mercoledì 18 settembre 2024

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

COME FANNO LE COSE A SPARIRE, 
COME FANNO A TORNARE... 

Qualche giorno fa dovevo travasare l’olio. 
Dopo aver predisposto sul piano da lavoro tanica e bottiglia ho allungato la mano per afferrare l’imbuto. Mi aspettavo fosse dove normalmente avrebbe dovuto essere. Invece, con mio grande disappunto, lui non c’era. Al suo posto, un mestolo, un colino e una grattugia, e un imbuto, sì, ma per le marmellate, con l’imboccatura bella larga e inservibile ai miei scopi. Dove era l’imbuto per i colli stretti? Ho cercato nel cassetto degli arnesi per la cucina, in quello delle posate, nello scolapiatti, nella lavastoviglie, negli armadietti dei piatti e dei bicchieri, ho chiesto a mio figlio che non lo aveva visto, e nemmeno gli altri della famiglia sapevano nulla della sparizione. Alla fine ci siamo ritrovati tutti in cucina, davanti all’asta di metallo da cui penzolano in bell’ordine mestoli, passini, fruste e pelapatate, attoniti e pure un po’ indispettiti. 
Ma come diamine fanno, certi oggetti, a sparire? 
Questo dovevano esprimere le nostre mandibole sganciate. 
Eppure, dovremmo saperlo: si smette di vedere così, per abitudine, quando la mente smette di sorprendersi e dà per assodato che una cosa sia fatta come è fatta, che un oggetto sia lì dove deve stare, che certe premesse debbano condurre prevedibilmente e logicamente a certi risultati. Si smette di vedere quando l’occhio, prese le sufficienti misure, dismette la sua esplorazione per passare a una sintesi (apparentemente?) superiore, scambiando quel frammento di meraviglia che riverbera in ogni filo d’erba per il concetto più esteso di prato, e per praticità si profonde in un’astrazione che fagocita il dettaglio a vantaggio della generalità. 
È lo sguardo adulto, bellezza. Così si smette di vedere. 
Ma come si fa a tornare indietro? 
Un’idea potrebbe essere camminare, come succede nel romanzo “L’occhio della montagna.” 


La storia inizia così: una giovane coppia si trasferisce nella campagna irlandese con l’idea di lasciarsi alle spalle città, frenesia, le rispettive famiglie, le incomprensioni, i dissapori. Protetti dal reciproco amore, Sigh e Bell cominciano una nuova vita e pongono al centro dei loro desideri il proposito di salire, prima o poi, sulla vetta del monte che vedono quotidianamente dalla loro finestra. Per questo iniziano a camminare, accompagnati dai loro fedelissimi cani Pip e Voss: per conoscere i dintorni, per allargare lo spazio conosciuto dai loro passi, per trovare in tanta ampiezza il sentiero… 


Le frasi descrittive procedono tambureggiando con la precisione di un radar, e restituiscono al lettore non solo il territorio e la casa, il mutare delle stagioni, delle luci, degli odori, l’acquisizione di gesti consueti e rituali, ma anche il minuzioso brulicare tutt’intorno… 


L’elencazione indefessa di erbe, oggetti, temperature e percorsi assume curiosamente la forma di una contemplazione che procede per ingrandimenti, come se la fatidica camminata in cima al monte non fosse tanto un’ascesa, quanto un ingrandimento, una digestione concentrica e discendente verso un centro focale possibile unicamente per ripetizione e prossimità. Un risveglio dello sguardo, dunque, un ritorno della capacità di vedere e quindi un ribadire delle entità esterne e reali che ci circondano. 


Punto a punto il paesaggio che circonda Bell e Sigh oltrepassa i confini puramente concreti del sentire e tramuta quello che è fuori in una questione intima. Le piante, l’orto, lo stato dei muri, la presenza del contadino: tutto è una alfabetizzazione ad opera del territorio che a furia di essere rilevato e impresso dalla retina, dall’olfatto, dalla pelle, prende e tiene Sigh e Bell, saldamente, nell’esperimento della realtà, e noi con loro, attraverso l’artificio della nominazione, nella parola. 
 

Non partiamo da un albo illustrato, questa volta, e nemmeno siamo di fronte a un’opera per l’infanzia. Eppure, quello che succede in queste pagine è una esperienza di oggetti, entità e accadimenti molto simile a quella condotta dallo sguardo dei bambini, dal loro sperimentare pronto ad accogliere per la prima volta tutto quello che li circonda e metterlo in relazione. Guarda caso, succede così anche nella raccolta divulgativa "Il mondo intorno a me" che Topipittori dedica ai piccolissimi.




Una bambina apre gli occhi e si dischiude al mondo, permettendo alla vastità del mondo di entrare, passando per i sensi aperti e capienti, e per le relazioni intessute in loro presenza; i quattro elementi vengono circoscritti nei riquadri minuscoli, e pagina dopo pagina divengono familiari per analogie e differenze, per rilevazione, assimilazione e concettualizzazione… 
Attraverso una mano dischiusa a percepire il calore passa l’esperienza del fuoco, attraverso un occhio aperto alla luce sua dorata, attraverso il suono di un fiammifero e il crepitare di fiamma, o addomesticato e azzurro sotto la pentola del latte, così delicato da spegnersi sotto la spinta del fiato…


 

Passa così anche il cielo, dall’azzurro onnipresente e mutevole, dalla luce che lo attraversa, tanto diversa del mattino e della sera, rosso e scuro e poi ancora diverso, così grigio e pauroso se lampeggia, se tuona…

 
Passa nel naso il mondo, dal fuori al dentro, attraverso la terra stretta nelle mani, e il suo odore, racimolato nella memoria e poi restituito nell’accumulo di immagini della sua mutevolezza.


Così anche l’acqua, tutta intorno nelle sue fattezze diverse, berla e averla nella pancia o averla tutta intorno quando si nuota, ascoltarla infrangersi sugli scogli, sgorgare dal rubinetto, addirittura uscire dagli occhi come se fossero fontane… 


 

In questo modo, attraversandoci, quello che è fuori ci riempie e riempiendoci scompare. Ma vi è un margine, tra vedere e non vedere, tanto labile quanto resistente, e scavalcarlo richiede solo la disposizione a un’epifania che ha come oggetto ciò che è manifesto, conosciuto, esplosivamente ovvio. 
Come diceva Margareth Wise Brown: 
“La cosa più importante dell’erba è che è VERDE. 
Cresce, ed è morbida, con un dolce profumo erboso. 
Ma la cosa più importante dell’erba, è che è verde."
La cosa più importante dell’erba è che è verde… 


P.S.: è stato proprio quando sei paia di occhi erano sospesi davanti a lui, che l’imbuto è ricomparso. Stava appeso lì, esattamente dove doveva stare e dove ovviamente era sempre stato, tra il suo largo parente e lo schiacciapatate. E anche se con tutta evidenza nessuno lo aveva toccato, lui era leggermente inclinato, come se avesse voluto nascondersi, e credetemi se vi dico che mi guardava pure lui. 
E sotto sotto, rideva. 

Giorgia

“L’occhio della montagna”, S. Baume, (trad. A. Arduini), Enne Enne Editore 2022 
“Il fuoco”, C.Roumiguière, M. Duval, (trad. L. Topi ) Topipittori 2023 
“Il cielo”, C. Roumiguière, M. Duval, (trad. L. Topi ) Topipittori 2023 
“L’acqua”, C. Roumiguière, M. Duval, (trad. L. Topi ) Topipittori 2024 
“Terra ”, C. Roumiguière, M. Duval, (trad. L. Topi) Topipittori 2024 
“La cosa più importante”, M. Wise Brown, L. Weisgard, (trad. L. Spatocco), 
orecchio acerbo 2018

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