venerdì 30 maggio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL GIOIELLO 

Lo scheletro nell'armadio, Lilija Berzinska, Anna Vaivare 
(trad. Rita Tura, Margherita Carbonaro) 
Iperborea 2025 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dagli otto anni) 

"Allora non ci sarebbero stati né il fresco venticello primaverile né il caldo torrido e odoroso di fieno dell'estate. Lollo Mollo non avrebbe potuto arieggiare la casa e lo scheletro sarebbe rimasto nell'armadio per un altro anno. 
Questi pensieri gli fecero venire mal di pancia. Bisognava fare le cose per bene e tirare fuori lo scheletro dall'armadio, proprio come ogni anno. Eppure l'ansia continuava a graffiargli il petto. E se la primavera fosse arrivata dappertutto tranne in quel posticino solitario, lasciandolo immerso nell'alito gelido e ostile dell'inverno? Cosa avrebbe fatto?" 

La questione è complessa. Lollo Mollo ogni anno si prefigge questa incombenza: tirare fuori l'armadio da casa, pesante e scomodo, ma con le fette di patata sotto le zampe ce la fa, e dopo averlo caricato sulla carriola, arrivare sulla collina isolata e solo lì tirare fuori lo scheletro dall'armadio per spolverarlo a dovere, togliere gli eventuali ragni che si sono annidati tra le costole, mettere due palline di antitarme nell'armadio (non si sa mai).
Tutto questo richiede una bell'aria di primavera un bel sole, una collina isolata, appunto, dove nessuno lo veda. 
Questa incombenza va svolta in assoluta solitudine: è sempre stato così e così sarà per sempre. 
Ma quella mattina tutti i segnali, compreso l'entusiastico vociare di Gracchio che annuncia in giro la primavera, confermano che il sole e il caldo sono arrivati. 
Si può procedere. 
Portata a termine la consueta procedura, Lollo Mollo si siede soddisfatto e comincia a pensare quando quello scheletro era apparso per la prima volta nel suo armadio... E mentre è lì che pensa si chiede anche che cosa sarebbe potuto succedere se gli altri abitanti del bosco avessero saputo del suo scheletro nell'armadio... Certo potersi confidare gli sarebbe piaciuto, ma come farlo? E gli sarebbe anche tornato utile che gli altri gli dessero una mano nel trasporto dell'armadio. Ma no! 


La cosa migliore era continuare a conservare il proprio segreto. E mentre lo pensa, temendo la pioggerella primaverile, si sincera che nessuno sia in vista per ricaricarsi l'armadio e rimetterlo a posto in casa. Con lo scheletro dentro. 
Intanto Occhiolungo e Gracchio, non lontano da lì, decidono di non andare al mare perché se Lollo Mollo ha rimesso dentro l'armadio con il suo scheletro, vuol dire che la pioggia sta davvero per arrivare... 

Se un libro di racconti (il genere e passo narrativo che amo di più) esordisce così, con un piccolo gioiello perfetto, da lì in poi la voglia di proseguire nella lettura schizza a mille. E infatti è quello che accade. Due parole sul gioiello. 
Molto giusto che dia il titolo all'intero libro, se lo merita. 
Il ritmo pacato. 


La scrittura esatta al millimetro. 
L'ambientazione che è quella di un gruppo di case tra bosco e mare, tra fiaba e realtà. 
Ed è un contesto che ricorda molto quello di altri potentissimi libri: il migliore tra tutti, Lettere dal bosco di Tellegen. 
Il gioco linguistico che dà l'avvio all'intero racconto e che ne costituisce l'ossatura, lo riempie di una sana follia. Lo scheletro nell'armadio è contemporaneamente metaforico e letterale e su questo si regge l'intero dialogo tra i due significati e di fatto l'intera storia. Bella idea, non l'unica. 
La piacevolezza della lingua delle due traduttrici lo illumina possibilmente ancora di più: una lingua curata, parola per parola. 
Il colpo di teatro finale che ti lascia lì, stupito, sorridente e intenerito. 
Da qui in poi, tutto quello che viene dopo questo gioiello iniziale. 
Siamo piombati nel mezzo di una piccola comunità pacifica di animali diversi - e alcuni piuttosto inconsueti - e una ragazzina, di nome Sipriki, che vale uno come tutti gli altri. 


Vivono insieme, condividono con grazia e gentilezza lo spazio e il tempo comuni. 
Non tutti loro agiscono all'unisono. Ci sono storie a due, per esempio quella di Leprotto e Lupo di mare (!) - sono io che stravedo o potrebbe essere una allusiva declinazione del mito della donna foca? Ci sono storie più corali in cui si impara a conoscere la personalità dei singoli protagonisti. Alcuni di loro portano nel nome la loro fragilità: Goffofredo o Sperperina, per esempio. 
E alla fine, letti tutti e nove i racconti, è possibile avere una visione di insieme che tanto da vicino ci riguarda in quanto razza umana. 
Questo attesta che l'intero libro può essere letto come collezione di racconti oppure come piacevole trattatello di filosofia. 
In questo diffuso e generale stato di grazia, grandi domande attraversano le singole storie: Stridulone che non vuole lasciar andare la giornata perfetta. L'inadeguatezza di Farfalla che, per la sua ala a cui manca un pezzetto, non si sente vera e completa...Riccio e il suo problema di misantropia, o Pigolino non proprio convinto che nella vita il traguardo sia tutto.... 
A ben vedere si tratta di grandi questioni che si pongono, tra gli altri, un gatto, Occhiolungo, un corvo, Gracchio, un lumacone, Lollo Mollo, un leprotto, Leprotto, un lupo, Lupo di mare... 


E poi c'è lei: la traduzione, ossia la lingua scritta che tutto tiene insieme. 
Studiata e limata per essere perfetta nel suo essere rispettosa dell'intreccio fittissimo di doppi significati, di allusioni lessicali. 
Tanto per dire: la brillante scelta dell'onomastica dei singoli personaggi è un raffinato lavoro di cesello, che in un gioiello, appunto, ci sta perfetto. 
Libro necessario, da tenere stabile per mesi o anni sul comodino, per leggerlo e rileggerlo ogni sera, prima di fare bei sogni. 

Carla

mercoledì 28 maggio 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

SI POTREBBE DIRE RADICI 


Stufo di stare nell’angolo della classe dove ha aiutato generazioni di bambini e bambine nello studio dell’anatomia umana, ormai vecchio e malandato, lo scheletro della scuola decide di andare in pensione. È la maestra ad accorgersi che qualcosa è cambiato e a telefonare al vecchietto per proporgli la bizzarra adozione. Così, dopo aver aggiustato la macchina, il vecchietto va a prendere lo scheletro, lo porta a casa, riattacca con il fil di ferro quasi tutte le ossa che la scuola gli ha consegnato. Poi, insieme alla vecchietta lo vestono e gli danno un nome: Martin. 


Anche se potrebbe sembrare strano a qualcuno, Martin lo scheletro entra piano piano a far parte della vita quotidiana dei vecchietti: a volte, è lui a entrare in casa con loro, altre sono loro a raggiungerlo all’aperto. Nella cucina estiva, poi, lo scheletro ha una sua poltrona, un tavolino e una tovaglietta di pizzo. E in inverno, una morbida coperta. Non si può poi dire che Martin sia un tipo sedentario. Che dire ad esempio di quando ha fatto fuggire i ladri facendosi cadere la mandibola sulle ginocchia, oppure di come ha saputo consolare il vecchietto per la vergogna di aver scambiato dentista e barbiere. E alla potatura dei meli, quando la vecchietta è sempre agitata? Martin era lì, con lei, a gettare i rami tagliati nel fuoco fissando le fiamme alte. 


Martin, Martin, Martin. Martin dappertutto. Sullo slittino e in sauna, nella vasca da bagno e pure nella favola della rapa. Chi ha aiutato i nipotini quella volta dei mostri notturni? Chi ha tenuto il cesto di funghi che la vecchietta non era riuscita a riempire per via dello gnomo dei boschi? Chi era con lei per risolvere la faccenda della scimmia di neve? 


Forse per questo, il vecchietto ha cominciato a desiderare di avere Martin con sé anche nella tomba. Forse è stato proprio per questa convivenza quotidiana, assidua, fatta di minuzie e piccole attenzioni scambievoli - coperte sulle ginocchia, tovagliette di pizzo, favole della buonanotte – che quando la vecchietta è morta, Martin ha sentito il bisogno di essere consolato. Il vecchietto ha chiuso le braccia attorno alle ossa di Martin, facendolo quasi scomparire, mentre il vapore del tè al tiglio riempiva la stanza dello stesso odore che c’era quando lei era viva. Sembrava quasi che la vecchietta fosse li! Anzi, a guardar bene, la potevi sentire: di chi se non suoi i gesti replicati per ottenere la calda bevanda, lo stesso inconfondibile aroma? 


Tre i punti forti di questo (apparentemente) piccolo romanzo. 
In primo luogo la storia: una vicenda che nasce nel territorio dell’assurdo, apparentemente leggera, che si attraversa con umorismo, tenerezza e un pizzico di salvifica insensatezza, sfiorando temi e metafore importanti senza tuttavia mai toccarli direttamente. La presenza di uno scheletro che decide di andare in pensione, fatto di per sé straordinario, viene presto riassorbita – come succede con tutte le cose – da un quotidiano denso di piccoli gesti, accortezze e minuti presenti. 


Poi, le illustrazioni. Il bianco e nero dinamico e movimentato di una matita felice interrotto da dettagli e campiture di un fucsia (quasi) fluo: per suo mezzo l’attenzione viene convogliata su tutt’altro – il fazzoletto da testa, un gallo, una rapa, un pettine, ma anche parole, minuzie, cieli interi – e vengono disinnescate alcune inibizioni e schermature che spesso accompagnano la presenza di uno scheletro nella narrazione. 


Il terzo elemento è proprio lui: lo scheletro. Deposto il collegamento con le tematiche horror e Halloween, indebolito il legame quasi automatico che scheletro e ossa nude hanno con la narrazione frontale della morte, ecco che in questo testo è possibile fruire di alcune metafore forti che lo scheletro porta con sé e che spesso rimangono sullo sfondo del ragionamento. 


Che cos’è uno scheletro infatti? È una complessa struttura di ossa, robusta ed elastica, che permette al corpo intero di stare in piedi, camminare, correre, raccogliere i funghi e abbracciare. È un sostegno imprescindibile, tuttavia nascosto da strati di muscoli, pelle e vestiti, in ultimo fatto scomparire dalla sua presenza costante e comune. E se è vero che esso si palesa nella morte e nella decomposizione, quando tutto il resto scompare, è anche vero che – incredibilmente! – lo scheletro è sempre, sempre, sempre presente, sempre con noi, in noi, a rendere possibile e significativo ogni passo e ogni respiro. 


Martin, lo scheletro, è dappertutto. Martin, che ha passato la vita a mostrare il fondamento del corpo umano, perfeziona da queste pagine il suo insegnamento, allargando l’idea di corpo umano a quella di corpo sociale, superando l’idea dei legami familiari per approdare a quella di interdipendenza di ogni cosa. Le schegge di fucsia che esplodono qua e là sono illuminazioni che interrompono la conformità dei grigi e spalancano lo sguardo sulla struttura invisibile che sottostà ai gesti quotidiani, sulla sua pervasività muta e fondante Il bagno dei bambini, la raccolta delle lumache, le favole raccontate ogni volta in maniera un po’ diversa sono il corpus di gesti, consuetudini e usanze sotterranee che innervano, irrobustiscono, rinsaldano, sostengono: attraverso questo reticolo non passano solo gli affetti e i legami, ma l’intera esistenza acquisisce senso e coerenza.


Si potrebbe dire radici, scomodare la questione del passato, della memoria, della tradizione, se non fosse che è proprio sull’aspetto del tempo che il libro esplode: infatti se è vero che ogni gesto presente assume rilevanza in virtù del suo radicamento, è il fatto che avvenga nel presente, che possa avere significato unicamente nel momento presente, la vera meraviglia. Illuminante al riguardo è l’interdipendenza tra Infanzia e Vecchiaia, messa in luce nel rapporto tra vecchietta e vecchietto e nipotino e nipotina: non meri personaggi ma estremi senza nome con una precisa, eterna funzione: passarsi il testimone di una continuità che pur essendo circolare ha solo un punto per brillare. 
E forse, quando succede, ha proprio il colore fucsia. 

Giorgia

 “Martin lo scheletro”, Triinu Laan, Marja Liisa Plats, (trad. Daniele Monticelli), Sinnos, 2024


lunedì 26 maggio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

PUNTARE IL DITO

Accadde a Salem
, Jonah Winter, Brad Holland (trad. Guia Risari) 
Settenove 2025 


ILLUSTRATI PER MEDI (dagli otto anni) 

"Potrebbe accadere ovunque, in qualsiasi momento. 
Sai di cosa parlo. 
Si inizia col mormorare delle cose su una persona, cose che fanno male, che sai che metteranno questa persona nei guai, cose false che pian piano, nella tua testa, diventeranno vere. 
E non lo fai di nascosto... Lo fai con la protezione del gruppo. 
Vi ritrovate e puntate il dito contro qualche malcapitato di cui ora avete l'assoluta certezza che se lo meriti, felici di non essere voi al suo posto..." 

Il gioco sta appunto nel non essere mai da soli, nell'accusare qualcuno. Se rimani nel gruppo di quelli che puntano il dito, ti sentirai al sicuro. Il gruppo ti protegge e nessuno quel dito lo punterà su di te. 
Questo è quello che accadde per esempio nel 1692 in un piccolo centro del Massachusetts: Salem. 


Due ragazzine cominciarono a dare segni di inquietudine: straparlavano e facevano gesti inconsulti. Crisi convulsive e grida e contorcimenti. Erano rispettivamente la figlia e la nipote del predicatore del villaggio, il reverendo Parris. 
Nessuno si spiegava cosa fosse loro accaduto. Anche i due dottori convocati non trovarono una vera ragione che spiegasse tutto ciò: il primo non riscontrò in loro nulla di fisiologico, mentre il secondo fu colui che piantò il seme da cui poi crebbe la pianta che sconvolse quella comunità: parlò di influenza malefica. 
La voce che corse da quel momento nel villaggio fece come il vento: qualcuno aveva colpito entrambe con un maleficio. Qualcuno, imputabile quindi del reato di stregoneria, avrebbe pagato. Ma chi? 
La prima a essere accusata fu naturalmente una schiava afroamericana Tituba, che sotto tortura decise di confessare il suo reato mai commesso. 
Il gioco al massacro era stato avviato. 
Il numero delle false accuse crebbe di giorno in giorno: era facile. Bastava puntare il dito contro una persona e dichiarare il falso. In molti lo fecero e nessuno si oppose. Solo uno si rifiutò di mentire, ma fu anche lui ucciso per questo. 
Nessuno, nella piccola comunità, si interrogò sull'eventualità che quelle ragazzine stessero mentendo e che le loro stranezze fossero costruite ad arte. Per loro avere finalmente così tanto potere in mano da poter esercitare sulle vite degli altri era un modo facile per arrivare ad avere una grande visibilità e attenzione, che in altro modo non avrebbero mai ottenuto. 
Una dopo l'altra furono condannate 19 persone. Numerose donne e diversi uomini furono processati per stregoneria e condannati all'impiccagione. 
Questa è la storia vera di uno dei più eclatanti esempi di follia collettiva. Non il primo e non l'ultimo. 

La cosa che succede in questo libro è l'intreccio di due discorsi, fatti al medesimo lettore. Anzi, i discorsi sono tre. 


Nel primo lo si mette in guardia. Nel secondo gli viene raccontata una storia vera. 
La storia vera è propedeutica al primo discorso sul pericolo che esiste ogni volta che si accusa qualcuno, lo si taccia di qualche colpa e lo si emargina e lo si addita e lo si esclude e poi lo si condanna.
La storia dei processi che hanno interessato la comunità di Salem sono un emblema di quello che oggi si chiama per convenzione 'caccia alle streghe'. 
L'intento di Jonah Winter è quello di raccontare come trecento anni fa sia davvero bastato pochissimo perché in una piccola comunità prendesse l'avvio e poi si scatenasse in tutta la sua violenza un vero e proprio fenomeno di frenesia di massa. E di come ci siano voluti ben più di tre secoli perché le figure di queste persone accusate di un reato di fatto inesistente - la stregoneria, la magia nera - fossero ricordate e riabilitate in un monumento e i loro nomi elencati, come quelli di vittime innocenti dell'ignoranza e della superstizione. 
Jonah Winter sente come imprescindibile il bisogno di connettere il passato al presente: e lo fa nelle poche righe iniziali in cui il lettore è chiamato dentro e nella domanda che chiude il libro. 
Il fatto che nei processi di Salem le prime accusatrici siano due ragazzine di nove e dodici anni, se da un lato è una patata bollente da mettere in un albo, dall'altra è assolutamente necessario a rendere il racconto modellabile sulla contemporaneità anche per chi quell'età e quel problema lo sta vivendo o facendo vivere ad altri.
Setacciare la complessità dei fatti che accaddero a Salem fino a farli diventare un concentrato che abbia un senso per dei piccoli lettori è stata quindi una bella sfida. Ma evidentemente, necessaria.
A mio parere, però è il terzo discorso, quello visivo, che fa Brad Holland, paradossalmente a rivelarsi il più necessario e quindi efficace (e il più alto per qualità) dei tre, perché una immagine, se vuole, più di qualsiasi parola va dritta al punto, come una freccia.
Uno sguardo che non molla in copertina, due bocche che parlottano sottovoce prima che anche il libro cominci, un uomo alla gogna e siamo ancora al frontespizio. 


E poi il serpente, le bocche spalancate nell'urlo, le donne accusate nascoste nelle loro cuffie, le donne che accusano nascoste altrettanto nelle loro cuffie, le donne che pendono dai patiboli e le tante dita accusatrici, che segnano il crescendo delle accuse, fino a quello finale, cambio di passo, una sorta di simbolica spirale in bianco e nero dopo tanto colore, che tutto riassume. 
Questo è per dire che, come accade quando si è di fronte a tanta qualità e bellezza, quella che in ogni tavola di Brad Holland si può percepire con forza, non è possibile distogliere gli occhi. 


Ma questo è anche per dire che, come accade quando si è di fronte a una voce così potente, come è quella di Brad Holland e delle sue figure, non è possibile far finta di non sentirla, o peggio non voler capire cosa ci stia dicendo. 
Quel dito e quegli occhi accusatori in copertina non lasciano scampo: ragazzi, ci siamo tutti dentro fino al collo. 

Carla

venerdì 23 maggio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LO CHOC ESTETICO

Luise
, Nikolaus Heidelbach (tad. Valentina Vignoli) 
#Logosedizioni 2025 



ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni) 

"Luise trova il ragazzino molto interessante e gli si arrampica addosso. 
Dal canto suo Louis stenta a credere che dal mare possa arrivare una cosa tanto bella. 
 'Sono scappata di nascosto da mia madre' dice Luise. 'E se se ne accorge?' chiede Louis. 'Potrebbe volerci un po'' risponde Luise e si arrampica ancora più in alto. 
'Ehi, che cos'hai lì?' chiede la mamma di Louis. 'Niente' dice Louis 'solo delle alghe'. 
Poi si mette Luise sulla testa la ricopre di alghe e si dirige verso il telo da mare."

Luise ce la fa e, trasportata nel secchiello, arriva nella casa delle vacanze di Louis. Dormono vicini. Al principio lei nel secchiello lui nel letto. Poi lei si infila di soppiatto solo le coperte, ma la mattina dopo, al suo risveglio Louis la trova di nuovo nel secchiello con l'acqua. Ma sulle lenzuola si legge chiaramente un messaggio: vorrei venire con te. Il polpo Luise sa dunque scrivere e sa anche fare l'inchiostro. Il polpo Luise rimane con loro. Almeno per un po'.
Comincia così la loro allegra convivenza, sotto gli occhi condiscendenti della madre di Louis. Della madre di Luise invece si sono perse le tracce. 
Lasciata sul fondo del mare dal giovane polpo fuggiasco, starà ancora accudendo il resto della prole? O si sarà accorta che una manca all'appello? I polpi sono animali perspicaci, così la madre di Luise, non avendola trovata in mare capisce di doverla cercare sulla terraferma e per farlo va verso la più vicina stazione ferroviaria. 
Comincia così il suo viaggio, seguendo il suo fiuto, per ritrovare la giovane Luise... 

Come disse una volta Nicolas Jolivot, parlando di una parete verde di foglie su cui spiccava un convolvolo bianco fiorito, siamo di fronte a uno "choc estetico". 
I libri di Heidelbach sono davvero esperienze estetiche prima di qualsiasi altra cosa. 
Si rimane con gli occhi rapiti da quelle tavole piene di silenzio e piene di una perfezione formale davvero fuori dal comune. Non si tratta però di un realismo perfetto. A colpirci in tutta la sua perfezione è l'atmosfera che si respira in ogni pagina. 

© N. Heidelbach, Luise, #Logosedizioni

Nulla è mai fuori posto, tutto appare cristallizzato in un istante, e la cura per ogni dettaglio toglie il fiato. Gli occhi scorrono sugli ambienti, sui pochi arredi, sui vestiti, sulle capigliature di chi abita quegli spazi e a ogni occhiata si ha la percezione di essere attirati all'interno della pagina, perché possa essere capita e apprezzata fino in fondo. Ammesso che si possa. 
Nulla di esornativo o di meramente decorativo. Men che meno ci sono parti che potrebbero distrarre dalla focalizzazione. Al contrario, tutto sembra convergere in un punto solo, che è nello stesso tempo il nocciolo del senso e il fuoco visivo. 
Nella regolare alternanza delle tavole su Luise e sulla madre in cerca, l'immagine si fa densa e consistente e tutto assume un suo preciso significato, dando così spessore alla complessità del mondo e all'interpretazione che se ne vuole dare. 
Tanta perfezione non è esercizio di stile, ma assomiglia di più a una seduta di psicanalisi in cui il flusso dei pensieri deve muoversi in libertà per poi convergere su un punto. 
A ciascuno il proprio. 
Per questo i libri di Heidelbach non sono mai passeggiate di salute, ma sono strumenti narrativi esatti e complessi, con bei tuffi da fare nelle profondità di contenuto. 
Visivamente, negli scenari spariscono personaggi che potrebbero essere lì semplicemente in transito. La spiaggia dell'incontro è deserta; in lontananza solo una chiatta, un molo, un faro due ciabattine e un lembo di asciugamano. Nel mare solo la grande madre circondata dai piccoli polpi e solo un paio di attinie che segnano il movimento delle acque. Lo stesso per la tavola di madre e figlio (e polpo) in macchina o per quella che ritrae il polpo nel taxi... 
Il superfluo semplicemente sparisce. 
All'ordine sovrano che regna nelle immagini, corrisponde il corto circuito mentale che Heidelbach impone ai suoi lettori. 
La lingua di Heidelbach è spesso quella dell'ironia. 

© N. Heidelbach, Luise, #Logosedizioni

Infatti in Luise il punto di partenza è assurdo di per sé: un polpo cucciolo, una femmina fuggiasca, decide di far amicizia, o sarà già amore?, con un solitario ragazzino che è sulla battigia che guarda il mare, perché non sa ancora nuotare. Sua madre è pochi metri più indietro sul suo asciugamano. Se questo è l'assunto di partenza, tutto quelle che viene dopo è invece orchestrato secondo una logica più che stringente. Un po' lo stesso gioco - o corto circuito - che si verifica a ogni giro di pagina di Cosa fanno le bambine? e di Cosa fanno i bambini? 
Lì l'assurdo sta nella relazione tra il pochissimo testo e la grande immagine. 
Ma come accade lì, anche qui - intorno all'assurdo - ruota un meccanismo di assoluta logica: per cui, per esempio, il pacco di sale e la latta con le sardine perennemente con Louis e Luise (dalla vasca da bagno al picnic nel prato). Oppure le, seppure stringate, chiacchiere tra madri a tavola sulla loro condizione familiare, o ancora le sottoscrivibili parole dell'una e dell'altra circa il progetto educativo che entrambe hanno in mente per i loro rispettivi figlioli. Se la loro storia deve andare avanti, lui dovrà imparare a nuotare e lei dovrà imparare altre misteriose cose importanti per la vita di un polpo. 
E a questo punto l'assurdo, che ci fa sorridere e anche ridere e assaporare il grande mistero, ci è lievitato nelle mani e dobbiamo accettarlo come norma. 
Anzi è la norma. Il ragionamento messo in piedi da Heidelbach non fa una piega. 
Brevi approfondimenti su chi sia Louis e chi sia Luise e, soprattutto, quale sia la relazione che li tiene insieme, lo percepiamo quando lei scrive sulle lenzuola (!) la sua volontà di restare, quando incontrano i bulli per strada. Quale sia la relazione affettiva tra le due madri con la prole la apprendiamo cammin facendo. Capiamo quanto il polpo madre tenga alla fuggiasca, capiamo quanta autonomia di scelta sia data al piccolo Louis da parte della madre, capiamo anche che Luise è contenta di vedere che sua madre la ama (quello sfioramento di tentacoli sotto la tovaglia... o quella borsetta data in prestito).
Come per incanto, siamo di fronte a una bella storia d'amore o di amicizia tra un ragazzino piuttosto solo con una bella madre e un polpo femmina molto volitivo (!) con una madre altrettanto determinata ad amare la prole e a volerla proteggere.

© N. Heidelbach, Luise, #Logosedizioni

Siamo in un libro di Heidelbach quindi non possiamo dimenticare di andare a goderci i molti dettagli che mette a disposizione del vissuto di ogni lettore perché nel trovarli si accenda un ricordo personale e quindi un'emozione forte. 
A puro titolo accademico, il mio dettaglio ha a che fare con un tendaggio...

Carla

mercoledì 21 maggio 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

UN CUOCO (IN FAMIGLIA) FA SEMPRE COMODO 


Christine Nöstlinger è stata una scrittrice assai prolifica, in Italia numerosi suoi romanzi sono stati pubblicati da importanti editori, eppure questo che racconta una porzione importante della sua infanzia non era mai arrivato. Pubblicato per la prima volta nel 1973, grazie a San Paolo questo libro raggiunge i giovani lettori italiani ed è una grande gioia che una scrittura come questa possa essere conosciuta e goduta a decenni di distanza dalla sua stesura. 
Originaria di Vienna, la Nöstlinger racconta del periodo conclusivo della seconda guerra mondiale, di quel momento in cui, sotto i bombardamenti degli alleati, cominciava a serpeggiare sempre più consistente il sospetto che i tedeschi stessero perdendo e che prima o poi avrebbero abbandonato la terra invasa. 
Chi ci sarà dopo di loro? Il mondo post bellico a chi farà spazio? Ci saranno i russi, ma chi sono questi soldati che arrivano da lontano e contro cui molti degli stessi austriaci assoldati nelle milizie sottomesse al Führer hanno dovuto combattere in Russia? 
Non sono solo i bambini a costruire leggende e racconti che aiutino a interpretare una realtà complessa, sono gli stessi adulti che si rintanano dietro il baluardo eretto contro il nemico, un po’ per convincersi di essere nel giusto, un po’ perché come sempre ciò che non si conosce, spaventa. 
E così in questi racconti i russi diventano capaci delle peggiori nefandezze, esseri abbietti dai quali conviene fuggire, ma che non si può evitare di incontrare e conoscere. 
E l’infanzia come può sopravvivere in un universo completamente sconvolto dal conflitto armato? 
Gli episodi narrati in prima persona da Christel ci restituiscono un’età tutt’altro che estranea a quello che accade, testimone attiva e propositiva. I bambini qui sono protagonisti di operazioni di incredibile resistenza: lo spazio virtuale e immaginato del gioco continua ad avere ancora piena legittimità, a sgomitare tra le storture adulte per riuscire a ritagliarsi una concreta e assolutamente brillante presenza. E così non mancherà di stupire con quale abilità la Nöstlinger sia riuscita a riportarci con dovizia di particolari l’universo emotivo di chi, come evidentemente è capitato a lei per prima, può rimanere completamente paralizzato in mezzo a un campo, sotto un bombardamento, incapace di muovere le gambe e di fuggire, accanto a una serie strepitosa di momenti in cui il gioco, le invenzioni, le lotte e le fughe della vivace protagonista incollano il lettore alla pagina, deliziandolo e spesso divertendolo moltissimo. 
A suo modo, i bambini si aggrappano a quello che hanno e non è mica detto che sia buono. In un quotidiano in cui gli adulti sono impegnati nella difficile impresa di sopravvivere, loro godono semplicemente di un margine di autonomia maggiore, ma solo di poco, eppure è quel tanto sufficiente a Christel, per esempio, per fuggire di casa, superare un posto di blocco e andare a trovare i nonni che si sono rifiutati di trasferirsi in un luogo forse più sicuro. 
La storia inizia con un bombardamento e la protagonista, diversamente da quello che sarebbe logico e opportuno fare, approfitta della parziale sordità della nonna per non riferirle dell’allarme appena annunciato alla radio perché questo significherebbe rifugiarsi in cantina, luogo che la bambina detesta profondamente. Cominciare un romanzo con una nonna che impreca sonoramente contro Hitler (rischiando non poco) e una bambina che pur di non finire in cantina mette a repentaglio la propria vita e quella dell’anziana significa chiarire da subito alcuni aspetti della storia che stiamo per leggere. 
Nessun ritratto edificante né tantomeno compassionevole dell’infanzia vittima della guerra, nessun gesto eroico compiuto da persone delle quali non si risparmiano lati umani, quanto meschinità. 
Tra i tanti personaggi della storia c’è n’è uno che merita un capitolo a parte: Cohn. 
“Più tardi mia sorella disse che il cuoco era la persona più brutta che avesse mai visto. Hildeard disse che il cuoco era la persona più puzzolente che avesse mai odorato e mia madre disse che era la persona più folle che avesse mai sentito. Per me è stato in ogni caso la persona più brutta, puzzolente e folle che abbia mai amato. L’ho amato veramente e spero che lui se ne sia accorto. A parte me infatti nessuno lo amava, neanche i russi.” Sarto e cuoco per necessità in periodo di guerra, rappresenta per Chris, tra le altre cose, l’antidoto alla noia dei vuoti pomeriggi: paziente fino all’inverosimile, Cohn nonostante il suo poverissimo tedesco, tollera la compagnia della bambina per lunghe ore e accetta di credere anche alle sue storie più bizzarre. Vien da pensare che la componente fantastica che manca in questo romanzo, abbia trovato nei tratti di quest’uomo la maniera per proporsi sotto mentite spoglie. Quasi un elfo venuto da un mondo altro, non accettato dalla parte di umanità che si ritiene sana (e che quindi è idonea alla guerra), Cohn è un soldato che non combatte, che baratta la sua sopravvivenza con della brodaglia improponibile. 
Cosa ci restituisce la Nöstlinger? La descrizione di una stagione storica che imprime alle persone e ai luoghi un’accelerazione improvvisa e un approdo a volte infelice. E lo fa con una scrittura che nonostante risalga a una cinquantina di anni fa, non ha perduto alcuna freschezza, scegliendo di sposare interamente una narrazione realistica che nulla concede all’elaborazione fantastica se non nella misura di una creazione a un uso e consumo della protagonista. 
L’infanzia ritratta della Nöstlinger non è necessariamente buona, ma non potremmo certamente definirla neanche cattiva. E non è perché il contesto bellico ci inviti a giustificare comportamenti poco opportuni, semplicemente perché lo sguardo che si posa su questa umanità ha sospeso il suo giudizio. 
La scrittura è quella di un’adulta che si sforza di ritornare ai giorni di cui vuole parlare e questa particolare scelta comporta delle dirette conseguenze: in primis l’assoluta parzialità della narrazione che non si ricava unicamente dal punto di vista assunto sulle cose, ma prima ancora sulla scelta di chi coinvolgere e chi invece giudicare superfluo. 
La maestria della scrittura è in questa operazione di equilibrismo tra le parti alla luce di quello che si intende restituire. 
La Vienna della fine del 1945 c’è nell’attendibilità degli episodi storici riportati, non è appunto solo uno sfondo, ma una componente assolutamente centrale del racconto e il modo in cui il personaggio di Christel si compone sotto gli occhi del lettore è tutta nella districata relazione con quei luoghi, quelle persone e i fatti di quegli anni.
Un libro che proporrei a lettori a partire dagli undici anni.

Teodosia

Nel ducato in fiamme di Christine Nöstlinger, traduzione di Anna Petrucco Becchi, 
San Paolo 2025. 

lunedì 19 maggio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

FAR DI NECESSITÀ VIRTÙ 

L'amico perfetto, Jon Agee (trad. Alessandro Zontini) 
Il Castoro 2025


 ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Benvenuta al rifugio per animali Valle Felice. 
Sei alla ricerca di un porcospino? Di una donnola? 
Ho un armadillo davvero adorabile. 
No, grazie. 
Vorrei un cane." 

L'elegante quanto allampanato gestore del rifugio per animali comincia così una lunga trattativa con questa bambinetta vestita di giallo che gli arriva sì e no al ginocchio. 
Nonostante la sua chiara richiesta, l'allampanato signore comincia a proporle una serie di animali piuttosto insoliti: dal formichiere, al babbuino al pitone. Persino un pesce rosso, morto! 
La bambina è piccola ma granitica nella sua scelta. Lei vuole un cane.


All'allampanato signore non resta che il sotterfugio, ovvero propinarle come cane un'iguana travestita. 
La piccola ha capito l'antifona: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, in quel rifugio non ci sono cani da adottare, ma solo animali esotici. E quando lei è ormai sulla porta con l'intenzione di andarsene, il signore allampanato le chiede che cosa effettivamente un cane abbia di tanto speciale. La risposta è immediata: un cane è leale, affettuoso, intelligente, coccoloso, divertente, coraggioso, insomma è l'amico perfetto... 
Ma allora forse lui ha tra i suoi animali qualcosa che possa soddisfare il desiderio di quella bambina vestita di giallo... 

Ci sono un paio, in realtà almeno quattro, caratteristiche che si ripresentano con una certa regolarità negli albi di Jon Agee. Qualità del disegno, a parte. 
Abitati da un'infanzia gagliarda. 
La relazione grandi e piccoli. 
L'assurdo che prorompe nel consueto. 
I loro testi che sono per voce tonante. Impossibile esimersi dal leggerli ad alta voce. 
Partiamo dai bambini e dalle bambine che mette in scena. 
Qui come già in Papà è un albero vediamo due piccoline impastate di determinazione che hanno le idee molto chiare sul da farsi e su cosa volere per sé. Altrettanto tetragoni sono stati il piccolo B che ha salvato la sua famiglia e ha deciso di non partire con loro per la Florida per rimanere invece tra le renne, la neve e gli elfi, oppure il piccolo astronauta che su Marte va cercando la vita, e la trova. 
Direi che Jon Agee è schierato. E questo lo si vede ancora di più quando, accanto a questi bambini gagliardi, mette degli adulti che sono sottomessi, come nel caso del papà di Maddy che nel giardino apre le braccia e fa l'albero, con qualsiasi tempo, o come questo insistente quanto inadeguato gestore di rifugio per animali. Il suo ruolo è quello di rilanciare con le carte (animali) che ha in mano (nel retrobottega), cercando di turlupinare la sua caparbia cliente.
 

Tanto più lui tira fuori, con il sorriso dell'imbonitore, animali improbabili e molto diversi dal cane che lei cerca, tanto più crescono nel lettore la stima per la ragazzina e la commiserazione per quel poveretto. Questo conferma la posizione di Agee nei confronti della classe degli adulti, che dai suoi libri escono sempre un po' malconci. Salvo poi essere ripescati proprio all'ultimo con un guizzo narrativo, una sorta di colpo di scena che ha il compito di far nascere una bella risata liberatoria, alla e vissero tutti felici e contenti! 
E a proposito di comicità e risate Jon Agee dimostra di sapere molto bene quali ingredienti usare perché i suoi libri siano sempre divertenti. Il surreale, l'assurdo che si infila in assoluta scioltezza in un contesto del tutto "normale". E una capriola sul finale. 
Pensiamo all'abitante di Marte, o agli elfi al polo, o ancora al muro che divide la scena ed è in corrispondenza esatta della cucitura della legatura del libro, in Il muro in mezzo al libro.
Qui c'è questo improbabile omone elegante che propone alla ragazzina animali ancora più improbabili di lui, comparendo, ovvero entrando in scena, per esempio con un pitone come sciarpa o un pesce rosso in verticale nella sua boccia di vetro. 
Impossibile non ridere a ogni giro di pagina, così come era impossibile non ridere a ogni giro di pagina di Papà è un albero con l'entrata in scena di gufetti, pettirossi, cinciallegre ecc. ecc. che si andavano accumulando. Qui ad accumularsi, nel crescendo consueto, sono le proposte di possibili adozioni. 


Salvo poi, nel colpo di scena finale, concludere con una risata in cui si dimostra che i bambini sanno fare meglio di altri di necessità virtù. 
A parte tutto ciò, ogni bambino sarà lì a fremere nell'attesa del nuovo animale e sarà impossibile, per chi legge, non assecondare con il tono di voce l'assurdità crescente della situazione. 
E così si arriva al quarto punto: la scrittura per voce tonante. 
Prima cosa: nessuna voce narrante, ma solo dialoghi serrati e, appunto, sempre crescenti in fatto di pathos. Almeno per quel che riguarda i poveri adulti. Al contrario, le bambine con cui discutono hanno come arma una calma serafica, dovuta alla loro serenità interiore. 
I bambini sanno quel che vogliono, spetta agli adulti districarsi. 
Almeno nei libri di Agee. 

Carla 

Noterella al margine. Più che in altri suoi albi, almeno in quelli tradotti in Italia, qui mi pare di notare una grande consapevolezza nel rendere il linguaggio corporeo dei due personaggi, parlante a sua volta e anche una capacità compositiva nell'alternanza delle tavole doppie, quelle singole, quelle al vivo e quelle con cornice. E meraviglioso è, come sempre, il rigone nero che tutto definisce.

venerdì 16 maggio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

PER VOCE ANIMALE 

I desideri degli animali, Chiara Carminati, Pia Valentinis 
Aboca Kids 2025 


POESIA ILLUSTRATA 

Il gabbiano 

Non si ingabbia un gabbiano 
si sa. Siamo simbolo 
di vita in libertà.
 
La sola gabbia in cui entrerei 
l'unica dove vorrei 
stare rinchiuso

è quella dell'artista che cattura 
il mio volo 
nella sua pittura. 

Ed è esattamente quello che accade. 
Gli altri dodici desideri sono del riccio, della salamandra, del granchio, della gallina... Questa parrebbe desiderare il volo, invece la sua massima aspirazione è quella di restare a terra. Altro che vento sotto l'ala: meglio un lombrico che si affaccia dalla terra. Il riccio, che, nonostante il nome è bello liscio e irsuto, sogna e desidera svegliarsi al mattino con un bel boccolo. E lo scoiattolo con la sua noce più bella tra le zampe non desidera di conservarla per la sua fame dell'inverno, ma per piantarla e mettere a dimora un nuovo albero. 

Tredici poesie. Una sul desiderio, parola che contiene in sé la mancanza delle stelle, e altre dodici sui desideri, vari e inaspettati, di altrettanti animali, da loro espressi in prima persona. 
Capita, talvolta, che arrivi in fondo al libro e ne vorresti almeno altrettanto. 
Ecco, qui è successo. 


Chissà che non dipenda dalla piacevole sensazione che si prova nell'attraversarlo, ma davvero non vorresti finisse così subito. 
Questo libro, nonostante la sua brevità, è pieno di fili che si intrecciano intorno a un bel po' di cose da scoprire. 
Per intenderci: non è il "solito" albo. 
Il primo intreccio è tra Pia Valentinis e Chiara Carminati. 
Stesse radici, si vogliono bene, si stimano e piace a entrambe lavorare con l'altra. E quelle volte in cui questo è capitato, Viaggia verso, la loro sintonia era lì sulla pagina e sotto gli occhi di tutti. Un po' come pane e burro stanno bene insieme. Entrambe sono lì che cesellano e lavorano su piccoli suoni o su piccoli segni, lavorano togliendo, una con le parole e l'altra con il pennino per arrivare a una composizione più grande e armonica. 
E quando suono, senso e tratto sono lì a dialogare con gioia, è una certezza che tutto funziona a meraviglia. 
Altro intreccio di fili è quello con l'editore. Aboca sta dimostrando un bello sguardo alto che tiene d'occhio quella zona di confine, sempre meno definito, sempre più valicato e di qua e di là, tra la fiction e la non fiction, ossia tra la letteratura di invenzione e la saggistica su aspetti di realtà. 
Per intenderci: non è il "solito" albo che racconta di animali, di etologia. 
In verità, ogni poesia ha un riferimento al comportamento dell'animale e in questo il rigore è d'obbligo. 
E questo spiega Aboca Kids. 
Ma è anche un libro che dei singoli animali va a raccontare i desideri e quindi vuole esplorare una sfera che con l'immaginazione per forza deve avere a che fare. E allora la formica, animale sociale per eccellenza, desidera stare un momento tutta sola, un momento di vuoto. O ancora la medusa, così pallida ed evanescente, non desidera altro che prendere un po' di tintarella sotto la sua mantella... 


Ma anche queste notizie di pura invenzione poetica spiegano Aboca Kids, per quanto detto sopra. 
In realtà intorno a questi tre fili ce n'è un quarto, francese. Quello dell'editore Grandir che nel 2009 questo libro, ma con un formato tutto diverso e con il gatto di copertina che va in direzione opposta al gatto "italiano", lo ha pubblicato per la prima volta.
Poi c'è un altro filo ancora che contribuisce all'intreccio: quello tra Pia Valentinis e la ceramica e più precisamente tra lei e il laboratorio di Maria Cristina Di Martino e Salvatore Farci, a Cagliari. Almeno per questo libro. In ogni modo, si tratta di una sua passione, un suo percorso espressivo, come il fumetto e l'illustrazione, che va ben indietro nel tempo. 
Per intenderci: non è il "solito" albo disegnato. 



Le illustrazioni sono, sì certo, illustrazioni, ma anche qualcosa d'altro: sono mattonelle di ceramica, so per certo non 5x5! Poco meno di due righine nella pagina dei crediti svelano quello che un occhio distratto potrebbe anche non cogliere immediatamente: ciascuna tavola del libro non è in realtà un disegno su carta ma, appunto, la magnifica fotografia di una mattonella di ceramica. 
Solo impercettibilmente si nota quella insolita lucentezza della superficie e del blu, quel riflesso che si coglie appena. Ma soprattutto è quello spessore volutamente incluso negli scatti della fotografa Nelly Dietzel, anche sapiente grafica, che racconta all'occhio la vera verità. 
 E il suo è ancora un altro filo che va a intrecciarsi.

 Carla

mercoledì 14 maggio 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

TUTTO SI SISTEMA?


Neon, diciassette anni, punta il telefono sul volto di Tuna. 
“Dì il tuo nome. 
Petunia Randolph. Tuna. 
Come descriveresti le superiori in tre parole? 
Penso che dovrebbero essere Tutto si sistema. 
Tutto si sistema? Spero di sì.”

Tutto si sistema? è la domanda che aleggia sopra le teste dei ragazzi raccontati dal premiato scrittore Jason Reynolds nel suo ultimo libro Ventiquattro secondi da adesso… Ma ‘adesso’ cosa dovrebbe succedere? Giustamente vi chiederete. 
Adesso Neon è chiuso in bagno, con un lieve attacco di ansia, a guardare la foto di un cane che lui conosce bene ma con il quale ha un rapporto difficile, che si chiama Denzel Jeremy Washington. Neon è in mutande. E’ in mutande perché era sulla soglia di dover fare un passo importante: connettersi con la sua ragazza, Aria. Così dice: connettersi. Ma se non riuscirà a slacciarle il reggiseno? Se non riuscirà a mettersi il preservativo? Se lo metterà male? Se si dovesse bucare? Ma si deve strappare coi denti? Perché lui l’ha visto al cinema che si fa così, e allora ha provato ad allenarsi ma gli è rimasto in bocca un sapore di plastica e il preservativo si è rotto. 
Calma. 
Capitolo due: solo ventiquattro secondi fa. 
Inizia così questo romanzo a ritroso nel tempo dove Neon racconta in prima persona tutta la vita che è trascorsa prima di quel momento in cui è rinchiuso in bagno. Il racconto è un lento allontanamento, capitolo su capitolo, un dilatarsi del tempo da quella sera. Il primo capitolo poche pagine, il secondo poche di più. Il terzo, ventiquattro minuti prima, diventa un lungo racconto. Arriveremo ad ascoltare dalla voce di Neon cosa è successo ventiquattro mesi prima di quella serata speciale dell’adesso. 
Che belli i libri perfetti, che girano in tondo, che giocano per spiazzarci. 
Come sua abitudine, Reynolds racconta un tratto di vita di ragazzi neri: loro sono i suoi lettori elettivi, per cui scrive, a cui scrive, come dichiara in ogni intervista che rilascia. Questa volta racconta una storia romantica e sfaccettata come è sua abitudine. 
Neon è all’ultimo anno delle superiori, che negli Stati Uniti è il quarto anno, e si dedica con un gruppo di amici a creare l’annuario scolastico, che sarà un video, vista la sua passione per il cinema. Suo padre gestisce la sala bingo della città e lui arrotonda il fine settimana aiutandolo, ha anche una sorella maggiore spigliata, a cui confida tutti i passi da adolescente che la vita gli mette davanti. Una famiglia normale, una nonna da accompagnare al cimitero, una mamma super, che davanti ai pancake gli fa una lezione sulla sessualità che avercene, quelle pagine sarebbero da stampare e da far leggere a tutta l’umanità maschile dai sedici anni in su. 
La situazione di Aria è più complessa: bravissima a scuola, una madre trombettista internazionale con la quale ha un rapporto non proprio pacifico, un padre anche lui musicista e una sorellina dotata di una voce straordinaria. Lei è l’unica in famiglia senza passione musicale, ma con una grande voglia di lasciare quella casa per il college. 
E Neon? Che ne sarà di loro quando lei se ne andrà via a studiare? Che lui non ha la minima intenzione di andare al college. Tutto si sistemerà? 
Questo il primo grande quesito sul tavolo. Anzi, il secondo. 
Intorno a Neon una carrellata di personaggi incredibili: dagli avventori del bingo agli amici. Amici veri, un po’ borderline rispetto alla normalità: chi in difficoltà col padre, chi sopra le righe sempre e comunque, chi secondo di tre figli (“Sapete cosa si dice dei secondi di tre”, ci dice Neon). I famigliari invece che girano intorno al ragazzo sono un po’ più funzionali: ognuno di loro si approcerà a lui per fargli un discorso intorno a sesso e amore. Ed è molto divertente vedere gli stili, ascoltare le parole di queste persone che a modo loro cercano di tranquillizzare un ansioso ragazzo alle soglie della prima volta, un ragazzo molto emotivo, che piange appena vede qualcuno piangere. 
In un’intervista una giornalista ha chiesto a Reynolds quale fosse il libro che ha nella sua libreria e che avrebbe stupito gli avventori: lui ha risposto “Ne ho una collana, sono tutti i Capitan Mutanda!” Reynolds parla esattamente la lingua degli adolescenti, dei ragazzi e delle ragazze. E’ perfetto. Io non conosco la realtà della vita degli afro americani di diciassette anni, ma me la immagino esattamente come la racconta lui. Una vita, Neon dice, in cui ti può capitare di vivere in un quartiere che potrebbe essere paragonato a uno snack da quattro soldi preso al discount - il quartiere di Neon - o in un quartiere che potrebbe essere un raffinato cracker integrale biologico - il quartiere di Aria. In quella differenza si gioca il futuro di due ragazzi che di sicuro si amano alla follia, come fanno i diciassettenni. 
Reynolds affronta l’ansia della prima connessione in modo autentico, vero, ci si crede sempre, grazie a un tono che alterna umorismo e commozione. 
Due riflessioni mi ronzano in testa. La prima è più un omaggio. La scrittura di Reynolds deve a Aidan Chambers, scomparso pochi giorni fa, moltissimo. Non ha paura Reynolds come non ne aveva Chambers, entrambi si ricordano, sanno cosa vuol dire avere diciassette anni e lo raccontano alla perfezione. 
Il secondo pensiero è proprio mio, di libraia. A chi lo vendo questo libro prezioso? Non certo ai genitori per farne da tramite coi ragazzi, ce ne sarebbero pochi disposti a tanto. Non alle scuole. Sia mai si parli in modo esplicito di sesso in un libro. Ai sedici, diciassettenni? Ma loro questi libri li prendono su internet. Allora proverò con gli adulti, con i genitori anche, ma per loro, non per i loro figli. Per far loro ricordare come era, come si stava, cosa si provava. Per dare loro una possibilità letteraria di "connettersi" con i loro sedici diciassettenni.
Infine, grazie Jason Reynolds che scrivi storie in cui ragazzi e ragazze neri possano rispecchiarsi. 
Ancora ce ne sono troppo poche.

Valentina

"Ventiquattro secondi da adesso…", di Jason Reynolds, trad. Francesco Gulizia, 
Rizzoli 2025 

lunedì 12 maggio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA RADICE UNICA

Cromosomi
, Fabian Negrin, Kalina Muhova 
Edizioni Corsare 2025 


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)

"2025 - Mi chiamo Lucia e, mamma mia, come sono diventata vecchia... 
1963 - Sembra ieri che con Giorgio andavamo a ballare ogni sabato sera. Due fan scatenati dei Beatles. E tutte le domeniche burraco con l'allegra compagnia di amici. Quante risate! 
1951 - Giorgio l'ho conosciuto a Ischia. Mi ricordo l'emozione la prima volta che lo vidi. L'incontro avvenne sulla spiaggia dell'albergo Vittorio. Quello dove, da quando ho memoria, passavo ogni estate con i miei genitori..." 

La sua mamma era molto ansiosa e quindi il tempo che Lucia poteva passare al sole facendo castelli di sabbia, nonostante il cappellino, era limitato. Il suo babbo invece le lasciava fare molte più cose, compresi i tuffi di testa. 


Di mestiere lui era fotografo ed era sempre in viaggio, sua madre invece era nata a Londra ed è lì che si erano conosciuti... 
Il nonno di Lucia che di professione era capitano di lungo corso e viaggiava con la sua nave lungo la rotta Londra - Hong Kong si era innamorato di una giovane cinese e l'aveva sposata contro il volere della famiglia (un Pinkerton controcorrente). E quindi non è un caso che la Lucia di partenza abbia un po' gli occhi a mandorla... 

Ed ecco che i cromosomi fanno la loro entrata in questa storia. 


Fabian Negrin costruisce un'esile architettura narrativa che sulla genetica poggia le fondamenta. In altre parole, i cromosomi che riempiono i risguardi sono lì a testimoniare un fatto importante: noi siamo la nostra storia. 
Loro sono la nostra storia trascorsa (e indiscutibilmente anche la nostra storia futura), scritta piccola piccola: contenitori preziosi di DNA, sono la biblioteca del codice genetico che ci appartiene e che ci distingue da chiunque altro. 
Detto questo, Fabian Negrin prova a dare nomi e a costruire a ritroso una storia fatta di tanti episodi di altrettante piccole storie, quelle di chi ci ha preceduto. 
La novantenne Lucia ripercorre così il suo albero genealogico: genitori, nonni e poi bisnonni e poi indietro fino all'epoca delle Crociate, attraverso quell'anello che la bisnonna di Lucia aveva a sua volta ereditato e che aveva attraversato la genealogia della sua famiglia. 
Si va sempre più indietro, fino ad arrivare a Nefertiti. E prima di lei? 
Una sequenza di altri uomini e donne che hanno depositato piccole tracce di sé in chi è venuto dopo. 
Ma un punto di partenza di questo lunghissimo percorso ci deve essere stato - di certo in Africa, dove l'umanità ha avuto origine, e di cui Lucia è esemplare. 
È intrigante l'idea di dare forma al percorso genetico che distingue ognuno di noi, ossia di rendere tangibile e visibile un concetto complesso in cui il tempo, lo spazio, la biologia sono i piloni necessari, accanto a quell'altro concetto che non è proprio facile raccontare e che fino a Mendel non aveva neanche un nome... 
A prescindere dalla capacità di superare una difficoltà oggettiva nel creare una struttura che si dimostri leggera e soprattutto maneggevole per chiunque, in questo libro mi pare di cogliere una questione altrettanto importante: noi siamo tutti molto mischiati e tanto più andiamo indietro, tanto più ci avviciniamo alla radice che è - con buona pace di molti - unica.
 

Il seme del nostro albero genealogico, parrebbe sottolineare Negrin, è uno. Qualcosa di simile all'albero Pando, con una differenza: lui, essendo albero, con il crescere è diventato bosco, noi, crescendo, siamo diventati umanità. 
Bell'idea, bella storia. E come sempre con Fabian Negrin, bel finale. 
Ma come rendere visivamente questo viaggio attraverso spazio e tempo senza renderlo una noiosa galleria di personaggi? 
E quindi la seconda architettura è quella che si è inventata Kalina Muhova. 
Lavora sulla pagina come se fosse un suo blocco di appunti. Una sorta di taccuino di schizzi, di appunti che poi "pulisce" per renderlo leggibile a tutti. 
Mi ricorda quella sensazione di imbarazzo quando in università qualcuno ti chiedeva gli appunti della lezione... L'ordine, o per meglio dire il disordine, personale non è facile da condividere, quindi Muhova mette in pulito i suoi "appunti" e il testo di Cromosomi assume una sua iconografia, trova un suo ritmo visivo. 
La prima cosa necessaria da fare è fissare le tappe del tempo. E Muhova lo fa con quel rettangolino in alto che diventa l'orologio di questa lunghissima storia. 
La seconda cosa da fare è dare facce ai personaggi. E Muhova lo fa e li fotografa entro boxini quadrati: le foto tessera di ciascuno disegnate. Non tutti ma quasi hanno la loro. 
Terza cosa da fare è creare i legami, le connessioni. E Muhova si inventa un bel sistema, immediato quanto visibile: una linea tratteggiata che collega Lucia alla sua casa, oppure Lucia e Giorgio a diciott'anni, Charles e Mei attraverso i continenti, un anello con il quadro che lo ritrae al dito di qualcuno. 
Quarta cosa da fare è creare gli scenari, i contesti per rendere tutto meno scheletrico. Così Muhova, sullo sfondo delle foto tessera, disegna uno sfumato di una battaglia di crociati, come pure rinomate spiagge campane, anni Cinquanta. 
Quinta cosa da fare è non seguire sempre detto schema. E Muhova gioca su formati di immagini piuttosto diversi e movimentati. Nefertiti vince una pagina intera, così come l'abbraccio d'amore tra Charles e la sua sposa cinese... 


Sesta cosa da fare è quella di rendere otticamente tutto molto interconnesso. E Muhova si inventa l'uso di un pantone magnifico (che mette a dura prova la grafica dell'editrice e ora lo scanner che no gli rende giustizia) che è un faro illuminato sugli scaffali delle librerie. Non puoi non vederlo.
Settima cosa da fare è quella di dare spessore iconografico a questa carrellata di esseri umani. E Muhova cura, magari non proprio sempre sempre, pettinature e abbigliamento e fisionomie. 
Il risultato, un libro interessante. 

 Carla