venerdì 12 luglio 2019

OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)

I LIBRI NECESSARI

Zu Maria die mir nicht vergessen hat!

Worauf wartest du? Das Buch der Fragen, Britta Teckentrup
Jacoby and Stuart 2016


ILLUSTRATI

"Wie werde ich di Welt sehen, wenn ich gross bin?
Werde ich mein Platz finden?
Wieso spüre ich, dass du da bist?"

Come vedrò il mondo quando sarò grande?
Troverò il mio posto?
Perché riesco ad accorgermi che tu sei lì?


I libri con le domande dentro - a patto che le domande siano autentiche, quindi belle - sono di solito libri necessari. Ovvero sono libri senza i quali sarebbe peggio vivere.
Esistono sostanzialmente due categorie di libri che fanno domande. Alla prima, decisamente più diffusa, appartengono quei libri che contengono una storia, una vera narrazione che nel suo svolgersi e nel suo presentarsi complessa e stratificata, di fatto pone questioni al proprio lettore o lettrice e lo fa 'semplicemente' lasciando libertà al ragionamento di interrogarsi ed eventualmente di trovare soluzioni che siano personali. Chi mi frequenta sa che la mia naturale predilezione va verso libri del genere, perché una storia concepita in tal modo educa al ragionamento e al sentimento e offre altresì molteplici prospettive di lettura, allenando (per non ripetere educando) il pensiero.
Ma non è di queste storie che voglio discutere, ma della seconda categoria di libri che fanno domande, ovvero di quelli che la grande domanda, il punto interrogativo ce l'hanno fin dal titolo.
Senza produrre alcuno sforzo mnemonico, mi vengono in mente due titoli che con questo bellissimo libro di Britta Teckentrup dimostrano di avere più di una analogia. 

 




















Il primo è un libro spagnolo, Libro de las preguntas, e il secondo è un libro nato in Francia (ma tradotto e pubblicato qui da Feltrinelli) Perché io sono io e non sono te?
Il Libro de las Preguntas è pubblicato da Media Vaca (2006) ed è una magnifica edizione illustrata da Isidro Ferrer del testo di Pablo Neruda.
Siamo nella poesia pura, tanto verbale quanto visiva.
Il secondo è la risultante -nero su bianco pubblicato da Diogenes- di un progetto nato da un'idea di Alexandre Delacroix, editore di Philosophie Magazine che chiese a Tomi Ungerer "di tenere una rubrica per rispondere alle domande dei bambini".
Siamo nella filosofia pura, tanto verbale quanto visiva.
Questi due elementi, poesia e filosofia, ovvero metafora e indagine sul senso del mondo, sono due ambiti che riguardano (o dovrebbero riguardare) il mondo dell'infanzia e lo fanno (o lo dovrebbero fare) con modalità che sono per bambini e bambine del tutto naturali. Intendo dire che ragionare per metafore e indagare sul senso delle cose che li circondano sono (o dovrebbero essere) le attività che per molta parte della giornata tengono (o dovrebbero tenere) occupate le giovani menti. Non a caso la Teckentrup privilegia il disegno del pensiero che prende forma in una testa di profilo (Laurent Moreau docet).


Il terzo elemento sta in quel preciso modi di porsi, ovvero nella scelta consapevole dei tre autori di assumere quella posizione del tutto funambolica, di chi si fa delle domande. Nel chiedere, nel chiedersi, è insita la grande incertezza, il dubbio, la non conoscenza, la tensione verso la scoperta. E la possibilità di cadere nel vuoto.


Tutti e tre i libri sono incardinati a questi tre punti.
Il libro della Teckentrup, in altre parole, condivide con gli altri due il fatto di camminare su un filo con passo incerto, il fatto di muoversi su un linguaggio metaforico, il fatto di porre questioni a cui non vuole o non sa dare risposte univoche.
Con il libro di Ungerer condivide la voce. Una voce 'bambina' che Ungerer (per la verità, sua moglie) definisce di arrested development. Si tratta di una voce che con la stessa dignità si chiede se da grande farà il calciatore o se quando un'aquila va in cerca di cibo per il suo piccolo è un po' come se andasse a lavorare ma anche si chiede se il sogno è reale come lo è la realtà? o, subito dopo se si può anche sognare in due?


Una voce che è in grado di spiccare il volo verso le stelle e affondare al centro di un bosco con la stessa facilità e velocità. Una voce che non sa che cosa siano le gerarchie, non si cura delle priorità, ma spazia in lungo e in largo in assenza di confine.
Con il libro di Neruda accade sostanzialmente lo stesso. E non solo nell'impostazione poetica di alcune domande, come per esempio Quando ci si mette uno sull'altro il primo è sempre il più coraggioso e l'ultimo svolge sempre il compito più facile? o ancora Tu mi puoi sostenere? Sempre?
Ma anche, e soprattutto, nella relazione potente che la Teckentrup intesse tra testo e immagine.


Ma anche, e ancora, nella declinazione figurativa in se stessa che spesso e volentieri è espressione di puro lirismo. Colori e forme, sempre un po' attraversati da una nebbia che crea indefinitezza di contorno come se fosse l'esito di un lavorio lento e complesso quale è quello della stampa serigrafica, fatto di tanti passaggi, come abbiamo visto fare a BlexBolex, con il preciso intento di restituire alla pagina stampata 'l'imperfezione' del processo creativo, la matericità della carta e dell'inchiostro, che ormai grazie alle tecnologie, e in nome di una presunta qualità assoluta, si è da tempo superata.


Descrivere bellezza e poesia è cosa da non fare per non vedersela sbriciolare tra le dita.
Quindi il suggerimento è, in silenzio, guardate qui.



Carla

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