lunedì 30 settembre 2024

ECCEZION FATTA!

I BINOMI FELICI

ovvero il rapporto tra immagini e testo 
e tra autori e autori

A chi si occupa di albi illustrati, ovvero ne studia i meccanismi interni che li tengono insieme, capita spesso di ragionare su questa curiosa e direi unica relazione tra immagini e testo e che, in alcuni casi più felici di altri, si può a tal punto amplificare da esplodere letteralmente e rendere quell'albo - quelle parole e quelle illustrazioni - qualcosa di straordinario. 
Spesso se l'albo è di un unico autore  questa relazione tra testo e immagine è tutta risolta in una unica testa che ragiona per arrivare al massimo punto di armonia dialogica e quindi di efficacia fra i due codici. 
Lavora perché il testo non sia ridondante, o peggio didascalico, nei confronti dell'immagine e viceversa. 
La cosa si complica quando le due teste sono distinte, ossia quando nasce un testo nella mente di un autore e poi viene dato da illustrare a qualcun altro, o al contrario (ma questa è un'occorrenza più rara), un autore sulle illustrazioni è chiamato a costruirci intorno una storia. 
Per esperienza, è capitato più volte di vedere che la sorte o la fortuna o le affinità elettive abbiano fatto sì che autori - rispettivamente di testi e di immagini - si incontrassero e che in questo loro comporre su spartiti differenti siano stati capaci di arrivare ad armonizzare a tal punto i loro rispettivi lavori fino a ottenere una magnifica e unica partitura. Terza. 
Di questo si parlerà, proprio oggi e proprio ora, portando una serie di esempi illustri, durante un seminario all'interno dell'offerta formativa che il Festival Tuttestorie, al suo 19° anno, organizza per insegnanti o persone interessate alla letteratura per ragazzi a diverso titolo. 
Tra gli autori che meglio incarnano questa capacità reciproca di puntare allo stesso intento - la miglior riuscita di un racconto illustrato - e di arrivarci per strade molto differenti (uno ai testi e l'altro ai disegni) ci sono Mac Barnett e Jon Klassen. 
A suggellare la loro straordinaria capacità, non c'è solo una solida amicizia - da sola non è sufficiente - ma uno sguardo che punta nella medesima direzione. Entrambi sono, per esempio, d'accordo nel dire che lavorare con qualcuno che non sei tu stesso a un albo illustrato, significa in qualche modo completare un'opera che è incompiuta. 
Klassen continua a stupirsi del fatto che si tratti contemporaneamente di una gara di squadra e  di una in solitario. 
Torniamo all'effetto di amplificato. 
Barnett dichiara quanto segue: "Il libro illustrato è una forma d'arte unica, data dalla relazione tra testo e immagine, che lavorano insieme. Non lo ottieni allo stesso modo da nessun'altra parte. 
Un po' i graphic novel, un po' i fumetti, ma i libri illustrati hanno il loro modo di lavorare che è correlato, ma diverso. Il tipo di narrazione che rendono possibile, non si trova altrove. È una forma di vera ironia drammatica. Di pensiero visivo. 
È molto complicato. Spesso il vocabolario - il livello di lettura, perché sono così spesso letti dagli adulti o destinati a essere letti da un adulto a un bambino piccolo - sarà molto più alto di quello di un romanzo. 
I libri illustrati non sono un genere, sono una forma. In termini di insegnamento dell'arte visiva e di come funziona per i libri illustrati, penso che possa sempre essere utile separare il testo dall'immagine e davvero scomporre un libro illustrato, leggerlo senza mostrare le immagini né prima né dopo e mostrare come è o completamente sminuito o spesso semplicemente totalmente insensato senza quelle immagini. E questo è un ottimo primo passo per una conversazione su come i libri illustrati amplificano o completano la narrazione in un libro illustrato." 
Come questo accada solo qualche volta, sarà argomento di chiacchiere a Cagliari. 
Di certo contribuisce una rara sapienza e sensibilità da parte di chi scrive nel fermarsi nell'attimo giusto per non invadere il campo altrui, oppure essere così umile nel rimettere mano al proprio lavoro che spesso viene considerato così tanto ben fatto da non ammettere ritocchi se non peggiorativi... 
Tutto questo lungo ragionamento è solo per dire che - assolutamente per caso - mi è finito nelle mani un libro in cui è Michael Rosen ai testi, ovviamente, e Quentin Blake alle illustrazioni. 
Il libro si intitola Hard-Boiled Legs - The Breakfast book (che indovina il senso di questo titolo può esserne fiero!) e questa è una pagina talmente perfetta per mettere in concreto quanto teorizzato finora che non credo si debba aggiungere neanche una parola.


Carla

venerdì 27 settembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

L'OSCAR COME MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA 

Decidi sempre tu, Jörg Mühle (trad. Giulia Genovesi) 
Terre di Mezzo 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Quel pomeriggio, quando la donnola tornò a casa, l’orso era impegnato. Era venuto a trovarli il tasso. 'Noi stiamo giocando',disse l’orso, 'potresti prepararci qualcosa da mangiare?'. 
Alla donnola quella proposta non piacque. 'Il tasso è amico mio!' esclamò. 'Non puoi giocare con lui!' 
'Il tasso non è mica tuo. Tu puoi giocarci domani.' 
Il tasso ebbe un'idea." 

Di nuovo quei due. 
Quelli che anni fa, nel 2019 per la precisione, li abbiamo sentiti e visti litigare a bestia - è proprio il caso di dirlo - per avere il diritto di mangiarsi senza remore il terzo fungo trovato nel bosco dall'orso e poi scottato in padella dalla donnola. 
Già all'epoca si era capito che tra questi due coabitanti della casa nel bosco, la più aperta e ariosa che abbia mai visto, non c'è mai intesa. Su nulla. 
Qui non si contendono il fungo (credo che, all'epoca si dovettero contendere anche la fragola numero tre) ma addirittura un amico in carne e ossa: il tasso. 
Ignaro, lui era andato a trovarli entrambi, ma a casa c'era solo orso e quindi è con lui che ora sta giocando, rendendo donnola, con il suo arrivo, il granello che inceppa il meccanismo di un gioco a due, perfettamente equilibrato. 


A compromettere la pace, arriva anche una richiesta en passant di orso a donnola riguardo al preparare loro qualcosa da mangiare. Il carattere fumino della donnola si accende e comincia così un dialogo serratissimo tra i due su chi è amico di chi, su che gioco fare, sulle regole del gioco, su che ruolo avere nel gioco. Insomma un battibecco in piena regola, a cui il tasso assiste. In assoluto silenzio, o quasi. 
L'orso e la donnola sono due personaggi già conosciuti e ritrovarli ancora una volta nel loro ménage familiare, non può che confermare il loro essere quelli che sono... 

Un po' di cose interessanti che forse al primo libro non erano venute ben fuori. 
La scrittura e il disegno di Jörg Mühle hanno una potenza di impatto non irrilevante. 
Partiamo dal disegno. Di nuovo il contesto è la casa ariosa. 
Si parte dai tronchi di un boschetto e poi si mette a fuoco, non più la cucina piena di utensili, ma di sguincio si vede una camera: letto a castello e qualche arredo sparso. 


Tutta la storia però è visivamente focalizzata su una base di tronco mozzo che funge da tavolino. Solo in fondo alla storia il quadro si allarga e si vede il loro soggiorno, o stanza dei giochi (in molte case i due ambienti coincidono). Anche questo, come nel primo libro, risulta pieno di dettagli interessanti ed esilaranti, considerato il contesto in cui ha luogo. 
Si può dunque dire con una certa sicurezza che Jörg Mühle si sta divertendo assai nel costruire la sua 'scatola scenica'. Ma non solo. 
Qui ancora più che nel primo episodio, la cura è nel sottile ma efficace gioco di sguardi e posture che "il regista" fa assumere ai tre protagonisti.


Parrebbe scontato che l'oscar come miglior attore non protagonista vada al tasso. 
Quasi del tutto muto, le poche battute che deve dire fanno di lui l'ago della bilancia. 
Tanto sono teatrali e melodrammatici gli altri due, tanto lui lavora sul suo pubblico con gesti e occhiate molto misurate. Da grande attore quale dimostra di saper essere. Attraversa la scena con discrezione, ma ciò nonostante i suoi piccoli gesti sono di una eloquenza potentissima. 


Come è vero che a togliere si fa meglio che ad aggiungere! 
Questa capacità di far parlare i corpi Jörg Mühle dimostra di averla come sua cifra, ma qui un po' di più di sempre. Lo testimonia una delle scene iniziali, che poi si rivela la miccia che accende l'ira della donnola. La testa dell'orso che non si gira neanche nel rivolgersi a lei e lo sguardo perplesso, ma anche lievemente imbarazzato, del tasso, valgono davvero tutto il libro. 


E qui si può aprire l'altra questione relativa al testo. 
Infinitesimali sono le parti descrittive: la frase iniziale che funziona come la panoramica prima dei titoli di testa in moltissimi film e pochissimo altro. Il resto è dialogo, costruito sul botta e risposta tra i due contendenti. Tanto più si accendono i toni, tanto più il carattere tipografico lo segna e tanto più i loro corpi diventano specchio dei loro rispettivi stati d'animo. Braccia conserte, soprattutto.


E Tasso? 
Lui li guarda sempre più scettico, salvo poi giganteggiare sul finale! 

Carla 

Noterella al margine. Volutamente si è deciso di tacere sulla questione di fondo, ovvero la difficile arte di essere amici dispari, senza che questa circostanza sfoci in alleanze e preferenze. E comunque parrebbe fatto acclarato che Jörg Mühle abbia una magnifica ossessione per il numero TRE.

mercoledì 25 settembre 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

IL ROSSO È (UN) GIALLO 


“Carla Stratos ha sedici anni, quattro piercing, tre tatuaggi e un gatto. 
Non sa ancora che quello che le darà più problemi fino alla fine è proprio il gatto. Carla vive in una casa al centro di Bologna. È la casa dei suoi zii e lei ci abita da quando è successa quella cosa. Ma non pensa volentieri al passato, a quando stava ancora in montagna e tutto il resto. 
Esiste solo il presente. Ora. Adesso. 
E adesso Carla ha 16 anni, fa il liceo artistico, vive dagli zii, ha quattro piercing e tre tatuaggi. E un gatto.” 

Carla dunque è ben piantata nel presente. Il passato, quella cosa, è qualcosa da scordare… 
E invece quello che l’aspetta è proprio un viaggio super avventuroso nella memoria, non nella sua. Ma in quella del gatto. 
E poi, certo, anche nella sua, scoprendo che il passato racconta il presente. 
È sempre bello soffermarsi sugli incipit delle storie di Davide Morosinotto e in questo caso apprezzare come, in pochissime righe e ben conchiuse, riesca a: 

 • scolpire davanti ai nostri occhi i tratti della protagonista 
 • localizzarla (e localizzarci) nello spazio 
 • localizzarci nel tempo facendoci intendere che c’è un prima (quella cosa), oltre al dopo che ci aspetta (siamo solo alla seconda pagina, del resto, e tutta la storia deve ancora accadere). 

Così Morosinotto riesce a prenderci all’amo e all’amo rimarremo fino all’ultima pagina. 
Nelle vicinanze di casa di Carla è appena stato assassinato un uomo, un pericoloso narcotrafficante, e un corpo di polizia particolarmente specializzato sta cercando l’assassino. 
Unico testimone: il gatto. Per la precisione Cucco, il gatto di Carla, che spesso e volentieri se ne va girando per il quartiere ed è rientrato a casa lasciando zampate di sangue. 
La tecnologia investigativa ha messo a punto un dispositivo capace di accertare la veridicità dei testimoni o sospetti criminali, una sorta di macchina della verità che entra nella memoria di chi ha visto. Dunque ci si prepara a entrare nei ricordi di Cucco utilizzando il Dispositivo Mnemonico DM e inchiodare il colpevole. 
Nella memoria di Cucco entreranno in missione l’agente Due, l’agente Nove, Carla e Marco. 
Marco è il fidanzato di Carla, il suo punto di riferimento, “il cuscino che attutisce i suoi spigoli”, è con lei da prima che accadesse quella cosa
Molte cose accadranno in questo viaggio nella memoria che ci porterà a scoprire l’insospettabile assassino attraverso un incrocio di generi letterari, di storie e di accadimenti, di pericoli e di capovolgimenti, di prima e di dopo, come del resto Morosinotto ci ha già abituati a fare. 
Dunque questa storia è un giallo, un’avventura au bout de souffle e anche una storia di fantascienza (o esiste già la “Macchina Mnemonica 171” con il connesso “Dispositivo Mnemonico DM”?). 
Tra le righe della trama, sballottati tra un accadimento e l’altro, riusciamo anche ad attraversare il confine tra animale umano e non umano e come il gatto Cucco, vedremo giallo tutto ciò che è rosso (i gatti non vedono il rosso): gialli i mattoni di Bologna “la rossa”, giallo il sangue della scena del delitto; saremo capaci di fuggire con grandi balzi; vedremo le piante di casa come fosse una foresta… 
Una bella storia che raccoglie con successo la sfida della nuova collana editoriale che Mondadori sotto suggerimento di Alice Bigli ha studiato per i lettori dagli 11 ai 14 anni. 
Si chiama OSSIGENO e propone romanzi brevi da “leggere tutto d’un fiato” per avvicinare alle storie chi non è abituato alla lettura. Dunque solo 126 pagine con interlinea ampia e carattere grande a disposizione di Davide Morosinotto per sfoderare una storia avvincente che apre a interrogativi interessanti: una riflessione sul Male, su come qualunque, proprio qualunque persona possa sceglierlo e agirlo (il riferimento a La banalità del male è esplicito) e sulla vendetta che qui viene proposta come nelle fiabe classiche nella loro versione non edulcorata dalle recenti trascrizioni dove ai cattivi (le sorellastre di Cenerentola come la strega di Hänsel e Gretel, per esempio) capita di morire carbonizzati in un forno o con gli occhi cavati da uccelli vendicatori. 
In ultimo un accenno alla bella copertina illuminata da una luce gialla (per un giallo in cui si vede tutto giallo!) realizzata da Laura Perèz Granel. 

Patrizia

Noterella a margine: Gli altri titoli già usciti per la collana OSSIGENO: Scusa, ma resto qui di Alessandro Barbaglia; Il sentiero degli orsi di Francesco D’Adamo.  

“Il mio gatto ha visto l’assassino” D. Morosinotto, Mondadori 2024

lunedì 23 settembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

SGRANARE GLI OCCHI

Ö
, Guridi 
Kite edizioni 2024 


ILLUSTRATI  

"Per i miei figli, 
i figli dei miei figli 
e tutti quelli che verranno... 
Non c’è un pianeta B." 

Guridi 

Queste sono le uniche parole di un libro senza parole. 
Fa eccezione questa dedica, appunto, e la breve frase della quarta di copertina. Neanche il titolo è una parola vera e propria: è un segno grafico che, se capito a dovere, non è quello che sembra, ovvero non è (solo) una o con la dieresi... 
In bianco e nero, a parte la palina segna neve - bianca e rossa - e un sacchetto di plastica giallognolo abbandonato e pieno di scarti di un picnic. Forse. 
Il resto è neve e un orso che ci passeggia dentro e fa cose in un inverno senza ibernazione per lui. Si dirige verso le rocce. Annusa e scruta un ramo su cui c'è una spruzzata di neve, scuote l'albero perché la neve gli cada addosso. 
Gioca a far il cervo. 
Fa le nuvole col fiato. 
Si specchia nell'acqua. E più in là vede il ghiaccio incrinato. 
Si sdraia e fa il gioco dell'angelo nella neve... e poi raccoglie il sacchetto abbandonato per buttarlo nell'apposito cestino. 


Quindi si dirige verso la sua caverna invernale. Ma... 

Guridi è una fortuna che esista e che faccia così il mestiere che fa. 
I suoi libri italiani non sono poi moltissimi, lui ne ha pubblicati una sessantina, tuttavia non ce n'è neanche uno che non lasci una traccia forte dopo il suo passaggio editoriale. 
Quando lavora in solitario si percepisce con ancora più chiarezza la potenza del suo disegno. 
E nel silenzio e da solo come qui, ovviamente, dà il meglio, ovvero può essere Guridi fin nel midollo. 
Per esempio, da grafico, lui sa bene che il silenzio gli permette di essere ambiguo, quel tanto necessario perché il lettore si trovi spaesato, si guardi intorno, si interroghi, si attivi e cerchi punti di riferimento per ancorarsi e capire quel che c'è da capire. 


Quello che Guridi vuole succeda è che il lettore nel silenzio di parole-guida - che se ci fossero privilegerebbero un senso e uno solo - da solo debba trovarsi una strada, e fino alla fine non sappia mai se ha imboccato il sentiero giusto. Ammesso che ce ne sia uno solo. 
Il gioco che Guridi mette in atto è quello di "parlare" figura dopo figura con la dovuta lentezza perché il lettore abbia il tempo di percorrere a ritroso la strada fatta fin lì e confermare a sé stesso di non essersi sbagliato. 
L'esempio del titolo è dirimente: lo si capisce solo a libro letto. E solo a quel punto che si smette di vedere la O con la dieresi. Guridi qui si è preso tutto lo spazio necessario: bravo! 
Neanche la quarta di copertina viene in aiuto con una freccia di segnalazione - per di qua o per di là - è mistero puro. Dalla parte del lettore c'è solo quella dedica di cuore. Che non è poco. 
Se si procede nella lettura si incontra la palina nella neve, primo elemento a colori a comparire con lo scopo di accendere i sensori... 
Non è lì a caso. Perché? 
Silenzio. Pausa. La pagina gira. 
La nostra testa attenta ha comunque registrato l'informazione , ovverosia l'incertezza resta, ma quando si segue l'orso nel suo incedere lo si osserva con uno sguardo lievemente più consapevole. 


L'orso si ferma davanti a un ramo e guarda verso l'alto. Perché? 
Silenzio. Pausa. La pagina gira. 
Scrolla il tronco e si fa cadere addosso la neve che si è posata sui rami. 
La palina segna neve, l'orso che si fa la doccia con la neve scossa... L'orso poi si traveste da cervo... 
E pensare che credevo di procedere nella giusta direzione... Si va da un'altra parte? O serve solo a dare un cuore pulsante a quell'orso insonne?
E' uno dei molti gesti espressivi di quella silhouette nera. Che si impara a conoscere. Inevitabile l'empatia.


Insomma la lettura è un incedere cadenzato tra molte domande e ancora più numerose possibili risposte. Si procede con circospezione e sempre maggiore affezione. 
Si tiene conto di tutto, e bisogna essere disponibili anche a tornare indietro e ritrattare. 


La cosa che va fatta è osservare. Esattamente come fa l'orso. 
Poi bisogna partecipare. Esattamente come fa l'orso. 
E solo alla fine, sgranare gli occhi. Esattamente come fa l'orso. 
Per questo motivo forse val la pena fermarsi qui per non mettere parole dove Guridi non vuole ce ne siano. 
Però una cosa va assolutamente detta: l'editore francese, Cot Cot Cot, l'editore coreano, Namumalmi, l'editore italiano, Kite, e modestamente Lettura candita, hanno annotato lungo il cammino dettagli diversi e quindi hanno deciso di prendere sentieri distinti per arrivare sulla vetta di questo gran libro. 
Sgranare gli occhi per credere! 

Carla
 
Noterella al margine."No quiero que mis imágenes hablen por mi, sólo que acompañen mis pensamientos, mis palabras, para dejar que los demás encuentren los suyos". Guridi

venerdì 20 settembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

NON VEDERE NON ESSERE?

Il museo del niente, Steven Guarnaccia (trad. Eugenia Durante) 
Corraini Editore 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Ottavia e Otto vanno al museo. Vogliono visitarne uno dove non sono mai stati. 
Sono stati al Museo dei quadri grandissimi e al Museo delle invenzioni importantissime. 
Arrivano in una strada che non hanno mai visto. In fondo c'è una grande porta su cui c'è scritto... MUSEO DEL NIENTE. 
Entrano." 

Il Museo è pieno di niente. Vuoto, o per meglio dire, senza nessun oggetto esposto: solo bacheche vuote, piedistalli sgombri, oblò che si aprono nei muri al di là dei quali non c'è nessun oggetto. E, come se non bastasse, nessuno in giro. 
A mancare sono anche i colori. 
Le uniche cose che sembrano contenere qualcosa sono i cartelli che - seppure un po' sgrammaticati - indicano dove trovare il niente. Il fatto è che il niente è fatto di niente, per cui i cartelli stessi alludono a qualcosa che l'occhio non vede... 
Galleria delle sculture, detta Galleria Nisba, è piena di piedistalli che alludono a opere che con il nulla hanno molto a che fare: il busto del Milite Ignoto, La bolla scoppiata, senza contare le numerose bottigliette contenti l'aria di qui e di lì. 
Nella Sala di nessuno, fanno la conoscenza con l'Uomo invisibile, leggono il verso iniziale di una poesia di Emily Dickinson, Io sono nessuno. Tu chi sei? 
Il giro prosegue nella Libreria del nulla, dove fanno bella mostra di sé i libri di Calvino, di Sartre. Ma la visita si fa davvero interessante quando, nell'Ala zero, scoprono interessanti cose sullo zero. 
Anche la sala dei buchi non è male, anche se il pericoloso buco nero si risucchia il povero Otto. La sorella attraversa correndo la pinacoteca dove il bianco imperversa - da Melevich a Munari passando per Rauschenberg - e poi i due si ritrovano per finire insieme la visita nel bookshop del museo dove fa bella mostra un cartello che contiene una grande verità: se compri zero zero paghi! 
 

Steven Guarnaccia opta, ça va sans dire, per la versione pop della parola nulla, che per l'appunto è niente. E al niente ci gira intorno come nel Dopoguerra fece la famosa caramella alla menta che è conosciuta in tutto il mondo come "un buco con la menta intorno". 
Guarnaccia fa un po' la stessa cosa che fece all'epoca quel drago di George Harris e del suo staff. Harris, con l'intento di rendere necessaria una caramella (poi diventata di culto in UK) nell'immediato dopoguerra, ha semplicemente guardato le cose secondo una prospettiva diversa: è partito dal buco e poi ci ha messo la menta intorno. 
Da quel momento, nessuno ha più dimenticato le Polo. 


Ecco Guarnaccia anche qui fa la stessa cosa. D'altronde, il cambio di visuale sembra essere una delle tante magnifiche capacità che dimostra di avere. Per capirlo basta guardare i suoi libri per bambini più famosi qui da noi: quattro fiabe che vengono rivoltate letteralmente in nome della moda (Cenerentola e I vestiti nuovi dell'imperatore, e quali altre altrimenti?), dell'architettura (ovviamente, I tre porcellini) e del design (Riccioli d'oro che dell'arredamento della casa dei Tre orsi ha avuto molto da ridire). 
Qui la questione è ancora più scabrosa: il niente o il nulla non sono roba da poco, ovviamente. Lo stesso scultore Isamu Noguchi scrive che "qualcosa dovrebbe essere più niente del niente stesso." 
Guarnaccia non è certo il primo, nell'ambito dei libri per bambini, a riflettere sul concetto e a provare a metterlo davanti ai loro occhi: la cosa che lui fa però è costruirci una trama sottilissima che comunque sia almeno funzionale a tener su tutta l'interessante casistica da indagare e su cui ragionare. 
Tallec con Il re e il niente, al contrario gioca molto di più sul lato narrativo, e addirittura filosofico e sociologico, della questione. Bravo, lui, che così si toglie d'impaccio. 
Sta di fatto che entrambi devono ampiamente passeggiare nei territori dell'assurdo per poterne uscire fuori a testa alta. E soprattutto entrambi si scontrano con una realtà incontrovertibile: il Nulla in natura non esiste, se non, appunto, nell'ambito della pura teoria. 


Però, c'è un però. Guarnaccia, più che di niente, sembra voler parlare di assenza. 
Un po' la stessa cosa che hanno fatto due artisti - il loro nome Benandsebastian li tiene assieme- che nel 2014 allestiscono a Copenhagen un museo omonimo a quello di Steve Guarnaccia: The Museum of Nothing (museo che viene allestito di volta in volta in luoghi diversi accanto a musei "normali" con l'intento di riportare in equilibrio la dominanza della presenza rispetto a quella dell'assenza). 
Mission del loro museo: focalizzarsi sui vuoti tra opera d'arte, cornice, descrizione e rappresentazione, in modo da attivare le innumerevoli relazioni tra le cose e spingere i meccanismi fisici e linguistici usati per fissarle sul posto. 


Insomma, il loro obiettivo è quello di esporre la presenza dell'assenza: "Il lavoro di benandsebastian si interroga su come le lacune nella conoscenza plasmino l'identità e su come particolari assenze, ad esempio sotto forma di oggetti perduti, artefatti incompleti o narrazioni escluse, agiscano sull'immaginazione". 
Geniali architetti di formazione, ma soprattutto esploratori di pensiero puro. 
Non so se Guarnaccia conosca la loro arte e la teoria che c'è dietro, ma a me pare un fatto incontrovertibile che nel suo buffo libro le parti meglio riuscite non siano quelle che ruotano intorno al concetto del nulla, ma quelle che ragionano sullo zero, sul nessuno, sui buchi (la mia preferita), sulle mancanze, sulle assenze, appunto. 


Compresa quella della policromia (che peraltro Otto e Ottavia si portano dietro) o ancora sugli esiti artistici dell'invisibile, come per esempio L'aria di Parigi di Duchamp, che sul non vedere/non essere hanno giocato e illuso lo sguardo. 
Però, c'è un altro però. Su questa questione ultima del non vedere/non essere. 
Mettiamo il caso che un genitore illuminato, oltre ad aver letto Il Museo del niente abbia fatto leggere al suo bambino anche un libro che si intitola Ludwig e il rinoceronte.... 
E mettiamo che quello stesso bambino colleghi le due storie e l'idea che c'è dietro... 


Ecco che allora si sentirà forte e chiaro un ruminare di pensieri in quella piccola testa. Evviva!  

Carla 

Noterella al margine. A parte qualche piccola distrazione - qui e là (con l'accento) - e qualche imprecisione - i musei direi che hanno sale più che stanze e scaffali con libri dalle pagine vuote, resta un altro mistero che farà ruminare i pensieri dei ragazzini più attenti e curiosi (i miei preferiti): ma perché Ottavia ha sempre lo stesso vestitino pieno di zeri (o di O maiuscole?) mentre il fratello Otto cambia maglietta a ogni piè sospinto? 
I grandi che hanno avuto la felice occasione di incontrare Guarnaccia se lo spiegheranno, ma un bambino puntiglioso resta là ancora lì a ruminare...

mercoledì 18 settembre 2024

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

COME FANNO LE COSE A SPARIRE, 
COME FANNO A TORNARE... 

Qualche giorno fa dovevo travasare l’olio. 
Dopo aver predisposto sul piano da lavoro tanica e bottiglia ho allungato la mano per afferrare l’imbuto. Mi aspettavo fosse dove normalmente avrebbe dovuto essere. Invece, con mio grande disappunto, lui non c’era. Al suo posto, un mestolo, un colino e una grattugia, e un imbuto, sì, ma per le marmellate, con l’imboccatura bella larga e inservibile ai miei scopi. Dove era l’imbuto per i colli stretti? Ho cercato nel cassetto degli arnesi per la cucina, in quello delle posate, nello scolapiatti, nella lavastoviglie, negli armadietti dei piatti e dei bicchieri, ho chiesto a mio figlio che non lo aveva visto, e nemmeno gli altri della famiglia sapevano nulla della sparizione. Alla fine ci siamo ritrovati tutti in cucina, davanti all’asta di metallo da cui penzolano in bell’ordine mestoli, passini, fruste e pelapatate, attoniti e pure un po’ indispettiti. 
Ma come diamine fanno, certi oggetti, a sparire? 
Questo dovevano esprimere le nostre mandibole sganciate. 
Eppure, dovremmo saperlo: si smette di vedere così, per abitudine, quando la mente smette di sorprendersi e dà per assodato che una cosa sia fatta come è fatta, che un oggetto sia lì dove deve stare, che certe premesse debbano condurre prevedibilmente e logicamente a certi risultati. Si smette di vedere quando l’occhio, prese le sufficienti misure, dismette la sua esplorazione per passare a una sintesi (apparentemente?) superiore, scambiando quel frammento di meraviglia che riverbera in ogni filo d’erba per il concetto più esteso di prato, e per praticità si profonde in un’astrazione che fagocita il dettaglio a vantaggio della generalità. 
È lo sguardo adulto, bellezza. Così si smette di vedere. 
Ma come si fa a tornare indietro? 
Un’idea potrebbe essere camminare, come succede nel romanzo “L’occhio della montagna.” 


La storia inizia così: una giovane coppia si trasferisce nella campagna irlandese con l’idea di lasciarsi alle spalle città, frenesia, le rispettive famiglie, le incomprensioni, i dissapori. Protetti dal reciproco amore, Sigh e Bell cominciano una nuova vita e pongono al centro dei loro desideri il proposito di salire, prima o poi, sulla vetta del monte che vedono quotidianamente dalla loro finestra. Per questo iniziano a camminare, accompagnati dai loro fedelissimi cani Pip e Voss: per conoscere i dintorni, per allargare lo spazio conosciuto dai loro passi, per trovare in tanta ampiezza il sentiero… 


Le frasi descrittive procedono tambureggiando con la precisione di un radar, e restituiscono al lettore non solo il territorio e la casa, il mutare delle stagioni, delle luci, degli odori, l’acquisizione di gesti consueti e rituali, ma anche il minuzioso brulicare tutt’intorno… 


L’elencazione indefessa di erbe, oggetti, temperature e percorsi assume curiosamente la forma di una contemplazione che procede per ingrandimenti, come se la fatidica camminata in cima al monte non fosse tanto un’ascesa, quanto un ingrandimento, una digestione concentrica e discendente verso un centro focale possibile unicamente per ripetizione e prossimità. Un risveglio dello sguardo, dunque, un ritorno della capacità di vedere e quindi un ribadire delle entità esterne e reali che ci circondano. 


Punto a punto il paesaggio che circonda Bell e Sigh oltrepassa i confini puramente concreti del sentire e tramuta quello che è fuori in una questione intima. Le piante, l’orto, lo stato dei muri, la presenza del contadino: tutto è una alfabetizzazione ad opera del territorio che a furia di essere rilevato e impresso dalla retina, dall’olfatto, dalla pelle, prende e tiene Sigh e Bell, saldamente, nell’esperimento della realtà, e noi con loro, attraverso l’artificio della nominazione, nella parola. 
 

Non partiamo da un albo illustrato, questa volta, e nemmeno siamo di fronte a un’opera per l’infanzia. Eppure, quello che succede in queste pagine è una esperienza di oggetti, entità e accadimenti molto simile a quella condotta dallo sguardo dei bambini, dal loro sperimentare pronto ad accogliere per la prima volta tutto quello che li circonda e metterlo in relazione. Guarda caso, succede così anche nella raccolta divulgativa "Il mondo intorno a me" che Topipittori dedica ai piccolissimi.




Una bambina apre gli occhi e si dischiude al mondo, permettendo alla vastità del mondo di entrare, passando per i sensi aperti e capienti, e per le relazioni intessute in loro presenza; i quattro elementi vengono circoscritti nei riquadri minuscoli, e pagina dopo pagina divengono familiari per analogie e differenze, per rilevazione, assimilazione e concettualizzazione… 
Attraverso una mano dischiusa a percepire il calore passa l’esperienza del fuoco, attraverso un occhio aperto alla luce sua dorata, attraverso il suono di un fiammifero e il crepitare di fiamma, o addomesticato e azzurro sotto la pentola del latte, così delicato da spegnersi sotto la spinta del fiato…


 

Passa così anche il cielo, dall’azzurro onnipresente e mutevole, dalla luce che lo attraversa, tanto diversa del mattino e della sera, rosso e scuro e poi ancora diverso, così grigio e pauroso se lampeggia, se tuona…

 
Passa nel naso il mondo, dal fuori al dentro, attraverso la terra stretta nelle mani, e il suo odore, racimolato nella memoria e poi restituito nell’accumulo di immagini della sua mutevolezza.


Così anche l’acqua, tutta intorno nelle sue fattezze diverse, berla e averla nella pancia o averla tutta intorno quando si nuota, ascoltarla infrangersi sugli scogli, sgorgare dal rubinetto, addirittura uscire dagli occhi come se fossero fontane… 


 

In questo modo, attraversandoci, quello che è fuori ci riempie e riempiendoci scompare. Ma vi è un margine, tra vedere e non vedere, tanto labile quanto resistente, e scavalcarlo richiede solo la disposizione a un’epifania che ha come oggetto ciò che è manifesto, conosciuto, esplosivamente ovvio. 
Come diceva Margareth Wise Brown: 
“La cosa più importante dell’erba è che è VERDE. 
Cresce, ed è morbida, con un dolce profumo erboso. 
Ma la cosa più importante dell’erba, è che è verde."
La cosa più importante dell’erba è che è verde… 


P.S.: è stato proprio quando sei paia di occhi erano sospesi davanti a lui, che l’imbuto è ricomparso. Stava appeso lì, esattamente dove doveva stare e dove ovviamente era sempre stato, tra il suo largo parente e lo schiacciapatate. E anche se con tutta evidenza nessuno lo aveva toccato, lui era leggermente inclinato, come se avesse voluto nascondersi, e credetemi se vi dico che mi guardava pure lui. 
E sotto sotto, rideva. 

Giorgia

“L’occhio della montagna”, S. Baume, (trad. A. Arduini), Enne Enne Editore 2022 
“Il fuoco”, C.Roumiguière, M. Duval, (trad. L. Topi ) Topipittori 2023 
“Il cielo”, C. Roumiguière, M. Duval, (trad. L. Topi ) Topipittori 2023 
“L’acqua”, C. Roumiguière, M. Duval, (trad. L. Topi ) Topipittori 2024 
“Terra ”, C. Roumiguière, M. Duval, (trad. L. Topi) Topipittori 2024 
“La cosa più importante”, M. Wise Brown, L. Weisgard, (trad. L. Spatocco), 
orecchio acerbo 2018

lunedì 16 settembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN VIAGGIO BEN FATTO 

Metafora. La storia della filosofia in 24 immagini
Pedro Alcalde, Merlín Alcalde, dipinti di Guim Tió (trad. Federico Taibi) 
L'Ippocampo 2024 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER GRANDI (dai 12 anni) 

"Il concetto diventa immagine. 
Ma c’è qualcosa di molto più importante che pulsa in loro: una luce diversa e rivelatrice che illumina il mondo intorno a noi, il mondo-ambiente con le sue forme e i suoi colori, la sua vita, il suo sangue e il suo odore. 
È così che le metafore filosofiche cancellano i margini delle astrazioni che le motivano per invitarci a una riflessione continua e a chiederci se, in fin dei conti, il nostro modo di intendere il mondo e noi stessi non sia di fatto modellato essenzialmente proprio da loro, dalle nostre metafore." 

Prima che tutto cominci, su due colonne, Pedro Alcalde, Merlín Alcalde trovano una definizione di metafora. Per meglio dire, di metafora filosofica, ossia di quel particolare tipo di metafora che è concettuale e che funziona da ponte tra una parola o una frase che appartiene al pensiero di un filosofo e una immagine. In estrema sintesi, la metafora filosofica trasforma i concetti in figure. Per farlo deve per forza sconfinare dal mondo dell'astrazione per andare nel mondo del sensibile e lì prender forma in qualcosa di tangibile. 
E poi tutto comincia. 


Il pensiero filosofico, la sua storia attraverso i secoli, viene raccontata in breve e a ogni tappa prende forma di paesaggio, sempre un po' diverso, sempre attraversato da una umanità piccola. 
Sulla pagina di sinistra le parole e un simbolo grafico, ci torno, e su quella di destra la grande immagine, un quadro di Guim Tió. 
Il concetto del continuo movimento del mondo, panta rei, di Eraclito trova nella parola fiume, che poi diventa scorrere di un fiume, la sua rappresentazione tangibile. Oppure la ben nota caverna di Platone o il giardino di Epicuro dentro cui si coltivavano ortaggi, ma anche l'imperturbabilità e l'autosufficienza per arrivare alla felicità in un mondo che cambia...concetti che diventano luoghi. Sono due dozzine le immagini cardine che diventano icone di altrettante filosofie (e più precisamente dal fiume dei presocratici alla vita liquida di Bauman, chiudendo così una sorta di cerchio perfetto anche in senso visuale): tra le due immagini di Guim Tió, un minuscolo uomo che cammina non lontano dalla riva di un fiume e un altro uomo che si tuffa in uno specchio celeste non troppo dissimile. 


Tra questo principio e fine ci sono Hegel con la sua civetta, Marco Aurelio con la sua marionetta, Agostino con lo specchio, Hobbes e il lupo, Parmenide con la sfera, Arendt e il deserto, Benjamin con l'aura e Butler con la sua Matrix, matrice. 
E in mezzo noi, la nostra curiosità verso quel regolare quanto continuo passaggio da un linguaggio a un altro. E quando si arriva in fondo al percorso, senza essersene neanche accorti, abbiamo ascoltato una storia e l'abbiamo vista illustrata. 
Una storia unica che ci riguarda tutti. 

Questa è forse la ragione per cui, dopo lunghi tentennamenti, il libro Metafora. La storia della filosofia in 24 immagini trova la sua posizione tra le varie rubriche di Lettura candita, non in quella più prevedibile, dedicata alla divulgazione - Fammi una domanda! - ma piuttosto tra i libri di narrativa. Ha prevalso il senso di unità - una unica grande e magnifica storia del pensiero - che ha, nonostante alcuni esiti da vero libro di divulgazione, una sua precisa volontà letteraria cui corrisponde una magnifica eco visuale. 


Pedro Alcalde, alla domanda sulla nascita di un libro del genere (liquido, nel suo genere?) ha risposto così: un viaje a lo largo de la historia de la filosofía que estuviera acompañado por imágenes que facilitaran su compresión. 
Ho voluto credergli e, dato che le storie di viaggi, sono letteratura, narrativa, eccoci qua. 
Padre e figlio condividono, almeno a vedere i loro cursus honorum,, una passione comune: la filosofia. Così hanno deciso di trovare assieme un filo rosso che tenesse assieme le singole storie dei singoli filosofi: la metafora era perfetta per il loro gioco. Insieme, come prima di ogni viaggio ben fatto, hanno individuato le tappe e il percorso tra partenza e arrivo. Poi si sono spartiti i compiti: ognuno ha approfondito la singola tappa scelta per poi ritrovarsi a condividerle e la soddisfazione, come dovrebbe essere alla fine di un viaggio ben fatto, è stata quella di riconoscere al proprio compagno il merito di aver portato un accrescimento all'esperienza in sé. 


A parte l'interesse che ha come sempre in una storia-catalogo la scelta dei due Alcalde, scelta che sta dietro ai nomi dei pensatori prescelti, ci sono un paio di cose che davvero colpiscono. 
Da una parte il grandissimo lavoro fatto da Guim Tió. che qua dimostra una maturità raggiunta a soli trentasette anni. 
Paesaggio come campo di colore, è lui stesso a definire così le sue tele. 
Paesaggi sgombri da tutto, a parte qualche omino piccolo o donna altrettanto minuta, spesso di spalle e volutamente assente ogni loro espressione. La grande discrepanza fra le dimensioni di una piccola quanto rara umanità che fa passeggiare nei suoi scenari, sembra voler trasmettere una sensazione di potenza del paesaggio, di una natura raccontata solo attraverso la sua essenza cromatica che la rende inevitabilmente molto vibrante e misteriosa, ma anche a segnare la presenza di un elemento differente, una sorta di contrappunto visuale. I colori stessi - pochi - contribuiscono a rafforzare il valore metaforico delle immagini, lo stesso sembra riuscire a fare la sparuta umanità. 
Bello, davvero.


Resta in ultimo da dire qualcosa su un elemento che non so in quanti valorizzeranno e che invece considero un piccolo capolavoro in un libro già bellissimo. 
Esiste una sorta di indice simbolico, che viaggia accanto a quello più classico di titolo e pagina corrispondente. Ognuno di questi simboli lo si ritrova poi in cima alle rispettive pagine ed è una sorta di icona della metafora stessa: uno spicchio grigio per la lama del rasoio di Occam, due cerchi rosa per la civetta di Hegel, quattro linee parallele per la marionetta di Marco Aurelio, un pentagono grigio con un vertice più chiaro per l'iceberg di Freud. 


Non so dire da quale testa sia uscita una idea e una sintesi del segno così efficace, tanto stupefacente. 
Parrebbe lontana anni luce dalla ricerca di atmosfere di Guim Tió, lontana dai suoi quadri che si fanno illustrazioni, diventando metafore esse stesse in un libro sulla metafora. Ma chissà. 
Forse la maternità spetta a quella grande grafica e designer che ha curato il progetto grafico e che è dietro la casa editrice català, Zahorí Books, Joana Casals? Forse. 

Carla

venerdì 13 settembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DIVENTERO' UNO STARK! 


Diventerò una star, Ulf Stark, Mati Lepp (trad. Laura Cangemi) 
Iperborea 2024 

NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 6 anni) 

"Gli lessi una fiaba intitolata Il brutto anatroccolo. Parlava di un anatroccolo che tutti prendono in giro perché è brutto e maldestro, ma alla fine si scopre che è un cigno. 
Astor mi guardava con gli occhi sbarrati, come se non avesse mai sentito niente di più emozionante in vita sua. 'Cavoli, è proprio così!' esclamò quando la storia fu finita. 'Esattamente così! Come faceva quello che l'ha scritta a sapere come me la passo io? Mi ha sbirciato dentro di nascosto?' 
 'Gli scrittori sanno un sacco di cose', risposi. 
'Sì, perché io mi sento proprio così: brutto e sbagliato.' 
'Ma va'. Secondo me sei perfetto.'" 

La situazione è la seguente: due grandi amici e compagni di scuola - Astor e Ruben - passano quasi tutto il loro tempo insieme. Le grandi doti di Astor sono quelle di saper fischiare con 2 dita, di saper scoreggiare a comando, di saper imitare il suono della campanella di scuola, di saper fare la verticale e muovere le orecchie. E di far arrabbiare spesso i suoi con le sue stupidate... 
Invece, la migliore dote di Ruben è quella di avere ottimismo e fiducia da vendere, anzi da regalare! Cosa che prontamente fa con il suo amico che in questo momento è un po' in crisi e ne ha un gran bisogno: perché si crede brutto, perché la sua mamma è pallida in un letto di ospedale e il suo papà da solo nel negozio di parrucchiere fatica un bel po', tra le tinte sbagliate e i tagli un po' sghembi. 
Complice l'affetto di un amico, un vecchio giornalino e un manuale difficile sull'ipnosi, molte cose sembrano mettersi in riga per marciare nella direzione giusta... 

Di Ulf Stark credo nessuno dubiti. 
E a quei pochissimi che ancora non hanno mai letto un suo libro, non si può che intimare di andare a colmare la grande lacuna. Immediatamente. 
Qui molto è stato già detto: su Le scarpe magiche del mio amico Percy, Sai fischiare, Johanna?, Il bambino dei baci, Il bambino mannaro, Animali che nessuno ha visto tranne noi, Ulf il bambino grintoso, Tuono, Il paradiso dei matti, La grande fuga e Piccolina tutta mia. Quest'ultimo è materia di studio e dà anche il titolo a un incontro di formazione sulla genitorialità nella letteratura del Nord...
(fine della autopromozione). 
Tuttavia ogni volta che un suo libro esce, c'è da esserne contenti perché più ce n'è, meglio è. Diventerò una star credo che non si possa considerarlo il suo miglior libro, ciò nonostante nelle sue pieghe nasconde una serie di semini che possono far germogliare pensiero sulla sua bravura. 
La prima di queste è già a pagina 6. Una frasetta, anzi due, che sembrano insignificanti e invece non lo sono, o per meglio dire conservano in poche parole, una dozzina, la grande misura di uno scrittore: Astor era il mio miglior amico. Non aveva paura quasi di niente. 
Lo penseranno tutti perché a posteriori, a libro letto, tornerà chiaro a ciascuno che questo incipit è magicamente perfetto per definire Ruben, per definire Astor e soprattutto la loro storia assieme. 
Un altro paio di semini li si trova a pagina 8: tutta la pagina è dedicata alla mamma di Astor in ospedale (chissà se è una delle cose di cui lui ha paura?) e ai tentativi che Astor mette in atto per divertirla e che irritano la zelante infermiera, Il risultato è che l'immagine e il testo che la guida ci raccontano una mamma a occhi chiusi ma con un sorriso sulle labbra pallide... 


Un altro semino potrebbe germogliare, zitto zitto, a pagina 12. Lì tra una parola e l'altra si vede quanto un adulto possa trovarsi in difficoltà e quanto non gradisca che suo figlio e il suo miglior amico, che davvero non lo lascia mai (chissà se non lo lascia mai perché sa che non è un gran momento per lui?), lo infastidiscano con la loro presenza... 
Un semino piccolo piccolo è il dialogo tra bibliotecaria e Ruben: 
"Questo voglio prenderlo in prestito", dissi. "Non lo capirai", mi avvertì la bibliotecaria. "E' troppo difficile." "Bene" risposi. 
Et voilà. 
Si potrebbero scrivere pagine su questo piccolo siparietto tra un adulto e un ragazzino e su come tutto poi semplicemente succeda... La capacità di Stark di essere cristallo, nel mettere un fatto dietro l'altro, poche parole e nessuna spiegazione. 
In questo senso forse vale la pena notare una volta ancora tutto il "non detto" che viene a galla nella scena dell'ipnotizzamento del padre di Ruben da parte di Ruben stesso, per ottenere 100 corone necessarie per il pomeriggio al luna park con Astor, che di soldi non ne ha tanti adesso... 
Et voilà, di nuovo.

O ancora il suono della campanella a scuola, il giorno del luna park, e il necessario ipnotizzamento del maestro... 
Ari et voilà. 
O quello della maga che predice il futuro e fa le diagnosi, come fosse un dottore.
Ari ari et voilà. 
Non so se sentirmi sotto ipnosi quando leggo Stark, ma a me pare molto evidente come sappia dire tra una riga e l'altra, nel bianco che c'è in mezzo e nelle teste di chi legge, così tante cose.... 

Carla 

Noterella al margine: un applauso a Laura Cangemi per la 'sputatrice a segno'!!