mercoledì 30 gennaio 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


MA COS'È POI, UN UOVO?

Kiwi, Carmen Posadas, Alessandra Manfredi (trad. Mirta Cimmino)
#Logosedizioni 2018


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)

"Per settimane, Cane covò quell'uovo bianco pieno di macchie marroni e se ne prese cura. Lo portò nella sua casetta e preparò una specie di nido caldo apposta per lui, pieno di paglia e piume. Come ridevano i colibrì, le anatre, i porcellini e le galline a vederlo così, steso sull'uovo giorno e notte per tenerlo al calduccio!
Così passarono i giorni."

Antefatto: pacchetto portato dal postino di buon'ora nella fattoria. Grande come una scatola da scarpe, viene da lontano e forse non sarebbe mai dovuto arrivare lì. Tutti gli animali sono molto curiosi di aprirlo, ma Cane, in qualità di guardiano, li mette per l'appunto in guardia sull'aprirlo. Meglio gettarlo da chiuso nel fiume per evitare spiacevoli sorprese. Spetta al colibrì il merito di aver suggerito di aprirlo prima di gettarlo, per verificarne l'effettiva pericolosità.


Apertolo, si scopre che contiene un uovo che nessuno reclama come proprio e che nessuno vuole prendersi in carico. Tranne Cane che lo cova fino al momento in cui il guscio si incrina e ne esce un curioso animale, diversamente bello. Fine dell'antefatto.
Zampe da gallina, becco da colibrì, pelo setoloso da maiale: tutti, tranne Cane, lo trovano bruttino e compatiscono chi deve prendersene cura. 
Tutti riprendono la vita di sempre e lasciano Cane alle prese con la sua nuova paternità. Illuminante è la vecchia rondine che ha girato il mondo, e che informa il novello padre che il suo bambino è un piccolo kiwi, giunto dall'Australia. Essere esotico lo renderà famoso, commenta la rondine. Notizia questa che fa riaffacciare tutti coloro che se ne erano disinteressati prima: la gallina lo pretende, in nome delle sue zampe, i maiali per il pelo, e anche il colibrì per quel becco aguzzo che tanto gli ricorda il suo.
Nonostante allevare un figlio richieda tanto lavoro e dedizione, Cane non cede di un passo: kiwi starà con lui perché è lui quello gli ha voluto bene ancor prima che il guscio si incrinasse...

Piccolo il kiwi, piccolo e grande il libro.


Nella collana La biblioteca della ciopi, Logos raccoglie storie per piccole mani di piccoli lettori. Sono storielline più lunghe di quelle che si leggono negli albi, ma rilegate con meno pretenziosità. Il formato conferma l'intento di creare una edizione economica di una lunga serie di titoli. Kiwi è uno dei primi.
Fin dal principio ci si rende conto di essere davanti a libri per lettori autonomi, ma alle prime armi che si cimentano con testi un po' più impegnativi, con una narrazione di una certa complessità, in questo caso data dall'intreccio di molti personaggi comprimari.
Il breve racconto di Carmen Posadas, ottimamente tradotto, è molto piacevole perché dimostra un suo equilibrio interno, basato su uno schema già ben conosciuto e di sicura presa, mutuato dalla tradizione popolare, ovvero l'avvicendarsi di vari animali che, per ragioni diverse, decidono di non fare 'qualcosa' e poi per ragioni altrettanto diverse, decidono di ripensarci, ma troppo tardi. Lo schema è analogo, per esempio, a quello di favole come La gallinella rossa. Tutto ruota intorno ai due indiscussi protagonisti: Cane e Kiwi, che sono il timone della storia cui Alessandra Manfredi dà grande espressività. 
 

La bellezza sta nella rielaborazione personale che la scrittrice uruguaiana dà di questo canovaccio, attraverso tante minuscole varianti narrative. Si pensi per esempio alle motivazioni che i singoli animali adducono: il colibrì non può prendersi cura dell'uovo perché rischierebbe di non potersi più godere la vita, i maiali dovrebbero lavorare per mantenerlo e quindi non se ne parla, la gallina si mette il grembiule e va dai suoi pulcini.
Piccole perle lucenti sono le sue incursioni nel mondo umano, come per esempio la brillantina per la cresta del gallo, il lavaggio dei piatti della cena da parte di Cane. Insomma, cose così che hanno l'intento di essere riconoscibili ma che nel contempo risultano totalmente fuori contesto. Bello, anche perché Alessandra Manfredi non ne tiene conto nei disegni che, al contrario, stanno ben fermi su una resa tra la mimesi e lo specchio dell'anima, forse per non cadere nello stereotipo spesso lezioso e già stravisto dell'animale che indossa panni umani.


A tutto questo, che è già parecchio, si aggiungono un paio di grandi questioni universali, che vengono messe giù con nonchalance da Posadas: la prima, un uovo è già 'qualcuno'? La seconda, invece, ruota intorno al concetto di responsabilità. Cane è esplicito in tal senso: se il pacchetto non lo avessi aperto, lo avrei potuto buttare serenamente in acqua, ma, una volta conosciuto il contenuto, non è più possibile ignorarlo.
Accidenti, come è vero. E da qui, il senso di responsabilità.
A rendere Kiwi una storia bella da leggere e da far leggere, contribuisce il marginale dettaglio che l'accudimento e la tenerezza poggiano solo sulle valenti spalle di Cane, maschio.

Carla


lunedì 28 gennaio 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


FISH BOY


Il romanzo di Chloe Daykin, ‘Fish Boy’, in uscita per i tipi di Giunti, è davvero un romanzo originale, anche se parte da uno schema già visto diverse volte: una famiglia in difficoltà per la malattia della madre, non ancora identificata; un padre che cerca di darsi da fare; un ragazzino con le sue specialissime ossessioni, i documentari di sir David Attenborough, le cui citazioni si intrecciano con la narrazione.
Siamo in una cittadina costiera dell’Inghilterra e il nostro protagonista, Billy, conduce una vita relativamente normale, scandita dalle solite cose, la scuola, le cene un po’ rimediate, a base di fagioli, i bulli a scuola, una ricerca che non decolla, una ragazzina che forse gli piace e un nuovo amico che si profila all’orizzonte.
C’è il grande non-detto, la malattia, ancora non diagnosticata, che costringe la madre a stare quasi sempre a letto; e c’è una passione travolgente per il nuoto, che porta il nostro protagonista a imbattersi in un curioso pesce, uno sgombro, che sembra parlargli.
Billy è un esperto di animali ed è al racconto che ne fa il mitico documentarista inglese che si rifà nei momenti difficili, quando bisogna fare una scelta o affrontare un momento difficile. Sa quindi che i pesci non parlano. Non sa con chi confidarsi, certo com’è che nessuno gli crederebbe. Solo il nuovo amico Patrick sembra avere la mente sufficientemente aperta per credere all’impossibile.
E’ proprio lui a spingerlo a tornare in mare e a dargli, come amuleto salvavita, una collana con delle piastrine metalliche. Billy dunque torna più volte in mare a incontrare Bob, questo il nome attribuito allo sgombro, e il suo branco, che lo accoglie come uno di loro.
Ma questa nuova simbiosi contiene in sé un pericolo, perché Billy pesce non è e unirsi per sempre al branco di pesci può significare una cosa sola, morire.
Le ultime immersioni sono drammatiche, mettono alla prova la resistenza fisica e mentale del protagonista, coinvolgendo anche l’amico.
Come si vede è una storia che gioca sulla sottile linea di demarcazione fra reale e fantastico: abbiamo a che fare con un ragazzino dotato di una grande immaginazione o la realtà ha degli aspetti che non possiamo spiegare? Tutto ruota intorno alla malattia della madre, oppure davvero in mare ci sono pesci che cercano di unirsi ad alcuni umani speciali? Essere Fish Boy vuol dire solo essere un eccellente nuotatore? Il tema della ricerca scolastica si inserisce nella narrazione e non è casuale: tratta della misteriosa scomparsa in mare di velivoli o imbarcazioni, di cui si sono perse completamente le tracce: come dire, ci sono più cose in cielo e in terra di quante siamo in grado di spiegare.
La lettrice e il lettore sono coinvolti in questi dilemmi e credo si possa dire che il romanzo, scritto con grande fluidità e un invidiabile ritmo, si lascia leggere a diversi livelli, come avventura, o come metafora della vita, quando attraversa momenti cruciali, di confine fra un prima e un dopo.
Ho trovato assolutamente originale l’inserimento nel racconto in soggettiva del protagonista delle citazioni prese dai testi di Attenborough, come se il corso dei pensieri cercasse rifugio nelle brillanti osservazioni naturalistiche, che sono a loro volta specchio della condizione umana. Non a caso viene citato un passo in cui il naturalista inglese richiama il legame che ci tiene stretti a ciascun animale dell’orbe terracqueo, il filo complesso della storia della vita.
Come romanzo d’avventura e come riflessione sui passaggi di vita complicati, mi sembra un romanzo assolutamente consigliabile a lettrici e lettori a partire dai dodici anni, dotati di fantasia e di grande curiosità.

Eleonora

“Fish boy”, C., Daykin, Giunti 2019


venerdì 25 gennaio 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


SCESI IN INVERNO MA SENZA CAPPOTTO

Qui ci sono le altalene, Monica Morini, Eva Sánchez Gómez
Edizioni Corsare 2018


ILLUSTRATI

Ascolta
apri gli occhi
qui
proprio qui
dove ci sono gli scivoli
dove i denti cadono e poi ricrescono
dove ci sono le parole
i numeri da contare
i castelli di sabbia da fare....

Dopo i castelli, qui si può nuotare con o senza braccioli, si può andare in altalena. Si possono dare i baci, correre in bicicletta, suonare il pianoforte, ululare e cantare, scovare pesci d'argento, illuminare tutto con una torcia grande. Qui. E poi quando si cresce ci si può innamorare e anche divorziare, mettere su famiglia e non aver paura.
Ecco: non aver paura. Questa è la cosa che si dovrebbe fare se si decide di restare...
Perché il consiglio è proprio questo: non mollare e tenersi attaccati a un orlo di vita e piano piano venire, o tornare, a galla. Venire, tornare, qui.


Ha la forma della poesia, ma può diventare quasi una ninna nanna Qui ci sono le altalene. Se sussurrata, può addormentare i bambini e le bambine fin dal primo giorno che tornano a casa dopo il parto. Le parole che contiene sono una bella promessa di tutto quello che potrà venire.
In verità però questa poesia con una musica dentro e sotto non è nata per addormentare. Al contrario è nata per svegliare, per solleticare chi è in cammino ed ha ancora strada da fare e fa fatica a venirci incontro.
Questa poesia è stata pensata per tutti i piccoli prematuri che del mondo non hanno provato ancora nulla, perché sono lì un po' sospesi, tra il qui e il là.
Loro davvero sono su un'altalena che però non li fa volare al vento, ma li tiene chiusi dentro scatole trasparenti. La loro precaria posizione non trova sicurezza nelle corde o nelle catenelle, ma è legata a tubicini e a macchine complesse.
E loro sono lì che si dondolano avanti e indietro. Tocca a chi è qui, di tendergli una mano, di fargli venir voglia di vedere cosa c'è di bello che li aspetta.
Qualcuno deve spingerli verso l'energia.


Accanto a Monica Morini, lo fa con forza Eva Sánchez Gómez che conquista, pagina dopo pagina, lo spazio e la spinta. Sceglie come baluardo della forza vitale, una ragazzina, preceduta da un uccellino, quella stessa bambinetta che si vede disegnare al principio del libro, e che pedala, salta e poi si tuffa e quindi prende commiato da una tribù di bambini indiani, che richiamano gli 'sperduti' di Barrie, incamminandosi da sola verso l'uscita dalla pagina.
Questo libro tocca corde profonde, profondissime. 



Le corde del nascere e del morire. Del farcela e del soccombere. Ed è per questo che, nonostante Monica Morini l'abbia concepita per un momento chiave della vita di alcuni: venire al mondo prima del tempo, a me pare di cogliere un'universalità che tocca anche altre questioni.
Se si potessero avere pagine infinite per elencare tutte le ragioni che possono esistere per decidere di vivere, questa 'ballata' la si potrebbe cantare non solo ai bambini prematuri, ma a tutti coloro che sono in equilibrio tra un qui e un là. Solo per dirgli, non mollare, resta ancora un po'.
Ma questa è solo una mia personalissima lettura.
Ho imparato dai miei maestri che raccontare l'infanzia è mestiere duro e pieno di insidie. In primo luogo perché a farlo sono persone che bambini non sono più. E per questo motivo che, ogni volta che l'infanzia è al centro del racconto, allerto i recettori in cerca di trappole. Sempre dai soliti maestri ho imparato che due buoni sistemi per dare la patente di buon racconto di infanzia stanno nell'individuazione di certa 'ruvidezza' oppure in quello che Bachelard ha definito rêverie.
Per tornare a Qui ci sono le altalene, per ovvi motivi, escluderei ogni ruvidezza, ma la rêverie mi pare di sentirla e insieme mi pare ci sia una spinta emotiva onesta. A tal punto autentica, che Monica Morini sente la necessità di raccontare in dettaglio, in poche righe alla fine del libro, il suo lavoro creativo: per mettere in fila le parole giuste, è andata a chiederle ai bambini stessi e loro le hanno inanellato un certo numero di cose che dalla loro prospettiva meritano di essere vissute. A queste, presumo, ne abbia aggiunte alcune personali, ricavate dal suo punto di osservazione adulto. Ha limato qui e là. E la lunga poesia arriva. 


Il vero salto però è stato dedicarla e regalarla a chi è piccolo piccolo, inerme e in difficoltà.
Per il solo merito di averlo pensato e fatto, leggendola in un reparto di neonatologia, ha ricevuto il premio più ambito: l'ha vista funzionare. 
Questo testo si è per incanto trasformato in galleggiante, gettato nelle acque incerte in cui navigava il piccolo Karim. Lui ha deciso, ha trovato l'energia, di attaccarcisi, di credere a quelle parole e adesso Karim è fuori dalla scatola trasparente, si è staccato dai tubicini e aspetta solo di crescere per andarsene in altalena. Quella vera.

Carla

mercoledì 23 gennaio 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


UN ALTRO MONDO DI SOTTO


Passato un po’ inosservato, ‘La porta di mezzanotte’, di Dave Eggers, pubblicato da Mondadori, è un romanzo di avventura in chiave fantastica, con punti di forza e qualche debolezza.
Il primo limite è indubbiamente quello di aver ripreso uno schema narrativo già utilizzato in tante forme e modalità espressive: un ‘mondo di sotto’, abitato da creature minacciose, che mina l’esistenza di quello di sopra; se questo schema può far sentire a casa più di un lettore o lettrice, consumatori compulsivi della serie televisiva Stranger Things, farà storcere un po’ il naso a quei lettori che conoscono il lato migliore dell’autore, che si è da poco cimentato anche in un albo illustrato dedicato ai temi della libertà e dell’accoglienza.
Ma qui, almeno apparentemente, si respira tutta un’altra atmosfera: siamo nella cittadina di Carosello, dove arriva la famiglia Flowerpetal, costretta al trasferimento dalla perdita di lavoro da parte del capofamiglia. Il protagonista è un dodicenne dal nome ingombrante: si chiama Granito, nel senso proprio di pietra, ma ama farsi chiamare Gran. Con lui la sorellina, ovviamente petulante, e la mamma, costretta in sedia a rotelle.
Tutta la cittadina è fatta di case sbilenche e ogni tanto ne crolla una; ma gli abitanti non sembrano curarsene, tanto sono presi dalla routine e dalla loro tristezza. Il nostro Gran a scuola fa due incontri importanti: con Catalina Catalan e con Il Duca, un impiegato della scuola che gestisce una sorta di magazzino. La prima è una ragazza rude e misteriosa, con la capacità di sparire nei momenti più impensati. L’altro racconta a Gran la storia della città, che ebbe un momento di splendore quando era attiva la fabbrica di giostre Catalan, conosciuta in tutto il mondo. La sua decadenza è stata la fine della città e degli artisti che lavoravano a questi preziosi artifici.
Chiunque a questo punto può fare due più due: i crolli, le voragini hanno a che fare con la decadenza della città e con la tristezza dei suoi abitanti. Infatti, a questo punto scopriamo che il sottosuolo è pieno di gallerie scavate dai Vuoti, creature fatte di vento, che si nutrono del dolore umano; a contrastarli ci sono i Sollevatori, ragazzini e ragazzine che puntellano costantemente i tunnel che si sono creati, impedendo alla città di sprofondare. Inutile dire che Grant entrerà a far parte di questo piccolo esercito di resistenti e sarà anche la persona che con un colpo di genio farà risorgere la città.

Dunque, molti schemi narrativi ricalcano il già visto e già letto; ma il romanzo di Eggers ha dalla sua alcuni punti di forza: intanto una scrittura non banale, accorta nella attenta descrizione e caratterizzazione dei personaggi, densa di riferimenti al mondo reale, alla concretezza delle situazioni che descrive. Poi la capacità di inserire in modo non pedante dei momenti di riflessione che aprono la mente della lettrice e del lettore nei confronti di tematiche di natura etica o sociale: qua e là il Narratore interviene per dire la sua e sostenere la posizione di questo o quel personaggio.
A questo riguardo ho trovato interessante la battuta di Catalina che definisce ‘la tristezza, un dovere’, nel senso che solo l’aver provato questo stato d’animo consente di riconoscerlo e condividerlo con altri, cercando di aiutarli. Solidarietà e gratitudine diventano il cemento di un modo migliore di stare insieme. Sono eroi ed eroine quelli/e che non solo si mettono in gioco e sfidano il mostro di turno, ma sono capaci di far leva sulle proprie debolezze , sulla propria fragile umanità. Concetti che acquistano un valore aggiuntivo conoscendo l’impegno dell’autore in molte attività a favore dei più giovani.
In tutto questo, nonostante le trecento pagine e più, il romanzo scorre veloce, grazie anche a capitoli brevi, accompagnati dalle illustrazioni di Aaron Renier e si lascia leggere con facilità da lettrici e lettori con una certa dimestichezza con le storie ‘lunghe’, a partire dagli undici anni.

Eleonora

“La porta di mezzanotte”, D.Eggers con le illustrazioni di A.Renier, Mondadori 2018


Notarella al margine. Nei ringraziamenti, Eggers racconta delle scuole di scrittura creativa per i più giovani, in cui lui è direttamente impegnato, raccolte sotto la sigla 826 National, che hanno sedi in molte città americane ed europee. Scuole gratuite! Gli indirizzi di queste scuole li potete trovare sulla pagina web di Eggers: www.daveeggers.net


lunedì 21 gennaio 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


C'È QUALCOSA...

Le lettere dell'Orsa, Gauthier David, Marie Caudry
(trad. Margherita Belardetti)
Gallucci 2018


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 6 anni)

"Caro Uccellino,
oggi ho preso una decisione importante.
Vengo a trovarti all'altro capo del mondo.
Tutti gli amici mi hanno augurato buon viaggio.
'Fai attenzione al caldo' ha detto il Tasso.
'Portami una noce di cocco' ha detto la Volpe.
'Ti penseremo' ha detto il Castoro...."

Non è molto che uccellino è migrato al Sud che già Orsa soffre tanto per la nostalgia. Ripensa alla bella estate passata assieme e quando vede che tutti intorno a lei si stanno preparando per l'inverno, decide di non andare a dormire ma di scrivere a Uccellino una lettera al giorno. 


Sarà il vento a recapitare le lettere. Ma anche questo non le sembra sufficiente, così decide di partire per raggiungerlo sulla sua isola assolata e calda.
Il viaggio è lungo, pieno di pericoli, di misteri, di paure e di incontri: come quella rete di pescatore da cui si salva grazie a una sirena. Dalla foresta al vulcano, nei deserti, attraverso le guerre, facendo anche begli incontri e partecipando a feste in maschera, Orsa va avanti nel suo cammino e nella sua corrispondenza. 


Dopo aver attraversato il mare, manca davvero poco a raggiungere Uccellino...
L'isola è lì sotto i suoi occhi, è proprio come l'aveva immaginata. Ad accoglierla, dopo il lunghissimo viaggio, ci sono però solo gli amici di Uccellino. L'unico che manca è proprio lui.
E' partito, ma in direzione opposta, verso Nord. Senza Orsa neanche lui sa stare....

Uccellino e Orsa sono una bellissima coppia e si amano a tal punto che non possono stare troppo lontani l'uno dall'altra. Peccato che entrambi abbiano deciso di partire nello stesso istante. Se così è, il rischio di non incontrarsi è altissimo. Fortunatamente però, Orsa, dopo aver recuperato le sue lettere ancora chiuse per assenza del destinatario, gira i tacchi e si rimette in viaggio. Questa volta con una compagnia aerea d'eccezione.
Sono una manciata le cose che colpiscono chi legge questo libro grande grande, dalle illustrazioni mozzafiato.


La prima attiene alla forma, ovvero al ritmo: qualcosa tra il racconto epistolare e il diario. Se di norma nelle narrazioni epistolari è nello scambio tra due personaggi che prende spessore la storia, qui la direzione delle lettere è unica: da un'Orsa nostalgica e perdutamente innamorata a un Uccellino silenzioso, fino all'ultima pagina. Ed è per questo che, senza risposta, le lettere assumono la connotazione del diario, una sorta di confessione dal tono intimo degli accadimenti. Lettere che sono dunque contenitori di riflessioni personali sugli accadimenti o sulle orbite delle grandi sfere. In tutto questo c'è qualcosa che risuona familiare...
La seconda riguarda la sostanza, ovvero l'idea di fondo: un amore smisurato tra diversissimi. Quanto di più lontano si possa pensare nell'ambito dell'attrazione tra animali è qui rappresentato come la cosa più naturale del mondo. Tanta meraviglia si prova nel leggere che non solo Orsa ama Uccellino, e viceversa, ma che anche tutti quelli che la circondano di questo amore sono partecipi affettuosi ed entusiasti. Tanto stupore nelle soluzioni illustrative che Marie Caudry escogita che viaggiano versa la poesia del surreale. E anche in questo c'è qualcosa che continua a suonare familiare... 


Terza questione, nascosta e profonda, ma percepibile a chi la voglia vedere sta nella sostanza: nello scopo del viaggio che non è solo quello di creare l'occasione di rivedersi, ma anche e soprattutto in quello di conoscere il mondo dell'altro. Un sentimento di forte empatia è quello che accompagna Orsa nel suo viaggio:
"Adesso so che cos'è l'aria salata che s'appiccica alla pelle e tu ti sarai divertito a pattinare sul lago ghiacciato. Ora ci capiremo quando parleremo dell'inverno..."
Il suono familiare continua a persistere...
Quarta questione che tiene insieme la prima e la terza, come a chiudere un cerchio ideale. Il tono gentile, ovvero la grazia. È ovvio che la lettera d'amore custodisce già di per sé un atto di affettuosità nei riguardi del destinatario, ma qui la cortesia, il garbo e la disponibilità nei confronti dell'altro attraversa tutti gli incontri e tutte relazioni che Orsa imbastisce lungo il viaggio. È un piacere da constatare.
Ultimo elemento d'interesse sta nella armonia ed equilibrio diffusi tanto nel testo, quanto nelle illustrazioni che meriterebbero ben altro spazio di riflessione. 

 
Dunque a riassumere: lettere, riflessioni intime, diversità, gentilezza, empatia, armonia, garbo, equilibrio, visionarietà. Tutto questo suona familiare alle mie orecchie perché rimanda a un mondo in cui Orsa e Uccellino, e io con loro, potremmo abitare serenamente: il Bosco di Tellegen.
Anche lì, le lettere viaggiano con il vento, tra scoiattoli e formiche, tra lucciole e pipistrelli, tra carpe e rinoceronti, tra oritteropi e pappataci.


Carla

Noterella al margine: della stessa coppia felice, specchio di quella letteraria di Orsa e Uccellino, La balade de Max.
"Un albo illustrato che rimanda a qualcosa di noto (il senso della sfida) e a qualcosa d’ineffabile. Una storia surreale permeata d’ironia, e di piccoli misteri, uno spazio di libertà assoluta, d’invenzione e reinterpretazione del mondo. Un omaggio alla natura scevro da retoriche e oleografismi. Un contributo molto personale ed efficace al senso dell’avventura."
Altrettanto imperdibile.

Carla

venerdì 18 gennaio 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


IL MOMENTO DELLE PROMESSE


L’interessante fabbrica di storie di Book on a Tree continua a produrre testi diversi con firme di prim’ordine. Questa è la volta di Pierdomenico Baccalario, che, con grande disinvoltura e mestiere, passa dagli appassionanti romanzi d’avventura a un piccolo albo illustrato, con poche parole, ripetute, e un significato grande.
L’editore Salani riporta sulla fascetta che accompagna il libro una frase di Tognolini, che, come sempre, coglie nel segno: ‘Baccalario lo sa: se la vita è una storia infinita le parole diventano poche e ritornano sempre.’
Ed ecco lo schema del libro: Baccalario descrive le tappe fondamentali nella vita di una persona, scandite dal refrain ‘e poi viene il momento’, seguito dalle stesse identiche frasi che si ripetono a ogni nuova fase con un significato differente. Il momento di diventare grandi, di fare grandi progetti, di non avere paura, di imparare cose nuove, di trovare nuovi amici, di fare grandi promesse.


Ovviamente, il momento di non avere più paura o di trovare nuovi amici cambia di segno, nel corso del tempo, cambiano di sicuro le cose o le situazioni che possono intimorire, o spaventare. Un bimbo ha paura del buio, un adulto teme la responsabilità di un impegno duraturo. Di certo la ciclicità e la ripetizione danno il senso dell’andare avanti cambiando, ripetendo in fondo sempre gli stessi passaggi ma in un modo diverso; in questo in qualche modo ricorda ‘La prima volta che sono nata’,  dove però si celebrava la genealogia femminile, legata allo specifico del corpo materno, da madre a figlia. Qui, oltre alla diversa, incisiva sinteticità, c’è qualcosa di differente ed è il tema delle promesse, che mi ha colpito in modo particolare.
Quel fare grandi promesse che chiude ogni ciclo, ogni fase della vita.
Le grandi promesse che si fanno agli amici del cuore, all’amore di una vita, ai figli; e qual è la grande promessa che si fa sul finale dell’esistenza? E’ il rimanere comunque? O l’essere ricordato, l’aver piantato un seme che germinerà anche in nostra assenza?
E questo singolo passaggio, che chiude il libro, dona respiro a tutto il discorso, e lascia una grande domanda aperta che prima o poi si affaccia nella mente di chiunque abbia una certa età: che cosa lasciamo veramente, alla fine dei nostri giorni, la promessa di una vita che continua, che riprende là dove sembra interrompersi?


Con un testo così ridotto, indispensabile la compenetrazione con le immagini, firmate da Anna Pirolli. Tutto, nella comprensione del senso di quello che stiamo leggendo, è nell’immagine che lo rappresenta, lo esplicita. Se il testo si replica ciclicamente, è solo l’immagine che può dirci cosa cambia nel tempo e che senso acquistano quelle parole sempre uguali. L’illustratrice milanese riesce a render conto con sensibilità dei cambiamenti che segnano i passaggi della vita.
Se l’impressione è di un libro trasversale, in realtà si rivolge soprattutto agli adulti o si pone come ‘medium’ fra adulti e bambini per ragionare insieme dello scorrere del tempo, concetto davvero arduo per i più piccoli.

Eleonora

“E poi viene il momento”, P. Baccalario e A. Pirolli, Salani 2019


mercoledì 16 gennaio 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


DI STORIE DI METAMORFOSI

Il Signor Fortunato, Daniele Movarelli, Alice Coppini
Edt Giralangolo 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Un giorno ventoso, mentre scendeva dalla macchina, il Signor Fortunato perse il cappello. Uno dei tanti.
Iniziò a rincorrerlo a perdifiato, per chilometri e chilometri. Tanto che alla fine si ritrovò immerso in un grande parco, era ormai sera e non sapeva come tornare a casa."

Il Signor Fortunato si mette giù a dormire. 


La mattina dopo, al risveglio, qualcosa di strano rallenta i suoi movimenti nelle strade di città in cerca della sua auto sportiva, rossa fiammante. Qualcosa di simile a quello accaduto una volta a Gregor Samsa, il Signor Fortunato si ritrova un guscio di lumaca sulla schiena. Lui, l'uomo dinamico e ricco che a casa possiede tutto e perfino in soffitta ha una giungla e in cantina un impianto sciistico, lui che non ha solo un'automobile, ma anche navi, aerei, mongolfiere, treni e sommergibili. Lui, ora è lì che va a piedi, lento lento perché non passa più dallo sportello della macchina e nemmeno dalla porta di casa. Tutto è diventato irraggiungibile e inservibile. I medici non sanno aiutarlo e non gli resta che mangiare insalata scomodamente seduto su una panchina.
Le panchine sono luoghi di osservazione e riflessione e quando arriva la pioggia, il freddo e la notte al Signor Fortunato non resta che ritirarsi nella sua nuova casa, piccola e splendidamente vuota. Pronto a iniziare, forse il suo percorso di liberazione.

Due cose, più di altre, colpiscono in questo libro.
La prima è l'inizio, la seconda è la fine. Il prima e il dopo. Sebbene tutto il libro spinga il lettore a concentrarsi sulla loro distanza in termini di differenza, a me piace considerarle separatamente.


Dell'inizio è apprezzabile che si parta con un crescendo, che elenca in modo composto e ordinato i possedimenti del Signor Fortunato. A partire dalla casa che, riga dopo riga, si definisce sotto i nostri occhi con un piacevole garbo. La composizione di Alice Coppini asseconda e rilancia con citazioni da Rodin a Picasso passando per Calder e per il scultura classica e la ceramica greca e via andare. L'elenco si movimenta con alcune trovate originali, quali l'orchestra sinfonica al posto del campanello della porta. 
Poi si passa al giardino: qui in sole cinque righe di testo si passa dallo zoo al razzo spaziale. Ultimo, il suo parco mezzi di trasporto, rigorosamente elencato per ordine di grandezza.
Gli elenchi, se costruiti con criterio, sono letterariamente piacevoli e materia di divertimento per i più piccoli, in quanto sequenze di rapida comprensione. Se per di più, il suddetto elenco è pensato come successione di oggetti sempre più grandi e sempre più inverosimili rispetto al contesto, il divertimento si moltiplica con essi.
Del finale si intuisce la direzione, ma è solo nell'ultima pagina che assume un valore ulteriore. Non mi sto riferendo alla morale della storia in sé - chi tanto possedeva ora trova il sorriso a raggomitolarsi in un guscio di lumaca perché quel che conta non sono gli oggetti, ma le persone - ma al fatto, forse più sotterraneo, ma di certo meno scontato e 'politicamente corretto'. Mi riferisco all'irreversibilità di uno stato.
Qualcosa del genere mi colpì leggendo milioni di anni addietro Le streghe di Dahl, ovvero la condizione di topo che il bambino vive come definitiva. In altri termini: trovarsi diverso e accettare la metamorfosi senza fiatare.


Tutto quello che c'è in mezzo tra il principio e la fine pare concepito per far convergere il pensiero su una tesi che si vuole dimostrare. Tesi, peraltro, condivisibilissima, s'intende. Per paradosso è proprio questa la parte meno risolta del libro. Sarebbe utile ragionare ancora una volta sul fatto che nei libri spetta soprattutto alle storie il merito di tenerli a galla. E della storia del Signor Fortunato è proprio lei la cosa più bella: un uomo solo si circonda di oggetti e un giorno si trasforma 'quasi' in lumaca. Per questa ragione, la doppia pagina del parco sebbene nei disegni sia una delle più lievi e felici, nel testo si appesantisce e annaspa un po' fino a diventare 'scivolosa' la pagina dopo, complice la pioggia che arriva su tutti.


Carla

lunedì 14 gennaio 2019

FAMMI UNA DOMANDA!


SUONI E COLORI


Fra le novità di divulgazione, uscite nell’ultimo scorcio dell’anno passato, non possono essere dimenticati i due volumi della coppia ucraina composta da Romana Romanyshyn e Andriy Lesiv, premiati a Bologna l’anno scorso: ‘Forte, piano, in un sussurro’, dedicato alludito, e ‘Vedo, non vedo, stravedo’, dedicato alla vista, entrambi pubblicati da Jaca Book.


In occasione della Fiera di Bologna è stato difficile valutarli, considerata la diversità linguistica, mentre era evidente l’audace scelta grafica, con vistose illustrazioni che dominano la pagina e un testo ridotto, una gamma cromatica ristretta e vivacissima. Se questa impostazione, in termini generali, richiama lo stile infografico, che demanda il compito della spiegazione soprattutto all’immagine, un’ulteriore sorpresa ci aspetta nei testi in cui non si segue un procedimento analitico, analizzando via via parti dell’argomento, ma si passa costantemente dalla funzione all’oggetto; ovvero, per esempio, si descrive la struttura dell’occhio per poi enumerare alcune cose che l’occhio ci consente di vedere.


Dunque, più che la sistematicità, qui troviamo una sorta di procedimento a zig zag, che mescola i piani e fornisce continuamente spunti. L’effetto è sicuramente quello di produrre stimoli nuovi, suggestioni, indirizzi di nuove indagini, ma viene penalizzato, come è naturale, l’aspetto esplicativo.
Sull’occhio, per esempio, sono dette molte cose: come vediamo, quali strumenti usiamo per vedere cose piccolissime o lontanissime; ma a queste osservazioni ne seguono altre che riguardano le immagini negli specchi o la comunicazione delle emozioni attraverso le espressioni facciali. Vengono spiegati alcuni simboli visivi, così come il principio ispiratore dell’alfabeto braille.
Lo stesso si può dire per l’udito, anche qui visto attraverso la descrizione del funzionamento dell’orecchio e nello stesso tempo analizzando il vasto mondo dei suoni.
Alla fine di entrambi i volumi poche note, molto sintetiche, e una lista, interessante, di ciò che vale la pena vedere e sentire.


Parliamo dunque di un esperimento interessante, che usa in modo molto esteso l’immagine per aggirare la difficoltà di concetti come la materia oscura o gli ultrasuoni. Si intuisce più che capire, cosa che può andar bene se e solo se c’è poi qualcuno pronto a rispondere alle domande che inevitabilmente sorgono. Nello stesso tempo l’uso di termini ‘difficili’ restringe la fascia d’età a ragazzini e ragazzine non proprio alle prime armi, ma nello stesso tempo non ancora pronti per gli approfondimenti, grosso modo otto/nove anni. Un ulteriore limite, ma questa è forse solo una mia impressione, l’uso del carattere rosso quasi fosforescente, in alcune parti del testo, rende difficile la lettura per apprendisti lettori.
In sintesi mi sembra che ci troviamo di fronte ad una sperimentazione grafica interessante, raffinata e con impaginazioni creative e stimolanti, in cui però non funziona del tutto il testo o, comunque, più in generale, l’approccio divulgativo. Ma, come sempre, la parola va lasciata ai diretti interessati, i numerosi lettori e lettrici che si interessano di argomenti scientifici.
Attendo, dunque, le doverose verifiche.

Eleonora

“Vedo, non vedo, stravedo”, R. Romanyshyn e A. Lesiv, Jaca Book 2018

“Forte, piano, in un sussurro”, R. Romanyshyn e A,. Lesiv, Jaca Book 2018