mercoledì 30 maggio 2018

FAMMI UNA DOMANDA!


ALIENI DI TUTTI I TIPI


Interessante e originale il libro di Piero (Papik) Genovesi e Sandro Natalini, dedicato alle specie invasive: Per un pugno di ghiande. Le specie invasive che assaltano la Terra, pubblicato da Editoriale Scienza, è un libro agile che prevede una serie di schede, in ordine crescente di pericolosità, dedicata ciascuna ad una specie che con modalità differenti ha messo in pericolo l’ecosistema in cui è stata volontariamente o involontariamente introdotta.
Se ne scoprono delle belle: che, per esempio, una chiocciola può avere un effetto nefasto sull’ambiente in cui è introdotta, così come la cozza zebrata o il calabrone asiatico, che, fra l’altro è corresponsabile delle difficoltà incontrate dalle nostre api.


Di alcune vicende qualcosa sapevo: dell’invasione delle nutrie nei corsi d’acqua americani, e poi anche europei, dove erano state introdotte per impiantare l’allevamento di animali da pelliccia. O dello scoiattolo grigio, americano, nemico acerrimo del nostro scoiattolo rosso, autoctono europeo. Si potrebbe continuare, parlando di volpi e conigli introdotti in Australia e Nuova Zelanda, o dei parrocchetti che dal Sud America o dall’Africa hanno cominciato a popolare i nostri parchi, con gravi difficoltà per i pennuti locali.
Meno conosciute le vicende che hanno portato la coccinella arlecchino, asiatica, introdotta nel Regno Unito come nemico naturale degli afidi e che è diventato nemico giurato delle coccinelle locali; oppure il pitone birmano, anche questo asiatico, liberato per caso nelle paludi della Florida e di queste diventato padrone incontrastato.
Ma anche le piante non scherzano: la panace di Mantegazza, considerata una specie ornamentale con infiorescenze decorative, introdotta in Europa dall’Asia, si è rivelata assai pericolosa per la salute umana, provocando irritazioni cutanee e sensibilità al sole, con il piccolo dettaglio che è difficilissima da estirpare. Oppure gli eleganti giacinti d’acqua, che importati in Africa dall’America del sud per combattere la malaria, in realtà sono diventati così fitti da ostacolare la navigazione fluviale e hanno aumentato l’evaporazione dell’acqua, che in paesi a rischio di siccità è un gran problema.


Inutile dire che i vincitori assoluti, quanto a colonizzazione non richiesta in ogni angolo del pianeta, sono animali che noi ben conosciamo: i ratti e le formiche, che hanno colonizzato ogni ambiente vivibile.
Fatto questo panorama inquietante, gli autori non possono finire il libro che indicando alcune regole fondamentali quando si viaggia o quando si prendono in casa piante e animali estranei al nostro ambiente (parrocchetti e tartarughe dalle guance rosse, ormai onnipresenti, sono il frutto della nostra insipienza), con la giusta speranza che i più giovani siano più consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni.


Un’altra cosa emerge chiarissima da quanto ci viene raccontato con grande chiarezza: in realtà noi umani sappiamo ben poco dell’ambiente che ci circonda, delle sottili relazioni che mantengono in equilibrio un ecosistema, dei rischi che si corrono introducendo una specie all’interno di esso. L’assenza di umiltà e di consapevolezza dei nostri limiti porta a comportamenti con ricadute spesso opposte alle intenzioni iniziali.
Ed è secondo me un ben far comprendere ai giovani lettori e lettrici quanta prudenza e quanto rispetto siano necessari se davvero vogliamo rendere questo mondo, in termini biologici, migliore.
Come sempre, Editoriale Scienza non ci delude, anche quando affronta temi all’apparenza marginali o meno popolari, proponendo un testo chiaro, incisivo e corredato dalle immagini ironiche ed efficaci di Sandro Natalini.

Eleonora

“Per un pugno di ghiande. Le specie invasive che assaltano la terra”, P. Genovesi & S. Natalini, Editoriale Scienza 2018


lunedì 28 maggio 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LE BALLON ROUGE

Passo davanti, Nadine Brun-Cosme, Olivier Tallec
(trad. Marie-José D'Alessandro)
Coccole Books 2017


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Erano in tre.
Léon il grande, Max il secondo, Rémi il più piccolo-
quando passeggiavano, Léon il grande camminava sempre davanti,
Gli piaceva tanto. Diceva: - Guardate! Le macchine, e le nuvole, e i grandi alberi che dondolano!
Dietro le larghe spalle di Léon, Max e Rémi non vedevano niente.
A loro non importava."

Le larghe spalle di Léon li fanno sentire al sicuro e mentre camminano dandosi la mano, Max racconta e racconta e racconta e Rémi ascolta e ascolta e ascolta. A loro basta così.


A Léon il compito di vegliare sui pericoli: semafori, macchine, pioggia.
Sino a che, per vedere un palloncino rosso, Max chiede il permesso di passare in prima fila e ora tocca a lui vegliare sul gruppo e questo lo fa sentire grande. Nelle retrovie però la situazione è tutta diversa: Léon non racconta nulla a Rémi che inevitabilmente si annoia. Chiede di prendere lui la postazione numero uno, che gli viene concessa, così come la responsabilità del gruppo e questo lo fa sentire grande. Grande però non lo è veramente: Max lo capisce e decide di camminargli accanto. Ma forse non è sufficiente perché la città è piena di pericoli e forse la cosa migliore è che tutti e tre camminino allineati. Sempre con il loro pacchettino. Magari tenendosi per mano...

Una storia di misure, ruoli e possibilità, quindi soprattutto una storia di cambiamento. Con una capacità di sintesi che già conosciamo, Nadine Brun-Cosme mette insieme, in fila addirittura, tre categorie umane che si nascondono dietro le loro misure, i loro ruoli e le loro attitudini. Uno grande che guida e ha il compito di sorvegliare che tutto proceda per il meglio per il gruppo. Lui rappresenta il buon senso. Uno mediano che sta nel mezzo, come un anello di catena e come tale ha il compito di tenere tutti insieme e infine un piccolo che chiude la fila e ha come compito quello di essere il piccolo.


Sempre stando alla storia raccontata a parole, ognuno è felice dove si trova almeno fino al momento in cui la prospettiva cambia e le spalle grosse non rappresentano più una difesa o una garanzia di sicurezza, ma diventano piuttosto un ostacolo alla vista. Così tra Léon e Max ci si scambia di posto e apparentemente anche di ruolo. Stare davanti, assumersi la responsabilità anche per gli altri fa sentire grandi. Lo può testimoniare anche Rémi, quando arriva il suo turno di mettersi alla testa del gruppo.
Se fosse solo così la narrazione, sarebbe fin troppo prevedibile e meccanicistica: stare davanti fa diventare grandi. 


Ma la questione, così come la mette giù Nadine Brun-Cosme, è ben più articolata e complessa.
In primo luogo per la chiave metaforica che decide di usare. Nel suo voler essere ambigua e sfuggente non preconfeziona per chi legge un'unica interpretazione.
Come spesso accade nelle sue storie, spetta alle molte cose non spiegate, non esplicitate, determinare la qualità e lo spessore del racconto.
Si pensi a quei dettagli narrativi che 'smontano' senza colpo ferire una fila indiana per farla diventare una passeggiata 'alla pari'. Perché Léon nelle retrovie tace? Perché Rémi si infanga? Perché Max e Rémi non vedono i camion? Nelle risposte a queste questioni vanno cercate le possibili letture di questa storia.
E poi arriva lui: quel gran genio di Tallec. Il quale, a tutta questa architettura di ragionamento dà una forma, un'immagine, una sua personale lettura: mettendo una creatura pelosa, rosa e ignota, forse un cagnone, a capo della fila, quindi un bimbetto nel ruolo di Max e un coniglio a impersonare Rémi. Questo suo dare forma alla storia - fortunatamente - non ne scioglie le ambiguità, non ne spiega i significati. Piuttosto li rilancia, rispettando e mantenendo il mistero del testo. Possibilmente aumentandolo.


Chi sono quei tre? E sono veramente tre?
Grandi tavole che occupano lo specchio delle due pagine, panorami geografici pieni di aria e di nuvole di Corot, riconoscibili dai più grandi nella continua allusione a un bel giro del mondo, con tappe a Parigi, nella savana, in Costa Azzurra, a Londra, Atene e forse anche a New York, in una foresta (di notte), in un campo di mais di giorno ecc ecc. per poi arrivare a destinazione, una festa di compleanno, guidati immancabilmente da quel palloncino rosso di Lamorissiana memoria...
Gran libro!

Carla

Noterella al margine. Ha appena vinto l'Andersen, ma una maggior cura nella traduzione non avrebbe nuociuto..


domenica 27 maggio 2018


UN'EBBREZZA: I CANNOLI DI PANE 
(da Blexbolex in Puglia)


Della Puglia sono moltissime le cose che porto nel cuore: il valore e la qualità delle persone, dei luoghi e del cibo. In uno, la qualità della vita.
Dopo una mattina a parlare dei libri di Blexbolex con i ragazzi e le ragazze delle scuole di Conversano e dopo averne parlato con i grandi nel pomeriggio, dopo aver discusso di ebbrezza (un vento fresco che soffia a primavera) mi hanno portato in un ristorante sotterraneo. Ho mangiato bene, molto bene ma non ricordo cosa. Ero morta di stanchezza. 
Al contrario ricordo ogni dettaglio del dolce con cui abbiamo concluso quella cena.
Un'ebbrezza. E come tutte le ebbrezze portava in sé l'inaspettato. Sullo sfondo di una 'cassa armonica' luminosa, è stato convocato uno dei proprietari per chiedere nel dettaglio la ricetta dei cannoli di pane, perché è stato subito evidente che non avrei trovato nulla di simile altrove e che per la fragilità intrinseca dell'oggetto, non sarebbero stati neanche trasportabili.
Diventava urgente quindi la ricetta. Alla fine del racconto mi è stato chiaro che, con un po' di impegno, una pallida imitazione di quei cannoli sarebbe stata riproducibile e quindi condivisibile anche a Roma, con il vero 'leccuccio' di casa.


Ingredienti per 8 cannoli


8 fette di pane di altamura (quello vero: dop) tagliate sottilissime con l'affettatrice
4 etti di ricotta buona!
8 cucchiaini rasi di zucchero
la buccia di un limone grattugiato
1 goccio di latte
zucchero a velo
8 stampi per cannoli

Avvolgete mezza pagnotta di altamura nella pellicola trasparente e tenetela in frigo per un paio di giorni (serve a rendere elastico il pane)
Tagliate dalla mezza pagnotta con l'affettatrice 8 fette sottili quanto basta per non romperle (alla tacca numero 2 dell'affettatrice).
Disponetele su un piano e spruzzatele di zucchero a velo solo su un lato (servirà a caramellarle leggermente)
Avvolgetele con il lato zuccherato all'interno con la dovuta cura intorno agli stampi da cannolo (io ho quelli da cannoncino, quindi conici e vanno bene lo stesso)
Passatele in forno a 180° su una teglia coperta di carta forno per almeno un quarto d'ora, finché non si colorano e soprattutto diventano dure.
Toglietele dal forno e fatele raffreddare.


Nel frattempo montate la ricotta in una ciotola con lo zucchero e pochissimo latte, la buccia del limone (o le scagliette di cioccolato pfui!) fino ad avere una ricotta spumosa ma ancora bella soda e asciutta.
Liberate le fette dagli stampi riempitele con la ricotta da entrambi i lati.
Disponetele su un piatto e spolverate di zucchero a velo.
Nell'edizione originale e inarrivabile del ristorante Vita Pugliese, raccontatami da Leo, al quale sono eternamente grata, la ricotta era farcita con scorzette di frutta candita. Io ho dovuto ripiegare su marmellata di arance amare con scorze candite all'interno,  fatta gocciolare sopra. 


I cannoli vanno farciti e mangiati all'istante. Meglio ribadirlo, semmai ce ne fosse bisogno.

Carla


venerdì 25 maggio 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)



IL SENSO DEL DESTINO


Lauren Wolk ha portato a termine un progetto ambizioso, un romanzo per ragazzi che riprendesse le tematiche de Il buio oltre la siepe e le riproponesse.
L’anno in cui imparai a raccontare storie è un gran bel romanzo, di quelli che danno soddisfazione al lettore e alla lettrice, che facilmente si immergono nel racconto ricco di suspense e di avventura. Nello stesso tempo è un romanzo ‘a tema’, privo però di qualsiasi retorica, di qualsiasi finale rassicurante.
Il tutto comincia nell’autunno del ‘43, in piena guerra, in una cittadina americana, che vive di agricoltura e allevamento. Nella scuola, una sola classe dove vanno bambini e bambine di diversa età. L’io narrante è una ragazzina di dodici anni, Annabelle, con una vita tranquilla: vive nella fattoria di famiglia con i genitori, i nonni, i due fratelli più piccoli e una zia puntigliosa e petulante. In una baracca poco lontana, in mezzo al bosco, vive una sorta di vagabondo, Toby, isolato da tutti, e solo la famiglia di Annabelle ha contatti con lui.
La serenità di questa vita, funestata dalle notizie della guerra, con i suoi morti e feriti, si interrompe con l’arrivo di una ragazzina di poco più grande, Betty, che metterà fine non solo alla tranquillità ma anche all’infanzia della protagonista.
Betty è una bulla, prepotente, violenta e bugiarda. Non solo più volte aggredisce Annabelle, ma arriva a compiere atti più radicali. Colpisce con un sasso la piccola Ruth, che perderà un occhio, prepara una trappola per i due fratellini e in tutto questo tesse una tela di menzogne, per incolpare di tutto Toby. E’ facile incolparlo, è un diverso, uno ‘strano’ che gira con tre fucili a tracolla senza sparare mai un colpo; un tipo che si fa prestare la macchina fotografica per catturare gli istanti di vita nel bosco. Un tipo taciturno, di cui nessuno conosce la storia. Solo Annabelle, con i suoi genitori, crede veramente nella sua innocenza e cerca di salvarlo dalla caccia all’uomo che nel frattempo è stata organizzata: perché Betty è scomparsa e ancora una volta tutti incolpano Toby, la vittima sacrificale perfetta in una piccola comunità che non riesce a superare i suoi pregiudizi.
Annabelle è una ragazzina intelligente e intraprendente, riesce a nascondere Toby e a conoscere parte della sua storia, tragicamente legata all’esperienza fatta durante la Prima Guerra Mondiale. Nella sua giovane età ha più buonsenso di tutti, ma per scagionare Toby dovrà imparare a mentire, a dissimulare, a ingannare anche le persone più vicine. E a farsi carico dell’immenso dolore che annichilisce la vita di Toby.
Impossibile dire altro, perché la trama riserva diverse sorprese e colpi di scena.
L’anno in cui imparai a raccontare storie è un romanzo denso, che affronta in modo efficace tematiche impegnative: la prima, la più evidente, è relativa al pregiudizio, all’esclusione sociale, alla funzione quasi fisiologica di ‘cattivi’ che gli emarginati assolvono, loro malgrado, all’interno di una comunità. E’ facile trovare colpevoli in chi non ha gli strumenti per difendersi; è facile farlo quando si ha a che fare con comportamenti inconsueti, col rifiuto delle regole sociali più banali. Ma è anche presente la tematica del bullismo, qui interpretato da una ragazzina dalla vita difficile, incapace di controllare le conseguenze delle sue azioni.
Per tutto il libro c’è la sensazione che quello che sta accadendo è inscritto nell’incipit, il momento in cui Betty colpisce per la prima volta Annabelle.
La protagonista si dibatte nei dubbi, cerca una propria soluzione a una situazione divenuta drammatica, ben al di là della sua possibilità di intervento. Si può discutere a lungo se Annabelle esca sconfitta dalla vicenda di cui è protagonista. Sicuramente le cose non vanno come lei vorrebbe, ma è anche vero che è l’unica ad aver tenuto un comportamento coerente, lontano dai pregiudizi e dai luoghi comuni. Non è molto, quando è in gioco la vita delle persone , ma è un buon punto di partenza per crescere da persona onesta.
Come si vede c’è molto di cui discutere con ragazzi e ragazze dai dodici anni in poi, con la speranza di sollevare il gravoso e difficile tema della responsabilità.

Eleonora

“L’anno in cui imparai a raccontare storie”, L. Wolk, Salani 2018


mercoledì 23 maggio 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


LA BAMBINA TRASGRESSIVA

Katitzi, Katarina Taikon (ill. Johanna Hellgren)
(trad. Laura Cangemi, Samanta K. Milton Knowles)
Iperborea, 2018


NARRATIVA PER MEDI (dai 9 anni)

"Pelle e Gullan andarono in avanscoperta per controllare non ci fosse nessuno nei paraggi. Ma non c'era da aver paura: erano tutti nel bosco a cercare e chiamare. Si sentivano lontano un miglio.
Katitzi corse a più non posso fino alla casa e alla porta sul retro. Poi salì di soppiatto le scale, silenziosa come un topolino in una dispensa. Arrivata a metà, però, vide aprirsi una porta.
'Katitzi?'"

Beccata! La breve fuga di Katitzi si ferma davanti alla signorina Kvist, l'unica persona adulta gentile di tutto l'istituto, diretto dalla severissima e implacabile signorina Larsson. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questa bambinetta vivace di otto anni, sta scappando dall'idea di dover tornare a casa con papà Taikon, che come gli altri, ora la sta cercando per ogni dove.
Nonostante la Larsson e la piccola Rut, detta da tutti Brut, Katitzi non patisce così tanto la vita in orfanotrofio da desiderare di andare con il papà che per lei è quasi uno sconosciuto. E soprattutto non ha nessuna intenzione di lasciare i suoi due cari e unici amici. La partenza è solo rimandata. Due settimane dopo la piccola fa la sua valigia e sale su quella macchina squadrata che la porterà verso una vita tutta nuova.
Katitzi è rom come suo padre e i suoi numerosi fratelli che vivono, con la nuova moglie svedese di lui, in un carrozzone e per vivere fanno i giostrai.
Il cambiamento per questa ragazzina è enorme. Persi gli amici, trova ad aspettarla al campo due affettuose sorelle poco più grandi di lei, da cui presto impara le nuove abitudini e un diverso modo di intendere la vita. Impara la bellezza di una famiglia grande in cui tutti sono chiamati a fare la loro parte, ma conosce anche la fatica di essere sempre guardata con sospetto e tenuta a distanza e ai margini della società: ai rom gli svedesi chiudono le porte di ogni servizio sociale, di scuole, di case, di terreni dove piantare le tende.
In perenne fuga dalle prepotenze e dal pregiudizio, l'infanzia di Katitzi va avanti, nonostante tutto. Questa è la sua storia. Ed è sostanzialmente vera.

Dietro il soprannome, Katitzi, piccola Kati in lingua romanì, c'è il nome di Katarina Taikon. Figlia di padre rom e di madre svedese, la Taikon fu una donna speciale - e bellissima - che per tutta la vita combatté per i diritti dei rom. Nel 1953, con la sua battaglia civile, riesce a far abolire il bando sui rom in Svezia. Ma non è ancora sufficiente. Capisce che se vuole demolire il pregiudizio e far trionfare le sue idee, deve rivolgersi alle giovani generazioni. Comincia così, alla fine degli anni 60, la sua professione di scrittrice per l'infanzia: in tredici romanzi racconta la sua vita, davvero difficile e dura, di bambina e ragazza rom.
Un'altra lezione che arriva dal Nord, che genera un paio di riflessioni preliminari.
La prima è proprio su questo Nord che, inaspettatamente, fatica anch'esso - sebbene in netto anticipo sui tempi - a liberarsi da stereotipi e pregiudizi etnici.
La seconda riguarda l'origine stessa del romanzo: raccontare la propria infanzia come investimento che si vuol fare nei confronti dei piccoli che da lì a poco diventeranno grandi. Insomma, alludo alla lungimiranza di voler curare oggi l'educazione dei piccoli in un'ottica che contribuisca a renderli buoni adulti domani. Non si può dire sia un'idea rivoluzionaria, tuttavia il modo in cui questo processo educativo è stato messo in atto dimostra di essere di non poco interesse.
Per capirne appieno il valore credo occorra riflettere su cosa e su come scrive la Taikon.
Il primo fattore è l'assenza totale di retorica che invece, visto l'argomento, poteva essere lì a portata di mano.
Il racconto corre per la sua strada senza mai cedere alla tentazione di diventare didascalico o solutorio.
La seconda peculiarità è data dalla serena consapevolezza della Taikon nel descrivere la distanza che esiste tra il mondo degli adulti e quello dei bambini.
Anche tenendo conto che sono altri anni da questi, ciò nonostante l'infanzia in questo romanzo è tutt'altra cosa rispetto al mondo dei grandi. Tra le due sfere c'è comunicazione ma non permeabilità. Tra loro si confrontano, ma i grandi (quasi tutti) agli occhi dei piccoli rappresentano l'autorità, la forza, il potere e non c'è discussione o margini di trattativa su questo. 
A loro bisogna obbedire e basta.
Sebbene non si dimostrino mai rassegnati, i bambini della Taikon non sono ribelli. Dove trova sfogo allora il loro malumore? Altrove, ovvero in quello spazio di onnipotenza che l'infanzia porta in sé e che è la sua forza ultima e invincibile.
Le bambine rom della Taikon non sono ribelli, ma di certo trasgressive, nel senso che sanno 'attraversare', andare al di là del mondo degli adulti.
D'altronde, se così non fosse stato, questo romanzo non esisterebbe.
Katitzi e la Taikon si inseriscono senza difficoltà nel solco delle 'bambine del Nord' e delle scrittrici del Nord' di cui Giordana Piccinini scrive nel numero 44 di Hamelin dedicato ai racconti di infanzia.
Sulla base di un ragionamento che già Giovanna Zoboli fece su Doppiozero, Giordana Piccinini individua una serie di caratteri distintivi delle bambine letterarie del Nord, da Pippi in poi.
A loro va assegnata la conoscenza del mondo attraverso l'esperienza e la sua continua ri-creazione. 'La misura del mondo viene continuamente rinegoziata dal loro sguardo. È un rapporto con le cose altamente creativo che richiede una forza fisica, un'energia mentale, un'intelligenza, un'attenzione e una fiducia straordinarie.' Prendendo a prestito le parole di Giovanna Zoboli sui personaggi della Lindgren, si potrebbero definire analogamente anche i bambini della Taikon. 'I suoi bambini sanno vivere: nella gioia e nel dolore, in salute e malattia, a ogni pagina celebrano il loro matrimonio con la vita, per niente intimoriti dalla propria piccolezza.'
Al pari di altre bambine del Nord, anche Katitzi e le sue sorelle hanno quella capacità tutta infantile di vivere il tempo attraverso lo spazio: in questo romanzo si avvicendano due ritmi di vita diversissimi che prendono forma in due luoghi agli antipodi, un asfittico orfanotrofio e un indefinito campo rom. Katitzi li attraversa entrambi senza mai smettere di sognare per sé un futuro.
Non resta che gioire per un'altra bella storia del Nord recuperata da Iperborea, bella storia di infanzia, bella perché vera.
Chissà se gli adulti che lo vorranno condividere con i più piccoli, lo faranno solo per coglierne l'aspetto strumentale, cavalcando il 'politicamente corretto'? E chissà che invece non decidano di essere loro stessi 'trasgressivi', etimologicamente parlando, capaci di andare oltre? Chissà.


Carla

lunedì 21 maggio 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)



IL TEMPO MAGICO


Ollie e i giocattoli dimenticati è la nuova fatica del poliedrico William Joyce ed è un grande regalo per i piccoli e grandi lettori. Per apprezzarlo è necessario essere disposti ad entrare nel mondo magico dei bambini.
Del mondo magico dei bambini l’autore afferma l’autonomia, la piccola repubblica autonoma che ha un suo linguaggio, una sua logica e un esteso parterre di comprimari, giocattoli, pupazzi, rottami di vario genere, tutti dotati di vita propria e di un ‘cuore’. 


Ed eccoci entrare nel cuore della storia: Billy, il nostro protagonista, è un bambino di sei anni e mezzo, con una famiglia normale, giocattoli normali, vita normale, ma con un pupazzo speciale, il suo Preferito, Ollie, confezionato dalla mamma al momento della sua nascita: è un buffo orsetto con le orecchie da coniglio e soprattutto con un campanellino al posto del cuore. Questo campanellino proviene dalla bambola preferita della mamma di Billy, una bella ballerina, chiamata Nina, e amata oltre ogni limite dal pupazzo Zozo, che era una delle attrazioni del luna park ormai in disuso.
Bene, la vita di Billy e Ollie scorre tranquilla, con Grandi Venture, che si svolgono però seguendo le Regole dei genitori; non osservarle è pericoloso e superillegale. Quindi non si può. Quando un bambino bravo e obbediente può aggirare le Grandi Regole e correre pericoli veri? 



Quando il suo migliore amico è nei guai. Ed è proprio quello che succede a Billy: Ollie è scomparso e per andarlo a recuperare, nottetempo, è necessario attrezzarsi, mettendo nelle tasche del pigiama alcuni giocattoli, insieme alle gomme da masticare adeguatamente masticate, che risulteranno utilissime. Ollie in realtà è stato rapito dai Grinfi, mostriciattoli metallici mal assortiti, specializzati nel rapimento dei ‘Prefe’, i giocattoli preferiti dei bambini. I Grinfi sono agli ordini di Zozo, il pagliaccio innamorato, abbrutito dalla solitudine e dal dolore.
Se Billy di notte scappa di casa e si mette in cerca di Ollie, il pupazzo nello stesso tempo sta facendo amicizia con gli altri ‘Prefe’ che Zozo ha catturato.


La battaglia si avvicina e si preparano gli schieramenti di giocattoli e oggetti smarriti e dall’altra parte un’armata temibile di mostriciattoli. Non mancano un vecchio frigo in funzione di sommergibile, un apriscatole, un battaglione di lattine tintinnanti. A illuminare la scena, nei sotterranei del vecchio luna park, uno stuolo di lucciole, che avranno un ruolo decisivo.
Ecco questa è la trama di un bel romanzo, ricco di colpi di scena e raccontato con ritmo sostenuto per tutto il libro. Questo lo rende sicuramente accattivante per i piccoli lettori e lettrici, lo vedo perfetto per una lettura ad alta voce che riscaldi le sere prima di addormentarsi; ma il suo pregio più grande è l’aver costruito una storia perfetta ad altezza bambino: un mondo in cui realtà e fantasia ancora si confondono e c’è spazio per quel lessico segreto che lega un bambino ai suoi compagni di gioco immaginari; è il mondo visto dal basso, il Piccolo Regno di cui parla Wu Ming4, con le sue regole, le sue magie, quel senso d’incanto che poi ci manca tanto crescendo. Joyce lo rende perfettamente, ci fa vivere da lettori una Grande Avventura, dove si infrangono molte Regole e si affrontano molte prove di coraggio, facendoci immedesimare in quel punto di vista speciale che stiamo vivendo o abbiamo vissuto nell’infanzia.
Lo strumento principale di questa magia letteraria è il linguaggio, la cura con cui vengono attribuiti i nomi agli oggetti e ai numerosi personaggi animati, la logica stringente di un mondo bambino che può ancora permettersi l’incoerenza. Mirabile la traduzione di Giuditta Capella, che reinventa le parole italiane per conservare l’inventiva linguistica dell’autore.


Tutto di questo libro ha il sapore dell’eccezionalità: il formato grande, le pagine di colore diverso, a seconda che ci si trovi nel mondo di sopra o nel cupo mondo dei Grinfi, le illustrazioni che accompagnano la narrazione, con un mare di tenerezza e qualche sprazzo di paura. La tenerezza che nasce da un legame semplice ed indispensabile, quello che lega Billy ad Ollie, il vero protagonista della storia, e la paura di perdere per strada proprio questi legami, questi affetti infantili, perdendo così anche un pezzo di noi. La memoria, che attraversa i cambiamenti di vita, costruisce un piccolo bagaglio di ricordi indispensabili, proprio quelli che ci consentono di immedesimarci ancora nel mondo dei piccoli.
Questo non è un libro necessario per diventare grandi, è un libro necessario per conservare in sé il senso dell’infanzia come un campanellino che tintinna e ci ricorda chi siamo stati.
Lettura avventurosa e sentimentale per bambini del Piccolo Regno, dai cinque anni in poi.

Eleonora

“Ollie e i giocattoli dimenticati”, W. Joyce, Rizzoli 2018.



sabato 19 maggio 2018

ECCEZION FATTA!

Quel che resta dopo un corso di formazione...
un po' di appunti presi su un blocchetto e poi loro, i libri, che sempre e comunque devono costituire il senso ultimo e più profondo di ogni teoria.



LA FABBRICA DEL LETTORE
(a cura di Compagnia dei Lepini e AC Mi leggi ti leggo)

Primo incontro (Biblioteca di Cori)
e secondo incontro (Biblioteca di Priverno)
 
W. Benjamin, Infanzia berlinese, Einaudi 2007
W. Goldman, La principessa sposa, Marcos y Marcos 2007
W. Szyborska, La gioia di scrivere, Adelphi 2009
K. Smith, Come diventare esploratore del mondo, Corraini 2011
I. McEwan, L'inventore di sogni, Einaudi 2015
Hamelin (a cura di) Ad occhi aperti. leggere l'albo illustrato, Donzelli 2012
Hamelin nr. 44 Incompreso, La sfida di raccontare l'infanzia, 2017

  1. *I. Banyai, Zoom, Il Castoro 2003
  2. *S. R. Berner, Sommer Wimmelbuch, Gerstenberg
  3. Blexbolex, Stagioni, Orecchio acerbo 2010
  4. A. Browne, Gorilla, Orecchio acerbo 2017 *
  5. *M. Celjia,Chiuso per ferie, Topipittori 2006
  6. R. Charlip, Fortunatamente, Orecchio acerbo 2013
  7. K. Crowther, Et alors?
  8. K. Crowther, El nino raiz, Loguez 2003
  9. O. Douzou, Il lupo, Jacabook 2004
  10. W. Erlbruch, Il miracolo degli orsi, E/O 2004
  11. M. J. Ferrada, Il segreto delle cose, Topipittori 2017

  12.  
  13. O. Jeffers, Nei guai, Zoolibri 2012
  14. O. Jeffers, Chi trova un pinguino... Zoolibri
  15. J. Jolivet, Schizzo in città, Il Castoro 2011
  16. *S. Lee, L'onda, Corraini 2008


  17. *I. Mari, Il palloncino rosso, Babalibri 2004


  18. F. Negrin, Dov'è la casa dell'aquila?, Orecchio acerbo 2017
  19. P. Newell, Il libro sbilenco, Orecchio acerbo 2007
  20. C. Ponti, Biagio e il castello di compleanno, Babalibri 2005
  21. Saki, Il narratore, Orecchio acerbo 2007
  22. M. Sendak, Nel paese dei mostri selvaggi, Babalibri 1999
  23. S. Silverstein, Alla ricerca del pezzo perduto,Orecchio acerbo 2013
  24. Solotareff, Couleurs, L'ecole des loisirs 2014   
  25. *D. Terrazzini, Lily e Bert, orecchio acerbo 2007
  26. W. Wondriska, Tutto da me, Corraini 2010 

     Terzo incontro (Biblioteca di Carpineto)


    A. Chambers, Il lettore infinito, Equilibri 2015

    1. D. Almond, Il Selvaggio, D. McKean, Edizioni BD 2008
    2. M. Burgess, Il grido del lupo, Equilibri 2017



    3. A. Fine, Più si è meglio è, Salani 2005
    4. A. Greder L'isola, Orecchio acerbo 2007
    5. A. Greder, Mediterraneo, Orecchio acerbo 2017
    6. P. Horvath, La stagione delle conserve, Mondadori, 2016
    7. P. Muñoz, P. Sís, Il sognatore, Mondadori 2010
    8. M. Serao, F. Negrin, Canituccia, Orecchio acerbo 2017


    9. S. Tan, L'approdo, Elliot 2008


    10. T. Tellegen, Lettere dal bosco, Donzelli 2007