venerdì 28 febbraio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL CANONE

Il giardino di Abdul Gazasi
, Chris Van Allsburg (trad. Valentina Vignoli) 
#Logosedizioni 2025 


ILLUSTRATI 

"Un'ora dopo, Alan si svegliò di soprassalto perché Fritz gli aveva morso il naso. 
 Quel maleducato di un cane era pronto per la passeggiata pomeridiana. Così alan gli mise il collare e Fritz lo trascinò fuori di casa. Cammina, cammina, scoprirono un ponticello bianco a lato della strada. Alan lasciò che fosse Fritz a guidarlo dall'altra parte. 
Poco più avanti, oltrepassato il ponte, Alan si fermò a leggere un cartello. Diceva: IN QUESTO GIARDINO È ASSOLUTAMENTE VIETATISSIMO L'ACCESSO AI CANI. Firmato: ABDUL GAZASI, MAGO IN PENSIONE." 

Breve antefatto. Alan Mitz, un ragazzino in berretto e maglietta a righe, è stato scritturato dalla signorina Hester perché tenga compagnia e porti a spasso nel pomeriggio il suo cane Fritz, mentre lei è a far visita alla cugina Eunice, che l'ha espressamente pregata di non presentarsi a casa sua con il pestifero cagnetto. Fine dell'antefatto.

© Chris Van Allsburg

Dietro a quel cartello dal testo tanto chiaro quanto perentorio c'è un lungo muro ricoperto di edera che presenta, poco più in là, un sontuoso varco di accesso al giardino. Due statue di fanciulli lo fiancheggiano. Ritratti nell'atto di correre. 
Ora, però, chi sta sul serio correndo, è proprio il povero Alan. Ha appena visto Fritz che, sfilatosi il collare, fugge lungo il viale alberato che porta al giardino proibito. 
Il ragazzino si lancia all'inseguimento del cane e attraverso il grande parco, sentieri, prati e corsi d'acqua e cespugli potati ad arte, ormai stremato, arriva sotto l'imponente dimora del mago. Lui lo attende sulla porta e lo fa accomodare. 
Ed è nel magnifico salone, davanti al camino accesso, che apprende la inaspettata risposta, alla sua cortese domanda di riavere indietro il cagnetto. 
Abdul Gasazi odia i cani per quel che fanno nel suo giardino e quindi li trasforma in anatre. Ad Alan non resta che prendersi l'anatra sottobraccio e tornare verso casa. Ma quando il vento gli fa volar via il cappello dalla testa è l'anatra che lo recupera per poi allontanarsi e sparire in cielo. Senza cappello e soprattutto senza cane, deve solo tornare indietro con il cuore pesante per dare la cattiva notizia alla signorina Hester, che è già a casa e sta giocando con il suo cane Fritz. Dunque quel mago era un mago da palcoscenico e si è preso gioco di quel bambino, oppure? 

A sentire Van Allsburg, almeno al principio della sua lunga e magnifica carriera, tutto è successo un po' per caso. In particolare la sua prima decisione 'casuale' di finire in un'accademia d'arte e design. Guardatosi intorno, si è subito reso conto di non avere neanche un briciolo del talento dei suoi compagni, quindi decide di dedicarsi alla scultura. E così comincia a realizzare bellissime opere, cercando di elevare con la perfezione assoluta nella terza dimensione e nella ossessiva politura delle superfici soggetti in linea di massima pop o comunque appartenenti all'immaginario collettivo: dai cartoni animati, ai transatlantici nell'atto di affondare, fino ai grattacieli di NY. 
Ma nel realizzare queste sue prime opere si rende conto di una cosa importante che lo distingue da uno scultore puro: il desiderio insopprimibile di voler raccontare una storia, ossia la storia che intorno a quel determinato oggetto ruota. 
Sempre un po' per caso, decide che il disegno diventa il suo hobby e comincia a realizzare immagini migliori di quelle fatte al principio della sua accademia. Sono disegni che hanno la fissità di uno scatto fotografico (qualcosa che a me ricorda molto Heidelbach). 

© Chris Van Allsburg

Il loro dinamismo non è nell'immagine, ma nello scarto che esiste tra questa e il titolo che dà a ciascuna (Burdick rules). Lì in mezzo c'è la storia. E se a questo si aggiunge una sorta di bizzarria, una piccola o grande anomalia, un qualcosa che il nostro sguardo non riconosce come consueto, ecco che questo immediatamente accende l'interesse e fa decollare l'immaginazione del lettore, che - non può farne a meno - cerca di trovare un senso. E se il senso tocca l'assurdo, il gioco è fatto! 
Su questo bisogna tornare alla fine. 
Sua moglie vede questi disegni per hobby e ne apprezza la qualità narrativa: sono illustrazioni, a tutti gli effetti. E per convincerlo che forse come artista potrebbe guardare in quella direzione, lei che fa la maestra, porta a casa una scatola di libri illustrati. La delusione di Van Allsburg è forte perché ne coglie subito l'aspetto didascalico e semplificatorio di quei disegni, di quei testi: gli sembrano cartoline, non illustrazioni. Ma nella scatola c'è un libro che, invece, lo colpisce in positivo ed è di Maurice Sendak: quella, lui la riconosce come arte. Dalla qual cosa deduce che può esistere arte anche nell'illustrazione. Non solo storielline da imbonitori di bambini, non solo storie con coniglietti che parlano come coniglietti. 
Non demorde in quel suo naturale gusto per l'anomalia, l'ambiguità tra titolo e immagine. Questa è la sua via. A patto naturalmente che sia lui l'unico autore, ossia che dalla medesima testa escano le immagini e le parole. 
E così è andata. 

© Chris Van Allsburg

Il suo primo libro, che è questo, anno 1979, vince subito un premio importante la Caldecott Honor, ossia un gradino sotto la Caldecott medal. E vende come il pane. 
A parte la soddisfazione in sé, questa circostanza lo conforta, ben più degli affettuosi consigli di una moglie maestra. E così va avanti: migliora la tecnica, migliora la qualità del tratto - peraltro già altissima - dei suoi disegni. 
E scrive e disegna. 
Ma quell'idea originaria, quella sua propensione naturale a farsi le domande giuste di fronte a una immagine persiste. E così le sue narrazioni si sviluppano intorno alle possibili risposte. 
Per Il giardino di Abdul Gazasi l'immagine è quella di un ragazzino che insegue un cane che prima aveva al guinzaglio e che adesso invece è in fuga in mezzo a opere d'arte topiaria. 
Effettivamente le risposte costruiscono la storia, ma il gusto per l'ambiguità, anche quello, non lo perde mai. Per non parlare del mistero che avvolge quel giardino, a partire dal tunnel di accesso. 
Ma se da un lato le storie ambigue per bambini non sono molti gli adulti a volerle scrivere e pubblicare, va anche detto che proprio in quella loro ambiguità un'altra categoria umana, i bambini appunto, ci sguazzano felici. 

© Chris Van Allsburg

Ragione per la quale Van Allsburg è uno dei migliori della categoria. 
Ragione per la quale questo libro lo si può considerare un canone, un modello da prendere a paradigma. In quel finale, sul quale taccio, c'è una bizzarria che porta con sé la sorpresa, lo stupore. L'immaginazione schizza a mille per cercare il famoso senso... 
Ecco, i libri indimenticabili si fanno così. 

Carla 

Noterella al margine. Forse è il caso di rimarcare il fatto che questo libro contiene, oltre alla già citata presenza di circostanze ambigue, anche altre costanti che attraversano i suoi libri. Le metto in sequenza disordinata: il surreale, il cane, la magia, il sense of humor, l'ironia tagliente, il testo lungo e complesso, l'illusione, il culto per la forma anche fuori scala e fuori contesto, il mistero, la sorpresa, la predilezione per il bianco e nero, che talvolta vira.

mercoledì 26 febbraio 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

NON MALE PER UN PASSEROTTO DOMESTICO, NON MALE



“Esistono quarantanove tipi di passeri. Il passero domestico non è che uno dei tanti. Un uccellino insignificante. […] Fino a quando non lo guardi da vicino. Allora vedi che è anche particolare, che ha una striscia più scura sul petto, nella ali ha piume gialle, nere e marroni. […]
I passerotti volano via dal nido dopo diciassette giorni. Diciassette.
A Luvi quelle parole piacciono: volare via.”


Luvi è una bambina cresciuta insieme alla nonna, donna a servizio da sempre di due persone che non hanno mai dimostrato rispetto e affetto per lei. Così quando l'anziana muore, è naturale che Luvi prenda il suo posto e che continui a fare quello che la nonna ha fatto per un'intera vita: servire.
Ma Luvi decide di fuggire, senza un piano, senza alcuna prospettiva di miglioramento, lo fa solo sulla base di un forte istinto che la spinge ad allontanarsi da quella casa dove ormai non ha più nulla che la tenga legata. Conoscerà lungo il percorso una banda composta di tre bambini che come lei hanno compiuto questa scelta fuggendo da un orfanotrofio, incontrerà poi un maresciallo dal quale deve guardarsi e soprattutto conoscerà un barbiere gentile che l'accoglierà e sarà disposto ad accettare che si sveli pian piano a lui, come a se stessa prima di tutto, le sue doti speciali.
Il libro inizia dalla fine, ossia dal momento in cui si celebra il funerale della protagonista. In questo brevissimo primo capitolo che ha appunto il titolo Iniziamo dalla fine lo scrittore si rivolge direttamente al lettore svelandogli (parte) della conclusione della storia, ma soprattutto tranquillizzandolo sul fatto che non si tratta di una storia triste, come l'episodio in questione potrebbe far pensare. Ma se così non è, dunque viene da chiedersi cosa davvero accade e come Luvi giunga a inscenare (forse?) il suo funerale.
Comincia così la storia di una bambina che si pensa un passerotto domestico e come tale sa di essere assolutamente anonimo e privo di particolari talenti. Un passerotto che è cresciuto sempre in gabbia e che quindi non conosce i rischi, ma neanche i vantaggi, di una vita libera.
Come può pensare di affrontare una vita in autonomia una bambina di undici anni che ha conosciuto l'affetto solo di una persona e che ora può fare conto solo su stessa? Probabilmente saranno le privazioni e le frustrazioni trascorse che possono rappresentare la spinta a procedere. Luvi infatti impara ben presto a utilizzare nella pratica tutte quelle competenze domestiche acquisite, ma è soprattutto pensando a quello che non vuole più essere e a quello che non vuole più fare che troverà la forza per continuare. Quasi per caso Luvi (che continuamente si ripete di essere solo un uccellino domestico e una ladra per necessità) scopre di avere un grandissimo talento: salta così in alto che sembra volare. Il suo fisico esile le facilita l'impresa, ma la spinta importante le arriva dalla rabbia: Luvi ha bisogno di essere insultata, umiliata e quindi di alimentare una forza rabbiosa per poter spiccare il volo.
In questa prima esplorazione di sé e delle sue potenzialità la bambina conosce quelle parti che si fanno largo a furia di sgomitate, è ancora un uccellino che non è riuscito a spezzare completamente la corda che lo lega alla gabbia, ma le sta tentando tutte per poterci riuscire e le risorse arrivano proprio da dove non si crede, da quella parte deprecabile di noi alla quale non penseremmo.
Ci vuole tempo perchè Luvi comprenda che si può lavorare sui propri talenti, perché quello che ci viene concesso in dono va gestito e alimentato. Ma una persona, e un bambino in particolare, cresce e riesce a esprimersi al meglio se ha di fronte qualcuno disposto ad accoglierla e a lasciarle spazio. Persino l'identità sessuale viene negata, la fragilità che può derivare dal dichiararsi bambina viene nascosta, taciuta in attesa di un tempo in cui non generi più vergogna. Un tempo in cui i voli si possono tentare anche senza che la spinta provenga dalla rabbia, ma unicamente dalla capacità di attingere alle proprie forze.
Luvi è un romanzo lieve scritto in terza persona, ma con una focalizzazione interna, con un punto di vista cioè che corrisponde a quello del protagonista. I pensieri di Luvi, le sue riflessioni spesso tormentate, gli interrogativi che rivolge alla nonna, gli insulti al signor e alla signora Simmer responsabili della sua reclusione, sono sempre il fulcro attorno a cui si costruisce la narrazione. Così lo sguardo che la piccola posa sul mondo e sulle cose è da principio timido e timoroso, per poi aprirsi e diventare progressivamente più ampio, fino a includere persone, affetti e desideri che in origine temeva anche solo formulare.
Non stenteranno lettori a partire dai 10 anni a stringere un legame empatico con questa bambina, nonostante, anzi, in virtù proprio del fatto che le prove che affronta sono molto lontane da quelle che potrebbero incontrare loro. Stefan Boonom sceglie ambientazioni e tempi sospesi come quelli di una fiaba e dalla fiaba attinge anche topoi ed elementi fortemente evocativi: la stessa protagonista, orfana povera e vittima di individui crudeli, il bosco che lei attraversa durante la fuga e le permette di conoscere altri fanciulli come lei reietti dalla società, elementi magici che, pur non essendo centrali, contribuiscono a collocare l'intera vicenda in un contesto sempre sospeso tra il possibile e l'irreale, fino ad arrivare alle figure buone, nascoste come sempre tra i più umili (un barbiere, la figlia di un becchino).
Un romanzo da stringere forte al petto.

Teodosia

"Luvi. Storia di una ladra e di un uccellino" Stefan Boonen, illustrazioni di Dieter De Schutter (trad. di Laura Pignatti), Mondadori 2025





lunedì 24 febbraio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

OF BEARS AND MEN 

Il viaggio di Oregon, Rascal, Louis Joos (trad. Tommaso Gurrieri) 
Edizioni Clichy 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Finite le mie pagliacciate, lo riaccompagnavo nella sua gabbia. 
Una sera Oregon mi ha parlato. Come nelle fiabe... 
'Portami nel grande bosco, Duke'. Lì per lì non sono riuscito a rispondergli niente. 
Ma dopo, solo nella mia roulotte, ho capito che il suo posto era in mezzo a quelli come lui, in un bel bosco di abeti rossi. 
Chi lo sa? Magari avrei pure incontrato Biancaneve..." 

Duke e Oregon lavorano sotto lo stesso tendone. Uno è l'orso del circo, l'altro è il clown. Nano. 
Infelici entrambi, perché esibiti, come fenomeni, semplicemente per la loro natura.
Non lasciandosi bei ricordi alle spalle, i due partono per un lungo viaggio. 
Prima stazione, la fuliggine di Pittsburgh. Da lì si mettono in cammino con pochi soldi in tasca che finiscono presto. Dopo aver fatto tappa a Chicago e dopo aver mangiato un bel numero di hamburger, i due si rimettono in marcia verso ovest. Un passaggio sul camion di Spike diretto nell'Iowa e poi tanta strada a piedi: con ogni tempo, in mezzo alle grandi distese di mais e avanti lungo il fiume Platte, attraversano il Nebraska fino ad arrivare alle Montagne Rocciose.
 

Lì un po' di autostop e poi il 'cavallo di ferro' per fare l'ultimo tratto. 
E poi, al mattino al loro risveglio nel carro merci, appare ai loro occhi, proprio come nel sogno, L'Oregon, le sue montagne, le sue foreste. 
L'orso è finalmente a casa, adesso tocca a Duke trovare la propria. 
Come è bene che sia.

Non sembra possibile che Rascal e Joos, insieme così tante volte nei libri illustrati, abbiano potuto fare qui un brutto libro.


E infatti, in questo, che ha più di trent'anni e lo si può considerare un classico, magicamente ancora una volta accade. 
In questa lunga fuga, dall'est all'ovest degli Stati Uniti, da parte di due personaggi perdenti in cerca di riscatto, rivediamo un viaggio che ne richiama alla memoria tanti altri, visti in grandi film, letti in grandi romanzi. 
Si ritrova intatta, nel testo e nelle immagini, l'atmosfera della provincia americana: le grandi strade deserte, le distese a mais, le fattorie e i mulini a vento, la pompa di benzina nel nulla, tipologie umane consuete - attricetta, commesso viaggiatore e indiano ormai senza piume - il treno merci interminabile che attraversa flemmatico le lunghe distanze, e infine lei, la grande natura. Selvatica e magnifica. 


Qui le foreste dell'Oregon con il monte Hood sullo sfondo. E altrettanto inviolata è l'iconografia del viaggio. Una partenza di due che non hanno più niente da perdere andandosene. Anzi, è in libertà che ci guadagnano. Niente denaro in tasca, contano solo sul buon cuore di altri come loro, ossia persone che non hanno niente da perdere nel dargli una mano... 
Fatto salvo tutto questo che fa da scenario, che non è affatto poco (per la rievocazione di un immaginario già consolidato nei grandi e per la costruzione di un nuovo immaginario per i piccoli, che magari Steinbeck o Thelma e Louise non sanno chi siano, ma chissà che in un domani potrebbero goderne), Il viaggio di Oregon è capace di attraversare una grande questione ma sa anche trovare il suo senso in alcune piccolezze, che quasi quasi rischiano di passare inosservate. Quasi quasi. 
La grande questione è quella che muove un orso e un clown a cercare la propria felicità.
Le piccolezze, invece, qui di seguito, solo alcune. 


La costruzione di questa improbabile coppia, uno enorme e l'altro minuscolo. Così piccolo che lo si potrebbe paragonare a un bambino, cosa che Rascal peraltro, lieve lieve, fa più di una volta. 
Così grande eppure così fragile e sperduto, così piccolo eppure così determinato e sollecito. Solo a me tornano alla mente Lennie e George di Uomini e topi
La geografia solida dell'itinerario di cui ogni tappa è segnata. Sorge spontaneo il desiderio di seguire con il ditino sulla carta geografica il loro lungo percorso. 
Messi come punteggiatura una serie di riferimenti alle grandi questioni che negli anni hanno segnato e segnano tuttora la cultura americana: i nativi, gli afroamericani, le minoranze, i diversi.
Sia nel testo, per esempio con il breve dialogo tra il camionista nell'Iowa, con cui Duke discute di bianco e di nero, sia nelle immagini con il film nel motel e l'insegna stessa del motel. 
L'idea, spesso ormai considerata fuori moda, che una promessa è sempre una promessa. E come tale va mantenuta. I bambini e i clown lo sanno bene. 
E poi arriva il finale. 
Il finale è un buon finale perché è aperto verso un altro pezzo di strada da fare e ha un lieve sapore di malinconia. 
Come è bene che sia. 

Carla

venerdì 21 febbraio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA VOCE DELL'A MARE 

Era sirena, Alice Rohrwacher, Lida Ziruffo 
Mondadori 2025 




NARRATIVA ILLUSTRATA PER GRANDI (dagli 11 anni) 

"'L'avevo detto' sbuffava allora zia Angelica 'che questo ragazzino è come sua madre!' E sospirava. 
Perché questa somiglianza non era una cosa bella o brutta, era solo una cosa storta a cui rassegnarsi, come un fenomeno della natura più maestoso della montagna, più profondo del mare, contro il quale neanche le preghiere possono fare molto. 
La madre di Giuseppe era sparita quando lui era piccolo, e non era più tornata: si chiamava Fortunata, che nel paese si diceva Nata, e da ciò derivava anche il nome di Giuseppe, Peppi'Nata. 
Qualcuno diceva che era caduta cercando di superare la scogliera che divideva il paese dal mondo. Altri bisbigliavano che si era messa a cantare sullo scoglio, e l'avevano rapita i saraceni. 
Peppi'Nata era certo che sua madre si era trasformata in una sirena..." 

Lui, nonostante fosse non più grande di una sogliola, quando lei se ne andò, ricorda molto bene di quando sua madre, entrando in casa con lui in braccio, non vedeva l'ora di affondare le mani in un bacile pieno d'acqua fresca. Il suo sguardo, a quel punto, si rasserenava e, dal movimento delle dita, l'acqua si riempiva di pescetti, conchiglie, alghe e stelle marine. 
Giuseppe cresce badato dalle sue zie e in paese tutti pensano che sia un ragazzino un po' suonato, un buono a niente, perché si incanta lì davanti al mare, in un gran silenzio di parole. Per ore, per giornate. Ma lui non è storto. 
Lui sa bene perché lo fa: è innamorato. Il suo amore è tutto per un'onda, la sua onda. 


La riconoscerebbe tra milioni: piccola, increspata e felice anche lei di vederlo lì piantato sul bagnasciuga. Tra loro giocano a rincorrersi: lui all'ultimo momento scarta sempre e lei lo può solo sfiorare... prima di ripartire. Perché le onde tornano sempre, ma non prima di aver fatto un'altra volta il giro del mondo. 
E così Peppi'Nata, giorno dopo giorno, si fa ragazzo. Alto come un remo piantato nella sabbia, aspetta che lei ritorni... Fino al giorno in cui la decisione è presa: cambiarsi il maglione per indossare un abito migliore. Al proprio matrimonio non ci si può presentare malvestiti. E tra le mani, una bacinella. 
La sposa arriva, si increspa e freme, emozionata. 
Questa è una storia d'amore. 

Come storia d'amore porta il marchio di Alice Rohrwacher. 
Si muove infatti in una direzione molto intima, ai confini del sogno, sussurrata e molto distante dal chiasso.
Nel marchio Rohrwacher naturalmente c'è tra i protagonisti principali, il paesaggio. 
Quel luogo, di cui io non so riconoscere le coordinate geografiche, che forse non esistono, ma ne posso leggere con grande chiarezza le coordinate emotive. 
Siamo lontani del mondo frenetico e brulicante di persone e cose e relativi rumori. 
Qui siamo in una piccola comunità, una famiglia costruita su legami forti. Qui siamo a Puntapicco o Dostradi o U pelo: i tre nomi di una geografia letta come se fosse disegnata. 


Credo di non dover spiegare Puntapicco se non con la parola promontorio alto e isolato, mentre Dostradi è il nome che prende per l'incrocio di due strade. Due in tutto: strada di sopra e strada a mare. E U pelo lo ha ricevuto perché, solo a guardarlo dal mare, il profilo del luogo ricorda una fanciulla sdraiata, con due colline al posto del seno. Il paese è steso proprio in quella parte che le donne nascondono tra le cosce... 
Descritto con una certa cura dalle parole di Alice Rohrwacher per farci arrivare odori e atmosfere del posto, nelle mani di Lida Ziruffo lo scenario si moltiplica e diventa vedute sui manifesti della proloco o in cartoline anni Sessanta. 
Intorno a Puntapicco c'è tanta acqua. Grande protagonista, anch'essa, delle tavole. All'alba al tramonto, blu profonda, chiusa in una insenatura. 


I protagonisti in carne e ossa sono pochi e non particolarmente descritti, seppure in una prosa che è anche un po' poesia, se non per i loro tratti di carattere. 
Il coro delle zie accudenti, meravigliose, il padre ruvido pescatore, e poi lui Peppi'Nata che entra a pieno titolo nella schiera dei personaggi che popolano i film di Alice Rohrwacher: da Arthur in giù, passando per Lazzaro e Gelsomina con le sue sorelle. Peppi'Nata è come loro: diverso da tutti. 
Delicato, ma sicuro.
Inevitabilmente attratto dal mare, in particolare da quell'onda che lui è sempre in grado di riconoscere tra mille e aspettare trepidante. Se ne innamora da bambino e continua ad amarla, senza ostacoli e ricambiato, anche dopo. 
Fino a qui la storia si muove nella sfera intima e personale ed emotiva di quel ragazzo - sta sempre lì davanti al mare a sognare? oppure è solo un po' suonato? questa è la vulgata su cui il mondo paesano blandamente si interroga. 
Ma da qui in poi tutto cambia: ciò che era sogno, ciò che era soffuso diventa magicamente affilato come sa essere solo la realtà. 
E c'è lo sposalizio e tutto il resto.
Realtà che adesso mostra le sue forme, le sue espressioni, che si possono vedere, toccare, sentire.


Faccio un paio di esempi: la bacinella per accogliere la liquida sposa, i petali di gelsomino e le roselline che le zie spargono sull'acqua increspata, il velo con cui avvolgono ciò che la contiene, il tragitto fino in chiesa e poi il prete-sindaco che riconosce in un sibilo con uno schiocco in fondo un sì convinto da parte della sposa. Tutto questo lo si vede, lo si sente e Lida Ziruffo lo disegna anche per i posteri. 
Della loro vita da sposi, finalmente soli, non diciamo nulla. 
Non sta bene sbirciare dal buco della serratura nelle case degli altri. 
Meno di venti righe che luccicano come madreperla. 
Ci basti sapere che si amano ancora. 
Bello e diverso. 

Carla

mercoledì 19 febbraio 2025

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

SPAZIO AL SILENZIO 

Non è facile comunicare l’esperienza del silenzio. 
E le parole non sembrano esserne capaci. 


“Ascoltami quando sto zitto” lo dichiara apertamente: le parole non riescono a dire tutto. Dicono le cose, le mettono ciascuna in un posto dove possono restare più o meno in ordine, ma c’è tanto altro che dentro alle parole non ci sta, e quello che non ci sta rischia di rimanere nascosto o di andare perduto.


Disegnato in bianco e nero con tratti fittissimi e sottili, l’orso ragiona sulla sua esperienza del mondo e lo fa con un testo scarno e poetico sottolineato dalla maestria grafica di Orecchio Acerbo che, nel rigoroso bianco e nero dell’albo, introduce solo un color oro, a cadenzare la lettura, come a introdurre delle pause, come una punteggiatura aggiuntiva che illumina le parole quasi sempre poste al centro esatto di pagine completamente bianche, o totalmente nere. 
L’essenziale. 
Il discorso parte con un monologo riflessivo sul potere e sul limite delle parole lasciando chi legge in una posizione esterna e compiaciuta di tanta poetica consapevolezza ma all’improvviso, nelle ultimissime pagine, si viene richiamati con forza, con un imperativo/esortativo: ascoltami quando sto zitto. 


Il percorso delle immagini ci fa conoscere l’orso narrante inizialmente in relazione con ciò che è fuori da lui: la natura, le cose e noi, che in queste pagine possiamo guardarlo negli occhi. Le illustrazioni successive ci porteranno sulla soglia di luoghi interiori insondabili, chiusi allo sguardo di chi legge (già in copertina il volto dell’orso è esposto ma completamente chiuso) per poi spalancarci gli spazi aperti del silenzio: lo spazio (di intere doppie pagine) occupato dai sogni, dai suoni, dalla luce e molte cose ancora. Un libro con una grande potenza evocativa dove il silenzio (ciò che eccede la parola) apre spazi infiniti, misteriosi, necessari. 


Diverso il silenzio de “La visita” che, coloratissimo e dialogato, racconta un silenzio quasi visibile. 
Qui il silenzio è qualcuno, anzi no: Io non sono nessuno - dirà entrando nella tana di una piccola volpe – Sono semplicemente il Silenzio. 


In questo albo - vincitore nel 2023 del “XVI Premio Internazionale Compostela per albi illustrati” - il silenzio è una presenza, un dialogo, uno spazio: una tana sotterranea che, col procedere del racconto, prenderà la scena della doppia pagina fino a occuparla tutta. 


E anche a superarne il limite, se si tratta di danzarci dentro poiché in silenzio, guarda un po’, si può danzare”! La piccola volpe ha conosciuto uno spazio interiore ampio e gioioso che si fa vivo quando intorno tutto tace. Un racconto certamente rivolto ai più piccoli, molto esplicito ma non banale, per apprezzare un’esperienza che non è fatta di parole, per darle spazio. 
 

“Solo con sé stesso” cambia completamente registro. 
Scritto e disegnato da Geoffrey Hayes nel 1976 ci racconta di un orsetto (un peluche vestito con maglietta e salopette) che, prima ancora che la storia abbia inizio, ci viene incontro uscendo da una porta disegnata nel bianco più totale, quasi a dire, dovunque tu sia, esci, andiamo nel viottolo segreto. 


Il racconto è composto da 23 tavole tutte identicamente quadrate (o quasi: base e altezza differiscono di pochi millimetri). Disegnate a matita grigia e verde pastello, sono collocate nel pieno di pagine bianche tanto da dare l’impressione di sfogliare una raccolta di istantanee, una collezione di momenti, di pensieri, di ricordi. 
C’è un gran silenzio in queste pagine: il peluche non parla ed è sempre solo. Chi legge segue una voce fuori campo che descrivere le singole scene con pochissime parole e il silenzio di ogni singola tavola esplode in scene di spazi aperti, ricchi di natura, di gioco, di contemplazione, di immaginazione.


E pure quando cala la sera, nel chiuso di una stanza, ben piantato nel suo, proprio il suo, letto, anche allora, con il sogno la scena si riapre su un paesaggio, che orsetto attraversa seguendo un ampio sentiero che va verso chissà dove. In "Solo con sé stesso" orsetto sperimenta spazi interiori che sono intimi e allo stesso tempo aperti a orizzonti vasti. 
Il silenzio è uno spazio ampio da percorrere in lungo e in largo.
 

Per "Killiok" bisogna innanzi tutto ringraziare Babalibri e Orecchio Acerbo per aver pubblicato i primi titoli italiani di Anne Brouillard.
Detto questo, si può affermare che di silenzio Anne Brouillard ne sa eccome. 
Sono silenzi brulicanti quelli delle sue storie, silenzi pieni di voci della natura, di pensieri e progetti tra sé e sé, di incontri tra amici e di passeggiate nel bosco o intorno al lago, o in treno tra una stazione e l’altra. 
I silenzi delle storie della Brouillard sono piuttosto posture: il modo in cui i personaggi si muovono nel mondo. In questa storia Killiok è solo, ci vorrà qualche giorno ancora prima che torni a casa l’amico Rubin Zuzù (che non apparirà mai nella storia), giusto il tempo per chiacchierare con inaspettati animaletti del prato o per inseguire un piccolo progetto, pensarci un po’ su, parlarne con Gatto Mistero che è passato a trovarlo. 
È un silenzio sempre dialogato: che siano dialoghi interiori, o con i suoni e gli abitanti della natura, o con qualcuno. In "Killiok", per esempio, possiamo godere di un bellissimo silenzio tra una chiacchiera e l’altra con Gatto Mistero. 


Lo spazio della relazione tra i due è disegnato in questa tavola (soprattutto quella di destra) dove Killiok e Gatto Mistero sono in primissimo piano, privati di qualunque contesto, sono intenti a scambiarsi pareri seduti su una banchina scontornata tra le righe del testo. A un certo punto, entrambi restano in silenzio e basterà girare la pagina per stupirsi dello spazio meraviglioso e luminoso che il silenzio apre ai nostri due amici (e felicemente anche a noi): Killiok e Gatto Mistero non si sono spostati di una virgola, sono sempre seduti sulla stessa banchina, solo che ora sono al centro di un paesaggio di rara bellezza (e felicemente anche noi). La tavola è muta: silenzio. 


Dunque il silenzio apre spazi. Spazio al silenzio! 
È questo che ci raccontano con intelligenza queste storie di orsi, cani, gatti e volpi, che sapranno ben incontrare la lettura dei più piccoli ma, come sempre per i libri ben fatti, anche quella di lettori e lettrici di ogni altra età. 

Patrizia

“Ascoltami quando sto zitto”, Zornitsa Hristova, Kiril Zlatkov, trad. Neva Micheva, Orecchio Acerbo 2024 
“La visita”, Núria Figueras, Anna Font, trad. Francesco Ferrucci, Kalandraka, 2024 
“Solo con sé stesso”, Geoffrey Hayes, trad. a cura della redazione, Orecchio Acerbo 2025 
“Killiok”, Anne Brouillard, trad. Tangui Babled, Babalibri 2024 


lunedì 17 febbraio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TUTTO QUI!

Il piede di Freki, Pija Lindenbaum (trad. Samanta K. Milton Knowles) 
Terre di Mezzo 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Quando Freki è andato a letto, quella sera, aveva le scarpe ai piedi. 
Erano nuovissime. Molto veloci, ma anche belle.Proprio quelle che desiderava. 
Di notte, Freki ha sognato di correre e riuscire a scappare da Ove, il cane del vicino. 
La mattina dopo Freki scopre che una delle scarpe è scomparsa. 
A guardare meglio, vede che è svanito anche il piede." 

La ricerca della scarpa comincia subito, ancora con il pigiama addosso, nel bidone, sotto il letto, nell'armadietto del bagno o dietro il water. 
In verità una sua logica questa fuga ce l'ha: la scarpa, annoiata da un'intera notte sotto le coperte, ha deciso di fuggire. Certo, ragiona tra sé Freki, non deve essersi ricordata che con lei, ossia dentro di lei, c'era anche il piede...
 

Il problema viene posto anche alla madre, nella consueta sequenza: scarpa fuggita, con piede dentro. Lei, che è in cucina a dar la pappa al fratellino di Freki, non pare scomporsi più del necessario. Tuttavia, mentre finisce di asciugarsi i capelli, dà al suo figlio maggiore due cose importanti: la merenda e il consiglio di guardarsi dal cane Ove. 
Comincia così la passeggiata claudicante di Freki attraverso la città in cerca della sua scarpa e, incidentalmente, del suo piede sinistro. Attacca i cartelli che ha preparato e fa incontri illuminanti. Ma della scarpa ancora nessuna traccia. Che sia stato l'accalappiascarpe a trovarla per primo? Ma esiste poi? Oppure potrebbe essere caduta in acqua o finita all'amo di quel pescatore. Ma no. 
Neanche lungo il sentiero che attraversa il bosco c'è la sua scarpa fuggita. Men che meno il piede. In compenso c'è una ragazzina con il berretto rosso che lo rassicura che l'accalappiascarpe è tutta un'invenzione dei grandi... 
Palestra, calzolaio, sotto le auto parcheggiate: niente da fare scarpa e piede sembrano essersi volatilizzati... 

Ancora e ancora e ancora Pija Lindenbaum! Non ce n'è mai abbastanza
La cosa che succede qui non è poi molto dissimile da quello che avevamo visto succedere in Else-Marie e i suoi sette papà. In un contesto di assoluta normalità, nella vita quotidiana di un bambino o di una bambina si incista qualcosa di assolutamente distante dalla realtà e quindi totalmente assurdo. 
Lì c'erano sette papà alti come un birillo, che in squadra si comportavano come veri e propri padri, qui invece ci sono una scarpa con relativo piede calzante che spariscono dalla circolazione. Dopo essersi staccati dalla caviglia di un ragazzino, entusiasta delle sue scarpe nuove. Qui come lì, allora come oggi, si fa buon viso a cattivo gioco e il guaio magicamente si dissolve nel nulla. 


Là la piccola Else-Marie in trepidazione per i possibili commenti dei suoi compagni di classe che hanno un solo papà a grandezza naturale, nel vedere lei circondata da ben sette papà ma bonsai, decide di dormirci sopra. 
Qui Frike, visto che della scarpa e del piede non se ne vede neanche l'ombra, decide che forse il tempo possa essere impiegato meglio che inseguire qualcosa o qualcuno che non vuole farsi trovare e prendere... 
Meglio andare al bosco e giocare a legnetti con la bambina dal berretto rosso! 
Beh, i bambini sono economici. Me lo diceva sempre il pediatra di mia figlia ogni volta che mettevo sul fuoco un'ansia diversa e lui provava a rassicurarmi sul fatto che i bambini sanno molto bene trovare in autonomia la loro strada. Che di solito è la più dritta, quindi la più economica, in termini di sforzo. 
Le cose belle che accadono in questo libro, a parte il colpo di genio di averla concepita, una storia del genere: così tanto assurda quanto autentica nei suoi risvolti umani, sono nelle pieghe, ma non solo. 
Provo a metterne una decina in elenco, così come entrano in scena, poi ognuno giudicherà per sé. 
La prima: la passione universale che tutti i bambini del pianeta dimostrano nei confronti delle scarpe. Possibilmente nuove.
La seconda: la stanza buia di Frike, vista dall'alto. 


Quel gran nero attraversato dai profili di mobilio e suppellettili fatti a matita azzurra. 
La terza: l'ordine di priorità dei fatti. Mi manca una scarpa, ah mi manca anche il piede che c'era dentro. Non fa una grinza, soprattutto se è vera la prima delle cose belle. 
La quarta: tale ordine è lo stesso che applica la madre di Frike. 
La quinta: la scena di vita casalinga, in cui si vede una signora lievemente 'sformata' dalla vita che tenta invano di far mangiare un piccoletto che esprime tutto il suo disgusto di fronte al pappone che ha nel piatto davanti. Un piccolo capolavoro, quell'asciugamano sulle spalle per non inzupparsi la vestaglia, a doccia fatta. Asciugamano che poi diventa protagonista assoluto nella tavola successiva.


La sesta: l'incontro con un signore con gli stivali con gli speroni e un cordino di cuoio al collo e un orologio da polso al polso e il carrello della spesa: peccato sia un tasso. Un gentiluomo, tasso cow-boy? 
La settima: il piccolo Freki nel grande bosco. 
L'ottava: l'argomentazione inoppugnabile della poliziotta in partenza per le ferie: te la devi cavare da solo! 
La nona: come risolvere, senza dannarsi, il problema di piede e scarpa mancanti. 
Tutto qui? Tutto qui!

Carla

venerdì 14 febbraio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

AMICI DI FAMIGLIA

Storie di paura
, Edward Marshall, James Marshall (trad. Sergio Ruzzier) 
Lupoguido 2025 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER PICCOLI (dai 5 anni)  

"'Andiamo giù in riva al lago” propose Lolly. 
'Lì si sta tranquilli e si può fare i compiti in santa pace.'
'Ottima idea!' approvò Spider. 'Troviamoci al lago alle sei in punto' disse Sam. 
'Se le nostre mamme ci danno il permesso.' 
Alle sei in punto al lago c’erano solo Lolly e Sam. 
'Forse la mamma di Spider non l’ha lasciato venire' disse Lolly. 
'Ecco che arriva' annunciò Sam. 
'Oh-oh' fece Lolly." 


Sono di nuovo loro. Più uno. 
Lolly, Sam e Spider, ai quali si è aggiunto il fratello minore di quest'ultimo, Willie. In quanto fratello piccolo non ha compiti da fare, al contrario degli altri tre. In quanto fratello piccolo è molesto, per contratto. Infatti è lì appeso all'albero sotto cui i tre stanno cercando di studiare la lezione. 
Sam prega Spider di tenere a bada suo fratello. Come se fosse possibile... 
Infatti è per questo che i tre decidono un secondo appuntamento per poter finire quei compiti: vedersi al tramonto in riva al lago, un posto appartato. 
Ammesso che le madri diano loro il permesso. E' storia nota che le mamme americane i permessi li danno più facilmente di quelle nostrane, così i tre si vedono al lago, ma... Willie è ancora lì. Spider non è riuscito a seminarlo e ora deve anche dare retta alle sue molteplici e petulanti richieste. 
Lolly, la ragazzina sveglia, escogita un piano: mentre scende la sera e il cielo si fa scuro, in riva al lago deserto, vicino al fuoco, circondati dal brusio del bosco che li circonda, sarà bello raccontarsi storie di paura e ancora più bello sarà vedere fuggire a gambe levate verso casa il piccolo e molesto Willie... 
Forse. 

Questa è la storia cornice che contiene i tre più uno racconti di paura. Uno di Lolly, uno di Sam, uno di Spider e uno di Willie che a casa a gambe levate non ci è mai tornato. 
Lo schema, salvo l'entrata in scena di un quarto personaggio, è identico a quello visto per Storie da spiaggia, in originale Three by the sea, che fa pure rima. 
Lì come qui sono tra loro concatenate, ovvero dove finisce una si ricollega la successiva. Più o meno. 


Qui, in Four on the shore, che rifa di nuovo rima ed è di poco successivo, le due cose che lievemente cambiano sono le relazioni interpersonali che un po' si complicano con l'arrivo del quarto, e il fatto che le surreali storie nonsense di un gatto e di un topo qui lasciano il posto a un più classico repertorio di storie del terrore: con lupi, streghe, fantasmi, punteggiato qui e lì dalle arguzie di Marshall: la prima delle quali è un piccolo siparietto tra moglie e marito in casa dei Lupi.


A parte la grazia dei disegni, in primo luogo lo scenario del lago che, con il passare delle ore, si scurisce sempre più fino a diventare notte, a parte le espressioni dei quattro ragazzini, uno dei quali sempre sorridente, mentre gli altri tre -solidali- sempre più perplessi e corrucciati o sardonici, a parte i loro gesti e le loro posture intorno al fuoco...


A parte tutto questo, la cosa che mi colpisce, in questa seconda uscita, sono proprio i personaggi che, se guardati in prospettiva, hanno inevitabilmente assunto un loro spessore maggiore rispetto a un anno addietro. 
Capita un po' la stessa cosa quando incontri una persona per la prima volta: certe cose non le noti. Ma già quando la rivedi in una seconda occasione, ti è più familiare. Per questa ragione, le serie - anche corte come questa che se non sbaglio ha solo tre titoli (aspettiamo il terzo!) - innescano nei loro lettori un gusto tutto particolare nel ritrovarsi e riconoscersi e volersi più bene. 
E se gli vuoi già bene, come a un amico, il libro e la sua lettura ti sarà più grata. 
E questa cosa quel geniaccio di Marshall e il suo compare Harry Allard la hanno sempre saputa, ragion per cui a loro si deve una galleria di personaggi che con un niente sono diventati di famiglia nelle case americane: Fox, George e Martha, o gli Stupids, oppure la già nota maestra Dolcini, alias Miss Nelson. 
In concreto, azzarderei qui alcune note in proposito. 
Cominciamo da Lolly, la bambina. Lei è quella sveglia del gruppo, quella che dà sempre la direzione. E anche qui non si smentisce. Lei è anche l'intellettuale del gruppo e anche la più sensibile al look, per cui sulla spiaggia era accessoriata il giusto e qui invece è perfettamente nel ruolo di una magnifica campeggiatrice hippie fuori tempo massimo (complice il falò sul lago?). 
Sam è il più convenzionale dei tre, un elegantone, un po' rigido e inappuntabile sempre, mentre Spider è quello più bonario nei confronti del mondo, e non a caso è lui ad avere un fratellino a carico. 
Ma le sue storie sono decisamente le più pulp. 


Ma, come si dice, buon sangue non mente... 
E questo è (di nuovo) tutto. 
Leggere per credere. 

 Carla

mercoledì 12 febbraio 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

UNA QUESTIONE DI ENERGIA 

Quando apriamo un libro è come se inserissimo una spina nella presa e, chiudendo il circuito elettrico, permettessimo all'energia scaturita in un’altra mente di raggiungerci per accendere in noi qualcosa che non avevamo pensato, far riverberare pensieri che mai saremmo riusciti a esprimere, creare connessioni e spazi che non sapevamo nemmeno di contenere. Ma da dove arriva quella energia, quanti chilometri ha percorso, quanti anni separano la sua generazione dalla nostra fruizione? E in che punto del silenzio tra il naso e la pagina questa energia fa scoccare la sua scintilla, qual è il momento in cui un messaggio predisposto dalla mano di un illustratore supera la carta per entrare in noi? 
Renato Moriconi ha mostrato nei suoi albi precedenti di avere la spiccata sensibilità di concretizzare sulla pagina il momento in cui tra un’immagine e l’altra si stabilisce quel senso di continuità prossimo alla fusione. Sfidando l’interruzione tecnica del voltar pagina, e mischiando a questo gesto l’elemento immaginativo del racconto, ci ha fatto sentire la vertiginosa rotazione di una giostra, ha mostrato la contagiosità di uno sbadiglio, estrapolato dal silenzio dei ritratti il sussurro segreto delle parole che passano di orecchio in orecchio con il gioco del telefono.


In occasione de L’opera liquida l’autore chiama in causa la fluidità e si appropria di alcuni elementi del mondo musicale per provare a mettere a fuoco proprio quel punto di contatto tra autore e fruitore, tra intenzione artistica e ascolto, e lo fa fin dalla copertina, dove, moltiplicato e gesticolante, un direttore d’orchestra appare impegnato a muovere le braccia per gestire qualcosa di invisibile. Il suggerimento che arriva dal titolo L’Opera liquida suggerisce che si parlerà di musica, ma a ben vedere, e come si conviene all’autore, si tratta di un parallelo che va ben oltre. 


Tutto ha inizio a bordo di una piscina vuota, quasi a voler suggerire una capienza, uno spazio pronto a contenere e a farsi da cornice per quei movimenti immaginifici provocati dal gesto del direttore. È in queste quattro pareti che viene disposto il gioco sottile di creazione e accoglienza per quello che verrà stimolato dal dialogo tra direttore e acqua.


L’innesco è nel corpo. Il direttore richiama a sé sulla punta della bacchetta tutta l’attenzione per condurci attraverso le qualità intrinseche del proprio gesto verso le metamorfosi e sinestesie che emergono e traboccano da bordo vasca: la tensione sottile dell’attesa al cospetto di una nuvola gravida, il rumore della pioggia, poi la compressa promessa dei rumorosi animali di una giungla fin troppo ordinata… 


Senza mollare mai completamente la tenuta, Moriconi gioca con equilibrio vertiginoso nello spazio sinestesico creato dalla interdipendenza di occhio, orecchio e tutti gli altri sensi, muovendosi liberamente nel campo libero della sovrapposizione millimetrica dei linguaggi. 
Egli conduce con gesto fermo e sensibile lo sguardo fino alla riesumazione del suono sepolto nella memoria: allora, sono subito tonfi sordi dei guantoni, stoppate di caviglie su palloni di cuoio, il tintinnio dei fioretti. 


Non solo di suono però si tratta: quanto è azzeccato infatti l’abbinamento tra lo squalo e la sinuosa inquietudine di certi silenzi? E come è facile sentire l’energia del direttore tramutarsi in inquietudine muscolare quando viene espressa per evocare un polpo, oppure il senso di potenza incombente compresso nell’onda, catturata proprio sul punto di scatenarsi fragorosa, un attimo prima di rompersi a bordo vasca… 


Serpeggia in ogni immagine e tra un immagine e l’altra il riverbero ineffabile dell’energia attraverso cui il suono si propaga. Allo stesso modo dell’onda sonora si muovono le similitudini: impiegano un tempo per svilupparsi, mostrarsi e finire. 
Ed è qui che Moriconi posiziona la sua bacchetta: sul culmine di una suggestione, un attimo prima che cada… 


…quando cade, allora si rompe la quarta parete di silenzio che separa il lettore da ciò che avviene sulla pagina: è in noi che deflagra l’onda, è in noi che brucia il fuoco, è dopo qualche secondo dall’osservazione che da qualche parte, dentro, ribollire in lontananza il vulcano, è in noi che si ristabilisce il silenzio e il senso di fine, quando il direttore fa scendere la bacchetta lungo la gamba per ristabilire la quiete. 


“Parlare di musica è come ballare di architettura” affermava, con provocatorio genio musicale, Frank Zappa, ma se da un lato questa frase sembra voler scoraggiare ogni tentativo di contaminazione di sguardi, a spostarsi leggermente la stessa affermazione pare essere un’indicazione per un sentiero da percorrere per libera associazione di idee, che conduce a territori in cui è possibile intravedere nel gesto minimo del direttore d’orchestra il tramutarsi di intenzione in energia, un flusso invisibile capace di travalicare spazio e tempo, e raggiungerci e continuare in noi. 
Perché quando si chiude un libro, il silenzio che accade è solo apparente. 


Giorgia

“L’opera liquida” Renato Moriconi, Gallucci 2023