venerdì 8 agosto 2025

ECCEZION FATTA!

BLOG IN PAUSA

 

di nuovo operativo 

dal 20 agosto

mercoledì 6 agosto 2025

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

COPERTI DI FANGO 

Due albi per mostrare e rendere fruibile il sotterraneo dialogo che si compie tra il sopra e il sotto, tra l’oscurità e la luce, il male e il bene. Due albi per conferire narrazione e parole all’interdipendenza tra la felicità e la rabbia, lo scontento e l’eccitazione, poli energetici apparentemente in conflitto ma facenti parte, tutti, della multisfaccettata e organica capacità umana del sentire. 
Due albi necessari, per spodestare un poco il valore che viene dato in automatico alle emozioni positive e smascherare come sia invece l’alfabetizzazione sensibile dei vissuti negativi a potenziarle, perché esattamente come per la tridimensionalità delle immagini, al nostro cuore servono anche le ombre, per vedere. 


In Sua altezza Poltiglia Principessa di Fango la consapevolezza profonda che Beatrice Alemagna da sempre dimostra per la coesistenza nell’animo bambino tra male e bene, luce e ombra è rintracciabile fin dal titolo, dove la poltiglia e il fango, elementi materici che si trovano letteralmente sotto i nostri piedi vengono legati a doppia mandata a concetti astratti quali altezza e regalità. Un titolo che è quindi una dichiarazione di intenti per quello che verrà raccontato. 


Questa è la storia di Yuki, che sconfortata dall’ennesima incomprensione con Sen, silenziosissimo e imbronciato fratello maggiore, getta le chiavi in un tombino. 
Yuki è colei scende, compiendo il passo volontario di entrare nella propria riconosciuta negatività. Perché lo dice subito, lei, di essere cattiva e intrattabile, ammette di urlare e sbattere i pugni a terra, sa di ingarbugliarsi come fili elettrici con grande facilità. Yuki butta le chiavi nel tombino e poi decide di andarle a riprendere, ed è qui, sotto lo strato di asfalto e pietrisco che separa la città del quotidiano dai suoi malmostosi sotterranei, che la sua avventura apre davvero alla consapevolezza. 



Negli oscuri cunicoli a cui approda, Yuki fa la conoscenza di sua altezza Poltiglia, la Principessa di Fango: una massa informe e bonaria che la invita cortesemente a seguirla nei luoghi in cui viene accumulato, analizzato e gestito il fango dell’anima, questa rabbia che Yuki si ritrova appiccicata addosso ma che, a quanto pare, oltre che a sporcare ha anche altre caratteristiche. Passando per la Giungla Nera, dopo aver fatto conoscenza con Caccoli, (piccoli e buffi esserini deputati allo sviluppo del senso di Colpa) Yuki oltrepassa Lagondiglio, e arriva alla Rabbioteca, dove scopre che la rabbia può essere catalogata a seconda delle sue specifiche modalità di espressione, e addirittura assaggiata, passando da sentimento informe a travolgimento scomodo sì, ma anche ricco di informazioni da degustare. 


Non solo: a corollario di questa alfabetizzazione gourmet, nei sotterranei – sempre bellissimi grazie all’illustrazione caleidoscopica e sensibile di Alemagna – Yuki mette a fuoco due questioni nevralgiche. La prima è l’interdipendenza tra il proprio sentire e le dimensioni della Principessa di Fango; la seconda è conseguenza diretta della scoperta che anche suo fratello sia passato di lì. Il fatto che tutti abbiano accesso ai sotterranei, che addirittura Sen abbia conosciuto la Principessa, che la rabbia e il suo fango appiccicoso non siano un fatto personale e solitario, legato indissolubilmente alla propria identità ma al contrario uno stato quasi fisiologico di pertinenza comune, permette a Yuki di ribaltare la gerarchia che relega il suo sentimento ai margini, come una inadeguatezza da nascondere e ignorare. È dopo aver disinnescato questi due fattori che Yuki può concepire la risalita. Mano nella mano con il fratello, approda alla calma lineare delle strade consuete, dei marciapiedi e dei muri. È tra le pareti di casa, tutte dritte, che la Principessa mostra il suo dono. 


 
Accolta, nominata, conosciuta e condivisa, sua Altezza Poltiglia si mostra per quello che è, un accadimento naturale quanto la pioggia, da attraversare senza paura come si attraversa la gioia, passeggero come passeggero può essere lo sporco che imbratta i vestiti, scomoda, certo, ma non per questo priva di angoli di bellezza. 


Percorso inverso quello de Il sasso più bello, anche se sempre giocato sulla linea retta che divide il sopra e il sotto, il limaccioso e l’aereo, il ristagno della palude e il movimento della corrente. Fin dalle prime pagine siamo accolti da tavole scure e avvolgenti, che pur suggerendo staticità sono percorsi da fremiti e bagliori, un’inquietudine dorata che sembra cercare una strada per oltrepassare i tratteggi fittissimi. 


Di questo si tratta: di un luogo dove l’acqua ha smesso di scorrere, dove le cose sono quello che devono essere e nulla si muove. In questo albo non si scende: siamo già sotto. La melma ha invischiato ogni vitalità, riempie gli occhi del panettiere fin dal primo mattino, l’acqua trattenuta ristagna a bordo del tavolo della colazione e per raggiungere i banchi e insegnare qualcosa le maestre devono strappare giunchi e ninfee. Primi piani della vegetazione si alternano a visioni notturne di treni e stazioni, dove i ricordi dell’infanzia si susseguono rapidi, frammenti che pur luminosi non possono che essere fagocitati dal martellante ritmo delle giornate. A quanto pare, non esiste sasso che possa rimbalzare su acque di questo genere, perché a stare sott’acqua ci si fa l’abitudine. 


Eppure, anche in un luogo così immobile è possibile che qualcuno azzardi il cambiamento. Accade una notte che bagliori e macchie trovino una strada per arrivare al cielo: un signore fa rimbalzare dei sassi sulla superficie irreprensibile dell’acqua, e questa in risposta risponde schioccando, come fosse uno strumento musicale. Dalla riva, suo figlio batte le mani e ride. Risvegliati dalla misteriosa melodia che sembra una lingua sconosciuta, altri bambini risalgono dalle profondità limacciose e, liberi dalle costrizioni del fango, si raccolgono attorno all’uomo alla ricerca del sasso più bello, quello con cui eseguirà il lancio perfetto, che rimbalzerà fino all’orizzonte e poi oltre, all’infinito. 


Questo uomo, senza nome, con la barba incolta e i vestiti stazzonati, è colui che risale. Colui che per amore si ribella alla rassegnazione compiendo un gesto che ha l’audacia del gioco e le radici profonde della memoria. Con una tecnica impeccabile, questo uomo al pari di un mago ha il potere di far scoppiare fuochi d’artificio e di accendere nei cuori altrui la meraviglia a il desiderio di emulazione, moltiplicando l’energia originaria nei gesti e nella gioia di tutti. Tutti i colori che serpeggiavano furtivi nelle illustrazioni, quasi inquinando le massicce campate di nero, convogliano liberi nei ricchi fondali marmorizzati e dinamici per sostenere questo slancio: arrivato sull’altra sponda il sasso non si ferma, trascina con sé l’acqua della palude, lo stagno comincia a gonfiarsi trasformandosi velocemente in onda gigantesca, in torrente, in fiume. 


Eccoli: Sua altezza Poltiglia principessa di Fango e Il sasso più bello
Due albi in cui si parla di ciò che sta sotto, il luogo dove la materia tutta decade, si frammenta, si decompone e dopo aver preso una pausa, si riconfigura. Il luogo del fango, un elemento che sporca, macchia, spesso maleodora e trattiene, da cui si cerca di allontanarsi ma in cui maturano i presupposti della fertilità futura. Perché è sempre qui, a contatto con la frantumazione minima, che si sviluppa la capacità di posizionare la gioia. È attraverso l’esaurimento dell’esperienza che è possibile risalire alla trasformazione. Perché in ogni frammento è conservata una minima parte del tutto, forse una luce giallo acida che non va perduta mai, nemmeno quando in apparenza sembra di essere tutti coperti di fango. 


Giorgia

“Sua altezza Poltiglia principessa di fango” Beatrice Alemagna, Topipittori, 2025 
“Il sasso più bello” Gilles Baum, Joanna Concejo, (traduzione di Lisa Topi), Topipittori, 2025 


lunedì 4 agosto 2025

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

TRE PREGI E UN PIZZICO DI FORTUNA

L'uomo il pesce e il mare, Daniel Fehr, Maja Celija 
orecchio acerbo 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"L’uomo viveva vicino al mare. 
Il pesce viveva nel mare. 
Il mare, be’, era il mare. 
L’uomo era affamato. 
Anche il pesce. 
Il mare, be’, era il mare. Con un pesce dentro."

La cosa successiva che accadde fu che l'uomo prese un verme da sotto un sasso, lo fissò all'amo lo buttò nel mare. E questo generò il seguente fatto: ora dentro il mare c'era il pesce che dentro sé aveva un verme. 
Questo fatto, a sua volta, generò una tensione tra due forze: da un lato l'uomo tirava per fare uscire il pesce dal mare e dall'altra il pesce tirava perché l'uomo entrasse nel mare. E questo atto strano confuse il mare. 
E quando il mare si confonde ne fa delle belle: si sentì tirato e poi spinto e quindi decise di capovolgere la situazione e quando il mare decide di capovolgere la situazione non ce n'è per nessuno. E infatti l'uomo finì nel mare, il pesce finì accanto al mare e il mare finì sulla terra. Una gran confusione, ma l'unico che aveva mantenuto la calma e la situazione sotto controllo fu il verme che, quando l'uomo tossì e mollò la canna, quando il pesce tossì e lo risputò a terra e lui finalmente libero poté tornare, seppure in ritardo, a casa dove tutti lo stavano aspettando per festeggiare... 
Anche l'uomo finalmente libero dall'acqua poté tornare, seppure in ritardo, dove tutti lo stavano aspettando. Ma lì nessuno festeggiò! 

Sono almeno due i grandi pregi che bisogna possedere per scrivere il testo di un albo illustrato che poi diventi un bell'albo illustrato. 
A queste due doti si deve aggiungere anche un pizzico di fortuna. 
Il primo pregio è: saper trovare una buona storia da raccontare. 


Il secondo pregio è: saperla raccontare, fermando le parole al momento giusto. 
Il pizzico di fortuna sta, in questo preciso caso, aver avuto Maja Celija come illustratrice. 
Procediamo con ordine. 
Daniel Fehr in questo libro ha dimostrato di possedere i due pregi. Che poi diventano tre. 
Ha avuto una buona idea, ossia quella di raccontare una giornata di pesca, focalizzandosi solo sui tre (anzi quattro) personaggi chiave. L'uomo, ossia il pescatore, il pesce, ossia il pescato, il mare, ossia il mare. A loro tre, che sono nel titolo, se ne aggiunge un quarto che è il verme. Il quale diventa, quasi suo malgrado, il filo narrativo intorno a cui uomo, pesce e mare letteralmente ruotano attorno. 
Il secondo grande pregio è quello di aver saputo raccontare questa piccola storia con un testo "asciugato" (!) all'inverosimile che a sua volta ha saputo trasformarsi in un gioco con le parole, inevitabilmente comico. E quindi, di grande efficacia. 
Il gioco, è cosa nota, è una delle cifre che Daniel Fehr usa con grande naturalezza per raccontare le sue storie. Spesso i suoi libri hanno la capacità di trasformarsi in divertimento. E anche questo suo ultimo non fa eccezione. 


Passiamo al secondo pregio. Le già poche parole si sono fermate al momento giusto per lasciar passare l'altro grande racconto che c'è negli albi, ossia quello fatto per immagini, che di solito ha la precedenza. E spesso e volentieri dice anche molto altro. 
E proprio questo molto "altro" è la ragione del successo che fa di un albo un buon albo. 
Va da sé che perché questo si verifichi, chi scrive deve avere la sensibilità di tacere e di fare passi indietro quando c'è da farne. 
E, vi assicuro, non è così automatico che succeda. Spesso gli scrittori digeriscono male di non essere mattatori assoluti e soprattutto non dimostrano di avere la buona abitudine di non scrivere troppo e di dimostrarsi rispettosi dello spazio condiviso... 
Fehr questo lo sa fare. 
E su questo secondo pregio di Fehr si innesta il suo colpo di fortuna, ossia arriva Maja Celija che si appassiona al suo testo un po' folle. E ci costruisce intorno quelli che lei è sempre molto capace di fare: veri e propri mondi/contenitori ben più grandi di quelli raccontati a parole. 
Se da un lato, appunto, le parole di Fehr sono piuttosto ferme e concentrate sui tre personaggi, dall'altro sono state anche capaci di lasciare una grande zona di libertà intorno al verme. 
A volerla proprio dire tutta, Fehr anche sul verme aveva messo nel testo alcune suggestioni, che però non convincevano né Maja Celija né soprattutto l'editrice. 
Senza entrare qui nel dettaglio, la direzione che il testo di Fehr prendeva è sembrata troppo "adulta", e con ogni probabilità sarebbe passata sulla testa dei bambini che invece di feste e compleanni ne hanno esperienza diretta... 
E, visto poi come è andata, forse si può riconoscere a Fehr quindi anche un terzo pregio, ovvero quello della modestia, in nome della miglior riuscita di un lavoro che, come non si deve mai dimenticare, è collettivo. 
Maja e l'editrice trovano la festa di compleanno del verme la soluzione più efficace e Maja disegna perché questa parte - che nella prima versione del testo parlava di ben altro - prenda spessore. 
Il libro sterza e si incammina quindi in una direzione inaspettata per lo stesso autore. 


Daniel Fehr, con grande umiltà, si mette al servizio dell'opera, ossia si impegna a fare il meglio possibile, il suo lavoro di autore delle parole di un albo illustrato. 
E per arrivarci lima il testo, lo cambia quel tanto che occorre e addirittura si tace nel grande finale, che Maja gli ha servito - ironia della sorte - su un piatto... vuoto! 

Carla

venerdì 1 agosto 2025

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

Da oggi succede questo. Si riapre la rubrica IL RIPOSTIGLIO. 
Come esattamente un anno fa, prendendo il nome da un titolo da un meraviglioso racconto di Saki. 
E nasce dal desiderio di di togliere dall'oblio di un ripostiglio quei libri di orecchio acerbo (clic) che - per l' imbarazzo che nasce da un conflitto di interessi patente - non hanno meritato a tempo debito neanche una riga su questo blog. 
Visto che l'imbarazzo è comunque inevitabile, la rubrica avrà una cadenza vacanziera. 
Date queste premesse, la rubrica si sarebbe potuta anche chiamare: In punta di piedi, Tutto cambia, Vacanze o ancora Oltre il giardino
Ma non è successo. 

Gli esploratori della sera, Anne Brouillard (trad. Paolo Cesari) 
orecchio acerbo 2024 


ALBI ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"La giornata sta finendo. È un po’ dolce e un po’ triste. 
Si sente il mormorio del mondo che si fonde nella notte: il rumore lontano di una strada, la musica di un carretto dei gelati, voci ovattate che si chiamano... 
Martino sa sempre dov’è Dudù. Con Mimì è diverso. 
Lei è lì. Poi non è più lì." 

Martino, il suo peluche Dudù e la gatta Mimì hanno giocato insieme per tutto il pomeriggio nel bosco che confina con il giardino di casa. Hanno inventato una capanna, hanno inventato una battuta di pesca, si sono arrampicati sull'albero per vedere il mondo dall'alto. 


Ma adesso è l'imbrunire. La luce del sole cala e Martino con il fedelissimo Dudù decidono di tornare verso casa. Solo Mimì si dirige altrove e sparisce... 
I gatti son così. Tra i tre è lei quella che ha il coraggio, la voglia e forse anche il bisogno di esplorare la notte. 
Martino e Dudù rientrano e vengono accolti e avvolti dalle luci della casa, da una cena con mamma e papà. E quando si fa l'ora di andare a dormire il piccolo Martino continua a sbirciare dalla finestra per cercare di vedere se la gatta Mimì stia tornando. 
Di lei nessuna traccia. Martino cede al sonno. 
Ma con il favore della notte, la notte fonda, la gatta silenziosa rientra, e con un lieve miagolio si annuncia e sale sul letto dove Martino dorme e Dudù veglia... 

A ogni estate c'è un libro di Anne Brouillard di cui parlare. 
E questo può solo essere un bene. 
L'anno passato, nel Ripostiglio del 23 agosto c'era Nino. 
Una storia che con questa ha molti punti di contatto. 
Lì come qui si ritrova la passione di Anne Brouillard per le storie dove mondi differenti si toccano e si penetrano a vicenda. Il mistero del bosco, il selvatico odore di una foresta confina con il mondo conosciuto che ci siamo costruiti: la nostra casa, i nostri affetti. 
Lì come qui ci sono personaggi che fanno la spola tra le ombre di un bosco e la tranquillità di una casa.
Lì come qui si esplora una zona di confine anche temporale. Il giorno finisce e comincia la notte. 


Lì come qui ciò che un adulto potrebbe credere inanimato, ossia un peluche, si rivela agli occhi dei bambini, come qualcosa di molto vero e molto vivo! 
Questi sono temi così cari ad Anne Brouillard che proprio non può fare a meno di farli entrare nelle sue storie. 
Il bambino Martino e il suo peluche, che porta un nome che non a caso allude al nome che hanno i pupazzi in Francia (in francese, doudou), sono esploratori a mezzo servizio. 
La vera esploratrice è naturalmente Mimì. 
Lei ha ancora più fresco di Martino il desiderio di sentirsi parte di una natura che la contenga. 
I bambini, e Peter Pan ce lo ha insegnato, quando nascono hanno molto chiaro il ricordo di essere parte di qualcosa di molto più grande di loro. 
Loro sanno, ovvero possono ancora ricordare, di appartenere alla natura, come un filo d'erba o come una puzzola. Il loro crescere, lentamente, li porta a dimenticare, ogni giorno che passa, questa loro selvatichezza. 
A tale proposito, illuminante come sempre il pensiero di Giorgia Grilli su questo stato dell'anima dell'infanzia. Da leggere. 
Questa condizione dell'infanzia, Anne Brouillard la conosce e la racconta da sempre. 
Qui però ne segna anche il percorso verso l'oblio. 
Martino e il suo peluche sentono di appartenere anche al mondo 'civilizzato' e usano il bosco come un parco giochi. 


Però non lo si può negare: c'è un'ora precisa in cui ciascuno di noi sente una sorta di malinconia, di struggimento, un richiamo forte che ci fa scegliere, sera dopo sera, tramonto dopo tramonto, la sicurezza di un rifugio caldo e illuminato. 
Noi, purtroppo, non siamo gatti (o almeno non lo siamo più...) 


Mimì invece è gatto e il mondo a cui appartiene di istinto è l'altro, ma un letto morbido, un bambino che ti coccola e una ciotola piena al tuo ritorno possono ben valere qualche compromesso... 

Carla

mercoledì 30 luglio 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

OGGI ERA OGGI 


Se uno scrittore scrive un libro per ragazzi e ragazze dagli undici anni che proprio nel momento più determinante e spaventoso del racconto, proprio quando Hex, uno dei protagonisti, ha la possibilità di salvarsi la vita, se questo scrittore dicevo non gli fa trovare l’oggetto magico perché Hex lo ha dimenticato nei pantaloni e i pantaloni li ha buttati da lavare e sono lì puliti e profumati sulla sua scrivania e quindi addio oggetto magico, se uno scrittore scrive tutto questo, per me è già nell’empireo. 
Se inoltre tale scrittore, che ha già scritto un romanzo riuscito e piacevole, si affianca a un illustratore della caratura di Levi Pinfold, beh, allora il suo libro è sicuramente da leggere. 
Racconterò della trama solo l’inizio, perché una delle caratteristiche più piacevoli di questo romanzo sono senz’altro i colpi di scena.


Harrold racconta la storia di Hex e Tommo, due amici per la pelle, che un pomeriggio si vedono inseguiti dalla piccola Sasha che vuole giocare con loro. I giochi dei ragazzini sono turbolenti e pericolosi il giusto, sta di fatto che Sasha cade e si rompe malamente un braccio. Panico. I due amici chiamano i soccorsi e tutto rientra, ma il giorno successivo Hex le prende dalla sorella maggiore di Sasha; mentre scappa il ragazzino trova rifugio in un antico cottage, che non aveva mai notato, dove vive la vecchissima signora Missus con la sua gigantesca cagnolona Leafy. Missus offre a Hex una ghianda: se vorrà vendicarsi di Maria, la sorella di Sasha, dovrà soltanto romperla e così lei e Leafy faranno in modo che Maria non esista più, la faranno scomparire, nessuno avrà mai memoria di lei. 
Hex ammutolito prende la ghianda ma sul più bello si accorge appunto che è sparita col risciacquo della lavatrice. 
Non vado oltre nell’anticipare la trama di questo romanzo pieno di colpi di scena incredibili. Dico solo che non riuscirete a staccarvi e che il libro diventerà sempre più complesso e i personaggi sempre più interconnessi, raggiungendo la profondità delle fiabe antiche. 
D'altronde delle fiabe ha diverse caratteristiche: l’oggetto magico, come abbiamo visto. La strega e l’animale aiutante. Il bosco: piccolo, come ci viene spesso detto nel libro, eppure così vasto da poter cambiare il mondo. Il divieto e l’infrazione del divieto. La lotta. 
Harrold però aggiunge un passaggio esplicito, una riflessione nel romanzo che riecheggia in tutte le pagine: cos’è la vendetta? Siamo sicuri che sia univoca la colpa? Ci farà stare meglio vendicarci? Nomina la vendetta, la circoscrive. Non la lascia nell’indeterminatezza tipica delle fiabe, vuole che i lettori ci pensino: “Aveva archiviato la propria vergona e l’aveva sostituita con l’astio”, scrive Harrold dopo la consegna della ghianda. 
A.F. Harrold è un poeta e si vede, si sente mentre con profondità riflette attraverso i pensieri dei giovani protagonisti, sempre in biblico tra come si sentono loro e come li vedono gli adulti, si vede da come maneggia i pensieri dei due ragazzini protagonisti, Tommo e Hex. 
Che splendore. 


A tutto questo si aggiunge la maestria di Levi Pinfold, che deve avere un rapporto speciale con i cani neri, ma direi con gli animali maestosi di ogni genere. 
Le sue illustrazioni viaggiano proprio in una terra di mezzo che è quella che mi immagino esista tra il torrente dove Sasha si rompe il braccio, e il cottage che solo i ragazzini vedono. In questa terra del limite le sue illustrazioni nascono dal nero del bosco, tratteggiano i ragazzini spesso di spalle e in movimento, lasciando più spazio alla vecchia Missus e a Leafy, che tanta parte hanno nelle dinamiche del libro. I ragazzini e le due creature d’altro canto parlano una stessa lingua, perché le ghiande vengono messe nelle tasche dei jeans e non lasciate nel cottage. 
La cittadina scarna e desolata dove vivono fa da contraltare al bosco scuro e nodoso di alberi millenari, le macchine vecchie, le finestre che anticipano il dentro o che riflettono il fuori. Tutti temi di Pinfold rafforzati dalla trama. A tratti pare che Harrold abbia pensato proprio a Pinfold nello scrivere. 
Con molta maestria lo scrittore inglese intesse una trama solida e avvincente a una riflessione profonda, fino a portarci a un finale di quelli che piacciono a noi, quelli che finiscono con una domanda. Dopo tutto quel combattere e pensare e addolorarsi e dimenticare, come sarà la vita dopo? 
C’è una frase verso la fine che dovrei scrivere e tenere sulla mia scrivania: 
“Oggi era oggi, e l’unica cosa da fare con i giorni è viverli.” 

Valentina

"Era tutto il nostro mondo”, A. F. Harrold, ill. Levi Pinfold, trad. Manuela Salvi, Mondadori, 2025 

lunedì 28 luglio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA GRAZIA

Il compleanno dello scoiattolo
, Toon Tellegen, Kitty Crowther 
(trad. Laura Draghi Salvadori) 
Feltrinelli Kids 2025 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 7 anni) 

"Un po' più in là, in un angolo dove lo scoiattolo non andava quasi mai, c'era attaccato un altro biglietto, ma era così distante che lo scoiattolo lo leggeva solo una volta l'anno. Sopra c'era scritto: 'Il mio compleanno' . 
Una mattina, dopo aver letto per due volte il biglietto con la scritta 'Ghiande di faggio' e meditato davanti a quello con la scritta 'Essere allegro', lo scoiattolo rivide il terzo biglietto. 'Il mio compleanno' lesse. Allora si batté la fronte, strinse gli occhi e disse: - È vero! me n'ero quasi scordato! Il mio compleanno... Il cuore gli batteva forte. 
 Era quasi il suo compleanno." 

Per non dimenticarsi le cose Scoiattolo si appunta dei bigliettini sulle pareti di casa. Su uno c'era scritto La formica su un altro Ghiande di faggio...


Quello su cui era scritto Il mio compleanno gli fece venire in mente di organizzare una grande festa. Tutti invitati. Proprio tutti ricevettero la succinta lettera di invito scritta sulla corteccia di betulla. E tutti risposero entusiasti all'invito con un bel sì. 
A questo punto lo scoiattolo cominciò a curare l'organizzazione: preparò torte a non finire. Ognuna pensata in base ai gusti degli invitati. E lavorò alacremente e finì solo quando la festa era in procinto di iniziare. 
Nel frattempo gli invitati dalla loro parte preparavano regali: ognuno il proprio. Grandi o piccoli o minuscoli era tutti confezionati con cura. Poi passarono a pensare cosa indossare. A una festa non si può andare vestiti con ciò che si indossa ogni giorno... Tutt'al più lo si mette al rovescio! 
Poi si misero in cammino, uno dietro l'altro. 
Il primo ad arrivare (e meno male che arrivò perché lo scoiattolo era già lì che temeva di restar solo) fu l'orso che si informò delle torte... 
A ruota arrivarono tutti gli altri. 


Tutti, felici, consegnato il regalo e fatti gli auguri, mangiarono allegri e poi ballarono fino ad essere esausti, ma proprio in uno stato di grazia. 
Proprio una gran bella festa, nessuno avrebbe potuto dire il contrario. Quando si fece l'ora di tornare a casa, tutti, con i piedi stanchi, si rimisero in cammino, non prima di aver ringraziato e salutato con affetto sincero lo scoiattolo. Seduto nel silenzio sotto il faggio, sotto la luna si guardò intorno e concluse che era stata proprio una bella giornata... Poi si arrampicò sul faggio con tutti i regali che erano una pila. E poi si sedette sul tavolo con le gambe a penzoloni. Ed è proprio in questo momento, quando la notte arriva, dopo una giornata così importante, che nel cuore dello scoiattolo nasce un nuovo sentimento... 
E intanto la notte prosegue nel suo cammino. 

Un altro libro meraviglioso di Toon Tellegen, qui illustrato da Kitty Crowther. 
Si potrebbe chiedere di più? 
Pochi giorni fa, parlando con una amica, ho detto: a mio parere, tutto quello che è stato scritto finora, potrebbe essere assolutamente sufficiente per soddisfare l'intera umanità dei lettori. Per millenni si potrebbe campare di rendita. 
E lo penso davvero: a me, in tutta sincerità, basterebbero una trentina di libri del genere, di autori e autrici come questi due, per potermi sentire appagata come lettrice. Fino all'ultimo mio giorno, non credo di aver bisogno di altro. 
Forse non sono l'unica a pensarla così, visto che Feltrinelli adesso lo ripubblica, dopo averlo fatto uscire per la prima volta nel 2003. 
Toon Tellegen e Kitty Crowther, chi mi conosce lo sa, sono due stelle che hanno illuminato e guidato e ancora oggi fanno una bella luce nel mio firmamento personale. E mi indicano la rotta. 
In queste nove storie che hanno a che fare con il festeggiare e che sono abitate dai suoi magnifici animali del bosco si ritrovano i toni propri di tutti gli altri racconti di questo straordinario autore. 
Nel suo piccolo mondo brulicante di animali tra loro anche molto diversi - in cui il grande assente è l'uomo, mentre molto presenti sono i suoi sentimenti - c'è la consueta atmosfera piena di grazia. 
Ciascuno di loro ha caratteristiche proprie: ci sono i golosi, ci sono i timidi, ci sono gli affettuosi, ci sono i curiosi, ci sono i quieti e i festaioli, ci sono quelli che abitano sotto terra e quelli che si illuminano, volando. 
Ma tutti proprio tutti vivono in armonia, perché tra loro c'è comprensione e rispetto reciproco. 


Tutti sanno godere della propria gioia come di quella degli altri. 
E chi legge avverte chiara e forte la loro voglia di essere lì con gli altri, in quel preciso momento. 
Scoiattolo, uno dei personaggi di punta dell'immaginario di Tellegen, è pieno d'affetto per i suoi amici e li vuole tutti intorno a sé, prepara torte per tutti, conoscendo e assecondando i gusti di tutti. E tutti contraccambiano il piacere di stare con lui. Ognuno a modo proprio. Ed è in questo che Tellegen dà il meglio di sé: nel portare il proprio lettore in giro a vedere cosa significhi vivere bene, in una comunità, tra tanti e così diversi: una gioia leggere i differenti tipi delle torte - quelle pesanti che sprofondino all'occorrenza nel terreno, quelle di miele, quelle di erba, quelle color sangue per la zanzara. 
E ancora le varie mise che ciascun invitato sceglie per sé - dalle giacchettine rosse agli spolverini, dai berrettini lilla o verdi ai papillon gialli del tricheco. 
E ancora il confezionamento dei regali - grandi piccoli, rossi caldi o freddissimi. 
Una gioia profonda andargli dietro, pagina dopo pagina, nella costruzione di un mondo di pace e armonia... Un mondo di creaturine e creaturone, un mondo luminoso ma anche nero come la pece, di notte, un mondo assolutamente ideale per Kitty Crowther che le corrisponde fin nel profondo.
 

Insieme sono uno dei rari casi di binomio felice, oppure di assoluta perfezione raggiunta nella vicinanza: come pane e burro... 
E questa era solo la prima delle nove... 

Carla

Noterella al margine. Per saperne di più circa la mia passione per Tellegen e Crowther si può fare anche solo una ricerca qui in Lettura candita...

domenica 27 luglio 2025

COGLI L'ULTIMA MELA 


Carmine ha le ciliegie più buone del mondo, ma anche le mele, che convenzionalmente chiamiamo tra noi biancaneve, non scherzano. 
Ogni anno faccio un gioco scommessa con me stessa: conservare le ultime mele e riuscire a farle arrivare fino alle prime ciliegie. Anche quest'anno ce l'ho fatta! 
Ora, per santificare una fine degna alle due mele rimaste non posso mangiarle così a fine pasto come se nulla fosse... Quindi cerco in rete e trovo una ricetta facile facile ma di un certo effetto. 
Per celebrare l'ultima mela 

INGREDIENTI 
una mela soda e succosa 
una confezione di buona pasta sfoglia rettangolare 
un cucchiaino di cannella 
un cucchiaio di zucchero
due fiocchetti di burro 

Si toglie il torsolo della mela con il detorsolatore, la si divide a metà e la si taglia a fettine sottilissime e verranno tante mezze lune di mela. 
Con una rotella si tagliano le strisce di pasta sfoglia: devono essere alte 6 centimetri. 
Si mettono le mezze lune di mela una sovrapposta alla metà dell'altra in modo che sporgano di un dito e che occupino in altezza la metà della striscia di pasta sfoglia. 
Si mescola un cucchiaio di zucchero con un cucchiaino di cannella e lo si sparge sulle mezze lune di mela e sulla pasta sfoglia. 


Si ripiega sulle mezze lune la metà libera della pasta sfoglia in modo da creare una sorta di sacca che contenga le fettine di mela, Si sigillano con una ditata l'inizio e la fine della sacca. 



Con lentezza e accortezza si comincia ad arrotolare, come fosse una spirale, in modo da formare una sorta di rosetta in cui in basso c'è la pasta sfoglia mentre in alto ci sono le mezze lune di mela che si dispongono come petali di un bocciolo. 
Si sparge ancora un pochino della polvere di zucchero e cannella e due fiocchetti di burro. 
Si accomodano in tortiere del diametro di 7 o 8 centimetri e si cuociono per almeno 30 minuti nel forno a 180 gradi.
Fatto!

Carla

venerdì 25 luglio 2025

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

I TAMBURI DELLA PENULTIMA PAGINA 

Una cosa che si dovrebbe cercare di raggiungere, raccontando una storia con le immagini, è la piccola o grande capriola finale, il colpo di scena! 
Stupire il proprio lettore è cosa buona e giusta. 
Il piccolo o grande salto di senso, la risata, lo sgranare gli occhi sono tutte reazioni che se messe ad arte intorno all'ultima pagina, non possono che far bene alla storia, al libro. 
La forma di un albo illustrato, tra le sue tante doti, ha quella di essere fisicamente adatto a questo genere di emozioni e reazioni. Il giro di pagina sembra essere lì a bella posta. Il tempo che occupa, poco più di un secondo, in cui cosa ci sarà dietro non è dato sapere, è assolutamente un tempo ideale perché il cervello rimanga in stand by lungo la strada segnata. E se invece c'è un bel tornante, una curva secca su un altro panorama sarà tutto più gustoso. 
Va da sé che con altrettanta arte la capriola finale va preparata con cura. Ovvero il lettore va spedito in una direzione, va rassicurato che tutto sta andando nel verso previsto. Per assurdo, potrebbe quasi annoiarsi di tanta prevedibilità ed è allora che bisogna colpire! 


Tutto questo è per dire che ho sotto mano due libri che hanno la stessa firma, Matilde Tacchini e che finiscono entrambi con delle belle capriole. 
Nel primo caso lei è autrice del solo testo, Questo è molto strano... mentre le matite sono di Mercé Galì, una sua vecchia conoscenza. 
Nel secondo lei è autrice unica e la capriola che fa fare ai suoi lettori è ben più spettacolare e durevole... Non schiacciate quel bottone! 
Questo è molto strano... più che una storia vera e propria è un lungo elenco, una sorta di catalogo, dei vezzeggiativi, paragoni bestiali (nel senso letterale del termine), che di solito i genitori (o chi per essi) usano nei confronti dei piccoli: il piccolo koala di mamma, il topolino di papà, un maialino a tavola, un ghiro a letto, in piscina un pesciolino e via andare... 


Tutto chiaro? Il finale deve prevedere un capovolgimento che puntualmente arriva in un ribaltamento di ruolo: sparisce all'istante la tenerezza del koala per lasciare il posto alla rabbia vera che finisce in un urlaccio di quel povero ragazzino, finalmente solo ragazzino, senza peli o zanne, che rivendica, dopo aver ruggito ben bene, la propria identità. 
Ma questa capriola, sebbene scandita a chiare lettere, è fin troppo telefonata... 
E poi siamo alla penultima pagina, dove il rullo di tamburi si fa sentire.... 
E infatti, non poteva finire così, la vera capriola la vedremo solo quando anche l'ultima pagina è andata... 
Ancora più chiaro il meccanismo appare nel suo ultimo libro per Nomos Edizioni. 
La tensione emotiva si percepisce fin dalla copertina, con quel titolo che è un comando, con tanto di esclamativo! 


La situazione, anche in questo caso, non è certo la prima volta che la si incontra, tuttavia qui è giocata meglio che altrove. 
Contesto: esterno spoglio con solo un ramo visibile su cui far sostare in quota gufo e scoiattolo. Gli altri animali presenti sono tutti sul terreno, ovvero poggiano su una linea nera continua, Il pulsante è l'anomalia che getta scompiglio nella routine degli abitanti di quel boschetto: orso, fagiano, lepre, volpe, scoiattolo e gufo. 
Ognuno di loro si schiera e si fa carico di un'indole umana: c'è l'ottimista, il riflessivo, il prudente, il curioso e via andare... 
Naturalmente ognuno di loro si prefigura cosa potrebbe succedere a premere il pulsante rosso: caldo fulminate, glaciazione istantanea, gli alieni. Naturalmente in tutto questo crescendo di ipotesi qualcuno cerca di mantenere la barra del timone diritta. 


Ma si sa che, come succede anche nella vita vera, il chiacchiericcio intorno a un fatto non fa che accrescerlo, renderlo sempre più sospetto e potenzialmente pericoloso. 
Ciò che non si conosce è per definizione qualcosa che potrebbe portare guai. 
Così il loro cicaleccio ai piedi del ramo, intorno al pulsante, si fa sempre più fitto. Si invoca persino uno dei cardini della democrazia (quando si è in un numero maggiore di uno, accade): il voto. 
Poi come altrettanto spesso accade, soprattutto in questi ultimi balordi tempi, uno decide per tutti: il più grosso... 
E siamo alla penultima pagina... 

Carla 

"Questo è molto strano..." Matilde Tacchini, Mercé Galì, Kalandraka 2025 
"Non schiacciate quel bottone!", Matilde Tacchini, Nomos 2025

mercoledì 23 luglio 2025

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

ELOGIO DELLA CADUTA 

Una figura malinconica dalle guance smagrite, avvolta in una coperta variopinta, segue un gruppo eterogeneo di animali: un leone, un coniglio, un lupo, un tucano, un rospo. Quando li raggiunge porge loro una valigia trovata per strada, forse dimenticata proprio da qualcuno di loro.  

© Issa Watanabe #logosedizioni



Un coccodrillo, un formichiere, un rinoceronte e una giraffa sono accampati in una radura. Pentole, coperte e fagotti giacciono ai loro piedi. Un senso di sospensione e di precarietà aleggia attorno ai corpi che cercano di riposare. Nel sonno, i volti sono contriti. Chi è sveglio guarda lontano, nell’oscurità che incombe. 
Tra la figura allampanata e un enorme orso bianco ha luogo una conversazione, qualcosa che pare una contrattazione, un mercanteggiare necessario che lega a doppia mandata il rischio e la salvezza, il tentativo e il fallimento. 
Poi, si arriva al mare. 

© Issa Watanabe #logosedizioni



La cosa più difficile per i grandi temi, ancor più quando sentiti come urgenti e attuali, è essere raccontati interi e vivi senza diventare dettami. È difficilissimo, specie quando gli interlocutori sono bambini, mantenere intatto il bisogno di dire senza dimenticare che l’ascolto, quello vero, non può essere forzato. Arduo, sempre, arrivare ai lettori senza che il grande tema venga colonizzato dall’opportunità, dall’ufficialità del messaggio, dall’opinione comune di ciò che va detto e sentito. Infine, rarissimo che il grande tema venga raccontato in modo sufficientemente ampio e poroso, affinché permanga, nell’ascoltatore, quella libertà di raccogliere in autonomia ciò che può ovvero: quella parte di messaggio che, per età, sensibilità ed esperienza di vita, egli può contenere. 
Issa Watanabe ha la misura e la sensibilità di porgere il racconto della migrazione forzata e della ferita – sentito come urgente, personale, intimo – senza dimenticare mai la presenza dell’ascoltatore, concependolo anzi nella sua interezza. L’illustratrice predispone tutto il meccanismo narrativo affinché chi si affaccia all’albo lo possa fare in modo libero, e lo fa allestendo una sorta di camera di scambio, dove il mistero non viene sacrificato e il messaggio rimane potente e cristallino, sospeso e a disposizione di una lettura personale.


Che Migranti sia un capolavoro non tocca certo a me dirlo. Il racconto del gruppo di animali che dopo essere partiti affrontano una traversata in mare e approdano – non tutti, non indenni – sulla desiderata sponda opposta è scarno ed essenziale. Diretto eppure sensibilissimo. Il proposito di raccontare ai bambini il fenomeno della migrazione forzata con i rischi, il dolore e la morte che essa comporta viene centrato al punto da poter essere fruito non solo da chi una migrazione non l’ha mai affrontata, ma anche da chi ha vissuto sulla propria pelle la terribile esperienza e cerca parole e immagini per concretizzare qualcosa che va al di là del raccontabile. 
Ma lo scavo fatto da Watanabe è ben più di questo. La questione dei migranti, emblematica e purificata, diventa il fenomeno macroscopico e visibile attraverso cui è possibile toccare, in quel modo specifico che accade nelle storie e negli albi, un moto interiore ed essenziale, arrivando a simboleggiare il processo vitale e sconvolgente del cambiamento e della crescita. Se questo rimane timido e sotteso in Migranti, emerge invece con precisa intenzionalità in Kintsugi.


Il titolo è già una dichiarazione di intenti, un chiaro riferimento alla tecnica giapponese di ricomporre i cocci del vasellame spezzato con l’oro. La pratica del kintsugi fa della ferita e della guarigione una occasione di esperienza, compattando in un atto di riparazione dall’esito estetico e poetico un percorso che, nella realtà, passa attraverso la fatica della caduta, della sopportazione e della ricostruzione. 
Un coniglio vestito di tutto punto si accosta a una tavola riccamente imbandita per bere una tazza di tè, quando un biancore di gesso irrompe tra i rami del suo commensale. Sconcertato dal cambiamento, il coniglio inciampa, perde fatalmente l’equilibrio, precipita in avanti senza rimedio fino a rovinare a terra; non per questo smette di cadere, anzi: oltrepassato il diaframma del suolo scende ancora più in basso, in cavità e antri sempre più misteriosi, in una oscurità senza rimedio che sembra annichilire ogni colore. E quando si arriva in fondo, ecco un altro confine, ecco l’acqua. Il coniglio si tuffa e con una lunghissima apnea affronta una discesa che richiede moltissimo coraggio e con questo si intenda la capacità di sostare nel disagio, nella scomodità, nell’incertezza dell’esito. 
Questo è forse il regalo di maggior caratura in questi due albi. 

© Issa Watanabe #logosedizioni



Nelle interviste rilasciate dall’uscita di Migranti e reperibili in rete si capisce che Issa Watanabe ha un’altissima idea di infanzia e, in suo nome, rifiuta ogni banalizzazione. Le immagini che ha elaborato scaturiscono non tanto dalla diretta volontà di intrappolare nelle figure un messaggio chiaro, quanto dal bisogno di non voler arretrare di fronte ai fatti e allo stesso tempo di non deturpare la naturale propensione alla speranza. Tuttavia, è nell’integrità di affidarsi al proprio medium senza compromessi, nella scelta di affidarsi esclusivamente al disegno rinunciando alla parola che si sostanzia l’atto di fiducia rivoluzionaria e generativa - mi viene da dire quasi politica - che emerge dalle tavole, quando le si lascia parlare. 

© Issa Watanabe #logosedizioni



Il racconto di Watanabe può dire la speranza in quanto esso stesso è intriso di fiducia in ciò che deve ancora avvenire. Sta nel suo non volersi far imbrigliare, nella capacità di lasciare accadere le cose senza l’ansia della spiegazione, nella propensione ad arretrare per concedere spazio al lettore, assumendosi il rischio che qualcosa in questo scambio vada perduto. Nell'opera di Watanabe il messaggio stesso affronta la traversata che ogni pensiero azzarda dal momento in cui nasce, quando minuscolo e indefinito parte per essere formulato, trasformato, espresso e ascoltato. Possibilmente, compreso. 
Ogni pensiero, ogni idea, ogni parola, nel lungo percorso tra la sua comparsa e la sua espressione, affronta il rischio della censura, dello scoraggiamento, del silenziamento. Similmente al grande marlin pescato lontanissimo dalla costa dal proverbiale pescatore hemingwayano (ancora barche, ancora acqua) non è affatto detto che arrivi alla bocca, alla penna, alla carta intero; non per questo bisogna rinunciare.

© Issa Watanabe #logosedizioni

Dopo la contrizione per chi è perito nella traversata, il gruppo di animali si volge e, pur dolente, trova davanti a sé una radura fiorita. Dopo essere scampato alla profondità del mare, il coniglio risale in superficie e ritrova i pezzi con cui ricomporre nuovi oggetti, nuova realtà.

© Issa Watanabe #logosedizioni



L’atto stesso di pensare e parlare e creare è un atto di ricomposizione ed assemblamento che la lettura di questi albi celebra dal suo più radicale prodromo, che è la caduta, lo spezzarsi. Ed è forse qui che si sostanzia la necessità del nero delle illustrazioni, una oscurità che oltre a raccontare la disperazione veste efficacemente anche quel momento dell’esistenza in cui iniziano tutte le cose, l’oscurità che precede la luce, dove si affronta, senza certezza d’esito, la traversata prima dell’approdo. 

© Issa Watanabe #logosedizioni

Giorgia

“Migranti” Issa Watanabe, #logosedizioni 2020 
“Kintsugi” Issa Watanabe, #logosedizioni 2023