mercoledì 30 novembre 2016

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


DALLA PARTE DEI MOSTRI

Chi, in una classe o in gruppo, non ha vissuto la situazione di sentirsi isolato o viceversa di fare parte dei gruppo dei 'fichi'? E' un'esperienza comune, il più delle volte facilmente risolvibile, altre volte implica risvolti drammatici.
Dalla descrizione di una situazione di questo tipo parte il racconto di Nicola Brunialti, scrittore molto amato dai giovani lettori e lettrici, Alicia faccia di mostro, edito da Lapis.
La storia inizia con la giovane protagonista, Alicia, una ragazzina cui un incidente ha provocato una vistosa cicatrice sul viso, alle prese con il bullismo idiota della sua classe e dei ragazzi che la circondano. Nonostante la lunga chioma occulti il più delle volte la cicatrice, Alicia è additata come un mostro e lei vorrebbe solo scomparire.
Tipica situazione in cui il gruppo isola un individuo ritenuto più fragile utilizzando una sua 'debolezza': l'essere grasso o magra, avere un difetto di pronuncia, vestire in modo 'inadeguato' o avere, appunto, un qualsiasi difetto fisico.
Nella vita piuttosto triste della ragazzina compare un nuovo arrivato, il bel Tommy, che sembra non notare affatto la sua cicatrice, quanto piuttosto la stupidità dei suoi nuovi compagni di scuola. Alla ragazza non pare vero di poter frequentare qualcuno che non la faccia sentire un mostro.
La mamma di Tommy, Morgana, è un infermiera dello strano ospedale vicino alla città e propone alla ragazzina, che soffre di potenti emicranie, di farsi visitare lì. Dopo qualche resistenza, la famiglia accetta di sottoporre Alicia a un difficile intervento. Durante il ricovero, però lei scopre di essere circondata da mostri veri, in carne e ossa. In un primo momento la sua reazione è quella del rifiuto e della diffidenza, salvo poi trovarsi a sventare un complotto contro questo strano ospedale, dove niente è come sembra.
Non voglio svelare di più sulla trama che scorre via veloce grazie alla scrittura felice di Brunialti, che sa perfettamente come costruire le situazioni, i colpi di scena, sostenendo il ritmo narrativo per tutto il racconto. Vedo in realtà due aspetti: da una parte la volontà di aggredire il meccanismo odioso dell'esclusione, quello che in gruppo di adolescenti, ma anche di bambini, definisce chi sta dentro e chi sta fuori e diventa oggetto di scherno, di provocazioni e qualche volta di violenze. Metterlo davanti agli occhi dei ragazzi e delle ragazze, che sicuramente nella loro esperienza scolastica sono incappati in episodi del genere, è meritorio; e farlo con un racconto così facile, accattivante, rende il messaggio accessibile anche ai più riottosi. E' come se l'autore, senza salire in cattedra, ma mettendosi all'altezza dei suoi lettori, dicesse 'sto parlando proprio di te'.
L'altro aspetto, ed è quello che mi rende perplessa, sta nella virata narrativa in cui i mostri ospiti e medici dell'ospedale si palesano per quello che sono, cioè proprio quei mostri dei fumetti e delle storie di paura, ma in carne e ossa, normali come noi. Nel momento in cui l'autore ha dato carne ai suoi personaggi, è come se avesse scelto una fascia d'età diversa, uno sguardo più infantile.
Resta un messaggio forte, importante soprattutto perché invita le lettrici e i lettori, dai dieci anni in poi, a confrontarsi con un tema complesso: chi sono veramente i 'cattivi', cosa si nasconde sotto la cosiddetta normalità. E' questo un argomento che sicuramente l'autore tratterà, con la consueta passione, nei numerosi incontri con i suoi fan.


Nel leggere questa storia mi è tornato mente il capolavoro della Houdart, Mostri Ammalati, pubblicato in Italia da Il Castoro nel 2005, ora riproposto da Logos in una versione più piccola, da titolo Mostri malati. Ho scelto alcune immagini per affiancare la bella copertina di Baronciani, per la singolare coincidenza di questa uscita contemporanea.


Eleonora

“Alicia faccia di mostro”, N. Brunialti, Lapis 2016


lunedì 28 novembre 2016

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

C'ÉTAIT GÉNIAL À LIRE!* 

Brutti, sporchi e gentili, Guillaume Guèraud, Andrea Chronopoulos
(trad.Flavio Sorrentino)
Biancoenero edizioni 2016


NARRATIVA PER MEDI (dai 9 anni)

"Poi in un angolo ho visto che da un mucchio di cuscini rossi, sporchi e lerci, emergeva una barba bianca. Faceva pensare a un Babbo Natale di seconda mano. Era il nonno.
Saverio ci ha presentati. 'Nonno, ti presento il nostro gruzzolo!' 'Quale bozzolo?' ha chiesto il vecchio".

Alighiero De La Tour, un ragazzino dodicenne che vale molti soldi, il conto in banca dei genitori ha molti zeri, è stato rapito da una banda un po' sui generis. Una improbabile famiglia di spiantati che vive ai margini di una discarica in una roulotte disordinata e piena di cianfrusaglie. E con un cane, senza nome.
Un padre e una madre che con i soldi del riscatto vorrebbero un'automobile che funzioni e una lavatrice; un nonno, che ha perso l'udito ma non il sense of humour, che invece ambisce ad avere un nuovo televisore; i due figli, Saverio che si esprime a ceffoni e non troppo sveglio, e Giulia, detta Genietto.
Essendo lei la letterata della famiglia, le viene affidato il compito di scrivere la missiva per il riscatto. E mentre gli altri, con il gruzzolo che il rapito porta con sé in cartella, organizzano un barbecue indimenticabile, Alighiero e Giulia, in cima a un mucchi di rifiuti, si guardano negli occhi e si amano.
Sarà l'ennesimo caso di Sindrome di Stoccolma, oppure sotto c'è qualcosa di più?

Breve, scattante, ritmato, spiritoso, questo piccolo racconto di Guillaume Guèraud ha il pregio di essere una storia piuttosto improbabile che mette radici, al contrario, in un terreno fertile di alcune verità.
La prima, e forse la più evidente, è che i soldi non fanno la felicità. O forse dovrei dire meglio: che si può essere felici anche senza soldi.
La seconda è che quando si incontra il primo amore si decide che sarà per sempre.
La terza è che nella vita bisogna saper fare i conti con l'imprevisto, soprattutto se si è un po' distratti. Occorre saper fare di necessità virtù e pazienza se il pollice è andato...
Il punto di partenza è un esilarante rapimento pieno di goffaggini che una famigliola di spiantati, solo all'apparenza crudelissimi, sta compiendo. Il rapito è un ragazzino un po' solo,  occhialuto e allergico alla polvere, che il caso ha voluto far nascere da due genitori ricchi e un tantino anaffettivi. Il resto viene da sé: la dabbenaggine dei rapitori si sposa alla perfezione con la sua solitudine e con quel vago senso di noia che la ricchezza porta con sé. Nonostante abitino in una roulotte scassata, nonostante vivano accatastati, tra loro c'è parecchia umanità e con essa anche un bel po' di movimento: entrambe cose che al piccolo Alighiero sono mancate finora.
Ed ecco che su tutto arrivano, a sorpresa anche per il lettore, gli occhi verdi di Giulia, che convincono definitivamente il rapito a non voler più tornare a casa.
Il ribaltamento di prospettiva, il punto di vista di chi trova finalmente la forza e la giusta ragione di prendere commiato dalla propria vita precedente a cui si aggiunge un finale che non è un finale rendono questa storiellina piccola piccola un libro interessante.
Ora resta da capire in quali mani metterlo. Forse non a bambini e bambine troppo piccoli, per intenderci quelli che alla parola bacio arricciano la bocca e dicono: che schifo!! (per loro conta solo il bacio di mamma, il resto è evitabile), ma a ragazzini e ragazzine di poco più grandi lo consiglio con serenità. Ancora di più lo proporrei a coloro che con i libri non hanno dimestichezza, che considerano la lettura un percorso in salita (quale peraltro è), dove si suda spesso inutilmente. A ragazzini e ragazzine un po' distratti che sugli scaffali delle librerie o delle biblioteche trovano ben poco che, per mole, non li spaventi, salvo poi ricadere nell'ennesimo libro da supermercato.
Qui dentro c'è una storia piccola, ma molto ben raccontata, con un ritmo filmico (e non a caso), spesso contrappuntata di piccole gag assurde. Insomma un libro che riconcilia i riottosi alla lettura con i libri e, magari, li incuriosisce verso altri titoli dello stesso autore, il quale, nel frattempo tra un cinema e l'altro, ha collezionato premi letterari importanti in Francia ed è diventato un autore molto amato.


Carla


Noterella al margine. Sebbene questo tipo di libri patisca necessariamente di una illustrazione 'subalterna' al testo, ciò nonostante mi piacerebbe da parte dell'editore una cura maggiore nelle scelte di chi dovrà disegnare tra le parole.

* giudizio entusiasta di un ragazzino francese, dopo averlo letto.


venerdì 25 novembre 2016

FAMMI UNA DOMANDA!


ENIGMI IRRISOLTI

L'estensione dell'evoluzionismo all'uomo è stata ed è fonte di scandalo per chi vi vede la negazione del disegno divino; ma è, ed è quello che ci interessa qui, l'oggetto di studio per tutti bambini della terza elementare, da quando sono cambiati i programmi scolastici.
La grande attenzione per la preistoria finora non è stata supportata da un grande fiorire di proposte da parte dell'editoria non scolastica; soprattutto, carente la divulgazione rivolta ad una fascia d'età superiore.
Alle bambine e ai bambini dagli otto, nove anni ma secondo me ben accetto anche dopo i dieci anni, che ancora non siano riusciti a raccapezzarsi nell'ingarbugliato mondo dell'evoluzione umana, viene in soccorso Telmo Pievani con Sulle tracce degli antenati. L'avventurosa storia dell'umanità. Si tratta di un bel libro di divulgazione, con una struttura originale ed un linguaggio chiaro, senza essere troppo semplificato; l'argomento è complesso e molti sono i luoghi comuni che spesso sono presenti nei libri di testo.


Quello proposto dall'autore è un viaggio a ritroso nella storia dell'uomo, alla ricerca dell'antenato comune che rende noi sapiens e gli scimpanzé cugini con un misero 1,6% di DNA a separarci.
In questo viaggio nel tempo, il ragazzino protagonista dell'impresa incontra dieci 'antenati', via via più lontani nel tempo e nella distanza evolutiva e di ciascuno di essi viene fornito un identikit, una descrizione delle caratteristiche fisiche, delle abitudini alimentari, delle migrazioni. Per raccontare le diverse caratteristiche di ciascun 'ominino' non si può non nominare i fortunati scopritori di reperti fossili che hanno più volte rivoluzionato l'idea precedente di storia umana. Fra questi non posso non ricordare che il professor Leakey, scopritore del 'ragazzo di Turkana', è quello stesso professore che incoraggiò le ricerche sul campo di Jane Goodall e Diane Fossey, che abbiamo incontrato in Primati.

Se la descrizione dettagliata di ciascun protagonista del nostro passato può sicuramente aiutare giovani scienziati e scienziate , mi sembra ancora più importante la sottolineatura di alcuni concetti chiave, che aiutano anche ad orientarsi nel mondo di oggi. In primo luogo viene respinta l'idea di un'evoluzione lineare, dal più semplice al più complesso: noi non siamo il frutto necessario dell'evoluzione, ma l'esperimento, casuale, di maggior successo; abbiamo a lungo condiviso la terra con altri 'ominini', sicuramente ben adattati all'ambiente in cui vivevano. L'immagine più efficace è quella di un cespuglio con molti rami, alcuni dei quali isteriliti, altri ancora presenti in noi attraverso tracce di DNA.


Siamo dei migratori nati; molto del successo evolutivo è dato dalla capacità di adattarsi ad ambienti differenti e a cambiamenti repentini. La nostra storia è costellata di migrazioni epiche, di sovrapposizioni di popoli. Certo con tempi ben diversi da quelli che registriamo oggi.
E, ultima osservazione, siamo una specie 'infestante', l'autore non usa questo termine , ma io si: abbiamo delle capacità distruttive gigantesche che vanno di pari passo con la capacità di controllare l'ambiente in cui viviamo e le altre specie con cui condividiamo il pianeta.
Naturalmente questi aspetti di maggior riflessione sono colti e ha senso sottoporli ai lettori più grandicelli, animati da quelle grandi domande cui fatichiamo a fornire risposte adeguate. Per i più piccoli, il libro propone un viaggio affascinante nel nostro passato, con illustrazioni e schemi che rendono più chiari i passaggi; le illustrazioni sono di Adriano Gon e i realistici ritratti degli antenati sono di Katerina Kalc.
Editoriale Scienza ancora una volta dimostra grande rigore e coraggio nel proporre un testo che colma una delle lacune più evidenti nella produzione editoriale di impronta divulgativa. Una bella prova di sapiente innovazione, puntando su uno degli più importanti autori italiani sul tema dell'evoluzionismo.

Eleonora

“Sulle tracce degli antenati. L'avventurosa storia dell'umanità”, T. Pievani, Editoriale Scienza 2016



mercoledì 23 novembre 2016

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


 UNA BAMBINA IN STILE RICHTER

Io sono soltanto una bambina, Jutta Richter (trad. Bice Rinaldi)
Beisler 2016

NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni)

"La nonna è proprio accanto al divano, solo che oggi il suo fiuto sembra non funzionare per niente. Allungo il braccio e le do dei colpetti sul piede.
'A Murkel stanno nascendo i cuccioli!'
'Smettila di dire stupidaggini!' risponde lei. Murkel è un gatto maschio e ai gatti maschi i cuccioli non gli nascono di certo!'"

Invece ai gatti maschi nascono i cuccioli se non sono maschi ma sono femmine. Ed è appena successo che il gatto Murkel, fino a quel momento creduto un esemplare di soriano maschio, sia in verità un soriano femmina. E si dà il caso che sia sotto il divano della casa della nonna di Hanna a sfornare cuccioli. Sotto il divano a godersi la bellissima quanto inaspettata scena c'è questa bambina di otto anni e poi la nonna che, però, sotto quel divano entra a fatica, viste le sue rotondità.
La scena seguente la vede incastrata a tal punto che deve arrivare Eberhard, il secondo papà di Hanna, a farla uscire da lì con la forza dei suoi muscoli.
Per la piccola Hanna, è periodo di cambiamenti: da una parte la nascita dei gattini riaccende in lei il sogno sopito di avere un micio tutto per sé da coccolare e accudire. Dall'altra, il trasloco in una casa ben più grande di prima. E forse questo potrebbe davvero essere il momento giusto per avere un gatto.

Una bambina in pieno stile Jutta Richter. Una bambina assolutamente normale che ha molti desideri, una certa attitudine al litigio con chi si rivela poco amichevole con lei, la prima fra tutte la sua compagna di classe Daniela, autentico serpente a sonagli nascosto sotto trine e pizzi. Una bambina che ha una famiglia alle spalle composta da una mamma bassetta ma tosta, un secondo papà gigantesco, ma tenero e una nonna piuttosto moderna che gira in cabrio. E forse da oggi in poi, un gatto da accudire.
Cosa distingue i bambini di Jutta Richter, tanto da farli sembrare fratelli tra loro da un racconto all'altro?
Direi, senza tema di essere smentita, la loro autenticità. Il loro essere bambini e bambine che potremmo incontrare all'angolo della nostra via che discettano del mondo - quasi incomprensibile - degli adulti che li circondano.
Hanna, dunque, è prototipo di una infanzia che guarda con un certo disincanto al mondo dei grandi. Nella frase che chiude ogni capitolo, ovvero ogni sua riflessione sul mondo degli adulti 'beh, io sono soltanto una bambina', si avverte quella giusta distanza tra il modo proprio dei piccoli di leggere la realtà, diretto e logico, e quello dei grandi: maestre, psicologhe scolastiche e genitori, che arzigogolano su tutto. Hanna, come è giusto che sia, non esercita l'arte del compromesso: la sua vita è fatta di colori pieni, niente sfumature intermedie. Hanna sa amare e odiare solo così.
Uno dei meriti di Jutta Richter che le riconosco sta proprio in questa sua capacità 'oggettiva' di raccontare l'infanzia. Senza mai bamboleggiare o addolcire le numerose angolosità che la vita quotidiana presenta. Non crea famiglie modello, ma famiglie dove c'è amore e rispetto, dove si litiga o si cambia parere, dove si possono avere liberamente passioni o manie...

E a tal proposito, se è vero che infanzia e mondo animale si intendono parecchio, si arriva all'altro punto di forza della Richter, ovvero la passione affettuosa che nutre per i quattro zampe. Nel precedente libro Io sono soltanto un cane (Beisler 2013), protagonista assoluto era Anton, un cane ungherese, sognatore di puszta e prima ancora un gatto divino (Dio, l'uomo, la donna e il gatto, Salani, 2011) si percepisce un'attenzione, un rispetto, quasi una deferenza -anche in questo caso autentica - nei confronti del quadrupede di turno.
Allineata con altri autori tedeschi che Beisler ha avuto il merito di sdoganare in Italia, anche la scrittura di Jutta Richter si distingue per asciuttezza (poco o niente sconfina nell'immaginazione), precisione fotografica, coerenza nelle ambientazioni e nei caratteri dei suoi personaggi. Su tutto questo però lei ha il gusto di cogliere la naturale comicità che talvolta un giornata qualsiasi offre.
E quindi con un libro di Jutta Richter in mano si ride, spesso.

Carla

lunedì 21 novembre 2016

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


 FARE FILO'


'Fare filò' è un'espressione dialettale che viene dalla tradizione contadina, veneta ed emiliana: descrive il raccontare storie davanti al fuoco, o nelle stalle, nelle lunghe sere d'inverno. I grandi raccontano ai piccini storie vere e fantastiche, di quelle che fanno trattenere il fiato.
Il ritorno dei Cantalamappa, dei magici Wu Ming, con le illustrazioni di Daniele Castellano, mi ha ricordato proprio questo, così come me lo raccontava mio padre quand'ero piccola. Gli episodi di questo nuovo viaggio fantastico ai quattro angoli del pianeta sono in parte veri, con documentata fonte storica, in parte un po' romanzati e c'è sempre qualcosa di inventato per il gusto di stupire il pubblico di ragazzine e ragazzini, del tutto ignari degli episodi di cui si va parlando, veri o fantasiosi che siano.


Vero l'episodio dell'isola Ferdinandea, emersa nel 1831 al largo della Sicilia, per poi sprofondare nuovamente negli abissi marini. Vero l'incredibile episodio dell'Arbez Hotel, collocato a metà fra il territorio francese e quello svizzero, salvezza di un partigiano in fuga, durante la Seconda Guerra Mondiale, e di chissà di quanti altri inseguiti dai Biechi Bruni.
Veri ed emozionanti gli episodi ambientati in America Latina, in particolare quello che si riferisce alla cosiddetta 'guerra dell'acqua', in Bolivia, dove un nugolo di ragazzini, a capo di un ben più minaccioso branco di cani randagi, è riuscito a mettere in fuga l'esercito mandato a reprimere una rivolta popolare contro il potere di una multinazionale dell'acqua.


Dunque si parla di leggende, di animali estinti, di cattivi veri come i Biechi Bruni e i Biechi Neri, o la SuperBanca InterMondiale, di popoli oppressi e animali dimenticati; di occidentali creduloni e di aborigeni discriminati.
Con penna leggera e molta ironia Wu Ming  riesce ad aprire molte finestre sul mondo e sulla storia, dimostrando che quello che è avvenuto e che avviene magari qualche chilometro più in là può essere importante anche per noi.
Procedendo fra realtà e finzione, con i nomi trasfigurati e qualche avventura messa lì a dare più sapore al racconto, il nostro inesauribile collettivo di scrittori dimostra la propria capacità di proporre uno stile narrativo efficace ed intellettualmente onesto, dichiarando sempre da quale parte del mondo ci si schiera e non è certo la parte dei biechi bruni di qualsiasi latitudine e nemmeno di una multinazionale pronta a vendere a caro prezzo l'acqua ai contadini.

 
Come nel precedente, Cantalamappa, la cornice narrativa è costituita dai racconti di un'anziana coppia di viaggiatori, che nei brevi passaggi in quella che considerano casa raccontano al simpatico vicino, l'io narrante della storia, le avventure che hanno vissuto e gli strani personaggi incontrati. Ciascuno dei diversi episodi può essere lo spunto interessante per approfondire e per capire meglio il mondo in cui viviamo, provando a leggerlo dalla parte dei più deboli, con intelligenza e curiosità, e con un pizzico di necessaria indignazione.
Lettura piacevole e stimolante, per ragazze e ragazzi combattivi, a partire dai dieci anni.

Eleonora

“Il ritorno dei Cantalamappa”, Wu Ming, Electa kids 2016



domenica 20 novembre 2016

DOLCE O SALATO? DOLCESALATO


Mentre stavo preparando un crostata riflettevo sulla pasta frolla. Esistono varie scuole di pensiero su come deve essere e io appartengo allo schieramento che la vuole rigorosamente senza lievito e portata in cottura fino a dorare molto (e forse ho anche già espresso questo concetto in questo blog).
Tornando alla frolla, pensavo proprio che la crostata che stavo per sfornare aveva una consistenza di pasta che mi sarebbe piaciuto avere anche in una torta salata, ma proseguendo nelle mie speculazioni ho anche realizzato che quella consistenza derivava dal portarne la cottura fino al punto in cui lo zucchero contenuto nella pasta inizia a caramellare.
A questo punto però mi era ovvio che una pasta salata non ci poteva arrivare.
Mentre tutto questo avveniva, a fianco a me mia madre stava cucinando in padella delle zucchine e casualmente io avevo anche avanzato un pezzettino di frolla.
Senza rifletterci più di tanto ho steso la pasta in una piccola terrina, ho rubato un po' di zucchine dalla padella della mamma, le ho mescolate con un cucchiaino di marmellata di limoni e ho infilato il tutto in forno, domandandomi cosa diavolo ne sarebbe venuto fuori.
Ne è venuta fuori un piacevolissimo dolcesalato. E benché prevalessero le parti dolci il tortino è da inserire nei piatti salati.
Ovviamente, visto il risultato, ho ripetuto la preparazione, e anche senza la fortuna del principiante o forse meglio della beata incoscienza, la formula funziona.

Ingredienti
Per la pasta frolla
300 gr di farina
120 gr di burro
100 gr di zucchero
2 uova
Sale

Per la farcia
2/3 zucchine
1 scalogno
Olio, sale
1 cucchiaio di marmellata di limoni

Questo blog è pieno di ricette che prevedono la pasta frolla, ma dato il caso aggiungo anche la mia.
In una terrina versate la farina, lo zucchero, il sale e il burro tagliato a pezzetti e con le mani sbriciolatelo insieme agli altri ingredienti. Quando sarà ridotto a piccoli pezzettini aggiungete le uova (nella lista degli ingredienti ne ho segnate 2, ma dipende dalla dimensione, potrebbe bastarne anche uno. Deve consentirvi di amalgamare la pasta). Impastate quanto basta per ottenere una palla liscia con cui fodererete, con le mani, gli stampini da crostatina. Non serve imburrarli.
Tagliate finemente lo scalogno e le zucchine a rondelle. Mettete in padella un goccio di olio, fate rosolare un poco lo scalogno e quando inizia a dorare aggiungete le zucchine. Salare a piacere e cuocere a fuoco medio, girando spesso in modo da far rosolare uniformemente le zucchine senza farle annerire. Lasciate raffreddare un poco e unite la marmellata di limoni.
Disponete le zucchine nelle crostatine, decorate con qualche strisciolina di pasta che spennellerete con un po' di marmellata diluita con un goccio d'acqua.

Infornare a 180 gradi fino a che saranno  ben dorate.


Gabriella

venerdì 18 novembre 2016

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


DOVE UNO NON SE LO ASPETTA

Le avventure di Erasmo - Elogio dell'acqua, Daniela Maddalena
Marcos y Marcos 2016


NARRATIVA PER MEDI (dai nove anni)

"Era partito per un viaggio nel Mediterraneo due mesi fa e non era più tornato. Nave ed equipaggio, in tutto dodici persone, tutte scomparse. Polizia e giornalisti se n'erano occupati per i primi giorni, poi si erano stancati. Forse si dovevano occupare di scomparse più fresche.
Erasmo era tristissimo."

Inconsolabile, fiacco e svogliato, questo ragazzino viene prelevato dalla zia, che parla sempre in versi e che ha gli occhi laterali, e portato in mare. Fuggono dagli assistenti sociali, dietro la scia del padre scomparso. 
Il loro viaggio per mare non prevede imbarcazioni, ma solo muscoli allenati. Bracciata dopo bracciata, i due si 'incamminano' alla ricerca del capitano di lungo corso. Nuotano di giorno, mentre di notte avrebbero in progetto di fermarsi a riposare in una confortevole casetta gonfiabile e galleggiante, se non fosse che il mare si alza e manda in pezzi il loro unico rifugio. Per nulla disarmati, i due proseguono per incrociare sul loro percorso: un concerto rock tra pesci, una barchetta di un pescatore generoso, un'arca piena di animali che stanno girando un film il cui regista villeggia su una nuvola...e poi le sirene con le loro illusioni e poi un pescecane che, come nella storia di Pinocchio, li inghiotte tutti interi. Due resort gemelli e ultima non ultima, una ragazzina carina.
Quando ormai le forze sono esaurite, non resta che arrendersi e decidere che il capitano è uscito per sempre dalla vita di suo figlio Erasmo. Non rimane altro da fare che tornare al punto di partenza, ovvero la casa della zia dove tutto li aspetta come prima, o quasi.

Non mi pare possibile definire la storia di Daniela Maddalena, un racconto lineare. Non si può dire neanche che sia una storia di tutti i giorni. La si può al contrario definire un'avventurosa avventura, impastata con quel tanto di follia, con un bel po' di sonorità, e con una giusta dose di ironia.
Il pretesto di partenza, la scomparsa del padre del piccolo Erasmo, bambino dalle grandi e attente orecchie, già mette sulla strada del racconto avventuroso sulle tracce di qualcuno. il binomio nipote-zia è un altro topos letterario (e non solo) che va nella stessa trasgressiva direzione. Terzo elemento, l'acqua che diventa necessariamente contenitore 'anomalo' di una serie di attività, le più disparate e impensabili da svolgere 'a mollo'.
Queste tre componenti, intrecciate a dovere con un ritmo serrato, fanno sì che la storia decolli letteralmente verso l'assurdo senza remora di sembrare inverosimile. In questo, il libro ha davvero l'andamento ondivago tipico del pensiero di un bambino che non teme mai di sembrare folle nei suoi salti logici.
E' una grande festa del 'tutto è possibile' . Basta dirlo (o meglio scriverlo) e magicamente diventa vero.
Se la lettura di un adulto alle volte suda e fatica per mantenere l'orientamento, so che a ragazzini e ragazzine invece questo andare di qua e di là in balia dell'immaginazione a briglia sciolta piacerà parecchio.
A questo si aggiunga una sensibilità per il sonoro, talvolta raccontato per sequenze di lettere lunghe anche un rigo e talaltra descritto e lasciato all'immaginazione di chi legge. Se i suoni di questo libro sono da un lato nella lettura ad alta voce che se ne può fare, dall'altro si ritrovano nella trama stessa del racconto che in più di un'occasione offre visuali di concerti surreali, oppure descrizioni di strumenti musicali improvvisati e fai da te, per lo più ad arco o a percussione. Pochi i fiati, onestamente.
In questa rumorosa sarabanda le voci sono molte, ma a una in particolare occorre dare ascolto. Ed è quella fuori campo, sempre al presente indicativo, circostanza questa che talvolta la fa stridere come una nota stonata, ma che funziona bene per tenere sempre all'erta l'attenzione di chi legge.
Accanto a questa, quella in versi della zia, che pare le sia nata da un amore imperituro per l'antologia.
Il gran finale, che si concentra (forse troppo) in poco più di due facciate, va letto e poi riletto, e forse riletto ancora prima di essere sicuri di averlo in tasca.
E io questa sicurezza, al momento, non ce l'ho.


Carla

Noterella al margine. A chi come me ha amato tanto Pinna morsicata di Cristiano Cavina, racconto fatto di grandi profondità, e non solo marine, qui si ritroverà a veleggiare sulla superficie dell'acqua, sempre mossa e mai uguale.

mercoledì 16 novembre 2016

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


COMPLOTTI VIRTUALI, GUERRE REALI


Torna Cassandra, l'androide protagonista di Human, con cui Tommaso Percivale ha inaugurato questo interessante filone di romanzi fantascientifici.
Cassandra, dunque, è un'androide speciale, capace di imparare, modificandosi, dall'esperienza; capace anche di 'sentimenti', lei cresciuta come una figlia da una coppia umana. Cassandra ha un gemello 'nero', l'altro polo della dualità che pervade tutta la storia. Lui, Cole, tradito e abbandonato dal suo creatore, mette le sue immense capacità al servizio dell'utopia androide, una ribellione degli schiavi al dominio, corrotto e impotente, almeno all'apparenza, degli umani.
Arcade, la megalopoli avvelenata che si sviluppa in verticale, è attraversata da attentati, improvvise ribellioni degli androidi addetti ai vari servizi, omicidi misteriosamente artefatti. Il corrotto e abominevole capo della polizia viene finalmente smascherato e arrestato, ma la principale minaccia a quel che resta dell'umanità viene dall'Albero, la potentissima rete virtuale che organizza e dirige la rivolta androide.
L'esito, per quanto aperto, che Percivale propone al suo pubblico di appassionati lettori e lettrici, è quello della riconciliazione, un nuovo inizio che veda insieme umani e androidi, un futuro possibile in cui nessuno sia schiavo.
Ancor più del precedente, Human Hope, pubblicato recentemente da Lapis, ha un ritmo sostenuto, con colpi di scena rinnovati e continui passaggi di scenario, dal virtuale al reale, dall'umano all'artificiale. Grande è il debito dell'autore nei confronti dalla fantascienza classica: dalla visionarietà di Philip Dick alle leggi della robotica di Asimov fino alle inquietudini filosofiche di Simack, che tanto ha indagato il confine fra umano e non umano.
Le questioni poste sono di grande respiro: cosa ci rende veramente umani e come può essere intesa l'intelligenza artificiale, con la sua incorporeità. Cosa significherà nel futuro, quando alle creature artificiali verranno attribuite capacità sempre più umane. Chi siamo veramente nel momento in cui veniamo messi di fronte al nostro doppio non umano. Ma c'è anche la descrizione del mondo post apocalittico, che ha segnato molta fantascienza post bellica: un mondo malato, superaffollato, in cui le divisioni e i contrasti sociali sono accentuati.
Se questo può sembrare troppo impegnativo per i giovani lettori e lettrici, dai dodici anni in poi, bisogna ricordare il successo di serie che di queste ambientazioni si sono nutrite, magari con qualche riflessione in meno.
Percivale è davvero bravo nel riportarci dentro la tradizione fantascientifica, rendendola nuovamente viva, così come è importante la sottolineatura degli aspetti etici, sociali; immaginare il futuro è un modo per parlare del presente e delle sue contraddizioni, visibili e violente, o sotterranee. Il nostro presente è segnato dalla continua definizione dell'altro da sé, il più delle volte identificato come un 'alieno', privato di diritti e dell'appartenenza alla comunità. Ragionare su questo, anche attraverso la narrazione, può essere di vitale importanza.
Ma al di là di tutto questo, al di là dei discorsi sulla libertà e l'uguaglianza dei diritti, resta un bel romanzo d'azione, appassionante e godibilissimo.

Eleonora

“Human Hope”, T. Percivale, Lapis 2016

lunedì 14 novembre 2016

LA BORSETTA DELL SIRENA (libri per incantare)

CHE KLASSEN!

Toh, un cappello!, Jon Klassen
Zoolibri 2016


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Come mi sta? Ti sta proprio bene.
E a me come sta? Sta proprio bene anche a te.
Sta proprio bene a tutti e due. Ma NON È GIUSTO CHE UNO ABBIA un cappello E L'ALTRO NO."


Ci risiamo. Di nuovo problemi di cappelli. Di nuovo problemi connessi al possesso di cappelli. Due tartarughe, una a destra e una sinistra di un cappello da cowboy bianco abbandonato nel deserto, discutono e argomentano cosa sia giusto fare nella circostanza, visto che il cappello piace a entrambe, ma loro sono in due e il cappello è uno solo.
Sebbene il cappello sia grande per entrambi, con gentilezza i due amici affermano che il cappello calza a pennello sulla testa sia dell'uno sia dell'altro. Il problema persiste e l'unica soluzione percorribile è la rinuncia da parte di entrambi. 


Allontanatisi, i due contemplano il tramonto. Contemplare, azione che non prevede possesso, scelta, rinuncia - perché il sole è di tutti - sembra essere un buon diversivo rispetto al cappello. Sembra.
Sebbene la prima tartaruga in effetti abbia onestamente distolto la mente dal cappello, così non è per la seconda che continua a pensarci. Negando, almeno a parole, l'evidenza.
 

Il sole tramonta e si va a dormire. E anche in questa terza circostanza la distanza tra i due amici è palpabile. Mentre il primo sogna, sogna che entrambi hanno un cappello in testa, l'altro - alla chetichella - si allontana con l'intento di impossessarsi del cappello. Tuttavia il racconto del sogno, condiviso come in una trance, sortisce un effetto inaspettato sull'imbroglione. Inaspettato per la tartaruga stessa, per il lettore, e ancora di più per il lettore conoscitore di Klassen.


È cosa nota che Klassen abbia la stoffa di cavalcare un medesimo tema, di declinarlo secondo prospettive diverse senza mai cadere nel già detto, nell'ovvio, nel prevedibile. Anzi, dimostra di avere la forza di rilanciarlo ancora più in alto con sempre maggiore maestria. È altrettanto raro che un autore abbia così tanto da dire su tre nuclei di pensiero con cui l'umanità si confronta da millenni: la giustizia, la colpa, la vendetta, la lealtà, la redenzione. E farlo con poco e niente: un cappello, due pesci, due tartarughe un orso...
Eppure Klassen è così. Voglio il mio cappello!, Questo non è il mio cappello, Toh! Un cappello sono tre capolavori equivalenti.
Dal punto di vista strettamente formale, i tre albi di Klassen sono meccanismi perfetti che dimostrano, in crescendo, una sua straordinaria capacità di manipolazione dell'oggetto albo illustrato.


Nel primo aveva lavorato sul lettering del testo, dimostrando di saper piegare a suo uso e consumo il colore e la grafica di cui si impasta un albo illustrato e aveva nel contempo dimostrato al mondo che lui sapeva utilizzare lo spazio della pagina come contenitore ideale di sentimenti ed emozioni, sdraiando il grande orso nella disperazione, sedendolo su uno sfondo rosso nel momento della presa di coscienza, facendolo correre a ritroso sulla pagina nel suo ripercorrere indietro lo spazio, ma soprattutto il tempo, nella fase di riscatto. Nel secondo aveva saputo far dialogare testo e immagine con un gioco sapiente di continua smentita da parte del secondo nel confronti del primo. In Non è il mio cappello infinitesimi gesti rendono il racconto a parole semplicemente deflagrante. E ora nel terzo libro, che suona davvero come un inno alla bontà dopo due libri che erano stati inno alla cattiveria, si assapora il gusto che ha la redenzione finale.
Fatto tesoro delle due precedenti esperienze, qui Klassen le mette in gioco entrambe: a un uso sapientissimo di maiuscolo e minuscolo per comunicare a chi legge valore e plus valore delle parole, un tempo interno ritmato alla perfezione nel giro delle pagine, nell'uso dei capitoli (assoluta novità che dà lo spessore del 'romanzo' a un testo di meno di duecento parole) nel dialogo asciugato all'essenza, si unisce il sottile ma efficace gioco di sguardi dei personaggi che, analogamente al nesso visto nel libro precedente, dicono una cosa ma ne pensano tutt'altra.
A questo si aggiunge un disegno e un uso del colore davvero pieno di sapienza e a tratti emozionante. Quasi subliminale lo scorrere del tempo che si percepisce dai fondi che da grigi si colorano di arancio, tanto insolito e inaspettato nella tonalità, per poi imbrunirsi nella sequenza notturna.
Il sole che cala è mozzafiato, come sarebbe giusto che fosse ogni tramonto. Senza contare il cielo stellato che diventa tappeto accogliente del sogno.
Ma su tutto regna e impera la profondità di dialogo tra testo e immagine. Impossibile scinderli per valutarli in autonomia. Ciò nonostante il distillato che se ne ricava è semplicemente magnifico: un apologo su che cosa sia il senso di colpa, e il ripensamento che porta alla salvezza, su cosa sia la generosità e la lealtà, su quale sia valore dei sogni, su quale sia il senso ultimo che deve avere l'amicizia: due tartarughe e un cappello, in un deserto dell'Arizona tra saguari, dialogano con parsimonia e in un amen spazzano via ogni altro discorso dotto e articolato e mille e più pagine di saggi sul tema.


Questo è Klassen. Questa è letteratura.

Carla

Noterella al margine. Una a di troppo o una a di meno. A chi legge l'onere di trovare dove.

venerdì 11 novembre 2016

FAMMI UNA DOMANDA!


FAR PARLARE LE FIGURE


Un autunno così denso di proposte, belle e interessanti, riguardanti la natura e gli animali non si era mai visto; probabilmente alcuni editori, visto il successo imprevisto di importanti testi di divulgazione, come Mappe, hanno deciso di puntare su questo ambito, per altro da sempre apprezzato da lettrici e lettori in erba.
Ecco arrivare una nuova pubblicazione, che di sicuro non passerà inosservata: La parola alla Natura, di Thomas Hegbrook, proposto dalla Emme Edizioni.
La particolarità di questo libro salta subito all'occhio: è un libro senza parole, con la sola eccezione dell'appendice finale.
Dunque, abbiamo, in un volume di grande formato, una cinquantina di pagine attraversate da 'strisce' che descrivono stati o azioni di diversi esseri viventi: predazioni, nascite, comportamenti parentali, corse, inseguimenti, tuffi. Insomma tante situazioni che si possono definire caratteristiche.


In ogni pagina le diverse strisce non sono necessariamente in relazione fra loro, ma non è escluso che la relazione la possa trovare il giovane lettore o la lettrice appassionata; e qui mi piace sottolineare che quando si ha a che fare con libri così concepiti, è grande la libertà di chi legge. Le strisce possono essere decifrate, individuando il comportamento o la situazione che quella striscia descrive e di cui, alla fine del libro, nell'appendice, sono riportate le spiegazioni. Ma nulla vieta che queste immagini, così suggestive, così evocative, non possano essere lo spunto per raccontare storie, immaginare relazioni, costruire intrecci, soprattutto nella situazione di una lettura collettiva, a casa o in classe. Un libro matrice di storie, che contemporaneamente è a tutti gli effetti un libro sulla natura.


La parola alla Natura si apre con la scena di una coppia di uccellini che costruiscono insieme il nido e si chiude con un'altra scena, in cui gli stessi uccellini allevano i piccoli, che, diventati grandi, prendono il volo. Inizio e fine di una storia, o di un episodio di essa, utilizzato per raccontare l'eterno ciclo che contiene il continuo divenire: creature che nascono, che crescono, che mettono radici o fuggono nella savana; che mangiano ed evitano di essere mangiati; che si riproducono, curando la propria prole. Le strisce diventano brevi sequenze di una storia, o di un film, che non ha mai fine, che si ripete senza essere sempre uguale. Hegbrook è un abile disegnatore, con il dono della sintesi: riesce a costruire queste sequenze con grande semplicità e chiarezza, evitando con cura le situazioni più scontate; non tutte le sequenze hanno nessi e significati evidenti, bisogna guardare con attenzione le immagini, ragionarci sopra e fare appello a quel che si sa o a quello che si può inventare.


Un libro stimolante, dai molti usi, che può piacere ai più piccoli, propensi ad una lettura più creativa, ma apprezzabile anche dai più grandicelli, che amino risolvere enigmi.
Eleonora

“La parola alla Natura”, T. Hegbrook, Emme edizioni 2016