venerdì 4 gennaio 2019

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


DEL MARE E DEI SUOI ABITANTI

Comincio questa passeggiata fra balene e capodogli, e anche orche, fra indiani mapuche e feroci balenieri, con l’ultimo racconto firmato da Luis Sepulveda per Guanda: ‘Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa’.


Confesso che all’inizio ho pensato che cominciare l’anno con una storia che, contro qualsiasi previsione, non è affatto consolatoria e non prevede lieto fine, non fosse proprio di buon auspicio per l’anno che è appena iniziato. Ma ho anche pensato che è una storia che regala consapevolezza e di questa abbiamo e avremo tanto bisogno.
L’incipit è di quelli che restano impressi: su una spiaggia del sud del Cile si è arenato un grande capodoglio grigio, quasi bianco; i pescatori del luogo portano la carcassa al largo, dove, svuotata, potrà sprofondare negli abissi dell’oceano. A piangerla un bambino, un mapuche che ricorda le antiche leggende del mare. Ma a raccontarle al nostro narratore sarà la balena stessa, attraverso una conchiglia. Ed ecco quindi dipanarsi la storia di questo gigante del mare che nel tempo ha protetto la popolazione dei cetacei e degli umani che vivono in sintonia con essi. Sono antiche leggende che legano i lafkenche, popolazione rivierasca appartenente all’etnia mapuche, al mare e ai suoi abitanti. In particolare alle balene, custodi del viaggio che le anime dei defunti compiono verso l’isola di Mocha.
E’ anche la storia di una lotta mortale con i balenieri, predatori spietati e incoscienti, disposti a tutto per il loro inconsistente bottino.
E’ una lotta mitica, che ripercorre, al contrario, il racconto di ‘Moby Dick’.
Da mostro inconoscibile e violento, il capodoglio diventa il simbolo di un’altra civiltà, meno predatoria, distrutta insieme agli animali che la rappresentano simbolicamente.
In questa storia, raccontata con il consueto stile di Sepulveda, che sceglie ancora una volta i toni della favola e della leggenda, non è pensabile un lieto fine. Per la storia già nota, ma anche più direttamente per quello che racconta, una lotta impari contro la ‘civiltà’ della distruzione e del consumo compulsivo delle risorse naturali. Non c’è gara.
Per questo, il libro di quest’anno non ha scalato le classifiche di vendita: non è una storia rassicurante, non ci dice che tutto andrà bene, al contrario ci racconta come la nostra cultura abbia fatto e faccia tuttora il deserto intorno a sé. Temi attualissimi, urgenti, esposti qui in forma favolistica, ma non per questo meno efficace.
Il capodoglio di cui si parla in queste pagine non è la creatura potentemente simbolica del romanzo di Melville e nulla della complessità del romanzo traspare nel racconto di Sepulveda. E’ proprio un altro mondo, quello di cui parla l’autore cileno: un mondo reale, concreto, fatto di vite umane legate al mare da vincoli strettissimi, di animali padroni dei grandi spazi oceanici, distrutti entrambi, o quasi, dall’incedere ossessivo del ‘progresso’.


Di questi animali, padroni dei grandi spazi oceanici, e del loro mistero parla anche l’albo dell’autrice inglese Jo Weaver, ‘Piccola balena’, pubblicato da Orecchio Acerbo. Ancora una volta il racconto per immagini del viaggio affrontato da una balena grigia con il suo cucciolo, dai mari caldi della California verso il grande Nord, è suggestivo, ma per nulla retorico: racconta di un’impresa, durissima e pericolosa, soprattutto per una giovane esemplare inesperta che trova l’unico aiuto nella madre. Madre e piccola, infatti lasciano le latitudini meridionali per ricongiungersi al resto del branco, nei freddi mari del Nord. 


Le immagini, tutte giocate sulle sfumature di un perfetto disegno a carboncino, raccontano quello che il testo non dice: la maestosità, l’imponenza e l’eleganza di animali di grandissime dimensioni e di sorprendente agilità. E gli spazi infiniti, le immensità abissali di cui sappiamo veramente poco. Questo albo, come il precedente ‘Piccola orsa’, rappresenta una particolare modalità di racconto, e racconto per immagini, coinvolgente ma nello stesso tempo rispettoso della realtà naturale.


Certo, le balene o i capodogli o le orche fra loro non parlano con parole umane; eppure esprimono una grande raffinatezza espressiva, come ha estesamente documentato Carl Safina in ‘Al di là delle parole’, pubblicato da Adelphi.
Qui, a dimostrazione della fondatezza di alcune osservazioni espresse dalle popolazioni locali, si afferma l’esistenza di ‘menti’ animali, soggettività complesse alla base di gruppi sociali molto articolati. Soggettività che possono cambiare la vita di un branco.
Sepulveda parla di un capodoglio mitico, talmente eccezionale da entrare nella leggenda; Weaver descrive con partecipe attenzione un aspetto della vita delle balene grigie. Safina ci porta dentro il loro mondo, per mostrarci quanto poco ne sappiamo e con quale tracotante arroganza l’abbiamo finora trattato.
Come nel mondo mapuche, noi e loro partecipiamo in realtà della stessa natura senziente; e questo mondo, in gran parte sconosciuto, è proprio ciò che stiamo pervicacemente distruggendo.
La consapevolezza di questo è l’unico vero antidoto a un mondo che rifugge il pensiero e la riflessione, che ignora le contraddizioni e nega un futuro diverso.
Per fortuna ci sono i libri ad aprirci gli occhi, a noi grandi in cerca di risposte e a bambine e bambini in cerca di domande ancora più ardite.
Eleonora

“Storia di una balena bianca raccontata da lei medesima”, Guanda 2018
“Piccola balena”, J. Weaver, Orecchio Acerbo 2018
“Al di là delle parole”, C. Safina, Adelphi 2018


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