I LIBRI NECESSARI
Zu
Maria die mir nicht vergessen hat!
Worauf wartest du? Das
Buch der Fragen, Britta Teckentrup
Jacoby and Stuart 2016
ILLUSTRATI
"Wie werde ich di Welt sehen,
wenn ich gross bin?
Werde ich mein Platz finden?
Wieso spüre ich, dass du da bist?"
Come vedrò il mondo quando sarò
grande?
Troverò il mio posto?
Perché riesco ad accorgermi che tu sei
lì?
I libri con le domande dentro - a patto
che le domande siano autentiche, quindi belle - sono di solito libri
necessari. Ovvero sono libri senza i quali sarebbe peggio vivere.
Esistono sostanzialmente due categorie
di libri che fanno domande. Alla prima, decisamente più diffusa,
appartengono quei libri che contengono una storia, una vera
narrazione che nel suo svolgersi e nel suo presentarsi complessa e
stratificata, di fatto pone questioni al proprio lettore o lettrice e
lo fa 'semplicemente' lasciando libertà al ragionamento di interrogarsi ed eventualmente di trovare soluzioni che siano personali.
Chi mi frequenta sa che la mia naturale predilezione va verso libri
del genere, perché una storia concepita in tal modo educa al
ragionamento e al sentimento e offre altresì molteplici prospettive
di lettura, allenando (per non ripetere educando) il pensiero.
Ma non è di queste storie che voglio
discutere, ma della seconda categoria di libri che fanno domande,
ovvero di quelli che la grande domanda, il punto interrogativo ce
l'hanno fin dal titolo.
Senza produrre alcuno sforzo mnemonico,
mi vengono in mente due titoli che con questo bellissimo libro di
Britta Teckentrup dimostrano di avere più di una analogia.
Il primo è un libro spagnolo, Libro
de las preguntas, e il secondo è un libro nato in Francia (ma
tradotto e pubblicato qui da Feltrinelli) Perché io sono io e non sono te?
Il Libro de las Preguntas è
pubblicato da Media Vaca (2006) ed è una magnifica edizione
illustrata da Isidro Ferrer del testo di Pablo Neruda.
Siamo nella poesia pura, tanto verbale
quanto visiva.
Il secondo è la risultante -nero su
bianco pubblicato da Diogenes- di un progetto nato da un'idea di
Alexandre Delacroix, editore di Philosophie Magazine che
chiese a Tomi Ungerer "di
tenere una rubrica per rispondere alle domande dei bambini".
Siamo
nella filosofia pura, tanto verbale quanto visiva.
Questi
due elementi, poesia e filosofia, ovvero metafora e indagine sul
senso del mondo, sono due ambiti che riguardano (o dovrebbero
riguardare) il mondo dell'infanzia e lo fanno (o lo dovrebbero fare)
con modalità che sono per bambini e bambine del tutto naturali. Intendo dire che
ragionare per metafore e indagare sul senso delle cose che li
circondano sono (o dovrebbero essere) le attività che per molta
parte della giornata tengono (o dovrebbero tenere) occupate le
giovani menti. Non a caso la Teckentrup privilegia il disegno del pensiero che prende forma in una testa di profilo (Laurent Moreau docet).
Il
terzo elemento sta in quel preciso modi di porsi, ovvero nella scelta
consapevole dei tre autori di assumere quella posizione del tutto
funambolica, di chi si fa delle domande. Nel chiedere, nel chiedersi,
è insita la grande incertezza, il dubbio, la non conoscenza, la
tensione verso la scoperta. E la possibilità di cadere nel vuoto.
Tutti
e tre i libri sono incardinati a questi tre punti.
Il
libro della Teckentrup, in altre parole, condivide con gli altri due
il fatto di camminare su un filo con passo incerto, il fatto di
muoversi su un linguaggio metaforico, il fatto di porre questioni a
cui non vuole o non sa dare risposte univoche.
Con il
libro di Ungerer condivide la voce. Una voce 'bambina' che Ungerer
(per la verità, sua moglie) definisce di arrested
development. Si tratta di una
voce che con la stessa dignità si chiede se da grande farà
il calciatore o se quando
un'aquila va in cerca di cibo per il suo piccolo è un po' come se
andasse a lavorare ma anche si
chiede se il sogno è reale come lo è la realtà?
o, subito dopo se si può anche sognare in due?
Una voce che è in
grado di spiccare il volo verso le stelle e affondare al centro di un
bosco con la stessa facilità e velocità. Una voce che non sa che
cosa siano le gerarchie, non si cura delle priorità, ma spazia in
lungo e in largo in assenza di confine.
Con il libro di
Neruda accade sostanzialmente lo stesso. E non solo nell'impostazione
poetica di alcune domande, come per esempio Quando ci si mette uno
sull'altro il primo è sempre il più coraggioso e l'ultimo svolge
sempre il compito più facile? o ancora Tu mi puoi sostenere?
Sempre?
Ma anche, e
soprattutto, nella relazione potente che la Teckentrup intesse tra
testo e immagine.
Ma anche, e ancora,
nella declinazione figurativa in se stessa che spesso e volentieri è
espressione di puro lirismo. Colori e forme, sempre un po'
attraversati da una nebbia che crea indefinitezza di contorno come se
fosse l'esito di un lavorio lento e complesso quale è quello della
stampa serigrafica, fatto di tanti passaggi, come abbiamo visto fare
a BlexBolex, con il preciso intento di restituire alla pagina stampata
'l'imperfezione' del processo creativo, la matericità della carta e
dell'inchiostro, che ormai grazie alle tecnologie, e in nome di una
presunta qualità assoluta, si è da tempo superata.
Descrivere bellezza
e poesia è cosa da non fare per non vedersela sbriciolare tra le
dita.
Quindi il
suggerimento è, in silenzio, guardate qui.
Carla
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