venerdì 25 ottobre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

ANCORA"SHOW, DON'T TELL". E SAUNDERS

Nonnamatta e la caccia ai mostri, Moni Nilsson, Anna Fiske 
(trad. Laura Cangemi) 
Iperborea 2024 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 7 anni) 

"Vado in punta di piedi nella mia camera per chiamare Nonnamatta con l'iPad. Dopo il papà, è la migliore che ci sia, perché è bravissima a giocare e a parlare e non si tira mai indietro davanti a nulla.
Nonnamatta è mia nonna e il suo vero nome è Marta, ma quando mio cugino Tarzan era piccolo diceva 'Matta' e da allora si chiama Nonnamatta per tutti. La chiamano così anche i suoi amici, cioè Fatima e quel musone di Ohlsson. Loro però sono barbosissimi, almeno a sentire lei. Dice che non hanno mai voglia di fare cose divertenti o spericolate. Preferiscono stare sempre in cortile a parlare di malattie, acciacchi e altre cose che li preoccupano. Nonnamatta ha paura di una sola cosa: di diventare noiosa e fifona come loro." 

Frasse non ha ancora sei anni e di paure, invece, ne ha parecchie. Quella che lo inchioda ogni notte è il terrore dei mostri. Si sveglia ogni volta urlando in faccia al suo papà che gli dorme accanto che un mostro lo insegue per farlo fuori... E come se non bastasse anche a scuola circola, nelle mani dei suoi più acerrimi nemici/amici, un librone in cui in ogni pagina c'è un mostro in bella mostra. 
E poi c'è la questione della festa da Pollicione: tipo pigiama-party, si dorme tutti da lui, ma come riuscirci con quel problema dei mostri nel sonno? Come può farcela il povero Frasse che dorme solo accanto al suo papà? L'unica soluzione è non andarci. Però è un vero peccato, no? 
Fortunatamente, però, nella vita di Frasse, c'è il giovedì, il giorno in cui Nonnamatta lo va a prendere (sempre un po') prima all'asilo per passare con lui il resto della giornata. 


Anche questo giovedì compare a scuola, ma questa volta non c'è un tranquillo pomeriggio di partitelle a carte e merende sulla coperta nel prato. Ascoltate le confessioni del nipote atterrito dai mostri, decide addirittura di fare con lui un viaggio di un paio di giorni per andare a visitare questo famoso bosco mostruoso, dove ogni creatura tremenda alberga. Davanti a Frasse si prospetta terrore e avventura in pari misura. 
Fatto lo zaino, si parte in treno, in cuccetta, e si arriva il mattino dopo in un luogo sconosciuto con un bosco bello fitto, al di là del quale... 

Nulla è mai fermo in questa storia. Tutto si muove e accade senza troppe spiegazioni. 
Già solo il fatto che sia diviso in capitoli che hanno, di due in due, scenari molto diversi tra loro crea questa costante sensazione di essere sempre un po' spostati di qua e di là. 


Poi come accade nella buona letteratura tutto si va a ricomporre in un unico quadro e altrettanto improvvisamente si esce dall'osservazione dei singoli fatti e si comprende il senso più profondo di tutto quello che è accaduto fin lì. 
In letteratura il motto anglosassone "Show, don't tell" trova un sacco di sostenitori, me compresa. Soprattutto quando mi interrogo su quali possano essere buoni ganci perché la lettura di un libro da parte dei più piccoli non sia vista come una delle peggiori condanne che vengono loro inflitte dai più grandi. Questa tendenza teatrale, ma forse meglio dire cinematografica, e aggiungerei poetica, applicata alla letteratura, funziona, soprattutto nei confronti dei primi lettori. Chissà che, in qualche misura, serva ad attutire il passaggio da quell'oggetto multiforme e multiparlante che è il libro illustrato, dove "il vedere" è previsto di default? George Saunders a proposito del tip "show, don't tell", scrive diverse cose molto sensate - tra le tante bellissime che ha scritto, scrive e scriverà. 
La prima: attenzione a non farne un dogma che ti prende la mano e si trasforma in un pilota automatico! 
La seconda: il "far vedere" - lo showing - ha il merito di tener lontano i concetti e le intenzioni palesi. Se facciamo accadere le cose senza troppe spiegazioni, stiamo per forza prendendo le distanze dai risultati overdetermined, sovradeterminati. 


Se non capisco male, questo modo di raccontare tiene lontano, guardando di fatto altrove, la didascalia sotto la figura, il messaggio. Che non viene escluso, ben inteso, ma allontanato almeno per un po'. 
Si confronti quanto detto all'inizio. 
Terza cosa: Saunders, che di sponda cita John Mcgahern, concorda su questo: "Penso che tutta la cattiva scrittura sia un giudizio e un’affermazione e che tutta la buona scrittura, in un modo o nell’altro , sia invece un suggerimento. Perché lasci da soli i personaggi e, attraverso le suggestioni e le immagini, metti nella mente del lettore la loro vita completa... e di conseguenza, ci sono tante versioni del romanzo quanti sono i lettori." (molto vicino a quanto detto a proposito del libro "L'occhio della montagna", o no?). 
Quarta cosa, che poi è un rilancio. Saunders suggerisce che per lui la soluzione che rende una scrittura interessante, stia piuttosto nella specificità. Quindi sia nel telling, quanto nello showing la tensione deve essere verso la specificity. 
E qui, in Nonnamatta, la si trova? Secondo me sì: in un nodo principalmente. Anzi, due. 
Prego riavvolgere il nastro ancora una volta fino alla frase di inizio. 
Dunque. Il primo riguarda la paura che diventa 'specifica' quando si declina - accanto a quella principale di Frasse per i mostri - con quella sotterranea della nonna, una paura che dopo i sessanta anni è abbastanza universale. Paura che arriva, bum, in un vagone o in cima alla scala, e che peraltro continua per molto tempo su altre scale, fino alla sua catarsi. 
E non direi una parola in più. 
Il secondo nodo ha a che fare con il concetto di mutuoaiuto tra un grande e un piccolo. 
Questione questa che nella letteratura del Nord, di norma, si dipana partendo da una visione assolutamente paritaria tra grandi e piccoli. Un adulto e un bambino valgono lo stesso, pesano lo stesso, se messi sui due piatti della medesima bilancia. La differenza tra loro è data dai ruoli. Uno fa il grande e custodisce e cura e mette cerotti, uno fa il piccolo e si sbuccia esplorando. 


Il bello che accade qui è, appunto, la reciprocità nel venirsi incontro a darsi un mano, ossia anche qui, come già molti altri fulgidi esempi di autori/trici nordeuropei, un piccolo può essere decisivo nel superamento di un ostacolo da parte di un grande, perché ha anche lui le sue personali fragilità e limiti.


E, bum, li ammette. 

Carla 

Noterella al margine. Sulla traduzione. Che io mi fidi e apprezzi Laura Cangemi, è roba nota. Dipende in larga misura dalla scorrevolezza che mette, dalla capacità di beccare i registri - e ne bazzica parecchi - ma anche, ed è qui il caso: carampana (nell'acc. 2 della Treccani), nell'uso di parole che sono nel mio lessico famigliare e che, sbagliando evidentemente, sento solo mie. 
Questi incontri mi stupiscono sempre, ma mi fanno subito sentire la Cangemi come una di famiglia. 

Noterella al margine². Sull'illustrazione. Dopo questo postone (post/pippone) non c'è stato il cuore di scrivere neanche una riga sul lavoro pazzesco di Anna Fiske. Ma lo avrebbe meritato. Magari, spero, non mancherà altra occasione...

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