mercoledì 17 settembre 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

LAGGIÚ, OVVERO PRENDERE UNA DIREZIONE


“Ogni eroe ha una storia [...] 
Tutti vogliamo vedere un eroe. 
Dargli una pacca sulla spalla, stringergli la mano e dirgli quanto è stato in gamba, quanto gli siamo grati. Vogliamo che sia coraggioso, ma non vogliamo sentire quanto quel coraggio gli è costato. Non vogliamo sapere che sotto tutto quel coraggio c’è la paura, profonda e fredda come il fiume Watauga dopo il primo disgelo di primavera. Non vogliamo sentire la sua storia. O, comunque, non la sua storia vera. Preferiamo raccontare una storia nostra. 
Era così quando i soldati partivano per la guerra e poi tornavano a casa. E fu così anche per Jack.” 

Una storia complessa e parecchio avvincente quella raccontata in prima persona da Danny che ha 13 anni nel 1943 e vive a Foggy Gap. Ci troviamo in una piccola cittadina sul fiume Watauga, al confine coi boschi, nel Nord Carolina. 
Gli Stati Uniti sono nel pieno della seconda guerra mondiale. 
Danny è un adolescente attento che si fa interrogare dagli eventi. 
E gli eventi sono due: la guerra e Jack Bailey. 
La guerra arriva a Danny con la retorica nazionale sull’eroismo nei “campi di battaglia della democrazia”, gli appuntamenti radiofonici con le “chiacchierate al caminetto” di Roosevelt, le prime sussurrate notizie sui lager nazisti. Ma anche con il razionamento dei viveri, l’orto di guerra nel giardino di casa, la raccolta dei metalli per gli armamenti, qualche papà o fratello che si arruola, e qualcuno che già non torna, qualcuno che diserta. 
E poi c’è Jack: il suo migliore ed eroico amico, che però nasconde una storia difficile e una scomparsa misteriosa… compreso l’enigma di un posto chiamato Yonder. 
Il racconto parte da un prologo che apre già a una domanda: che cos’è un eroe? 
Forse quel ragazzo, Jack Bailey, di pochi anni più grande di lui, che quel giorno di qualche anno prima aveva salvato a nuoto le gemelle Coombs dal diluvio che fece esondare il fiume Watauga? L’unico ad avere il coraggio di tuffarsi mentre tutti gli altri del paese restavano immobili? Quel giorno, ci dice Danny, “tutti eravamo d’accordo sul fatto principale: Jack Bailey era un eroe. Nessuno però si soffermò a riflettere su cosa fossimo noi.”
La paura e il coraggio. 
Possiamo dire che è tutta qui la questione nella quale, insieme a Danny, ci imbattiamo attraversando questa storia, che comincia un venerdì di giugno del 1943, e comincia con la misteriosa scomparsa di Jack Bailey. A partire da quel venerdì, Danny cercherà di risolvere quel mistero e in sette giorni porterà avanti una vera e propria investigazione da detective story. 
Ma lasciamo momentaneamente da parte la trama per soffermarci sulla struttura del racconto. 
C’è un prologo in cui Danny ci parla da un tempo presente, quando tutto è già accaduto da un pezzo, poi ci sono i capitoli che narrano i giorni alla ricerca di Jack (da quel venerdì al successivo giovedì del giugno ‘43), e poi ci sono i capitoli -stampati su carta grigia - che intervallano i precedenti, e che raccontano singoli fatti pregressi. Una struttura narrativa ben studiata, costruita su diverse linee temporali che si richiamano e si collegano agganciandosi l’una con l’altra con precisi richiami (al modico prezzo di un leggero stordimento temporale per chi legge). 
Grazie a questo intreccio dei tempi del racconto accadono contemporaneamente due cose. 
La prima: chi legge ha modo di conoscere fatti e antefatti della vicenda narrata procedendo con informazioni aggiuntive che i continui flashback forniscono di volta in volta. 
La seconda: con questo flusso di pensieri e di eventi, con questo andare costantemente tra prima e ora, Danny pare proprio impegnato a stendere ponti tra due sponde che improvvisamente si aprono sotto i suoi piedi, due rive che sembrano allontanarsi sempre più: l’infanzia (prima) e l’adolescenza (l’ora). Grazie a questo andirivieni, Danny può mettere insieme i pezzi di una nuova consapevolezza come se quei flashback fornissero anche a lui delle informazioni aggiuntive su se stesso e sul mondo. Un fitto lavoro interiore che, sulle tracce dell’eroe scomparso, lo porta a cercare risposte a domande che non si era mai posto prima, a fare i conti con la propria paura, con la lealtà, con le violenze nascoste, con le apparenze, coi pregiudizi. Danny scopre che la guerra è dovunque, sui campi di battaglia, ma anche nel suo Paese (Foggy Gap come gli Stati Uniti d’America) ancora invischiato nella segregazione razziale, nella paura che diventa complicità di chi sa e non dice, nella prepotenza dei potenti. O semplicemente nell’indifferenza condivisa, come quel giorno delle gemelle Coombs e del diluvio che se le stava portando via. 
E così Danny, che già conosceva la paura, scoprirà il (suo) coraggio. 
Qualche passaggio didascalico di tanto in tanto (soprattutto nel finale) non toglierà il piacere della lettura di questa storia ben raccontata, con un adolescente attento che abbandona l’infanzia aprendo gli occhi sul mondo. 
Ma Yonder? A Danny gliene aveva parlato Jack, e a Jack lo raccontava spesso sua madre. 
Yonder – raccontava – è “una città perfetta […]. Dove non hanno mai neppure sentito parlare della guerra. Con una tavolata che si stende sulla via principale, così lunga che non riesci a vedere da un capo all’altro. Tutti mangiano insieme. Nelle notti fredde accendono fuochi e la città intera si siede al tavolo a cantare canzoni e raccontare storie. E quando fa caldo, dormono tutti su amache tirate fra gli alberi”. Yonder, in inglese, “laggiù”. Una direzione, un’indicazione verso un luogo dove non siamo ancora, una lunga tavolata ancora da imbandire. 

Patrizia 

 “Yonder. Per sognare un mondo senza guerra”, Ali Standish, trad. di Anna Carbone, Mondadori 2025 


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