venerdì 12 settembre 2025

OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)

L'ALTRO TALLEC: LA VENDETTA! 

Le cose che sto imparando e mettendo in fila su Olivier Tallec sono molte. 
Nei suoi libri ci sono delle costanti che lo rendono riconoscibile quanto unico e per questo amabile. 
A parte il fatto che abbiamo potuto seguire il suo segno, del quale abbiamo apprezzato l'evoluzione dal suo primo esordio italiano con Bi sognerà fino ad arrivare all'ultimo i Tre sassi... 
A parte il fatto che lo abbiamo visto crescere anche come autore, e quindi 'sganciarsi' dalle parole e dalle storie di altri per andare a scrivere le proprie, fermo restando che in coppia con alcuni autori - da Nadine Brun-Cosme a Laurent Rivelaygue - è in perfetta sintonia sempre... 
A parte il fatto che abbiamo imparato ad apprezzare la sua rara capacità di raccontare pregi e difetti dell'umanità - il più delle volte sotto mentite spoglie - attraverso impercettibili ma efficacissimi dettagli espressivi: dagli occhi sgranati alle sopracciglia inarcate, alla postura delle spalle e delle ginocchia... 


A parte il fatto che abbiamo capito quanto gli piaccia disegnare animali graficamente confacenti, lo scoiattolo, il lupo dal muso lungo, il fungo così tondeggiante... 


A parte il fatto che abbiamo capito quanto ami disegnare e dipingere i boschi: rari nelle sue storie i contesti urbani... 
A parte il fatto che abbiamo apprezzato che lentamente ma inesorabilmente nelle sue storie ha potuto dare grande sfogo al suo senso dell'umorismo, che va dal comico verso una sana e robusta ironia che talvolta sfocia nel sarcasmo, senza il quale adesso credo faticherebbe a sentirsi appieno soddisfatto del suo lavoro....


A parte il fatto che - almeno in tutte le storie di cui firma anche il testo - si apprezza la sua sospensione di giudizi e di morale e, più in generale, di soluzioni preconfezionate... 
A parte il fatto che di Tallec abbiamo imparato ad apprezzare il suo modo di guardare (e quindi di costruire) i suoi protagonisti, in un miscuglio, molto umano, tra affetto e cinismo... 
A parte il fatto che di Tallec apprezziamo il suo coraggio a non tirarsi indietro di fronte a questioni 'spinose' da sottoporre ai bambini, forte del fatto che a loro si può dire tutto a patto che lo si faccia con cura e leggerezza (esce a giorni Sta dormendo?
A parte il fatto che tutto questo non è poco, credo vada aggiunta un'altra costante che con l'idea che i bambini vanno trattati come persone, ha parecchio a che fare. 


Tallec non ce la fa proprio a non essere "universale": non ci sono libri, tra quelli pubblicati per l'infanzia, che non parli anche ai grandi. Come è giusto che sia. 
Le ragioni per cui questo accade nei libri dei migliori dipendono dal fatto che dato che hanno una bella testa non riescono a non considerare un bambino come qualcuno che valga di meno di un adulto? O forse vale il contrario? Inverti i fattori, ma il prodotto non cambia! 
Tallec è tra loro, almeno per me, e quindi ha un posto nel mio pantheon. 
Tallec, ovviamente, in alcune circostanze, come gli altri grandi ha deciso di rivolgersi a un pubblico prevalentemente adulto: lo fa dei giornali, dalle riviste francesi ed è un Tallec che colpisce con un unico proiettile: in una vignetta si gioca tutto. 


In Italia questa produzione è difficile intercettarla, a meno che non si sia sulle sue tracce come un segugio, per preparare un incontro di formazione in previsione del suo arrivo a Cagliari al Festival Tuttestorie. 
A Cagliari si parlerà e circolerà il suo scoiattolo p-ossessivo, i suoi alberi tuttofare, i suoi bambinetti e le sue bambinette con le grandi teste e piccoli corpi, ma i suoi tre libri (che nella mia bibliografia sono segnati in neretto come DA GRANDI) raccontano un Tallec che ha appoggiato da qualche parte la "cura" di cui si parlava prima, per andare a intercettare tutti quegli adulti profondamente crudeli - me compresa - che per anni hanno letto i suoi libri per bambini, accontentandosi della sua bonomia...


I libri in questione sono usciti a distanza di due anni gli uni dagli altri: 2014, 2016, 2018 e sono tutti pubblicati da Rue de Sèvres. In due su tre si ringrazia Laurent Ryvelaugue (il suo compare nella serie a fumetto dei Cosachi) e in tre su tre viene ringraziata Joy Sorman (lui ha illustrato il suo Blob, l'animal le plus laid du monde nel 2015). 
La costante che li tiene insieme come perle - è il caso di dirlo - su uno stesso filo è la sua spietatezza: è satirico, beffardo, politicamente scorretto, 


ironico, sarcastico e spesso anche sanguinario e un cincino blasfemo... 
Tale mancanza di pietà viene sparsa come lo zucchero a velo su un pandoro, ce n'è un po' per tutti.
 

Tallec è lì che ne versa manciate, pagina dopo pagina, e si diverte un mondo e noi con lui, onestamente: si prende gioco delle convenzioni, del perbenismo, dei vizi, delle virtù, dell'infanzia, degli adulti, del senso comune, del moralismo, del conformismo, della moda, della religione... 
Ci si vede a Cagliari... 

Carla

Olivier Tallec, Bonne Journée, Rue de Sèvres 2014
Olivier Tallec, Bonne Continuation, Rue de Sèvres 2026
Olivier Tallec, Je reviens vers vous, Rue de Sèvres 2018

mercoledì 10 settembre 2025

FAMMI UNA DOMANDA!

FACCIAMO CHE IO ERO… 


Stare, andare, essere, cambiare. Ritornare. 
Paradigmi dell’esistenza che si pongono solo apparentemente agli antipodi. La semplificazione conduce sempre a ragionare in modo binario, la divisione permette la differenziazione e una più rapida ed immediata individuazione delle caratteristiche. Questo non conduce però necessariamente a una comprensione approfondita. 
La scienza si è sempre mossa secondo assi, in alcuni casi verticali, in altri orizzontali, generando una ricchezza di nozioni che si sono sommate alle precedenti elaborate sulla base di un criterio stabilito. 
Che cosa succede però quando le ragioni con cui abitualmente giudichiamo un essere vivente, o un organismo in generale, vengono sbaragliate, quando cioè non ci avviciniamo al nostro oggetto di osservazione giudicandolo secondo le consuete classificazioni, ma cercando qualcosa che possa accomunarlo agli altri, anziché differenziarlo? 
Per accogliere una lettura di questo tipo occorre che ci si muova non più su uno spazio, ma sul tempo. Non ragionando più, o meglio non esclusivamente, su quello che può essere descritto in modo definitivo, ma su quanto ha ragione d’essere in relazione a un prima e a un dopo
Così la classificazione per specie non costituisce più il punto di partenza e quello dell’habitat è solo un aspetto che ci consente di comprendere meglio ciò che la natura è in grado tutte le volte di inventare; il sapere comune attribuisce alla scienza una grande capacità di osservazione, calcolo e deduzione, raramente di invenzione. 
Eppure la bibliografia in materia di scienziati e storia della scienza degli ultimi anni ci ha abituato a considerare come elemento essenziale per il lavoro di uno scienziato la sua capacità di immaginare. Se ci limitiamo a ipotizzare soluzioni unicamente logiche, a scegliere cioè solo quello che conferma il paradigma appreso in quell’ambito di indagine, probabilmente non andremmo molto lontano. Solo ammettendo che le soluzioni possono essere di gran lunga più estroverse possiamo riconoscere come plausibile ciò che apparentemente non lo è. E questo è un grandissimo esercizio di pensiero, perché spinge ad elaborare ipotesi al di fuori di un orizzonte esclusivamente umano. 
Se prendiamo ad esempio le età di alcune specie, ci rendiamo conto che quella che noi giudichiamo una fase iniziale della vita, accostabile all’infanzia, in alcuni casi può avere una durata di gran lunga superiore a quella della così detta età adulta. E dunque lo stesso valore attribuito ai concetti di infanzia e maturità sarà messo in discussione, vista la notevole differenza di durata rispetto a quello che accade nella specie umana. Vale allora per tutti riconoscere nella prima fase della vita una crescita progressiva e una preparazione al completamento della fase conclusiva? 


La scelta del titolo credo non sia casuale: cambiare, e non per esempio cambiamenti o trasformazioni. Il verbo all’infinito potrebbe essere anche un invito rivolto a tutti i lettori e quindi contenere già in partenza una connotazione di valore, una sorta di let’s change! Quante possono essere le ragioni per cui si cambia? il libro le esplora tutte indicandoci per ognuna il nome scientifico preciso e soprattutto ragionando e mostrando come questa adottata sia una soluzione alla quale le specie sono pervenute dopo secoli di evoluzione. In pratica nessuna di queste rappresenta l’unica possibile, o quello che potremmo dire la migliore in assoluto, ma quella che ha consentito la sopravvivenza in un contesto naturale particolare. E soprattutto nessuna di queste appartiene in esclusiva a una specie, ma possiamo rintracciarla in tante e scoprire come ogni volta sia stata adeguata a una necessità differente.  


D’altro canto Darwin ci ha insegnato che non è l’individuo più forte che sopravvive, bensì quello che meglio degli altri è in grado di adattarsi. L’evoluzione è ancora sotto i nostri occhi e appartiene ad ogni specie, compresa la nostra! L’illusione dell’uomo probabilmente è tutta nella presunzione della scelta e nella convinzione che quella compiuta sia la migliore possibile.


Ciò che questo libro racconta e dimostra invece è che ogni cambiamento ha un costo e che il lungo tempo impiegato da ogni specie per metter a punto questo processo è servito in gran parte anche a renderlo più tollerabile. 
I cambiamenti sono di forma, di dimensione, di colore, di sesso, di luogo. La migrazione fa parte di questa casistica perché gli ambienti per primi sono soggetti a cambiamento e chi li abita deve adeguarsi, attrezzarsi, in alcuni casi spostarsi. 
A corredo di questi contenuti ci sono gli agili e quasi guizzanti disegni di Francesca Ballarini che bene si adattano ad illustrare proprio quello che non può restare fermo e immobile. Le sue tavole, che pure restituiscono una rappresentazione senza dubbio realistica, rivelano un certo gusto per il “non finito”, come schizzi veloci di una mano che non può indugiare a lungo sul soggetto. 


Sebbene l’uomo sia incluso tra le specie animali e sia stato ovviamente oggetto di evoluzioni e cambiamenti morfologici e funzionali, a lui il libro dedica le ultime pagine attribuendogli un tipo di mutazione differente da tutte le altre: quella culturale. Quella sola che consente di fatto di simulare, riprodurre, riformulare tutte le altre, di compiere quegli atti cioè che appartengono all’arte, alle religioni, alla scienza e non meno al gioco. 

Teodosia 

Cambiare. Trasformismi, metamorfosi, migrazioni nel regno animale di Federica Buglioni, illustrazioni di Francesca Ballarini, Topipittori 2025 


lunedì 8 settembre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UNA DONNA POI!

La Regina delle Niagara Falls
, Chris Van Allsburg (trad. Valentina Vignoli) 
#logosedizioni 2024 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 7 anni)

"Immaginate di essere piccoli come una pulce, in piedi sul marciapiede accanto a un idrante aperto. È così che si sentono i visitatori delle cascate del Niagara. L'acqua scroscia da un'altezza pari a un edificio di diciassette piani rombando come una locomotiva, e produce una nube di vapore perenne schiantandosi sulle rocce e sull'acqua sottostanti. 
Dabbasso la terra trema, spaventando ed elettrizzando i presenti. 
Chi, nel lontano 1901, avesse scelto di visitare la zona, avrebbe visto cittadine costruite sui due lati delle cascate, con tanti alberghi per ospitare le vagonate di persone che vi si riversavano ogni giorno. Normalmente, marciapiedi, ristoranti e carrozze erano gremiti di turisti. Eppure, a mezzogiorno del 24 ottobre di quell'anno, in giro non si vedeva nessuno..." 

Questa è la storia di una ex insegnante di buone maniere e di danza di Bay City, nel Michigan. 
Ormai disoccupata, perché anche l'ultimo suo allievo, un rampollo di buona famiglia che era lì per imparare come comportarsi in società, se ne era andato, Annie Edson Taylor - una signora per bene di poco più di sessant'anni, rimasta vedova, leggendo sul giornale delle folle che confluivano a vedere le Cascate del Niagara, prese una storica quanto temeraria decisione per risolvere i suoi problemi economici.
Lei si sarebbe tuffata, chiusa in barile costruito ad hoc, dalle cascate del Niagara.

© Chris Van Allsburg


La gente sarebbe andata ad assistere all'impresa. E se fosse sopravvissuta - e lei ne era assolutamente certa - sarebbe diventata ricca e famosa. Avrebbe quindi girato il paese in lungo e in largo con il suo impresario, e il suo inseparabile barile. 
Le cose non andarono esattamente così. 
Alla sua impresa effettivamente assistettero in molti (alcuni vedendola così in là con gli anni, dubitarono anche), sui giornali se ne scrisse parecchio, lei in giro per il paese andò, ma la gente pareva più interessata al suo barile che al suo coraggio e piano piano, complice anche il fatto che lei non avesse il piglio di un'eroina, che fosse una signora attempata, tutti si dimenticarono di lei. E come se non bastasse il suo impresario la mollò, portandosi via anche il barile. 
Ma ancora una volta non si diede per vinta e si mise dietro un suo banchetto di cartoline a 5 centesimi e accanto al nuovo barile e, nel parco dove la gente andava ad ammirare le cascate - come aveva fatto lei da piccola, continuò per anni a sostentarsi. 
Ricca non lo diventò mai, ma convinta di aver compiuto la più grande impresa mai tentata lo fu per tutta la vita. A buon diritto. 

I libri di Van Allsburg sono sempre esperienze importanti. Difficile ignorarle. 
Principalmente per due ragioni: per le storie che raccontano e per i disegni che le illustrano. 
Partiamo dalle storie. 
Qui siamo in un campo, all'epoca dell'edizione orginale, per lui inesplorato: una storia vera. 
Dopo aver lavorato sempre su creazioni di assoluta fantasia, spesso e volentieri andando a pescare nel surreale, è lui stesso a dichiarare di essere stato in quel periodo della sua vita alla ricerca di qualcosa di realmente accaduto. Una storia che avesse a che fare con la Storia degli Stati Uniti era il suo campo di azione. E siccome si tratta di Van Allsburg la storia doveva necessariamente avere dell'incredibile. E così è stato. Molti anni prima aveva letto qualcosa a proposito dei Daredevils del Niagara, impavidi e intrepidi personaggi che in modi differenti si erano messi a confronto con le cascate del Niagara. Tra questi veniva citata Annie Edson Taylor, una vedova sessantaduenne che aveva sfidato le cascate, lanciandosi all'interno di un barile imbottito per fare un salto nelle sue acque per più di cinquanta metri, quanto un palazzo di 17 piani... ed era sopravvissuta.
 La storia, per i canoni di Van Allsburg, aveva la giusta percentuale di meraviglioso ed era una storia vincente, almeno in parte. E soprattutto gli dava modo di raccontare, senza parere, della condizioni sociali nell'America dei primi del Novecento, e in particolare quella delle donne. Lo aveva già fatto nel bellissimo La scopa della vedova. Ancora una volta, tra le righe, Van Allsburg si schiera dalla parte dei subalterni, che spesso sono donne (Il fico più dolce è un ulteriore esempio).
Così leggiamo di disoccupazione, di case di riposo misere, di pensioncine che erano topaie, di lavori umilianti...E soprattutto capiamo, con un semplice inciso in una frase, quanto le donne fossero considerate poco più che nulla nella scala sociale: 
"La sua storia apparve sui giornali da New York a San Francisco. Il popolo americano non sarebbe rimasto tanto sbalordito nemmeno se un cavallo avesse battuto un fuori campo o se un neonato fosse stato eletto un presidente. Come era possibile che qualcuno - una donna poi! - sopravvivesse a un salto delle cascate del Niagara?" 
E ancora. Interessante per dei ragazzini capire come effettivamente fosse il progetto e che fosse frutto della creatività della vedova, povera, di una non esperta - perdente -, e che lei ci credesse a tal punto da sfidare invece la perplessità degli esperti: la struttura, la scelta dei materiali, le imbottiture fatte di cuscini. 
Tutto questo, come sempre in Van Allsburg, contribuisce a dare spessore alla storia. 
Finiamo con le immagini. 
Nella sua ricerca documentaria Van Allsburg aveva trovato solo un paio di immagini in cui lei era ritratta e sulla base di quelle  - un po' poco in effetti - aveva cercato di dare una fisionomia al suo personaggio.

© Chris Van Allsburg


Così per arrivare a un risultato soddisfacente aveva chiesto all'insegnante di algebra di sua figlia  - che per età e corporatura ricordava molto la protagonista - se si sarebbe prestata a posare come modello. A tale proposito non vanno dimenticate due cose: Van Allsburg, come molti altri grandi dell'illustrazione, lavora su modelli tridimensionali (lui nasce come scultore) e in secondo luogo lavora moltissimo sull'espressione dei personaggi per veicolare precise emozioni. 
Infatti, qui come altrove, la carrellata delle espressioni della vedova, ma ancora prima della bambina al principio, sono un valore aggiunto. 
E ancora. Attraverso le immagini trasmette tutta la sua prospettiva surreale, per una vicenda che seppur vera ha molto del fantastico. In questo il grattacielo che disegna in prima pagina ne è l'espressione chiara. 

© Chris Van Allsburg


E a proposito di fantastico, mi sembra che un'altra cosa fantastica sia la sua capacità di creare visivamente - come in un film - la giusta attesa per gli eventi a venire. Nelle righe di testo, ma ancora di più nelle immagini - tutti gli astanti con il capo chino - è in grado di generare una suspense palpabile, che tocca il suo apice nella grande tavola con la sola frase Oh, Signore, e poi cadde! e riprende per poi risolversi due pagine dopo. 
Ma quant'è bravo? 

Carla

venerdì 5 settembre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

ANDARE O STARE

Quì & là
, Thea Lu 
Bohem press 2025 


 ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Dan non si è mai mosso dalla sua città. 
Vive come una grande quercia, radicata nella sua terra. Dice sempre: 'Entra, sono qui'. 
Aki vive come un gabbiano nomade, sempre in volo, mai quieto. 
Dice sempre: 'Parto, vado là'". 

Dan ha un piccolo caffè in una cittadina sul mare, Aki vive sulla sua barca da pesca e il suo letto è accanto alla sala macchine. Uno guarda il mondo dalla finestra, l'altro vede il mare dall'oblò. E quando tutti e due guardano al di là del vetro si sentono lontani dal mondo... 
Entrambi, però, amano fare la vita che hanno scelto: Dan sente forte di appartenere a quel luogo, mentre Aki ama non sentirsi legato, ma andare libero verso l'ignoto. 


Nel caffè di Dan entrano spesso persone di passaggio che arrivano anche da molto lontano, dai quattro angoli del mondo. Lasciano ogni volta un piccolo ricordo di sé, oltre a condividere con lui le storie diverse di ciascuno. Una piccola alce da una bambina del Nord o una foglia particolare da una donna che arrivava dal Sud... 
 Aki, invece, quando attracca su rive sempre diverse incontra gente sempre diversa e anche lui con loro condivide tempo e spazi: ha dormito a casa di un altro pescatore, ha ascoltato la musica con chi stava festeggiando sulla spiaggia intorno a un falò. 
Ma una volta nel caffè di Dan è entrato, insieme a tanta altra gente festosa, anche un marinaio... 
Era Aki! 

Sono attratta sempre e molto dagli opposti. 
Mi piace metterli vicino e vederli che fanno scintille e creano disequilibri, differenze e punti di osservazione tra loro inversi. 
Questo è un libro costruito su questa idea: uno dei due personaggi è fermo, mentre l'altro è in perenne movimento, uno senza spinte verso l'ignoto, un altro incapace di fermarsi. Uno è terra, marrone, e l'altro è mare, blu.
 

Eppure. 
Così diversi, sono entrambi capaci di provare sensazioni che li accomunano, sebbene così lontani riescono a incontrarsi, anche in senso metaforico, in una zona comune. 
Uno guarda fuori dalla sua casa, ossia dal suo caffè, l'altro che vive di fatto nel fuori ed è sempre un po' in cerca di un dentro che lo tenga al caldo. 
Entrambi, lungo le loro strade molto diverse, riescono a incontrare altre persone e con loro scambiano momenti ed esperienze che diventano ricordi, oggetti e fotografie, che si fissano sulle pareti del caffè di Dan e nell'album di Aki: cornici come piccole finestre per Dan e istantanee ritagliate come fossero casette per il marinaio. 


La loro diversità è sotto gli occhi di tutti, ma non smettono mai di guardarsi e di dialogare, in qualche modo. 
Questo libro, che è anche stato costruito in due modi diversi, costringe il proprio lettore a cambiare sempre punto di vista, ad aspettarsi sempre qualcosa d'altro. Che puntualmente arriva. Questo alternarsi continuo è l'idea che apprezzo di queste minime storie e mi piace anche il finale che si spalanca, letteralmente, in una grande tavolata piena di gente tutta differente. 
Si diceva del suo formato: dal punto di vista della sua costruzione, ne esistono appunto due diverse versioni, una pubblicata in Cina - Thea è lo pseudonimo di un nome molto cinese: Xinyuan - che ha lo stesso formato verticale ma una fascicolazione delle pagine più complessa e più scenografica di quella occidentale, più tradizionale, nonostante la pagina doppia finale. 



Nelle edizioni in cinese complesso e cinese semplificato si tratta di un formato apribile che tiene separate le storie di Dan e di Aki, rispettivamente sulla sinistra e sulla destra della costa centrale, le immagini sono sulla bandella che si apre a sipario, mentre il testo resta separato nella pagina accanto.
 

Il libro, che è stato premiato come Best Illustrated Book dal New York Times e dalla Public Library di New York per 2024 è stato anche tra i vincitori al Bologna Illustrators Exhibition, sta lì a dimostrare che la giovane Thea Lu ha stoffa e belle idee e una matita coraggiosa che gioca con le prospettive e gli scorci, con la luce e l'ombra. 
Brava. 

Carla

mercoledì 3 settembre 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

SAPPIAMO TUTTI COSA È UN CERCHIO
 
Mio padre è stato un insegnante di educazione artistica. Mi era chiaro che fosse un grande insegnante, molto amato, perché succede ancora spesso che mi chiedano se io sia figlia del professor Mosna. Tuttavia, a parte il breve periodo in cui mi portava con sé in classe e di cui ho un ricordo molto vago, ho assistito personalmente a una sua sola lezione. 
Stava davanti alla lavagna, plastico e autorevole: con un gesso in mano bandiva la paura dell’errore, e chiedeva a tutti di avventurarsi fiduciosi nello spazio bianco concesso dal foglio per andare a cercare il cerchio. Non sarebbe stato il primo segno, ma sarebbe venuto a furia di tentativi. Non sarebbe stato frutto della volontà, muscolo sopravvalutato che rendeva il braccio fragile e indeciso, ma sarebbe emerso da una consapevolezza lontana, quasi rabdomantica, a cui bisognava solo facilitare la strada. 
Nel silenzio del sottotetto ampio in cui avveniva la lezione, si sentiva solo il rumore di mio padre che girava e girava il braccio, energico, lieve. Poi, piano piano, lo vedevi: il cerchio. L’occhio lo individuava tra tutte le altre linee fragili e imperfette. Allora la mano si faceva più decisa, escludeva ciò che non doveva essere considerato e il segno diventava più fermo. 
Poi lui si girava, e diceva a tutti: e ora, provate. Sapete tutti cosa è un cerchio. 


Sul valore pedagogico dell’errore e del clima psicologico favorevole al suo utilizzo mi limito a una prosaica riflessione, ovvero che se al tempo dei primi passi avessimo ricevuto facce scure e giudizi severi al posto di sorrisi e incoraggiamenti e gioia incondizionata a ogni caduta per terra, beh…con difficoltà ci saremmo alzati nuovamente e avremmo imparato a camminare. Per tale motivo, questa raccolta di poesie mi pare particolarmente interessante: per come distoglie l’attenzione dalla correttezza formale, procedendo nella salvifica direzione di legittimare tutte quelle azioni che ognuno di noi può fare sulla lingua, spingendo per leggera emulazione verso il gioco di sbagliare apposta, verso la libertà di scardinare le regole, o meglio ancora di cavalcare quegli errori involontari e quegli scavallamenti divergenti del senso che accadono quando un meccanismo sbiellato si mostra nei suoi meccanismi interni. 


Invece che correre ai ripari, correggere e aggiustare, pare che a Iñigo Astriz piaccia piuttosto accogliere il deragliamento del senso sancendo per sé e per gli altri il diritto di fare con la lingua un po’ quello che ci pare, delimitando in tal modo un territorio sicuro, un laboratorio poetico-pedagogico in cui si disattivano i freni della norma per restituire alla lingua il suo potere originario: evocare, deviare, creare, sbagliare. 
La mente, salvata dal terrore delle conseguenze per una doppia di troppo o una lettera mancante, può (finalmente) perdere il controllo per dirigersi dove crede, esplorare, sperimentare, costruire attraverso la propria autonomia di pensiero una più intima relazione con la lingua. 
 

Il poeta non si preclude nessuna delle strade che la poesia concede: gli sbandamenti, le onomatopee, l’utilizzo funzionale dello spazio fisico della pagina, l’interazione tra parola e segno grafico, il gioco del surreale. Trovano spazio nella raccolta un indice letterario che stimola l’indice della mano a seguire gli arzigogoli che uniscono il titolo delle poesie alla pagina in cui dovrebbero stare, ci sono parole scomparse per la troppa neve, l’apparizione enigmatica dei numeri scritti in cifra, ma anche un incidente tra un canguro e una pulce che si incontrano in centro alla pagina… 


Questa poesia non era scritta male si pone nel territorio divertito e divertente della sperimentazione divergente vera e propria, bandendo quelle inibizioni di carattere pedagogico che a volte imbrigliano la lingua, quel timore che sia meglio imparare tutto e bene e subito, quelle precauzioni che finiscono per irrigidire la relazione con la materia linguistica che invece qui appare, pagina dopo pagina, come una meravigliosa scatola di costruzioni fatta di pezzi tanto inossidabili quanto versatili. 


Parole scritte da destra a sinistra, versi bucherellati da gragnuole di punti che paiono proiettili, sparizioni di intere parti del testo oppure, anche, suoni e lettere che si ripetono al punto da non lasciare più spazio al senso. In un'atmosfera che ricorda un po’ Palazzeschi, un po’ Scialoja, il lettore viene spinto verso una felice anarchia riguardo a quello che lo circonda, ed esortato, come ben si conviene a un volume appartenente a una collana di poesia chiamata “Poesia a vela” ad accogliere e mutuare un po’ di questa libertà. Componimento dopo componimento, il meccanismo linguistico viene mostrato come un marchingegno da adoperare senza imbarazzo, senza paura che esploda nelle nostre mani o meglio: che è doveroso poter maneggiare in modo divertente e divertito fino a farlo effettivamente deflagrare, confidando per la salvezza non tanto sulla competenza manifesta, coerente e misurabile di grammatica e tempi verbali, ma piuttosto su qualcosa di più profondo, depositato in ognuno dal momento in cui nascendo veniamo immersi in un preciso contesto linguistico di cui sperimentiamo l’essenza ben prima della comprensione. 


Una consapevolezza non ancora acquisita, ma pronta a emergere, un senso della lingua che ci precede, che ci costituisce ben prima di quando lo consolidiamo sui libri, poiché si tratta di un patrimonio che ci tiene insieme così come i filamenti sottili di radici e miceli innervano e consolidano il terreno. Una conoscenza immisurabile, che permette di riconoscere il cerchio prima di conoscerne le leggi geometriche, che concede di tornare dritti a camminare dopo (quasi) ogni caduta senza conoscere la funzione del menisco. Perché prima di essere competenza, il sapere è in noi a ogni passo, riflesso di spiagge lontane, come suggerisce la poesia

 “Granello di sabbia”

C’è una spiaggia che mai più nessuno 
ha calpestato 
 sappiamo che esiste 
 perché nella scarpa 
 il suo granello di sabbia 
portiamo nascosto. 


Giorgia

“Questa poesia non era scritta male” Iñigo Astiz, Massimo Pastore (traduzione di Ilaria Rigoli), Edizioni La Linea 2025


lunedì 1 settembre 2025

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

UNA COSA LEGGERA CHE PRIMA NON C'ERA 

Una luce in soffitta, Shel Silverstein (nella voce di Damiano Abeni)
orecchio acerbo 2025 


POESIA ILLUSTRATA 

 "Metti qualcosa 

Fa’ un disegno un po’ matto, 
scrivi una poesia scombinata, 
canta una canzone biascicata, 
usa il pettine come strumento musicale. 
Balla una danza stramba in cucina di sera, 
metti nel mondo una cosa leggera 
che prima non c’era." 

La poesia non la puoi spiegare. 
Shel Silverstein non lo puoi spiegare. 
L'unica cosa possibile e onesta da fare è leggere - dritti dritti - le sue poesie e godersi quella linea nera apparentemente incerta e talvolta tremolante che ha il dono di chiudere in sé un gioco, uno scherzo, un nonsense, un bel po' di ironia, diverse rasposità e sempre molta verità. 
Per queste due ragioni l'unica cosa che penso si possa fare è quella di aprire il libro e leggerlo e sfogliarlo. 
Ed è esattamente questa la cosa che mi ero prefissa di fare, andando a Bologna per la fiera. 
Come avrei potuto spiegare in due parole l'arte di un gigante? 
Potevo solo metterla in mostra ed è esattamente ciò che ho fatto: ho aperto il libro decine di volte e a chi avevo davanti ho letto poesie di zio Shelbi, nella pimpante traduzione di Damiano Abeni che è come il burro sul pane quando si tratta di tradurre Silverstein, da Alla ricerca del pezzo perduto in poi... 
E cosa è successo? Nessuna delle persone a cui l'ho letto, seppure in modo molto parziale (una o due poesie contro le centotrentatrè che contiene il libro di più centosettanta pagine...) è andata via senza averlo sottobraccio. 
La medesima cosa la si può fare qui.  

- A proposito di verità e di bambini: 

Preghiera del bambino egoista 

Adesso che mi preparo per andare a letto 
prego che il Signore mi tenga protetto, 
e che se muoio mentre dormo
i miei giocattoli levi di torno 
così gli altri bimbi non se li portano via... 
E così sia. 

oppure 

Esé 

 Ieri sera a letto meditavo parecchio 
quando un Esé mi è entrato nell’orecchio 
e tutta la notte ha ballato e fatto festa 
cantandomi la canzone Esé nella testa: 
Esé a scuola vado male? 
Esé hanno chiuso la piscina comunale? 
Esé qualcuno mi mena? 
Esé mi avvelenano la cena? 
Esé comincio a frignare? 
Esé, malato, finisco per schiattare? 
Esé la maestra mi boccia? 
Esé un pelo verde sul petto mi sboccia? 
Esé nessuno mi gradisce? 
Esé un lampo mi colpisce? 
Esé non cresco più? 
Esé la testa mi casca giù? 
Esé non pesco un bel pescione? 
Esé il vento mi strappa l’aquilone? 
Esé scoppia una guerra? 
Esé i miei divorziano? 
Esé l’autobus è in ritardo? 
Esé i denti mi crescono storti? 
Esé mi strappo i pantaloni? 
Esé non imparo mai a ballare? 
Tutto sembra normale, a posto, ma poi 
l’Esé di notte colpisce ancora, ahinoi! 

 - A proposito di verità e cura del mondo 

Qualcuno deve 

Qualcuno deve lucidare le stelle, 
paiono un po’ troppo fioche. 
Qualcuno deve lucidare le stelle, 
perché le aquile, gli storni, le oche 
si lamentano che sono consunte e brunite, 
ne vogliono di nuove, che non possiamo comprare. 
Per cui prendete gli stracci, 
i saponi e i solventi e lucidate le stelle, 
ridatecele splendenti. 

oppure 

Il timone di Dio 

Dio mi domanda con un sorrisino: 
«Ti piacerebbe essere Dio per un pochino 
e guidare il mondo?» 
«Oh» rispondo, «ci provo. 
Come mi muovo? 
Mi puoi pagare? 
Cosa mi dai da mangiare? 
Quando smonto?» 
«Ridammi il timone!» ordina Dio. 
«Non sei ancora pronto.» 

 - A proposito di rapporto felice tra testo e immagine 


Gran bel tuffo 

Il tuffo più elaborato mai tentato 
l’ha fatto Melissa di Prato. 
Dal trampolino si è lanciata in aria 
scuotendo testa e capelli con boria. 
Ha fatto 34 carpiati, avvitamenti e capriole, 
un quadruplo rovesciato alto verso il sole, 
e nove volte un mortale con la ruota. 
Poi ha guardato giù... 
la piscina era vuota. 

oppure 


Snap! 

Stava aprendo l’ombrello 
perché la pioggia era prevista. 
Abbiamo sentito come un colpo di pistola 
o lo schiocco di una tagliola 
e nessuno l’ha mai più vista. 

- A proposito di nonsense e di grandi traduttori 

 L’Iochì con un Giustocosa 

Toc toc! 
Chi è? 
Io! 
Io chi? 
Giusto! 
Cosa è giusto? 
Iochì! 
Questo voglio sapere! 
Ma cosa vuoi sapere? 
Io chi? 
Sì, giusto! 
Giusto cosa? 
Sì, ho un Giustocosa al guinzaglio! 
Giusto... cosa al guinzaglio? 
Sì! 
Sì cosa? 
No, Giustocosa! 
Quello voglio sapere! 
Te l’ho già detto: Giustocosa! 
Giusto... cosa? 
Sì! 
Sì cosa? 
Sì, è qui con me! 
Cosa è con te? 
Il Giustocosa. 
Siamo lui e io. 
Io chi? 
Sì! 
Pussa via! 
Toc toc... 

oppure 

Hurkoro 

Vorrei giocare a tennis e non andare dal dentista. 
Vorrei giocare a calcio e non andare dal dottore. 
Vorrei giocare a Hurkoro e non andare al lavoro. 
Hurkoro? Hurkoro? Cos’è l’Hurkoro? 
E chi lo sa. Sempre meglio che andare al lavoro.


Ecco. Tutto qui, otto cose leggere che prima non c'erano




Carla