venerdì 8 agosto 2025

ECCEZION FATTA!

BLOG IN PAUSA

 

di nuovo operativo 

dal 20 agosto

mercoledì 6 agosto 2025

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

COPERTI DI FANGO 

Due albi per mostrare e rendere fruibile il sotterraneo dialogo che si compie tra il sopra e il sotto, tra l’oscurità e la luce, il male e il bene. Due albi per conferire narrazione e parole all’interdipendenza tra la felicità e la rabbia, lo scontento e l’eccitazione, poli energetici apparentemente in conflitto ma facenti parte, tutti, della multisfaccettata e organica capacità umana del sentire. 
Due albi necessari, per spodestare un poco il valore che viene dato in automatico alle emozioni positive e smascherare come sia invece l’alfabetizzazione sensibile dei vissuti negativi a potenziarle, perché esattamente come per la tridimensionalità delle immagini, al nostro cuore servono anche le ombre, per vedere. 


In Sua altezza Poltiglia Principessa di Fango la consapevolezza profonda che Beatrice Alemagna da sempre dimostra per la coesistenza nell’animo bambino tra male e bene, luce e ombra è rintracciabile fin dal titolo, dove la poltiglia e il fango, elementi materici che si trovano letteralmente sotto i nostri piedi vengono legati a doppia mandata a concetti astratti quali altezza e regalità. Un titolo che è quindi una dichiarazione di intenti per quello che verrà raccontato. 


Questa è la storia di Yuki, che sconfortata dall’ennesima incomprensione con Sen, silenziosissimo e imbronciato fratello maggiore, getta le chiavi in un tombino. 
Yuki è colei scende, compiendo il passo volontario di entrare nella propria riconosciuta negatività. Perché lo dice subito, lei, di essere cattiva e intrattabile, ammette di urlare e sbattere i pugni a terra, sa di ingarbugliarsi come fili elettrici con grande facilità. Yuki butta le chiavi nel tombino e poi decide di andarle a riprendere, ed è qui, sotto lo strato di asfalto e pietrisco che separa la città del quotidiano dai suoi malmostosi sotterranei, che la sua avventura apre davvero alla consapevolezza. 



Negli oscuri cunicoli a cui approda, Yuki fa la conoscenza di sua altezza Poltiglia, la Principessa di Fango: una massa informe e bonaria che la invita cortesemente a seguirla nei luoghi in cui viene accumulato, analizzato e gestito il fango dell’anima, questa rabbia che Yuki si ritrova appiccicata addosso ma che, a quanto pare, oltre che a sporcare ha anche altre caratteristiche. Passando per la Giungla Nera, dopo aver fatto conoscenza con Caccoli, (piccoli e buffi esserini deputati allo sviluppo del senso di Colpa) Yuki oltrepassa Lagondiglio, e arriva alla Rabbioteca, dove scopre che la rabbia può essere catalogata a seconda delle sue specifiche modalità di espressione, e addirittura assaggiata, passando da sentimento informe a travolgimento scomodo sì, ma anche ricco di informazioni da degustare. 


Non solo: a corollario di questa alfabetizzazione gourmet, nei sotterranei – sempre bellissimi grazie all’illustrazione caleidoscopica e sensibile di Alemagna – Yuki mette a fuoco due questioni nevralgiche. La prima è l’interdipendenza tra il proprio sentire e le dimensioni della Principessa di Fango; la seconda è conseguenza diretta della scoperta che anche suo fratello sia passato di lì. Il fatto che tutti abbiano accesso ai sotterranei, che addirittura Sen abbia conosciuto la Principessa, che la rabbia e il suo fango appiccicoso non siano un fatto personale e solitario, legato indissolubilmente alla propria identità ma al contrario uno stato quasi fisiologico di pertinenza comune, permette a Yuki di ribaltare la gerarchia che relega il suo sentimento ai margini, come una inadeguatezza da nascondere e ignorare. È dopo aver disinnescato questi due fattori che Yuki può concepire la risalita. Mano nella mano con il fratello, approda alla calma lineare delle strade consuete, dei marciapiedi e dei muri. È tra le pareti di casa, tutte dritte, che la Principessa mostra il suo dono. 


 
Accolta, nominata, conosciuta e condivisa, sua Altezza Poltiglia si mostra per quello che è, un accadimento naturale quanto la pioggia, da attraversare senza paura come si attraversa la gioia, passeggero come passeggero può essere lo sporco che imbratta i vestiti, scomoda, certo, ma non per questo priva di angoli di bellezza. 


Percorso inverso quello de Il sasso più bello, anche se sempre giocato sulla linea retta che divide il sopra e il sotto, il limaccioso e l’aereo, il ristagno della palude e il movimento della corrente. Fin dalle prime pagine siamo accolti da tavole scure e avvolgenti, che pur suggerendo staticità sono percorsi da fremiti e bagliori, un’inquietudine dorata che sembra cercare una strada per oltrepassare i tratteggi fittissimi. 


Di questo si tratta: di un luogo dove l’acqua ha smesso di scorrere, dove le cose sono quello che devono essere e nulla si muove. In questo albo non si scende: siamo già sotto. La melma ha invischiato ogni vitalità, riempie gli occhi del panettiere fin dal primo mattino, l’acqua trattenuta ristagna a bordo del tavolo della colazione e per raggiungere i banchi e insegnare qualcosa le maestre devono strappare giunchi e ninfee. Primi piani della vegetazione si alternano a visioni notturne di treni e stazioni, dove i ricordi dell’infanzia si susseguono rapidi, frammenti che pur luminosi non possono che essere fagocitati dal martellante ritmo delle giornate. A quanto pare, non esiste sasso che possa rimbalzare su acque di questo genere, perché a stare sott’acqua ci si fa l’abitudine. 


Eppure, anche in un luogo così immobile è possibile che qualcuno azzardi il cambiamento. Accade una notte che bagliori e macchie trovino una strada per arrivare al cielo: un signore fa rimbalzare dei sassi sulla superficie irreprensibile dell’acqua, e questa in risposta risponde schioccando, come fosse uno strumento musicale. Dalla riva, suo figlio batte le mani e ride. Risvegliati dalla misteriosa melodia che sembra una lingua sconosciuta, altri bambini risalgono dalle profondità limacciose e, liberi dalle costrizioni del fango, si raccolgono attorno all’uomo alla ricerca del sasso più bello, quello con cui eseguirà il lancio perfetto, che rimbalzerà fino all’orizzonte e poi oltre, all’infinito. 


Questo uomo, senza nome, con la barba incolta e i vestiti stazzonati, è colui che risale. Colui che per amore si ribella alla rassegnazione compiendo un gesto che ha l’audacia del gioco e le radici profonde della memoria. Con una tecnica impeccabile, questo uomo al pari di un mago ha il potere di far scoppiare fuochi d’artificio e di accendere nei cuori altrui la meraviglia a il desiderio di emulazione, moltiplicando l’energia originaria nei gesti e nella gioia di tutti. Tutti i colori che serpeggiavano furtivi nelle illustrazioni, quasi inquinando le massicce campate di nero, convogliano liberi nei ricchi fondali marmorizzati e dinamici per sostenere questo slancio: arrivato sull’altra sponda il sasso non si ferma, trascina con sé l’acqua della palude, lo stagno comincia a gonfiarsi trasformandosi velocemente in onda gigantesca, in torrente, in fiume. 


Eccoli: Sua altezza Poltiglia principessa di Fango e Il sasso più bello
Due albi in cui si parla di ciò che sta sotto, il luogo dove la materia tutta decade, si frammenta, si decompone e dopo aver preso una pausa, si riconfigura. Il luogo del fango, un elemento che sporca, macchia, spesso maleodora e trattiene, da cui si cerca di allontanarsi ma in cui maturano i presupposti della fertilità futura. Perché è sempre qui, a contatto con la frantumazione minima, che si sviluppa la capacità di posizionare la gioia. È attraverso l’esaurimento dell’esperienza che è possibile risalire alla trasformazione. Perché in ogni frammento è conservata una minima parte del tutto, forse una luce giallo acida che non va perduta mai, nemmeno quando in apparenza sembra di essere tutti coperti di fango. 


Giorgia

“Sua altezza Poltiglia principessa di fango” Beatrice Alemagna, Topipittori, 2025 
“Il sasso più bello” Gilles Baum, Joanna Concejo, (traduzione di Lisa Topi), Topipittori, 2025 


lunedì 4 agosto 2025

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

TRE PREGI E UN PIZZICO DI FORTUNA

L'uomo il pesce e il mare, Daniel Fehr, Maja Celija 
orecchio acerbo 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"L’uomo viveva vicino al mare. 
Il pesce viveva nel mare. 
Il mare, be’, era il mare. 
L’uomo era affamato. 
Anche il pesce. 
Il mare, be’, era il mare. Con un pesce dentro."

La cosa successiva che accadde fu che l'uomo prese un verme da sotto un sasso, lo fissò all'amo lo buttò nel mare. E questo generò il seguente fatto: ora dentro il mare c'era il pesce che dentro sé aveva un verme. 
Questo fatto, a sua volta, generò una tensione tra due forze: da un lato l'uomo tirava per fare uscire il pesce dal mare e dall'altra il pesce tirava perché l'uomo entrasse nel mare. E questo atto strano confuse il mare. 
E quando il mare si confonde ne fa delle belle: si sentì tirato e poi spinto e quindi decise di capovolgere la situazione e quando il mare decide di capovolgere la situazione non ce n'è per nessuno. E infatti l'uomo finì nel mare, il pesce finì accanto al mare e il mare finì sulla terra. Una gran confusione, ma l'unico che aveva mantenuto la calma e la situazione sotto controllo fu il verme che, quando l'uomo tossì e mollò la canna, quando il pesce tossì e lo risputò a terra e lui finalmente libero poté tornare, seppure in ritardo, a casa dove tutti lo stavano aspettando per festeggiare... 
Anche l'uomo finalmente libero dall'acqua poté tornare, seppure in ritardo, dove tutti lo stavano aspettando. Ma lì nessuno festeggiò! 

Sono almeno due i grandi pregi che bisogna possedere per scrivere il testo di un albo illustrato che poi diventi un bell'albo illustrato. 
A queste due doti si deve aggiungere anche un pizzico di fortuna. 
Il primo pregio è: saper trovare una buona storia da raccontare. 


Il secondo pregio è: saperla raccontare, fermando le parole al momento giusto. 
Il pizzico di fortuna sta, in questo preciso caso, aver avuto Maja Celija come illustratrice. 
Procediamo con ordine. 
Daniel Fehr in questo libro ha dimostrato di possedere i due pregi. Che poi diventano tre. 
Ha avuto una buona idea, ossia quella di raccontare una giornata di pesca, focalizzandosi solo sui tre (anzi quattro) personaggi chiave. L'uomo, ossia il pescatore, il pesce, ossia il pescato, il mare, ossia il mare. A loro tre, che sono nel titolo, se ne aggiunge un quarto che è il verme. Il quale diventa, quasi suo malgrado, il filo narrativo intorno a cui uomo, pesce e mare letteralmente ruotano attorno. 
Il secondo grande pregio è quello di aver saputo raccontare questa piccola storia con un testo "asciugato" (!) all'inverosimile che a sua volta ha saputo trasformarsi in un gioco con le parole, inevitabilmente comico. E quindi, di grande efficacia. 
Il gioco, è cosa nota, è una delle cifre che Daniel Fehr usa con grande naturalezza per raccontare le sue storie. Spesso i suoi libri hanno la capacità di trasformarsi in divertimento. E anche questo suo ultimo non fa eccezione. 


Passiamo al secondo pregio. Le già poche parole si sono fermate al momento giusto per lasciar passare l'altro grande racconto che c'è negli albi, ossia quello fatto per immagini, che di solito ha la precedenza. E spesso e volentieri dice anche molto altro. 
E proprio questo molto "altro" è la ragione del successo che fa di un albo un buon albo. 
Va da sé che perché questo si verifichi, chi scrive deve avere la sensibilità di tacere e di fare passi indietro quando c'è da farne. 
E, vi assicuro, non è così automatico che succeda. Spesso gli scrittori digeriscono male di non essere mattatori assoluti e soprattutto non dimostrano di avere la buona abitudine di non scrivere troppo e di dimostrarsi rispettosi dello spazio condiviso... 
Fehr questo lo sa fare. 
E su questo secondo pregio di Fehr si innesta il suo colpo di fortuna, ossia arriva Maja Celija che si appassiona al suo testo un po' folle. E ci costruisce intorno quelli che lei è sempre molto capace di fare: veri e propri mondi/contenitori ben più grandi di quelli raccontati a parole. 
Se da un lato, appunto, le parole di Fehr sono piuttosto ferme e concentrate sui tre personaggi, dall'altro sono state anche capaci di lasciare una grande zona di libertà intorno al verme. 
A volerla proprio dire tutta, Fehr anche sul verme aveva messo nel testo alcune suggestioni, che però non convincevano né Maja Celija né soprattutto l'editrice. 
Senza entrare qui nel dettaglio, la direzione che il testo di Fehr prendeva è sembrata troppo "adulta", e con ogni probabilità sarebbe passata sulla testa dei bambini che invece di feste e compleanni ne hanno esperienza diretta... 
E, visto poi come è andata, forse si può riconoscere a Fehr quindi anche un terzo pregio, ovvero quello della modestia, in nome della miglior riuscita di un lavoro che, come non si deve mai dimenticare, è collettivo. 
Maja e l'editrice trovano la festa di compleanno del verme la soluzione più efficace e Maja disegna perché questa parte - che nella prima versione del testo parlava di ben altro - prenda spessore. 
Il libro sterza e si incammina quindi in una direzione inaspettata per lo stesso autore. 


Daniel Fehr, con grande umiltà, si mette al servizio dell'opera, ossia si impegna a fare il meglio possibile, il suo lavoro di autore delle parole di un albo illustrato. 
E per arrivarci lima il testo, lo cambia quel tanto che occorre e addirittura si tace nel grande finale, che Maja gli ha servito - ironia della sorte - su un piatto... vuoto! 

Carla

venerdì 1 agosto 2025

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

Da oggi succede questo. Si riapre la rubrica IL RIPOSTIGLIO. 
Come esattamente un anno fa, prendendo il nome da un titolo da un meraviglioso racconto di Saki. 
E nasce dal desiderio di di togliere dall'oblio di un ripostiglio quei libri di orecchio acerbo (clic) che - per l' imbarazzo che nasce da un conflitto di interessi patente - non hanno meritato a tempo debito neanche una riga su questo blog. 
Visto che l'imbarazzo è comunque inevitabile, la rubrica avrà una cadenza vacanziera. 
Date queste premesse, la rubrica si sarebbe potuta anche chiamare: In punta di piedi, Tutto cambia, Vacanze o ancora Oltre il giardino
Ma non è successo. 

Gli esploratori della sera, Anne Brouillard (trad. Paolo Cesari) 
orecchio acerbo 2024 


ALBI ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"La giornata sta finendo. È un po’ dolce e un po’ triste. 
Si sente il mormorio del mondo che si fonde nella notte: il rumore lontano di una strada, la musica di un carretto dei gelati, voci ovattate che si chiamano... 
Martino sa sempre dov’è Dudù. Con Mimì è diverso. 
Lei è lì. Poi non è più lì." 

Martino, il suo peluche Dudù e la gatta Mimì hanno giocato insieme per tutto il pomeriggio nel bosco che confina con il giardino di casa. Hanno inventato una capanna, hanno inventato una battuta di pesca, si sono arrampicati sull'albero per vedere il mondo dall'alto. 


Ma adesso è l'imbrunire. La luce del sole cala e Martino con il fedelissimo Dudù decidono di tornare verso casa. Solo Mimì si dirige altrove e sparisce... 
I gatti son così. Tra i tre è lei quella che ha il coraggio, la voglia e forse anche il bisogno di esplorare la notte. 
Martino e Dudù rientrano e vengono accolti e avvolti dalle luci della casa, da una cena con mamma e papà. E quando si fa l'ora di andare a dormire il piccolo Martino continua a sbirciare dalla finestra per cercare di vedere se la gatta Mimì stia tornando. 
Di lei nessuna traccia. Martino cede al sonno. 
Ma con il favore della notte, la notte fonda, la gatta silenziosa rientra, e con un lieve miagolio si annuncia e sale sul letto dove Martino dorme e Dudù veglia... 

A ogni estate c'è un libro di Anne Brouillard di cui parlare. 
E questo può solo essere un bene. 
L'anno passato, nel Ripostiglio del 23 agosto c'era Nino. 
Una storia che con questa ha molti punti di contatto. 
Lì come qui si ritrova la passione di Anne Brouillard per le storie dove mondi differenti si toccano e si penetrano a vicenda. Il mistero del bosco, il selvatico odore di una foresta confina con il mondo conosciuto che ci siamo costruiti: la nostra casa, i nostri affetti. 
Lì come qui ci sono personaggi che fanno la spola tra le ombre di un bosco e la tranquillità di una casa.
Lì come qui si esplora una zona di confine anche temporale. Il giorno finisce e comincia la notte. 


Lì come qui ciò che un adulto potrebbe credere inanimato, ossia un peluche, si rivela agli occhi dei bambini, come qualcosa di molto vero e molto vivo! 
Questi sono temi così cari ad Anne Brouillard che proprio non può fare a meno di farli entrare nelle sue storie. 
Il bambino Martino e il suo peluche, che porta un nome che non a caso allude al nome che hanno i pupazzi in Francia (in francese, doudou), sono esploratori a mezzo servizio. 
La vera esploratrice è naturalmente Mimì. 
Lei ha ancora più fresco di Martino il desiderio di sentirsi parte di una natura che la contenga. 
I bambini, e Peter Pan ce lo ha insegnato, quando nascono hanno molto chiaro il ricordo di essere parte di qualcosa di molto più grande di loro. 
Loro sanno, ovvero possono ancora ricordare, di appartenere alla natura, come un filo d'erba o come una puzzola. Il loro crescere, lentamente, li porta a dimenticare, ogni giorno che passa, questa loro selvatichezza. 
A tale proposito, illuminante come sempre il pensiero di Giorgia Grilli su questo stato dell'anima dell'infanzia. Da leggere. 
Questa condizione dell'infanzia, Anne Brouillard la conosce e la racconta da sempre. 
Qui però ne segna anche il percorso verso l'oblio. 
Martino e il suo peluche sentono di appartenere anche al mondo 'civilizzato' e usano il bosco come un parco giochi. 


Però non lo si può negare: c'è un'ora precisa in cui ciascuno di noi sente una sorta di malinconia, di struggimento, un richiamo forte che ci fa scegliere, sera dopo sera, tramonto dopo tramonto, la sicurezza di un rifugio caldo e illuminato. 
Noi, purtroppo, non siamo gatti (o almeno non lo siamo più...) 


Mimì invece è gatto e il mondo a cui appartiene di istinto è l'altro, ma un letto morbido, un bambino che ti coccola e una ciotola piena al tuo ritorno possono ben valere qualche compromesso... 

Carla