mercoledì 21 novembre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


RARO COME UNA BRAMEA

Aiaccio, Biagio Russo, Daniela Pareschi
Lavieri 2018


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)


"Aiaccio, questo il suo nome d'arte, non era più giovanissimo. Non era nato per far ridere. Aveva iniziato come giocoliere, quindi funambolo, poi trapezista. Non era un semplice acrobata, ma un angelo a cui mancavano solo le ali. Con la rete o senza rete. Era davvero bravo. Anzi di più."

Il suo vero nome era Angel. Adesso invece, Aiaccio il pagliaccio. Manca poco alla fine del suo numero in pista, sotto il tendone del circo Aladin. Uno schiaffo del vento, un tappeto messo male e Aiaccio finisce a terra: tutto il pubblico, a vederlo steso a gambe e braccia divaricate da una ventata atterrare con il faccione sulla cacca dell'elefante Menelik, ride così tanto da far gonfiare il tetto spiovente.


Che cosa aveva trasformato il bravissimo acrobata Angel in un pagliaccio goffo per le scarpe grandi? Un incontro. Era arrivata in un giorno di giugno ed era bella, scura e gitana. Gli aveva messo il volto nell'incavo del collo e non lo aveva più tolto fino al momento del bacio. Quella mattina all'alba, Gipsy aveva volteggiato al trapezio più alto, leggera come una rara bramea. Angel, sulla pista, la ammirava. E poi la vide precipitare. 


Angel va in mille pezzi e quando finalmente ritrova la forza di rimettere assieme le parti della sua vita, di Gipsy non sa più nulla. Con lei se ne è andata la leggerezza del volo e la felicità. Angel dimentica il trapezio e finisce in pista con il naso rosso di spugna: un pagliaccio triste. Il tempo passa. Spettacolo dopo spettacolo il pagliaccio Aiaccio fa ridere il pubblico. E oggi, con quella caduta, ancora di più. Solo una persona non si unisce al coro di risa. E ora è lì, a terra, a pulirgli il viso rugoso imbrattato di cacca di Menelik e a offrirgli un braccio per rialzarsi. Quando i loro sguardi si incrociano, il cuore stanco di Aiaccio parte a martello. Li hanno visti allontanarsi e sparire per non tornare più.
C'è chi dice che questa storia non sia vera, ma sarebbe una sciocchezza non crederci.

È la storia di una caduta di creature bellissime e fragili. Una caduta che ha una sua nemesi.


È anche una storia di circo che racconta se stesso, un mondo a parte in cui a gioia e meraviglia si alternano malinconia e solitudine. Dal più piccolo circo familiare itinerante che si sposta a dorso di asinello per la Francia del sud al grande spettacolo del Cirque du soleil, il circo è un luogo altro, un tempo e uno spazio sospesi. E anche il circo Aladin non fa eccezione.
Se così è, nascoste sotto la superficie di una bella e struggente storia d'amore nata in un carrozzone, in questo libro è possibile cogliere anche altre verità sotterranee, espresse attraverso la lingua universale della metafora. Esse emergono lentamente e attraverso parole e immagini: il cuore diventa catino che si riempie di acqua, ma anche batte a martello come una campana; la panchina è lo sgangherato luogo di incontro e di partenza di solitudini per antonomasia; la bramea è icona di fragile e raro e la mangusta di istinto selvatico. L'elefante, alla testa degli altri animali del circo, muti testimoni, incarna la consapevolezza di chi sa di sapere. E ancora il volo, con la sua fase aerea e la sua caduta e la sua ripartenza, è archetipo per eccellenza dell'esistenza. 


Massimamente le ali, quelle che Daniela Pareschi disegna ovunque, sono contemporaneamente simbolo di leggerezza, ma anche malinconico resto di una vita trascorsa, nel costume di scena di Aiaccio.
Usare la metafora per raccontare storie è cosa buona e giusta, ma non è cosa semplice che tutti sanno praticare. Quello che si verifica qui però è qualcosa di ulteriore: che ha a che fare con la rarità della bellezza.


Almeno tre sono le cose belle: la lingua parlata, la lingua illustrata, e il loro dialogo armonico. Biagio Russo ha il coraggio di alzare il tiro e di attingere a un vocabolario oscuro ai più piccoli ed evocativo per i più grandi. Forse è consapevole del fatto che non sempre tutto deve essere spiegato e che le parole possono essere terreno di scoperta e poi di conquista, pagina dopo pagina, libro dopo libro. Daniela Pareschi costruisce le sue architetture leggere dentro cui il lettore si infila a guardare. Tende che si alzano, ombre che si muovono, che creano suggestioni molto forti. Gioca sapientemente con il testo, amplificando le metafore, dando loro forma concreta. Gioca sulle scale dimensionali così come su prospettive e inquadrature sempre diverse, in un'ottica vicina a quella cinematografica. La testa del clown a terra ne è un eloquente esempio.


La terza bellezza sta nel dialogo tra testo e immagini. Laddove il primo tace, si insinua il secondo e comincia a raccontare, ma lo fa - ed è qui la rarità - con lo stesso tono di voce: quello poetico.

Carla

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