venerdì 30 agosto 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

A VOLER CONTARE LE COSE INTERESSANTI

Una storia troppo corta, Davide Calì, Marianna Balducci 
Edt Giralangolo 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"C’erano una volta 3 porcellini. 
Venne un lupo e uno dopo l’altro se li mangiò. FINE 
Che storia corta. La voglio più lunga! 
C’erano una volta 4 porcellini. 
Venne un lupo e uno dopo l’altro mangiò i primi tre. Poi mangiò anche il quarto, ma per quello ci mise un po’ di più perché era più grasso. FINE. 
Ma è sempre corta! Devono capitare delle cose!" 


I porcellini diventano 5, ma il lupo se li mangia, con dedizione, uno dopo l'altro. L'unica variante è la festa di carnevale che ha luogo nel bosco accanto. 
Protesta formale da parte dell'ascoltatore e lieve disappunto per questa intrusione carnascialesca. Quando i porcellini diventano 6 si scoprono le loro singole attitudini: ce n'è persino uno che sa andare sullo skate, circostanza che però non lo salva dalle fauci del lupo. 
Protesta formale da parte dell'ascoltatore e lieve perplessità sulla questione skate che in verità avrebbe dovuto metterlo al sicuro. 
I porcellini diventano 7 e prendono i colori dell'arcobaleno, ma nonostante questo il finale è tetro: nero, addirittura. 
Solita protesta formale. 
Quando diventano 8... no non diventano otto, ma direttamente 11: quanti ne servono per formare una squadra di calcio. Finale della partita 0 a 0 e lupo a pancia piena. 
Protesta formale. 
I porcellini aumentano: diventano quante sono le lettere dell'alfabeto della tastiera: quello completo di j,k,w,x e y! Ma niente. 
E così, si va avanti di decine e di centinaia e di cifre a tre zeri, tra una protesta formale e l'altra perché le storie che la misteriosa voce fuori campo racconta non superano mai le quattro righe di testo. Oltre a finire tutte immancabilmente in una gran carneficina. 
Finale a sorpresa. 

In questo libro, che si appoggia comodamente su una trama che tutti conoscono, succedono diverse cose interessanti.
A prescindere dal fatto che si rende necessaria lettura condivisa tra un grande e un piccolo.
A prescindere dalla scelta vincente di Calì di far ridere tutti, con il meccanismo di rilanciare sempre un po' di più, creando un crescendo sempre più esagerato che decolla verso assurdo. E di farlo chiamando dentro il bambino ascoltatore, che protesta dopo protesta, può fraternizzare con la voce che pretende di essere accontentata.


Le cose più interessanti io le trovo nelle pieghe. 
La prima è di nuovo nel testo: ovvero la capacità di chi scrive di mettere a disposizione di chi poi sarà lì a illustrare un bel po' di spazi di silenzio e nel contempo un bel po' di ganci a cui eventualmente appendersi con le proprie figure. In questo senso le cifre che Calì snocciola hanno tutte un preciso senso che serve a lui per costruire la pur esile trama, ma nello stesso tempo alludono a contesti che Balducci potrebbe, se vuole, seguire come sentierini da percorrere. 
I numeri 26 con allusione all'alfabeto, il numero 29 con riferimento a un calendario, il 101 con il suo collegamento cinematografico, sono esempi di questo bel modo di costruire la storia. 
L'altro fatto interessante è nel disegno, che compete altrettanto allegramente con il testo. 
La cifra della Balducci qui si riconferma. La commistione di fotografia di oggetti e il disegno che si aggiunge, sono l'espressione di quel suo sguardo originale sulla forma delle cose. Lei le reinterpreta spesso e volentieri attraverso un segno o una pennellata che si aggiunge, e questo rende la risultante finale inaspettata, e spesso divertente. 
In questo suo modo di lavorare, non so quanto consapevolmente, Balducci sa farsi apprezzare - altra cosa nelle pieghe - da tutti gli osservatori attenti, adulti compresi. L'aver capito che la qualità di un albo illustrato la si ottiene anche e soprattutto sapendo parlare, ovvero avendo cose da dire, a grandi o piccoli, è quindi siamo a tre cose interessanti. 
Altro motivo degno di nota è il fatto che Balducci sappia prendersi il suo spazio, quello dell'illustrazione, senza cederne neanche un cincino di troppo al testo. 


Intendo dire che quel pallottoliere, fino a che l'oggetto in sé glielo permette e poi solo le sue palline, che lei non lo fa mai uscire di scena e che diventa appunto il suo personale palcoscenico in cui muovere i porcellini, è tutta farina del suo sacco. 
Con questa sicurezza che compare fin dalla prima illustrazione Balducci fa la quarta cosa interessante, ovvero decide di volta in volta a quale gancio di Calì appendersi e a quale no. Per esempio i 101 porcellini non risentono del riferimento alla ben più nota Carica, ma offrono un divertente repertorio di comparse in attesa di scrittura. Quindi lei sa perfettamente di poter decidere di raccontare tutto quello su cui sapientemente Calì tace. E lo fa. Con molto gusto, si direbbe. 
A questo proposito i dettagli diventano la chiave di lettura di molte tavole. Dal ritratto di Calì nei risguardi in poi. Per esempio le singole soluzioni che trova quando si parla di arcobaleni o quando si gioca sui mesi di febbraio negli anni bisestili oppure ancora quando decide di 'interpretare' la lista di nomi dalla A alla Zeta che Calì mette giù.


O ancora quando, lasciandoci nel dubbio su quello che stiamo vedendo, racconta a modo suo la raggiunta sazietà del lupo. Siamo di fronte a un estremo atto di gentilezza del maialino azzurro o a uno di assoluta perfidia? 


Mi augurerei si tratti di sana vendetta, di certo è la quinta cosa interessante!

Carla

Noterella al margine. Come in ogni buona somma, se le cose dovessero essere andate tutte al contrario, ovvero essere stato Calì ad aver scritto il suo testo sulle immagini della Balducci, il risultato finale non cambierebbe. 

mercoledì 28 agosto 2024

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

ATTENZIONE, RIMANETE DISTRATTI! 

Se le immagini sono il regno dello sguardo, allora gli albi che convogliano i loro segreti nelle illustrazioni affidano all’occhio un compito di ricerca che solo apparentemente può essere svolta attraverso la statica dell’attenzione e che anzi moltissimo deve alla capacità disvelativa della sua sorella minore, la sottovalutata e bistrattata distrazione. 
Se la prima, infatti, gode di un certo lustro e viene chiamata in causa ogni volta che si vuole avere la certezza della forma e della misura, la seconda, fatta di occhi ondeggianti nel vuoto e di numerose perdite di fuoco, conserva la porosità necessaria all’accumulo tridimensionale di dati sensoriali e alla nascita del pensiero.


La spiaggia, albo di Sol Undurraga premiato alla BCBF del 2018 con il Bologna Ragazzi Award categoria Opera Prima, si presenta così, maestosamente fuori misura e stracolmo di immagini pullulanti di particolari. Scanditi regolarmente un’ora dopo l’altra, corrono i singoli momenti a descrivere la protagonista del racconto: la spiaggia. Ecco gli innumerevoli gabbiani, il riverbero dei raggi solari, l’affollarsi delle mani dei pescatori attorno ai corpi guizzanti dei pesci, le prue delle barche, le reti…
 

E poi la gente, i corpi, le persone, ognuna concentrata nella propria singolarità e tuttavia senza volto, senza nome, masse in azione sul margine sfrangiato della battigia, pure funzioni atte a costituire il tutto. Le parole ci sono ma stanno laggiù, relegate in un angolo in basso a destra e nulla davvero aggiungono a quello che appare nell’immagine ma piuttosto contribuiscono ad una sorta di inerzia analitica che caratterizza la prima osservazione. 


Poi d’incanto si aggiungono elementi sensoriali, arriva il calore, lo schiamazzo, l’odore dei panini, della frutta, del carburante dei motoscafi e del barbecue, in una vertigine sensoriale che finisce per stordire e accecare Come giustamente chiosa il testo quando finalmente si sbilancia, alle quattro meno un quarto “c’è così tanta gente che è praticamente impossibile vedere anche solo un granello di sabbia.” 


È quindi per caso e per sfinimento che succede l’aggancio. Un singulto d’attenzione spanata e l’occhio sobbalzando li vede. Cinque piccoli amici a bordo di un aeroplano. Sono fatti di una pasta diversa, loro: sono animali, buffi, minuscoli. Se le figure umane quasi non hanno identità, loro hanno occhi, gesti e intenzioni. Se il moltiplicarsi di particolari e l’omogeneità della palette – tutta giocata sui toni primari - comporta una fisiologica saturazione, i piccoli amici hanno invece gesti che suggeriscono un dialogo intimo con il contesto e in definitiva dotano l’occhio di una direzione.


Alla stolida sequenzialità del tempo, che scorre inesorabile, si aggiungono le vicende dei nuovi personaggi, un controcanto che dota lo sguardo di nuova energia e capacità di concentrazione: quando è stata la prima volta che è apparsa la coppia di coniglietti innamorati? E il Dinosauro? Chi c’era sulla barca oltre Elefante e Scimmia? Dove vanno Coccodrillo e Orso? La curiosità che si innesca è un impulso che ribalta l’andamento dell’albo: non si procede più in senso cronologico, ma da destra a sinistra, si arretra e si avanza, magari per tornare indietro di nuovo, e poi ancora. Trovare i nuovi personaggi diventa un pretesto dinamico per posare lo sguardo sulle grandi tavole con intenzione. 
La concentrazione al particolare permette così di attraversare spazialmente il racconto di un luogo, ed infine di sentire, tutto intorno, l’unitarietà della protagonista dell’albo, la spiaggia, tante cose innumerevoli contenute in un unico luogo. In senso sottilmente contrario lavora l’albo M come il mare.


Fin dalla copertina l’ingaggio dell’occhio si distanzia dalla classica osservazione capace di riportare come cane fedele oggetti e concretezze con un nome preciso. Qualcosa occhieggia tra i marosi agitati, si intravede, si afferra e scompare. Anche la storia, affidata ad una voce bambina si rivela refrattaria alla completezza, e nonostante il testo piuttosto corposo rimane moltissimo vuoto che tocca al lettore compensare, immaginando attraverso i riverberi delle illustrazioni - interlocutorie e apparentemente senza legame- quello che le parole, pur dicendo, non sigillano in una verità completa.


Di fronte al mare, disorientato da qualcosa che è successo, incapace di riconoscere ciò che conosceva, forse sovrastato da un’immensità troppo grande per essere (ancora) nominata, M. sente la propria presenza e tenta una misurazione della propria esistenza al cospetto del mare. 


Se nell’albo precedente veniva raccontato per accumulo quello che identifica la spiaggia, qui il luogo da indagare è una interiorità, spazio concluso e infinito contenuto nel corpo di un bambino. Inutile proseguire con l’arma tagliente dello sguardo attento. Piuttosto, socchiudere gli occhi e affrontare la narrazione lateralmente, processando le immagini non per ottenere risposte certe, ma mistero, confidando più nella suggestione e nel riflesso che non nella chiara eloquenza. Rarefatte e enigmatiche, composte con tratto minuscolo e vibrante le illustrazioni si susseguono comportandosi come indizi di una presenza ineffabile; sono squarci, istantanee che assomigliano tanto agli abbagli del mare, alla luce del sole che riflessa illumina e acceca, sono, segni, detriti sottratti all’immensità per restituire – seppur in silenzio – il senso inafferrabile di una identità. 



Attraverso i disegni delle foto –secondi sottratti alla rigida sequenzialità del tempo - troviamo il bambino come troveremmo il mare, attraverso manciate di coralli, sassi e conchiglie , ricostruito attraverso gesti e sguardi che attestano una presenza che si consuma e rigenera incessantemente. 


Una individualità circoscritta e delimitata dalla presenza del mare , perché nel mare si può trovare tutto, anche il cuore di un bambino che realizza di non essere piccolo, ma immenso come il mare in cui si rispecchia e di cui reca traccia in sé, già che il salato delle lacrime.


Si dice che stare attenti è importante, ma altrettanto forte andrebbe detto che la distrazione nient’altro è che una attenzione diffusa, rivolta al tutto che ci circonda e ci riempie, Soltanto attraverso il mistero della percezione del tutto, tutto può essere immaginato, finanche il mistero di un cuore di un bambino. E quindi è salvo anche il nostro. 

Giorgia

 “La spiaggia”, S. Undurraga, (trad. Camilla Diez), Fatatrac 2023
 “M. come il mare” J. Concejo; Topipittori 2020

lunedì 26 agosto 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LE VIE DELLA RISCRITTURA

Il lupo cattolico e altre storie, Alex Pardi 
Marcos y Marcos 2024 


NARRATIVA PER MEDI (dai 9 anni) 

"'Ciao' disse 'E tu chi sei?' 
Il lupo che era ancora sovrappensiero e comunque non era abituato a tanta disinvoltura, fu colto di sorpresa. 
'Io? Io sono il lupo catt...' iniziò a dire, ma riuscì a mordersi la lingua, proprio all'ultimo, tossì un paio di volte, e continuò: 'Cattolico. Sì sono il lupo cattolico'. E fece un bel sorriso. 
'Oh!' disse Cappuccio. 'Un lupo religioso! Forte!' 
'Già!' disse il lupo." 

Come vuole la consuetudine, fu poi il lupo a chiedere alla bambina chi fosse e lei con assoluta sicurezza e anche un po' di fierezza, rispose che il suo nome era Cappuccio e non era più una bambina. Stava andando da Nonna Lea a portare due focaccette e soprattutto a fare rifornimento di marmellata di cipolle di cui era ghiottissima. Tutto questa storia che Cappuccio raccontò in poche parole prima di andarsene per la sua strada, fece venire in mente al lupo la ben più nota fiaba e quindi indicò a Cappuccio una scorciatoia, ma lei non lo ascoltò nemmeno. Fu lui a decidere di seguirla e poi di superarla al momento opportuno per arrivare prima di lei e fare pranzo con la nonna e poi merenda con Cappuccio in persona. E mentre - faticosamente, molto faticosamente - cercava di arrivare a destinazione (ma dov'era mai questa casa della nonna?), elaborava il suo piano e si esercitava a imitare la voce della ragazzina per prendere in castagna la nonna e farsi aprire. Non servì perché quando arrivò, la nonna gli aprì la porta e Cappuccio - che nel frattempo era già arrivata e l'aveva aiutata a spaccare un po' di legna - nel vederlo lo riconobbe  - Ciao! Nonna, lui è il lupo cattolico!
E lui, nel suo nuovo ruolo, cosa avrebbe potuto rispondere se non un classicissimo Sempre sia lodato

Ecco. Quando qualcuno ha una bella idea, è sempre cosa buona e giusta segnalarla. 
A me pare che Alex Pardi, dietro al suo lupo, qui abbia avuto un bel guizzo, trasformando, con una arguta capriola di senso, il catt di catt-ivo in un molto meno pericoloso (?!) catt-olico. E poi, giustamente, gli è andato dietro. Quindi il lupo che lui racconta, già un po' in disarmo di suo, è ancora furbetto, ma deve adattarsi alla circostanza e da feroce predatore si trasforma un mite pastore di anime, nonché in un valente giocatore di carte. Contento di avere finalmente compagnia e buone amicizie, ogni settimana si ripresenta tutto azzimato e con qualche regaletto per nonna e nipote per giocare con loro a grattanaso, strozza e coppino. 
Le vie del signore e della scrittura sono infinite. 
Come infinite - o quasi - sono le riscritture delle fiabe. 
In questo tipo di storie, tuttavia, la differenza tra il buon artigianato e il bel libro la fa l'originalità del punto di vista e naturalmente la qualità dello stile. 
Direi che Alex Pardi qui ha dimostrato, almeno nella maggioranza dei casi, di saper essere all'altezza. 
Nelle sei fiabe rivisitate (in verità alcune sono costruite non su fiabe precise ma su archetipi che a quel mondo appartengono, i draghi, per esempio) lui ha fatto una scelta di campo e di sguardo: divertirsi e divertire.
Gioca con le parole - dal cattolico del lupo ad Anselmo e Greta con la loro pasticciera strega, nonché ufficialmente zia ricca - e, più in generale, con la nomenclatura di personaggi e luoghi che spesso e volentieri fa davvero ridere. 
Ma gioca e si diverte anche con il senso più profondo che a ogni racconto vuole dare. E anche in questo l'ironia continua a essere la sua cifra. 
Sebbene non sempre con lo stesso risultato, Pardi nella maggioranza delle storie ha saputo trovare un suo originale nodo di senso, rielaborando quello di partenza, e ribaltandolo per dire qualcosa di più denso. 
In sostanza, ne Il lupo cattolico e altre storie, come in ogni buona fiaba, pur con quella cercata vena ironica che le attraversa, continuano a fare luce sulle pochezze e sui vizi dell'umano genere. Necessariamente, tutto intorno, Pardi ha dovuto costruire anche molto altro, allontanandosi di fatto dal canone originario, ma sapendo comunque mantenere della fiaba il linguaggio, nonostante lunghezza e complessità delle sue trame.Tutti i suoi personaggi, diciamo così, originali hanno un loro senso di esistere nel plot, ma sono capaci anche di mantenere un loro habitus tipico, ovvero quel loro essere simboli, icone fuori dal tempo: penso ai vari re e regine, conti e contesse, alla sindacalista Bianca, al coraggioso Arturo o ai naturalisti Camillo e Nasturzia o al generoso e balbuziente Saverio. 
Così di fiaba in fiaba, di archetipo in archetipo, chi legge riconosce, tra un sorriso e una risata, quel che c'è da riconoscere. E, nel frattempo, può decidere di andare anche oltre. 
Ed è proprio in questo oltre mi pare di cogliere un'altra scelta di Pardi: una voluta attenzione e stima nei confronti di una categoria umana che più di altre nelle sue storie brilla. I bambini che, come in ogni fiaba classica, stanno lì a cimentarsi e soprattutto a sfidare e superare gli ostacoli (qui anche le convenzioni e certi stereotipi) del mondo degli adulti, in particolare di quelli che decidono per loro e che comandano, cioè quasi tutti. 

Carla

venerdì 23 agosto 2024

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

LA PERMEABILITA' DEI MONDI

Nino, Anne Brouillard (trad. Paolo Cesari) 
orecchio acerbo 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"'Ciao' dice Coniglio. 'Ti sei fatto male?' 'No' risponde Nino, 'il terreno è molto soffice.' 
Coniglio invita Nino a prendere il tè a casa sua. 
Coniglio ha una famiglia numerosa ma a quest’ora dormono tutti. 
'Tu vivi in una casa di umani?' chiede Scoiattolo che abita più in alto, sull’albero. 
'Sì, risponde Nino, in paese.'" 

La cosa che è appena successa è che Nino, un peluche di orso in giacca rossa, sciarpa di lana e blue jeans, è caduto inavvertitamente (?) dal passeggino del suo bambino. Il piccolo Simone sta dormendo e i suoi genitori sono con il naso per aria per ammirare il bosco che stanno attraversando. Nessuno di loro si è accorto che Nino è per terra. 


Solo Coniglio, visto che il fatto è accaduto davanti al buco della sua tana, lo ha notato e così corre in suo soccorso. Il peluche non si è fatto male ed è ben contento del tè e della torta che gli vengono offerti. 


Su quello stesso albero, che tra le radici ospita la casa di Coniglio, abita anche Scoiattolo. Sceso per conoscere Nino, non perde tempo e lo invita anche a casa sua, con una vista ben più panoramica di quella di Coniglio. Tutta piena di provviste, la casa di Scoiattolo offre una bella visuale sul bosco ed è proprio su uno dei rami più alti che Nino fa la conoscenza delle cinciallegre che lo portano - di ramo in ramo - fino al limitare del bosco, dove Nino può vedere da lontano il villaggio dove vive e nel frattempo rendersi conto che si sta facendo notte e lui su quel ramo è rimasto da solo.
Tornare a casa potrebbe essere pericoloso, meglio allora accettare l'invito della volpe che silenziosamente lo conduce attraverso il bosco: le ne è la custode notturna. 


Quando, sul far dell'alba, minaccia di piovere, lei - piena di premure - lo riporta da Coniglio dove Nino finisce la notte tra i coniglietti sotto le coperte. 
Pronto e riposato, il mattino dopo si fa ritrovare dal piccolo Simone che, felicissimo lo riabbraccia e se lo stringe al collo. 
Quale occasione migliore per Nino di raccontare all'orecchio di Simone la sua meravigliosa avventura? 
Finale a sorpresa. 

Questo albo di piccolo formato, per mani adatte, fa parte della bibliografia più recente di Brouillard, per intenderci quella con una più forte impronta narrativa. 
Contiene in sé alcuni delle costanti della poetica di questa autrice belga. 
Proviamo a elencarle. 
Il tema della natura, il tema della piccola comunità di animali molto accogliente, il tema della casa e dell'abitare, il tema della scoperta e dell'avventura, il tema della permeabilità dei mondi. 


Natura: non c'è libro di questa autrice dove la natura sia in secondo piano. Lei stessa lo dichiara: non potrei immaginare me stessa al di fuori di questo contesto, ne sono parte. Fin dalla sua infanzia per arrivare a tutt'oggi, Anne Brouillard ha sempre cercato di circondarsi di boschi, corsi d'acqua, laghetti e foreste (quelle svedesi sono le sue preferite), anche se durante i suoi studi ha vissuto a Bruxelles, quando ha dovuto pensare a un luogo che sentisse come casa, ha scelto di tornare vicino agli alberi. 


La piccola comunità è di nuovo qualcosa che appartiene al suo dna: è lei stessa a raccontarlo e a fare costante riferimento alla letteratura svedese, in particolare a Tove Jansson con i suoi Mumin. Fin da bambina ha sentito forte la sensazione di essere parte di una comunità allargata in cui animali, oggetti, e persone sono in relazione emotiva forte. Infatti, spesso e volentieri nei suoi libri esistono microcosmi in cui agiscono animali parlanti che hanno come obiettivo quello di creare armonia.
 

Il tema della casa e dell'abitare è forse la questione che più trasversalmente Brouillard riesce a infilare in ogni storia che racconta. Qui, anche se non dichiaratamente, Nino, in quasi tutto il suo avventuroso viaggio nel bosco, attraversa le case degli animali che incontra e tutti hanno piacere di condividere con lui questo spazio personale. E anche il finale, nel suo silenzio eloquente, a una casa, e al suo significato più profondo, fa riferimento. Brouillard si diverte e cura con grande passione il disegno di ognuno di questi luoghi. E questo lo si percepisce fin dal primo sguardo.
 

Scoperta e avventura, come temi narrativi, sono arrivati in una fase più recente, tuttavia fin dal principio (di nuovo fin dalla sua infanzia) Brouillard li considera il modo per lei più naturale di esperire la realtà e il mondo circostante. 


La permeabilità dei mondi. Ecco questo forse rappresenta un po' la summa di quanto detto finora. Qui, in modo molto esplicito, Brouillard ci dice che tra realtà e immaginazione il confine è labile e forse addirittura non esiste. 
Guardarsi, sorridersi e riconoscersi - animali del bosco e bambino con peluche - attraverso un unico diaframma, invisibile di fatto, ossia una vetrata. Troppo poco perché non siano tra loro comunicanti. 
Ecco. A mio parere è questa la chiave di quanto da trent'anni a questa parte Brouillard sta dicendo a grandi e piccoli. 
Insieme a molti altri, anche io le credo. 

Carla

mercoledì 21 agosto 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

MOSTRO SARAI TU! 


Cominceremo a dire di questo libro affiancando la prima con l’ultima pagina che, con massima sintesi ed evidenza, lo contengono. 
Dunque questo l’incipit: 


 Questo l’epilogo: 


Si parte da una solitudine per arrivare a una compagnia. 
Nel mezzo c’è un’aria di grigio e intenso mistero che pagina dopo pagina accompagna chi legge verso un completo capovolgimento di sguardo. 
A raccontare è il bambino. Pur vivendo con Ma e Pa, il bambino è solo. Abita nell’ultima casa dell’ultima strada di 

un paese che si trova alla fine del mondo. 
Proprio alla fine del mondo. 
Oltre non c’erano che l’ombra delle montagne, un oceano di alberi scuri e muscosi e laghi profondi come la notte.” 

Un giorno, tra tutti i rumori straconosciuti di quel silenzio di sempre, il bambino sente nuovi suoni e intuisce che qualcosa di straordinario sta per accadere: ben presto, sotto il suo naso appiccicato alla finestra, passerà un’intera carovana da circo: IL CIRCO DE’ ISOGNI. 
Otto, il nostro giovanissimo narratore, non ne conosceva affatto l’esistenza. 
Siamo arrivati a pagina 11 e abbiamo già letto ben 5 pagine completamente disegnate; curiosiamo tra quelle successive e capiamo che ci aspetta un romanzo illustrato. E anche molto bene. In effetti, alle illustrazioni è affidata un’intera parte del racconto che non viene narrata a parole (in realtà si tratta di un canto che noi possiamo “ascoltare” leggendo le immagini) consegnandoci a un interessante esercizio di lettura: parole e immagini per raccontare due storie che si incontrano e si riconoscono. 
Anche chi legge, a poco a poco comincia a mettere insieme le informazioni: Otto è un bambino solo, diverso e sbeffeggiato dagli altri perché troppo mite, troppo diverso da loro: lo chiamano Otto Cuor di Passerotto. Sua madre gli racconta che prima che nascesse, un uccello si posò sulla pancia gravida e scambiò il suo cuore di uccello con quello del nascituro. 

“Per questo sei speciale - gli dice - Perché hai un pezzetto di cielo lì nel petto”

Ma per tutti lui è un mostro. 
Intanto il domatore non fa che chiamare all'appello: 

“Signore e signori, cari e teneri bambini 
(che già teneri bambini fa venire un brivido lungo la schiena)
avvicinatevi, avvicinatevi!”


Il circo dispiega tutto il suo catalogo di personaggi straordinari, ma soprattutto c'è il Mostro

"Signore e signori, cari e teneri bambini. Eccolo. Sotto questa stoffa. In questa gabbia. (...) Ultimo superstite di un popolo primitivo. Né uomo né bestia. Grottesco e spaventoso. Davanti a lui, i re e le regine sono svenuti. I saggi sono diventati pazzi e i pazzi sono diventati saggi. Ecco colui che il mondo intero ci invidia. Colui che tutti temono. Il solo e l’unico…. il Mostro de’ Isogni!” 

Siamo stati avvisati, qui tutto comincia a capovolgersi, cadono re e regine, pazzi e savi si confondono e chi legge è disorientato mentre procede in questa storia buia.
A poco a poco il disegno svela meglio volti e dettagli e a capovolgersi è la nostra definizione stessa di Mostro, fino a chiederci, una volta entrati nello chapiteau, se il mostro sia quello dentro o quello fuori dalla gabbia. 


L’uno di fronte all’altro risultano avere tutti sbarre davanti agli occhi. Allora il Mostro è quello dentro o quello fuori? O sono tutti mostri tra i mostri? E Mostri per chi? 
Il capovolgimento è compiuto. 
Da qui in avanti la vicenda si andrà dipanando: il Mostro de’ Isogni, quello che a noi sembrerà un bambino “normale”, fuggirà e Otto, accompagnandolo, scoprirà che 

“i mostri ci assomigliano, a volte. E che le gabbie sono fatte per essere spezzate.” 

Ecco una storia che funziona a patto che chi legge sia disposta/o a lasciarsi andare a una esperienza di spaesamento, sapientemente costruito dagli autori. 
Sarà inevitabile infatti farsi catturare dal tono del testo di Stéphane Servant: laconico, con l’uso di un imperfetto che dà l’idea di qualcosa che è già accaduto ma non ancora completamente; come dal tono delle illustrazioni di Nicolas Zouliamis: un’infinità di grigi, immagini scontornate che incombono sul testo come la notte dopo il tramonto, dettagli appena abbozzati e che solo pagina dopo pagina andranno a definire i personaggi. 
E un bosco e un lago da attraversare, di notte, insieme, per uscirne più coraggiosi e consapevoli. 


Una bella esperienza di lettura dai 10 ai 13 anni. 

Patrizia

Noterella al margine. Di Stéphane Servant possiamo leggere altre belle storie: ‘La spedizione’, il racconto breve del viaggio epico di una giovane piratessa, illustrato da Audrey Spirye di recente pubblicato da L’Ippocampo; ‘Crocrò’ un albo illustrato (da Simone Rea) uscito nel 2021 per La Margherita dove un piccolo coniglio è proprio diverso da tutti gli altri, e ‘Mia madre’ per #Logosedizioni, del 2016, una poesia illustrata nientepocodimenoche da Emmanuelle Houdart. Di Nicolas Zouliamis troviamo in libreria ‘La strana bottega di Viktor Kopek'. Tutti titoli da non perdere. 

"Mostri" S. Servant, N. Zouliamis, trad. B. Capatti, Rizzoli 2024  

lunedì 12 agosto 2024

ECCEZION FATTA!

 BLOG IN PAUSA


 


di nuovo operativo 

dal 21 agosto

venerdì 9 agosto 2024

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)


!ELAINEG






Indietro Tutta! Henning Wagenbreth (trad. Lia Bruna)

orecchio acerbo 2023


POESIA ILLUSTRATA


Ti è per caso capitato

di bruciar la cena in forno?

Di andar fuori senza ombrello

quando piove tutto il giorno?

D’inciampare col vassoio

rovesciando le bevande?

Di restare chiuso fuori

come un ebete, in mutande,

a tremar sul marciapiede,

senza chiavi e senza pace?

Quel che hai scelto di studiare

sotto sotto non ti piace?

Hai i polmoni da buttare,

colpa delle Winston blu?

Hai spalmato sull’asfalto

una lepre in gioventù?


Hai acceso due candele

e la casa ha preso fuoco?

Dato il voto ad un partito

che di bene ha fatto poco?

Hai imbrogliato qualcheduno?

Hai mentito con malizia?

Detto cose disgustose

rovinando un’amicizia?

Ogni errore del passato

ti perseguita e ti squarcia...

Se soltanto si potesse

rifar tutto in retromarcia!

Ogni gesto inopportuno,

ogni trauma non risolto,

si potrebbe rimediare

in un mondo capovolto.


Se anche tu vuoi cancellare

ogni cosa triste e brutta,


Vieni, prendimi la mano

e facciamo indietro tutta!


In questi pochi versi è riassunta la logica che regola o per meglio dire che sregola uno dei libri più geniali che mi siano capitati nelle mani. 
Come spesso accade la scintilla che ha acceso la miccia per questo albo è un ricordo d'infanzia. Tutte le estati la famiglia Wagenbreth, Henning e sua sorella erano bambini, andava in vacanza. I genitori facevano dei filmini delle scene più divertenti di cui i figli si rendevano protagonisti. 
Al loro ritorno in città, si allestiva un piccolo cinema casalingo dove detti filmini in superotto venivano proiettati: i commenti si sprecavano e le risate erano assicurate, ma si moltiplicavano all'ennesima potenza quando, su richiesta dei piccoli Wagenbreth, al proiezionista veniva ingiunto di mandare la pellicola indietro tutta! Le imprese delle vacanze venivano quindi riviste anche al contrario da tutti protagonisti, fra risate irrefrenabili. 
E come altrettanto spesso accade, da questo ricordo è nata una riflessione molto più seria da parte di Wagenbreth medesimo. 


Lo ha raccontato ai ragazzi che hanno letto il libro e che hanno avuto la fortuna di incontrarlo in un suo passaggio romano: le routine della nostre vite quotidiane, proprio perché routine, vengono "lette" dalle nostre menti, non prestando la dovuta e uguale attenzione in ogni loro passaggio. In qualche modo succede che alcune sequenze, il nostro cervello le dà per scontate. Un po' la stessa cosa che fa la mente quando legge una riga di testo (revisori di bozze esclusi): non focalizza lettera per lettera, ma si muove - diciamo così - a balzi. Presumo per non appesantire la testa di informazioni e per arrivare prima a un risultato finale soddisfacente. 
Ecco. Wagenbreth ha pensato, molto correttamente, che se invece le nostre menti vedono accadere i fatti partendo dalla fine verso il principio, ne noteranno molti più passaggi, tutte le sequenze, perché affatto scontati e routinari. 


Il gioco è fatto: ci costruisce sopra una magnifico libro TUTTO MA PROPRIO TUTTO IN RIMA in cui ad andare al contrario sono i processi più ineluttabili, uno su tutti, partire dalla morte per arrivare alla nascita. Muovere da un arrivo per giungere a una partenza, da una fine giornata piena di fatica a un risveglio riposato, dalle seghe che piantano gli alberi ai gitanti che seminano funghi... 
Le parole stesse si capovolgono: un enac, una asac, un orlem su un orebla (un pensiero commiserevole al correttore di bozze di cui sopra!) Al ciclista scapestrato - per fare un altro esempio - il vigile paga la multa, mentre sul giornale ci sono le notizie di domani... Gli archeologi seppelliscono le statue dell'antichità e il fotografo fa foto di chi ancora non ci sta. 


Bene. Spero si sia capita qui, la grandezza dell'operazione. 
Spero si sia visto qui quale mente geniale abbia Wagenbreth nel mettere in sequenza ben più di una quarantina di eventi, attingendo dall'immaginario comune, e raccontandoli in rima e soprattutto al rovescio. 
Spero si sia misurata qui la bravura di Lia Bruna che - dalle barricate della rima - ha combattuto e stravinto la sua battaglia, sventolando in cima al lavoro concluso la bandiera del suono e del senso. Provare per credere, se si ha il fiato e il coraggio di leggerlo tutto senza fermarsi, sarà facile accorgersi che suona e non perde mai una nota! Spero si sia percepita qui la grande sapienza di Wagenbreth (e con lui in squadra la Lia Bruna di cui sopra) per aver saputo solleticare l'orecchio da una parte e l'occhio dall'altra e per essere stato capace di andare a toccare corde così profonde con il tocco di un arpista. 
Eh sì, perché fare indietro tutta è davvero possibile solo con i filmini delle vacanze o poco più. 


E, lasciatemi dire, che non è assolutamente un caso che Wagenbreth nei versi che aprono il libro abbia saputo e voluto toccare proprio i nostri più profondi turbamenti e rammarichi e rimorsi "quotidiani" : esser fuori e aver lasciato le chiavi in casa, aver sbagliato facoltà, nella vita aver fumato troppo, alle elezioni aver votato quello sbagliato, o aver dimenticato la cena in forno, o la candela accesa che poi ti brucerà tutto quel che hai oppure aver agito con leggerezza e così aver rovinato per sempre un'amicizia...
Questo è per dire che se dovesse capitare di prendere questo libro in mano e poi rimetterlo giù perché quei disegni sono troppo underground e lontani dai segni morbidi e rassicuranti con i colori tranquillizzanti, occorrerebbe ripensarci e fare, almeno per una volta - se possibile - indietro tutta! 

Carla

mercoledì 7 agosto 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

IN QUALI ALTRI MODI LA FOTOGRAFIA POTRA' SORPRENDERCI? 


Si può parlare di fotografia ai bambini in vari modi, ma ce ne vengono in mente soprattutto due: il manuale tecnico (e in commercio ce ne sono già) oppure il racconto della sua storia, dai primi tentativi agli ultimi straordinari esiti della tecnica. Cosa non facile quest’ultima, considerata la distanza siderale che intercorre tra le origini della fotografia e quello che oggi siamo abituati a maneggiare in grande quantità e con estrema disinvoltura, tanto che si fa fatica ad ammettere che si stia parlando della stessa cosa. 
Allora come colmare questo grande gap? 
Sarà sufficiente raccontare cosa hanno fatto F. Talbot e L. J. M. Daguerre nel diciannovesimo secolo e come questi tentativi siano stati di volta in volta elaborati? Evidentemente no, se ci sono dei bambini che potrebbero sapere poco di quello che nell’Ottocento in generale accadeva e soprattutto, potrebbero essere poco interessati a saperlo. 
Le autrici di questo libro, Elisa Lauzana e Irene Lazzarin, scelgono di fare entrare i bambini nel racconto storico, e non bambini in senso astratto, ma proprio quelli che hanno realmente contribuito alla realizzazione del libro, partecipando ai giochi che le due autrici hanno proposto e mettendo in scena un dialogo immaginato con i pionieri della fotografia. Aprendo le bandelle della copertina infatti si possono vedere i ritratti fotografici degli alunni della classe seconda con i quali le autrici hanno condotto questo divertente esperimento. 


I piani su cui la conversazione si sviluppa sono due: quello del dialogo tra i bambini che hanno partecipato a questo esperimento e le autrici, e quello aperto e mai concluso tra i protagonisti della storia della fotografia e i lettori di oggi. Ma non esiste una distinzione netta e i due piani, che si relazionano senza soluzione di continuità, contribuiscono a fornire a chi apre le pagine del libro la sensazione di prendere parte attiva alla costruzione dell’intreccio. 
Diversamente da quanto solitamente accade, il laboratorio non è stato progettato partendo dal contenuto del libro, ma è stato quest’ultimo a venire alla luce sulla scorta dalle suggestioni e stimoli provenienti dalle esperienze laboratoriali. 
Infatti le domande e i commenti riportati sono precisamente quelli che hanno formulato i giovani partecipanti, tanto che, come le autrici riportano nell’introduzione rivolta agli adulti, possono considerarsi a tutti gli effetti co-autori del libro. 
Il testo si snoda attraverso quattro capitoli: La camera oscura: dal disegno alla fotografia, Ritratti e costumi: dal dagherrotipo alla “carte de visite”, Raccontare la realtà: la fotografia come documento, Non solo realtà: la fotografia come arte. 
Nel primo, il racconto si svolge tutto a partire da una scatola dipinta di nero (la camera buisssima appunto) e sulle indicazioni precise di come costruirne una. Raccogliendo l’eredità rinascimentale degli studi sulla prospettiva e gli escamotage che Canaletto nel Settecento adottava per riprodurre fedelmente il paesaggio che vedeva dalla sua finestra, J. N. Niépce ha tentato i primi esperimenti di scrittura con la luce. I bambini hanno riprodotto quella situazione (utilizzando però della carta fotografica), i loro elaborati sono stati inseriti nelle pagine del libro e costituiscono, per ogni giovane lettore, degli esempi di stimolo per fare altrettanto. D’altro canto sfido chiunque a non provare meraviglia di fronte alla proiezione capovolta di un’immagine reale sulle pareti di una camera oscurata. Le suggestioni che possono nascere da una simile esperienza sono tantissime e vale davvero la pena provare insieme magari a un gruppo di piccoli curiosi. 
Il secondo capitolo mostra un passaggio importante. La fotografia si distacca dall’elaborato grafico e diviene mezzo autonomo di conservazione della memoria: il ritratto fotografico, così come lo è stato per secoli quello pittorico, rappresenta un nuovo incredibile mezzo per superare il tempo e consegnare ai posteri un’immagine realistica. Ma scoprire come venivano realizzati questi ritratti è altra cosa che semplicemente osservali. Perché, per esempio, le pose dei soggetti era tutte così somiglianti? Soprattutto come mai quelle persone assumevano atteggiamenti così rigidi e statici?


L’esposizione a quelli ingombranti apparecchi fotografici era estremamente lunga, si arrivava anche a venti minuti, durante i quali il soggetto doveva sforzarsi di rimanere immobile, pena una foto mossa. Quanto può essere bello allora proporre ai bambini di vestire i panni di uomini e donne vissuti più di un secolo fa e far provare loro a posare per una foto! Il gioco del travestimento non manca mai di suscitare entusiasmo, ma proposto in questo modo permette di riflettere anche su un aspetto della fotografia, il tempo di esposizione, che gli attuali sistemi per lo più regolano in automatico. 


Con la messa in scena dei bambini, la fotografia diventa già racconto; superare la staticità di una posa è già immaginare una situazione in divenire, una premessa e uno sviluppo. Le autrici hanno quindi invitato i bambini a scegliere degli scatti, ad accostarli con un criterio narrativo o espositivo e così facendo gli hanno coinvolti nella composizione di un racconto per immagini. E le storie possono essere quelle reali o possono essere quelle inventate che nascono semplicemente dalla suggestione di una immagine.


Gli ultimi due capitoli del libro narrano del grande salto compiuto dalla fotografia nel momento in cui la pratica è uscita dai limiti angusti dello studio ed è diventata portavoce di fatti ed eventi anche molto lontani. Diventata testimonianza e documentazione di popoli e luoghi sconosciuti, contribuisce ad allargare l’universo del conosciuto e di conseguenza dell’immaginato.


Nelle ultime pagine il racconto si sviluppa intorno a quel dialogo tuttora aperto tra un’immagine fedele alla realtà e una che allontanandosi prova a reinventarla. Si può facilmente intuire che il dibattito tra le autrici e i bambini sia stato molto acceso e a dimostrazione di questo ci sono le numerose riflessioni riportate in una conversazione intavolata, tra gli altri, con Julia Margaret Cameron, donna pioniera di una fotografia audace, di una sperimentazione impavida, che considera l’errore un’occasione più che un inciampo. Muovendo dai tentativi della Cameron il libro invita i bambini a sperimentare, a provare a utilizzare materiali diversi come vetri, plastiche imballaggi che possano modificare la visione degli oggetti, a lavorare sulla deformazione e sulla rielaborazione. 
La strada che si vuole indicare è quella della ricerca di uno sguardo differente e che si eserciti a trovare modi e sentieri non ancora battuti. 
Il libro può essere proposto a partire dai 6 anni.

Teodosia  

"La camera buisssima. Viaggio alle origini della fotografia tra storie, invenzioni ed esperimenti" E. Lauzana, I. Lazzarin, Quinto Quarto 2023