprile 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


ASPETTANDO GORILLA...

Voci nel parco, Anthony Browne (trad. Sara Saorin)


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"PRIMA VOCE
E' ora di portare Victoria, la nostra labrador di pura razza, e Charles, nostro figlio, a fare una passeggiata. Quando siamo arrivati al parco, ho tolto il guinzaglio a Victoria. E' comparso subito un meticcio arruffato che ha cominciato a darle noia. L'ho scacciato via, ma quell'orribile animale l'ha inseguita per tutto il parco."


Questa elegante signora Gorilla è appena uscita da una villetta in stile vittoriano con il suo bambino, infagottato in un montgomery verdolino e delle belle scarpe di cuoio lucidate a pennello, e si è recata al parco con l'unico scopo di stare seduta impettita al limitare di una panchina. Se il cane può correre libero, al bambino Gorilla è imposta la panchina, accanto alla mamma. Girato per un attimo lo sguardo, tuttavia Charles, questo è il nome del piccolo, sparisce. La mamma lo chiama a lungo fino a che non lo vede in fondo al viale dei tigli che parla con una bimbetta dall'aspetto trasandato. Un richiamo e Charles è di nuovo accanto alla madre, pronto per essere ricondotto a casa ad annoiarsi ancora un po'.
A pagina 7 si conclude malinconicamente la storia della prima voce, quella severa della madre Gorilla.


Ma attraverso la voce numero due, che ha inizio a pagina 8 conosciamo tutta un'altra storia che si affianca alla prima, è proprio il caso di dirlo, sull'altro margine della stessa panchina. E' la voce un po' depressa di un Gorilla un po' trasandato - dove l'ho già sentito? - che legge assorto il giornale e ha portato al parco il suo cane, un meticcio di nome Albert - dove l'ho già visto? - e sua figlia, la piccola Smudge.
Magicamente il cerchio si chiude nella mente dei lettori. 
Quella bambina che ai nostri occhi compare solo in lontananza in realtà aveva già fatto la sua comparsa fin da pagina 3 quando, al fianco di suo padre, sedeva sulla stessa panchina di Charles e di sua madre.


Le rimanenti due voci, è intuitivo, sono di Charles e di Smudge.
I cani ovviamente non parlano, ma continuano a correre.
Insomma un unico parco, un'unica panchina su cui siedono quattro persone e due cani che si inseguono allegri. Le voci sono quelle di una madre apprensiva e un po' snob, quella di un padre un po' male in arnese e in cerca di lavoro, quella di un bambino timido e schivo e piuttosto avvezzo alla solitudine e infine quella di una bambina piena di vita che cerca di far sorridere chi la circonda.
La storia si esaurisce in due parole: un pomeriggio al parco, dove due bambini e due cani fanno amicizia. Eppure i termini del discorso, ovvero come la storia ci viene raccontata, sono una polifonia anche complessa e piena di intrecci disposti in perfetto equilibrio e simmetria. Da un lato i due adulti, un padre e una madre, così distanti tra loro, e dall'altro i due bambini che, al contrario dei rispettivi genitori, entrano immediatamente in dialogo e sintonia. E intorno, quasi a volerli chiudere nel medesimo cerchio, i due cani. 


Signori, ecco a voi, il genio di Anthony Browne. Da quattro esili fili intrecciati con cura si ottiene una trama perfetta: quattro vite tra loro connesse a due a due che si incontrano in quel parco, si sfiorano e poi tornano a dipanarsi ciascuna nella propria esistenza di sempre. Ma come tutti ben intuiscono, per due di loro nulla sarà più come prima. Complice un papavero.
Questo libro ha grossomodo vent'anni ed è una gioia vederlo approdare negli scaffali delle librerie italiane.
Di Anthony Browne, va detto con chiarezza, non ce n'è mai abbastanza.
Lentamente si sta prendendo atto della sua straordinaria capacità di raccontare storie piene di meraviglia e mistero a tutti coloro che vorranno ascoltarle.
Maestro indiscusso dell'albo illustrato, Browne dimostra anche in Voci nel parco l'efficacia del suo metodo di costruzione di un racconto.
In primo luogo si pone come obiettivo quello del NON raccontare tutto. Le sue trame sono piene di GAP, ovvero di buchi, di lacune, di fatti inespressi che resta al lettore il compito di colmare. Molto si gioca sulle assenze, sulle mancanze, sulle sparizioni. Contribuisce a stimolare l'interpretazione personale del lettore il fatto di aver costruito il singolo racconto attraverso quattro prospettive diverse. Molto altro lo fanno i luoghi, veri e propri contenitori 'congelati' in una luce del tutto irreale, che però comunica allo sguardo qualcosa che poi radica nella mente del lettore, quasi inconsapevolmente. Alludo alla luminosità autunnale che si porta dietro la madre e al raggelato inverno che contorna il racconto del padre. La primavera di Charles e l'estate di Smudge. Ma a ben vedere, quello che a prima vista può sembrare distinto è in realtà commisto e viceversa (si noti l'uso dei lampioni in tal senso nella costruzione dell'immagine). Così come quello che sembra reale, non è altro che un trompe l'oeil: gli alberi si incendiano o diventano altro, le ombre giocano con lo sguardo, mille dettagli richiamano la mente a sempre diverse direzioni da intraprendere. E' una gioia cogliere King Kong sul palazzo, i profili nelle balaustre e Magritte nei lampioni.
Quando l'assurdo diventa normale.


Lo stesso può dirsi per i personaggi che hanno in sé l'assurdo (del gorilla) e la normalità (dell'abbigliamento) perfettamente commisti l'uno nell'altra. Che il tema del gorilla sia uno dei Leitmotiv della poetica di Browne è cosa nota. Ed è anche noto il motivo del suo ossessivo riferimento a questo animale: esso rappresenta ai suoi occhi una meravigliosa 'contraddizione' della Natura, ovvero quella di racchiudere in un corpo capace di grande forza un'indole di totale mansuetudine socievolezza e gentilezza (senza contare di 'sovrumana' intelligenza). Ma i gorilla non sono l'unico tema ricorrente che attraversa il libro. Va notato cosa accade al cappello, preannunciato fin dal frontespizio, o ancora ai due cani che sono un vero e proprio ricamo, una sorta di 'sottotesto iconico' che arriva fino all'ultima immagine. Vedere per credere...
L'altra grande cifra distintiva risiede nella cura per ogni dettaglio - dalle figure oppure oggetti che scontornano i margini delle cornici che li contengono, all'equilibrio tra testo e immagine - dell'oggetto libro, che Browne cura personalmente e che contribuisce a far rientrare tutto in un univoco flusso di interpretazione. Penso ai quattro font differenti che rendono inconfondibili le quattro diverse narrazioni, ma che nello stesso tempo sono 'specchio' dei caratteri dei protagonisti. Elegante e 'classico' il primo, quello della madre ordinata e precisa e molto attenta all'esteriorità. Il secondo, la voce del padre, è un grassetto che denota la pesantezza del vivere, anche per l'occhio. Il terzo, quello del bambino timido, è sottile e delicato come lui, mentre Smudge 'racconta' il suo punto di vista con un font scanzonato, infantile proprio come si dimostra essere lei. 


Ecco queste sono sono alcune delle cose che fanno di Anthony Browne un maestro indiscusso e insuperato. E nella fattispecie Voci nel parco, The Tunnel e Gorilla, più prossimo, sono forse i suoi migliori libri in cui si dimostra l'enorme forza che può raggiungere il linguaggio visuale: uno dei più sonori schiaffi sulla guancia di quelli che dicono che i libri con troppe immagini e poco testo hanno troppo costo e poco valore. E, magari pure, che non son letteratura...

Carla

mercoledì 26 aprile 2017

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

ELOGIO DELL'ANARCHIA


Un maestro e la sua allieva, impegnati insieme nella produzione di un nuovo albo: è quello che accade al grande maestro Quentin Blake, autore del testo, e della sua allieva Emma Chichester Clark.
L'albo illustrato di cui parlo è Tre scimmie dispettose, meritoriamente tradotto da La Margherita; protagonista Arabella De Nuvolis (Nilda Snibbs nell'originale), una prosperosa signora amante dei cappellini variamente adornati, limpida espressione di perfetta educazione e buoni sentimenti. Emma Chichester Clark, per dare vita al personaggio, sceglie un'ambientazione parigina, anni '30. 

 
Arabella ha una casa piena di ninnoli ed è una persona sicuramente amabile. Ha tre graziose scimmiette, Plinio, Baldo e Lulù. Quando lei esce, loro inevitabilmente si annoiano, ma ci sono tante cose interessanti in casa: un giorno è il salotto, con il vaso di fiori, il giornale e il lavoro a maglia di Arabella; il giorno dopo la cucina, con la zuppa di pomodoro, il secchio dell'immondizia e tante spazzole, poi il bagno con rotoli interminabili di carta igienica e tanto shampoo profumato. Ogni giorno Arabella esce con uno sguardo sempre più apprensivo e il suo ritorno è inesorabilmente pieno di sorprese. La gentile signora davvero non ne può più. 



Un giorno ritorna a casa e trova stranamente tutto in ordine, in salotto, in cucina e persino nel bagno: si fa strada un bruttissimo pensiero, dove sono finite le tre scimmiette? La vita diventa improvvisamente grigia e Arabella si dispera. Piange fiumi di lacrime e per cercare un altro fazzoletto apre l'armadio della camera da letto ed ecco ricomparire le scimmiette dispettose. Tutto a posto? Naturalmente sì, nel senso che ricomincia il circo, il ciclo perpetuo di inutili raccomandazioni, infiniti dispetti e amorevole compagnia.


Non poteva che essere concepita così questa storia, con un testo che è un elogio dell'anarchia della vita, della confusione che la presenza di un altro, un diverso da sé, inevitabilmente comporta; le immagini sono l'adeguato contraltare, la vita ordinata, graziosa, un tantino fru fru della protagonista. I suoi cappelli adornati con grazia, i fiori freschi posti nel vaso in salotto, l'arredamento così squisitamente femminile. Arabella, che cura la casa con tanta attenzione, ha forse fatto la scelta sbagliata, prendendosi tre scimmiette dispettose? Naturalmente no, perché lei non potrebbe vivere senza quel caos permanente, senza quell'affetto burrascoso e impudente. La vita, d'altra parte, è così: rigorosamente imprevedibile e proprio per questo inestimabile.


Ogni dettaglio delle tavole della Chichester Clark rappresentano questo continuo ineliminabile contrasto fra l'ordine curato e l'anarchica creatività delle scimmiette, che ogni volta inventano nuovi modi per divertirsi. Senza di loro davvero la vita di Arabella sarebbe grigia e triste.
Non so se metterà in difficoltà qualche mamma con l'ansia dell'ordine, ma trovo Tre scimmiette dispettose un allegro e salutare inno all'imprevedibilità degli affetti.
Lettura divertente e necessaria per bambine e bambini a partire dai cinque anni.

Eleonora

“Tre scimmie dispettose”, Q. Blake e E. Chichester Clark, La Margherita 2017



















lunedì 24 aprile 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


"...E PIANGERE È IL NOSTRO LAVORO"

Piangete, bambini!, Alberto Masala, Daniela Pareschi,
Il Barbagianni editore 2017


POESIA

"PITTÒRICA PIANGE

Se mette le scarpe
per andare a scuola,
Pittòrica piange.
Lo sa che si deve
portare
le scarpe se piove.
Ma non c'è rimedio: lei ama
le scarpe che mette ogni giorno.
Le indossa vedendo
commossa le scarpe invecchiare.
E piange d'amore di scarpe."

Una delle venticinque (+6 che si vanno ad aggiungere, nell'avanzo del libro) poesie scritte da Alberto Masala per istigare giovani lettori e lettrici al pianto e per rendere un 'modesto omaggio' ad Aldo Palazzeschi. 


Così come recita in modo esplicito il titolo, non è possibile non commuoversi per la triste storia del bambino Nicola sull'albero sbagliato: un pero a lui che non ama le pere; o per la storia di Agapito Sella e famiglia, o del bimbo Tapino dalla cui mamma è spedito in piscina per far sì che, tra una lacrima e l'altra, impari a nuotare.
Bambini che si piangono addosso, oppure, come accade a Pittòrica, che si commuovono sulle scarpe che invecchiano.
E a questi si aggiungono Edipo Del Cuore che sogna una mamma, anzi tre, e Francesco Rimorsi che gira in mutande e ruba banane a suo zio Scimpanzè.

Poesie così fan saltare dalla sedia. Ma è Masala, perché stupirsi? Più lo leggi più lo leggeresti, piano ma anche e soprattutto ad alta voce, per molteplici ragioni che vanno dalla bellezza in sé, alla musicalità data dal suono delle parole scelte, all'ironia che si intreccia con l'assurdo, alla ricercatezza e alla cura messa nel verso e finanche in ogni singola virgola, che segna la pausa del fiato.
Precisi meccanismi a orologeria, le poesie si dispiegano nello specchio di una pagina, confine ideale che non devono mai valicare. Filo rosso che le tiene insieme è il pianto nelle sue declinazioni: lagna, singhiozzo, piantarello, scroscio disperato.
Mi rimane sempre difficile, perché ne constato ogni volta il limite, riuscire a scrivere dei libri di poesia che mi colpiscono. Credo dipenda dal fatto che se racconti la bellezza, di fatto la smonti. 


Tuttavia, con un po' di goffaggine, provo a mettere in sequenza alcuni valori che riconosco a questo libro che ai più potrebbe sfuggire, perché di una casa editrice piccola piccola e con un catalogo 'divergente', almeno riguardo alla resa estetica, rispetto a Piangete, bambini!
Il primo valore, in ordine di apparizione e non di importanza ben inteso, è dato dalle due introduzioni (il libro ha due copertine contrapposte e capovolte, due parti diseguali che si incontrano a un certo punto. L'una contiene 25 poesie, l'altra, detta l'avanzo, ne contiene solo 6).
Pretesto, peraltro subito smentito dai fatti, della separazione sta nella dedicazione a un pubblico di adulti, del cosiddetto avanzo.
Non è così: la poesia è per tutti, per cui mischiamo le letture e non succederà nulla di male. 
Riguardo alle due introduzioni, invece, una distinzione ha la sua ragion d'essere. In quella per gli adulti, di Alessandro Giammei, cui fanno seguito un paio di appunti dell'autore sulla genesi del libro, si toccano alcuni aspetti nodali dell'opera.
A parte una breve ricostruzione storica dell'errore di valutazione, nato con Croce, riguardo alla poesia adatta ai bambini da tenere distinta rispetto alla poesia alta, Giammei elenca le gemme di questo libro e io gli vado dietro.
La prima, la deontologia con cui Masala scrive ai piccoli. Lo stesso rigore di sempre che gli permette di non abbassarsi per essere capito, ma al contrario, di mantenere alto e, aggiungerei, universale, il suo canto. Un grande mestiere che denuncia la consuetudine a lavorare con ritmo e accento, tanto da rendere sonoro ogni verso. E in questo torna l'omaggio voluto nei confronti di Palazzeschi in una rivisitazione totalmente personale - non è esercizio di stile, sia chiaro - dell'assurdo che si intreccia al simbolismo, del gioco di parole che radica sulla compostezza classica. In questo senso il verso di Masala, come lo fu quello di Palazzeschi, non delude mai, torna sempre a completarsi nella rima finale che lo tiene lontanissimo dalla cantilena.


La seconda, o forse è già la terza?, gemma: stupore sonoro dopo stupore sonoro, Masala ha l'abilità di costruire in ogni poesia un piccolo racconto, dai finali a sorpresa, il più delle volte.
Per citarne uno su tutti: Dracone che non vuole assaggiare né antipasto né pasto e dice 'se mangio mi sento commosso'. A lui quella gru non va proprio giù, vorrebbe mangiare fagioli e formaggi. E' dura la vita di un vegetariano tra i coccodrilli!


L'altro merito è dato dalla dimestichezza di amministrare il linguaggio. 
Generoso e senza confini, Masala inventa toponimi e nomi propri, veri giochi, che ogni volta sono una festa: la magia si fa parola, o viceversa? Nomi e luoghi diventano immediatamente allusione: Severo, Tapino, Sola e Grave, Zio Tantalo Birra, con i nipoti Curiosa ed Andante, Effigie, Giallastrico, Altisonante, Edipo del Cuore, Sorte in provincia di Niente fino ad arrivare a Redenta Volante.


Ultimo, il merito di aver scelto un filo rosso controcorrente: il pianto fa bene. A parte lucidare gli occhi e renderli ancora più profondi nello sguardo, il pianto fa bene, ed è qui l'ennesimo guizzo, ai bambini!
In questa grossolana e parziale operazione di smontaggio, un valore va riconosciuto ad alcune illustrazioni di Daniela Pareschi, che spesso, anche se non sempre, sa essere allusiva e misteriosa almeno quanto lo sono i versi di Masala. Seppure con esiti discontinui, mi pare di cogliere una buona capacità di organizzare lo spazio e di creare - anche in senso metaforico - prospettive insolite: proporzioni mutevoli, teste tagliate, ombre evocative, primissimi piani, pagine a vignette che hanno da dire qualcosa rispetto al segno e al colore. Una cosa però mi lascia perplessa: le due copertine che, forse, non concedono respiro al disegno, che invece  's'impasta' con tanto, troppo testo.
Ma non piangerò per questo...

Carla

sabato 22 aprile 2017


I BISCOTTI DEL COLORE

A casa nostra si chiama IL COLORE ed è una tonalità precisa di verde che tutti in famiglia conoscono e individuano alla perfezione. E' una sfumatura tra il colore del petrolio e il colore della menta. Lo chiamiamo IL COLORE, come se fosse l'unico esistente, l'unico che merita tale appellativo, il supremo fra tutti.
Ecco, un giorno in una delle mie scorribande dentro Piccole ricette (che non smetterò mai di elogiare), vedo dei biscotti che hanno IL COLORE.
Visto che è cibo, fortunatamente, tende meno al colore del petrolio e più a quello della menta.
Infatti di menta sono fatti.
Facili e adatti anche per chi non ha tolleranza nei confronti della farina.


Qui gli ingredienti:

250 gr di amido di mais
125 gr di burro
90 gr di zucchero
60 ml di sciroppo di menta
1 pizzico di sale
3 gr di lievito per dolci
200 gr di cioccolata fondente
menta secca tritata (facoltativa)

Mescolate il burro morbido a temperatura ambiente con lo zucchero fino a che diventa cremoso, quindi aggiungete lo sciroppo e continuate a mantecare il tutto poi lentamente l'amido di mais, il pizzico di sale e il lievito. Otterrete così un impasto morbido e verde. Lasciatelo riposare qualche minuto quindi stendetelo con il mattarello fra due fogli di carta forno fino a fargli raggiungere il mezzo centimetro di spessore. Con un bicchiere o un coppapasta tagliate tanti cerchi che disporrete ben distanziati sulla leccarda del forno foderata di carta forno.


Cuoceteli a 160° per 15 o 20 minuti al massimo. 
Non devono brunirsi e per questo vanno 'tenuti d'occhio'.
Una volta cotti, lasciateli freddare a dovere quindi immergeteli per metà nel cioccolato che avrete preventivamente fatto sciogliere a bagno maria.
Ridisponeteli sulla carta da forno e lasciateli freddare (eventualmente con una passata in frigo per accelerare i tempi). Se volete aggiungere aroma alla menta, decorate la parte con il cioccolato con una sfarinatura di foglie di menta secca; fatelo finché il cioccolato è ancora morbido, ovviamente.


Ecco fatto!

Carla *



*aspettando Bernardo...

giovedì 20 aprile 2017

FAMMI UNA DOMANDA!


CERVELLI SCINTILLANTI


Che bella idea, scrivere un libro per adolescenti sul loro bene più prezioso, il cervello. E raccontare, in modo molto preciso, ma chiaro, come funziona e come cambia il contenuto della scatola cranica, durante la crescita. Il testo in questione è Usa il cervello! Se sai come guidarlo (ci) arrivi prima, di JoAnn e Terrence Deak, pubblicato da De Agostini.
Intanto l'acquisizione basilare, che qualche genitore e qualche insegnante talvolta dimenticano, che il cervello cambia sostanzialmente nel decennio, circa, che porta dall'infanzia all'età adulta. Cambia proprio sostanzialmente, fisiologicamente: la mielinizzazione, cioè la produzione di mielina da parte delle cellule gliali, consente di migliorare le connessioni fra un neurone e l'altro; l'aumento delle connessioni, a sua volta, migliora le prestazioni cerebrali. Ma un ruolo fondamentale è svolto, come ben sappiamo, dall'irruzione degli ormoni, quelli che cambiano il corpo, ma anche il pensiero: testosterone ed estrogeni.
Questo è l'aspetto tecnico, che potrebbe sembrare arido, ma che ha una serie di significative implicazioni: che i ragazzi e le ragazze in questa fascia d'età, fra i dieci e i venti anni, sono nel mezzo di una trasformazione che è contemporaneamente emotiva e cognitiva; che lo sviluppo del cervello è supportato dalla quantità e qualità degli stimoli che gli sottoponiamo; che può essere, viceversa, danneggiato da condotte a rischio, quali il consumo di alcol e droghe.


Cosa c'è di nuovo in tutto questo? Che questo insieme di informazioni importanti è rivolto, finalmente!, ai ragazzi e alle ragazze, con un testo preciso, ma divertente, chiaro, coinvolgente, con la finalità di renderli maggiormente consapevoli delle potenzialità e dei pericoli del mare in tempesta che stanno attraversando.
Dunque, un modo per aver cura del cervello è tenerlo in costante allenamento; e quale guida migliore di un genio come Leonardo da Vinci?


Pensa come Leonardo da Vinci è il nuovo titolo della preziosa collana Allenamente di Editoriale Scienza, ed è opera di Carlo Carzan Ludomastro e Sonia Scalco.
Cosa può ancora insegnare il poliedrico genio toscano? Gli autori si propongono il meritevole scopo di descrivere il modo di ragionare di Leonardo, la meticolosità affiancata alla poliedricità dei suoi interessi. Era essenzialmente un curioso, di una curiosità sterminata, espressione suprema di quella fame di sapere che vediamo, se vogliamo, nelle domande delle nostre bambine e bambini. Una curiosità senza preconcetti, volta a catturare aspetti diversissimi del reale. La peculiarità di Leonardo si è espressa nell'aver affrontato ogni quesito con metodo, con acume e con capacità di sperimentazione straordinari, dati i tempi in cui ha vissuto. 


Aver guardato al mondo con uno sguardo curioso e libero gli ha consentito di inventare macchine, sperimentare tecniche pittoriche, progettare banchetti sontuosi, elaborare teorie scientifiche. E non contento, di inventare anche cruciverba e giochi matematici, alcuni dei quali proposti ai giovani lettori e alle giovani lettrici. Come nel precedente volume, il gioco si intreccia alla didattica, ne è parte integrante, a dimostrazione che può costituire un modo divertente di acquisire nozioni e mettere alla prova le proprie capacità. Nel testo ci sono numerosi suggerimenti metodologici per seguire le orme del grande genio del Rinascimento, per esplorare le proprie curiosità e farne oggetto di ricerca. Mi auguro che in tanti e tante seguano questi suggerimenti, non tanto per avere nuovi geni al servizio dell'umanità, obbiettivo auspicabile ma molto difficile, ma per avere ragazzi e ragazze che dallo studio e dalla ricerca traggano soddisfazione e divertimento, che vivano lo studio anche come un piacere e come un essenziale strumento di libertà.

Eleonora

“Usa il cervello”, JA e T. Deak, De Agostini 2017
“Pensa come Leonardo da Vinci”, C. Carzan e S. Scalco, Editoriale Scienza 2017


martedì 18 aprile 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TROVARE LA CHIAVE

La bambina dei libri, Oliver Jeffers, Sam Winston 
(trad. Alessandro Riccioni)
Lapis 2017


ILLUSTRATI

"Ho ATTRAVERSATO OCEANI di PAROLE per chiederti: VIENI VIA con ME?
C'è chi ha DIMENTICATO il LUOGO in cui vivo
ma su questa scia di PAROLE io saprò indicarti la STRADA."

Talvolta si tinge d'azzurro, è piccina, treccine composte ai due lati di una testa un po' sproporzionata che accoglie due grandi occhi da cerbiatto incantato. Ha gambine sottili che spuntano da un vestitino da marinaretta: è la bambina dei libri. Una bambina di Jeffers. Sembra che guardi lontano, seduta sulla costa di un librone rosso alto il doppio di lei, così come appare fin dalla copertina.


Quel libro, come spesso accade con i libri, è uno scrigno che va aperto, infilando una chiave mancante nella serratura che brilla al centro della copertina.
Non abbiamo la chiave per aprire il suo grande libro rosso, ma possiamo aprire quello che abbiamo in mano.
Apertolo, scopriamo i risguardi fitti di titoli di grandi storie concatenati una riga sotto l'altra. Poi il libro comincia con una pagina ingiallita e una penna e un calamaio che aspettano di entrare in azione, nelle mani di chi avrà voglia di scrivere una storia, si suppone.
Quello stesso foglio, girata la pagina, diventa vela gonfia di vento nel mare aperto delle storie che la ragazzina attraversa sicura.
Davanti ai nostri occhi la fantasmagoria si dispiega in tutta la sua pienezza: pagina dopo pagina, testi di romanzi, di fiabe, porzioni di racconti, parole di libri famosi danno vita a mari in tempesta, montagne da scalare, boschi da attraversare, castelli da cui fuggire, nuvole da raggiungere.


Ad ogni giro, la bambina e il suo giovane amico, vanno avanti sulla scia delle parole, attraversando scenari sempre diversi, ma sempre fatti di narrazioni che si snodano sotto i loro passi. Fino ad arrivare al mondo che gli appartiene: quello delle storie. Nella loro coloratissima casa, regno della fantasia, tutti potranno entrare.
Chiuso il libro, troviamo la chiave.

Trovare la chiave.
Ecco, ci ho messo molto tempo per riuscire a trovare la mia, di chiave, quella di interpretazione. Volevo dire qualcosa di onesto e, spero, sensato su questo libro che tanto mi ha dato da pensare.
Cercherò di essere il più chiara possibile nel percorso che ho fatto intorno a questo libro che ha testé vinto il BRAW, il Bologna Ragazzi Award 2017.
Partiamo dal principio, mettendo in luce un dettaglio.
Il dettaglio si concretizza in una 'stranezza': il libro esce con Lapis e non con Zoolibri che è lo storico editore di Jeffers per il mercato italiano. Le ragioni possono essere molte: prettamente commerciali, legate al mercato dei libri che è un mercato a tutti gli effetti con gente che fa affari e vende e compra titoli di libri. O forse a ragioni legate a una disattenzione temporanea di Zoolibri e, viceversa, a un occhio più attento di Lapis. Ma se invece non fosse disattenzione, ma piuttosto disaffezione temporanea? Non è possibile verificarlo.
Questo è stato il primo rovello.
Il libro vince uno dei premi più prestigiosi per la letteratura per l'infanzia e quindi finisce sotto i riflettori e diventa immediatamente una 'star'.
Ne sono felicissima perché Jeffers è uno dei miei autori di riferimento: uno di quelli che, io penso, finora non ha mai sbagliato un colpo, a parte L'incredibile bimbo mangialibri.
Di Jeffers mi convince il modo di raccontare lo iato tra mondo dei piccoli e mondo dei grandi; il suo costante riconoscimento nei confronti dei suoi bambini di sapersela cavare sempre; il suo senso dell'ironia; il suo gusto per l'assurdo che spesso prende la forma di veri e propri 'crescendo' di immaginazione; la sua capacità di saper cogliere la realtà con i vizi e pregi dell'umanità; la sua costante ricerca di sollevare grandi questioni senza chiudersi mai dentro risposte precostituite; la sua capacità di costruire storie bellissime che si sostengono senza bisogno di appoggiarsi ad un tema; la sua abilità a non essere mai didascalico e retorico; la sua abilità di rivolgersi a giovani lettori e lettrici in modo diretto.
Leggo La bambina dei libri con grande aspettativa, visto anche il BRAW, e mi colpiscono alcuni elementi.
Provo a elencarli.


L'impatto dell'immagine costruita con i 'paesaggi tipografici' di Sam Winston è fortissimo. Bellissimi, semplicemente bellissimi, per forma e 'contenuto', laddove essi sono costruiti con brani di libri (tradotti e modellati a seconda della lingua) che con la forma che costituiscono - onda, montagne, mostro, caverna... - hanno un robusto legame di senso. Il buco in cui la bambina si cala è costruito con un brano dalle Avventure di Alice nel paese delle meraviglie; l'onda con i Viaggi di Gulliver; la corda con Raperonzolo e via andare. Graficamente l'effetto è innegabile, anche se, da adulta, mi sarebbe piaciuto arrovellarmi un po' di più nella ricerca delle fonti e non trovarmele elencate con ordine, già nei testi o nei risguardi. Ma è condivisibile l'esigenza editoriale di risultare comprensibile a tutti. Da un maestro dei 'crescendo' mi sarei aspettata anche una scelta più ricca di riferimenti letterari (meno di quaranta titoli per raccontare il nostro immaginario letterario, non sono poi tanti). La scelta dei testi, per ovvie ragioni, è una scelta adulta che può coinvolgere i piccoli solo in alcuni momenti. E a questo proposito mi chiedo quanto questa fantasmagoria tipografica possa arrivare nella sua interezza ai lettori in erba, ma mi consolo pensando che, come spesso accade, l'albo illustrato parla diversi linguaggi percepibili da pubblici di lettori differenti. E quindi va anche bene così, forse. Ma non posso non istituire un confronto con la scelta che fece Ponti in Biagio e il castello di compleanno (Babalibri, 2005), dove l'immaginario, sebbene solo figurativo e non letterario, mi è sempre parso molto più condivisibile tra piccoli e grandi.


Secondo elemento. Il disegno. Riconosco lo Jeffers che mi piace: bambini testoni e magrolini che però sanno dominare il mondo, e lo spazio della pagina. Riconosco e apprezzo il tratto incerto di chi sa anche essere un grande artista e pittore. Apprezzo i grandi vuoti e il bianco e nero, che sfuma in ombre di acquerello grigio o azzurro e il fuoco di artificio della pagina del mondo. Riconosco il 'crescendo'. Riconosco il lettering che trovo perfetto, come negli altri suoi libri. Mi sento a casa.
E il disegno con il paesaggio 'tipografico': semplicemente perfetto. Un'armonia costruita a quattro mani per coltivare il senso di rinnovata meraviglia di chi sfoglia le pagine.
Terzo elemento, il testo. Un brivido lungo la schiena mi corre (e non solo a me) già alla pagina due quando leggo 'e sulle onde della fantasia scivolo veloce'. Nutro una 'idiosincrasia' per la parola fantasia in tutto ciò che attiene all'infanzia.
Non ho modo di spiegarlo nel dettaglio qui, ma credo dipenda dalla sovraesposizione di questa parola nella retorica adulta sull'infanzia. In questo libro compare ben tre volte. Non sono più a casa e, anzi, mi metto in allarme e cerco il testo in inglese e trovo, per esempio, and upon my imagination, I float. Quel my imagination è diventato sulle onde della fantasia. Ma perché? Perché immaginazione è diventato fantasia? La lettura è una precisa esperienza cognitiva che ha a che fare con l'immaginazione più che con la fantasia. La fantasia ha a che fare con lo scrivere, piuttosto. E soprattutto perché il my scompare, sottraendo alla bambina il suo ruolo attivo e personale rispetto alla sua 'fantasia'? 

 
Quarto elemento, che è di nuovo un rovello. La storia dov'è? È compressa dal tema che predomina su ogni cosa intorno: leggere fa bene.
Mi chiedo: c'è bisogno di dirlo o, peggio, di consigliarlo con tanta enfasi? Non sarebbe più efficace tentare di creare nuovi lettori leggendo loro libri meravigliosi, tutti quelli di Jeffers (anche il Bimbo mangialibri che è sull'orlo del baratro del didascalico, ma non ci cade dentro) per esempio?
Ecco che nella mia testa fa un passo indietro l'Oliver Jeffers che ha saputo parlare di lutto, di solitudine, di pochezza umana, di egoismo attraverso storie magnifiche che hanno avuto il merito di avviare il ragionamento nelle menti di giovani lettori e lettrici su argomenti così tanto importanti, quanto lo è l'amore per le storie. E si fa avanti, invece, uno Jeffers che rende omaggio, da adulto, all'immaginazione, o meglio al suo (o di Sam Winston) immaginario, costruitosi nel tempo attraverso le letture di Melville, Shelley, Defoe, Stoker, Grimm e gli altri.
 

Scusate l'ardire, ma io, nonostante il Braw, provo una disaffezione temporanea.


Carla