lunedì 6 febbraio 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


LA MAGIA FERTILE

12 poesie di Federico García Lorca illustrate da Gabriel Pacheco
(trad. Francesca Lazzeri, Lola Barcelò)
Kalandraka 2016


POESIA

IL BIMBO MUTO
Il bimbo cerca la sua voce.
(Ce l'aveva il re dei grilli).
In una goccia d'acqua
cercava la sua voce il bimbo.

Non la voglio per parlare,
mi ci farò un anellino
che il mio silenzio indosserà
al suo dito mignolino.

In una goccia d'acqua
cercava la sua voce il bimbo.

(La voce rapita, lontana,
indossava un abito da grillo).


Una voce di bimbo, quella che attraversa le 12 poesie  (scelte da Manuela Rodríguez e Antonio Rubio), è 'anellino' che congiunge l'infanzia a García Lorca.
Mi chiedo, quale sia invece da noi il legame tra i bambini e le bambine e la poesia? E' davvero solo un anellino fatto di acqua che li tiene insieme. Labile, debole. Troppo labile, troppo debole. Eppure laddove c'è si dimostra così fecondo e fertile... l'acqua della poesia, goccia dopo goccia, fa nascere la bellezza.


Ed è proprio di bellezza che è intriso questo libro che contiene una dozzina delle poesie che Lorca scrisse come canzoni infantili.
Come sempre, quando si è di fronte a un libro di poesia, l'unica cosa giusta da fare e tacere e ascoltare il verso.
Di poesia e bellezza non bisognerebbe mai tentare parlare, azzardare descrizioni, o analisi. In entrambi i casi, esse si ridurrebbero in frantumi.
Non sarò io a commentare i versi di García Lorca. Mi limiterò a leggerli il più possibile in giro e qui a dire dove la mia emozione si è fermata: davanti a un bambino che vuole essere un ricamo sul cuscino di sua madre. Nei colori dell'aranceto: nel timido fiore, quasi un'infiorescenza, azzurro intenso sui rami di rosmarino, e nell'oro delle sedie del moro e dell'amata. Nel suono che tambureggia sulle parole: 
dallo sparto
io mi apparto,
nel sarmento io mi pento,
d'averti amato tanto.
E ancora nella descrizione del calare delle tenebre dietro il vetro di una finestra e degli uccelli che rincasano sull'albero, tutti insieme.
E poi, ultima ma non ultima, in una congiunzione. Quella che apre il verso: 
se muoio
lasciate aperto il balcone.
Se, non quando. E accadde che aveva solo 38 anni.


Illustrare un libro di poesie non è per tutti.
Pacheco ha le carte in regola per farlo anche se è lui stesso a dichiararsi sconfitto:sono un illustratore temporaneamente cieco. Lo racconta con rara sensibilità nelle due pagine finali che intitola Elegia dell'impossibilità e che si ricongiungono idealmente al bambino bendato di copertina che tasta il corpo di un meraviglioso cavallo blu e con una candela cerca di fare luce nel buio del suo sguardo.
Scrive Pacheco: ho cercato di disegnare la traccia lasciata da questi versi di Lorca e l'ho racchiusa in scarne scenografie. Dodici operette teatrali.
In esse i grigi e i blu si fanno accendere dalle luminescenze gialle.
E ancora prosegue Pacheco: E' stato un po' come rinunciare volutamente alla vista per farsi riempire di nostalgia.


La riflessione più illuminante è nelle ultime righe. Il senso ultimo che Pacheco attribuisce alle liriche di Lorca si chiarisce nel paragone che fa con l'alto muro grigio vicino a casa, davanti a cui passava ogni giorno e che di improvviso ha visto sulla sua sommità crescere, verticale in asse con il muro stesso, un ramo.
Nessuno si può spiegare come abbia fatto, ma il ramo è lì che ogni giorno si allunga di un po'. 


Ecco, questa è la magia fertile dell'impossibilità, scrive Pacheco.
E mi permetto di aggiungere: Ecco questa è la magia fertile della grande poesia.

Carla

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