Cara
Formica,
Come
stai? Come passi i tuoi giorni? Fa freddo in città?
Nel
bosco l’inverno è stranissimo, davvero fuori del normale: un
freddo così non l’avevo mai sentito! Ma soprattutto, è la
mancanza della neve a preoccuparmi. Di notte le stelle brillano su in
alto come fitte dolorose, e la mattina quando vedo il cielo fisso
azzurro mi si stringe lo stomaco.
Non
va bene, l’inverno senza neve.
Ma
non è per questo che ti scrivo.
Devo
raccontarti qualcosa.
Qualche
giorno fa sono sceso dall’albero a cercare le mie ghiande, e
proprio alla base del mio albero ho trovato Tasso, il mio amico
Tasso, disteso come se dormisse. Ho capito subito che era morto,
perché nessuno schiaccia un pisolino in un posto così esposto. E
poi, figurati, Tasso!!
Un
tipo così riservato...
Mi
sono avvicinato e lo ho ricoperto con delle foglie secche e degli
arbusti, e poi sono andato a cercare le ghiande. Avevo fame.
Ma
qualcosa in me era cambiato. È normale morire, fa parte della vita.
Ma in un inverno normale Tasso sarebbe stato coperto dalla neve, ed
io mi sarei accorto della sua mancanza solo a primavera, non
vedendolo uscire dalla sua tana.
Invece
quest’anno di neve non ne è scesa nemmeno un fiocco, non qui,
almeno. Così, ogni volta che scendo dal mio faggio, o anche solo
quando guardo fuori dalla finestra, vedo il monticello, le foglie e i
rami che a malapena coprono il manto bianco e nero del mio amico, e
mi viene voglia di chiacchierare con lui, come al solito.
Per
questo, ho cominciato a sedermi al suo fianco nelle ore più calde
della giornata.
Ho
persino provato a parlare con lui...ovviamente non mi ha risposto.
Non sono sciocco, so cosa è la morte. So che siamo uniti nel grande
cerchio della natura, che quando la vita si stanca moriamo per
tornare a vivere in altra forma.
Ma
stando li, vicino a Tasso, nel silenzio irreale del bosco invernale,
mentre mi immaginavo che il suo corpo a primavera si sarebbe piano
piano trasformato in terra, ho cominciato a pensare.
Sai
a cosa? Agli uomini, e a tutti quei libri di cui sotto sotto ho
sempre sorriso. E alle domande che si fanno in quei
libri....stupidamente sorridevo anche di quelle.
Ho
provato a farmele anche io.
Dove
sarà ora Tasso? Naturalmente lo so. È nella terra, nelle radici
degli alberi, nella pancia degli insetti . Diventerà prato, e
foresta, e le sue battute sarcastiche risuoneranno nel vento e tra i
rami dei faggi.
Perché
è morto? Anche questo lo so. Era vecchio. Ed anche stanco. Il freddo
e la fame lo avranno sfinito. E forse era anche annoiato, e aveva
voglia di vedere qualcosa di diverso dalla vita del bosco.
Ma
a una domanda faccio fatica a rispondere, e mi arrovello giorno e
notte mentre continuo a girare attorno al corpo ghiacciato del mio
amico con uno stupore che non mi riconosco.
Come
si fa a sopportare la sua assenza? Come si fa a sostenere il silenzio
fortissimo che emana dal suo corpo ancora presente qui vicino a me,
così presente che posso allungare la zampa e carezzargli il pelo
ancora lucido?
E
perché questo vuoto non si riempie, e di cosa lo dovremmo riempire,
poi? E soprattutto, perché fa così male?
Ecco
ecco cosa succede quando comincio a pensare.
Ed
è per questo che ti scrivo: mi aiuti a rispondere?
Scoiattolo
Come
si può essere contenti e rattristati allo stesso momento? Eppure è
così che mi sento adesso, nel leggere la tua lettera. Mi rammarico
per Tasso, anche se non lo conoscevo, e al contempo, son felice di
sentirti dopo tanti mesi di silenzio. Sentimenti diversi che si
toccano.
Che
domande grandi mi fai...e quante. Sai cosa mi viene in mente quando
mi parli di assenza? L'immagine del distacco che separa i vivi dai
morti, quel momento che la morte presenzia sempre. Io penso alla
Morte, quella con il teschio, il grembiulone a quadri e le
pantofoline, quella che Erlbruch ha disegnato con tanta delicatezza e
sensibilità, sulla riva di un corso d'acqua verde che sinuoso va
verso il mare aperto. Quella stessa Morte che, con la consapevolezza
dell'ineluttabilità, ha messo sul corpo galleggiante e inerte di
Anatra un tulipano scuro e le ha dato una spinta lieve. Te lo ricordi
anche tu vero il bellissimo L'anatra, la morte e il tulipano1,
sì? E ti ricordi cosa dice? "Quando la perse di vista..."
- e infatti se guardi ora il fiume verde è sgombro - , "...la
Morte quasi si rattristò. Ma così era la vita."
Da
una parte la vita, dall'altra, la morte: sono prossime, si toccano
per un momento e, a ben vedere, ognuna porta in sé tracce
dall'altra: si compenetrano un po'.
Ho
letto un libro: Cry, heart, but never break.2
E' un libro che nasce in Danimarca (hai notato, di nuovo una storia
che arriva dal Nord...) e che racconta la storia di quattro
fratellini che, piuttosto sgomenti, stanno aspettando la morte
imminente della loro nonna. Un visitatore, la Morte appunto, ha
lasciato la falce fuori dalla porta della casa per delicatezza nei
loro confronti e ora è lì in cucina, ossuto e con un gran naso che
sporge dal cappuccio del suo nero mantello. Siede con loro al tavolo
di cucina e beve un caffè dopo l'altro che i bambini, spaventati,
gli versano nella tazza per impedirgli, così pensano, di andare al
piano di sopra a 'prendersi' la nonna.
Il
tempo passa e arriva il momento. Ai piccoli che fanno la tua stessa
domanda, perché si deve morire, il visitatore con grande dolcezza
(la Morte tutti la descrivono come con il cuore nero e duro come il
carbone, ma non è la verità se guardi come la immagina Charlotte
Pardi) racconta la storia di una coppia di fratelli, Sconforto e
Dolore, sempre mesti che vivevano in una valle umida e tetra e una
coppia di sorelle, Gioia e Letizia, sempre radiose che vivevano in
cima al monte, in pieno sole. Si incontrarono un giorno e si
innamorarono.
Decisero di vivere assieme in due casette a metà tra
la cima e la valle. Passarono anni meravigliosi insieme e quando
venne il momento di morire, lo fecero insieme perché era impensabile
per loro separarsi. Lo stesso accade con la vita e la morte: stanno
insieme e non ha senso dividerle. La vita sarebbe terribile senza la
morte e viceversa. Apprezzereste il sole, se non piovesse mai? Vi
verrebbe a noia il giorno se non arrivasse la notte? Ecco, la Morte è
salita al piano di sopra. I bambini arrivano dopo poco e si
riuniscono intorno al letto della nonna morta. Le lacrime scendono
piano, come è naturale che sia, ma la Morte li avverte che quelle
lacrime di dolore e quella tristezza è giusto che siano lì, ma
fanno parte della vita. Segnano il distacco, ma aiutano ad andare
avanti per una nuova strada. Questo sembra un modo accettabile per
dei piccoli di darsi conforto?
Sai, quando morì mio padre, un
formicone magro e lungo, dagli occhi sporgenti e celesti come il
cielo, la mia piccola consolò la mia panica disperazione dicendo:
così è la vita, mamma... Lo vedi anche tu, al disorientamento di un
adulto, è la purezza di pensiero di una bambina a dare parziale
conforto. E sembra tornare il ragionamento della vecchia con le
pantofoline e del visitatore in nero. Ma quella che ti ho appena
raccontato è vita vera, non storia immaginata. Può fare differenza?
E d'altronde anche le tue parole, "so che siamo uniti nel grande
cerchio della natura, che quando la vita si stanca moriamo per
tornare a vivere in altra forma" vanno nella stessa direzione:
verso il mare aperto o nell'arietta che entra dalla finestra nella
casa di quei tre bambinetti e li accarezza...
Vuoi
la vera verità? Sembra facile, ma non lo è. E hai ragione tu, fa un
gran male quel gran vuoto.
Ma
riparliamone domani, vecchio mio
Formica
1W.
Erlbruch, L'anatra, la morte e il tulipano (trad. V. Starnone) E/O 2007
2G.
Ringtved, C. Pardi, Cry, heart, but never break, Enchanted Lion 2016
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