mercoledì 31 ottobre 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


DARE VOCE A CHI NON L’HA


Ultimo come data di pubblicazione italiana, primo come data di pubblicazione originale, ‘Il pavee e la ragazza’ chiude la collana a lei dedicata dall’editore Uovonero, che con grande intelligenza ha scelto di tradurre l’opera di Siobhan Dowd.
La Dowd è stata un personaggio anomalo nel panorama editoriale, votata com’era a sostenere, con i suoi romanzi e la sua fondazione, le ragioni di chi non ha voce.
Quello che viene pubblicato ora è un racconto lungo, illustrato da Emma Shoard, entrato in una antologia dedicata al razzismo e racconta la situazione di una popolazione nomade irlandese, i pavee, vicini per stile di vita ai nostri zingari, termine più rispondente e onnicomprensivo della molteplicità dei gruppi nomadi.
Dunque, la storia: il protagonista è Jim, che vive con la famiglia in un accampamento vicino a Dundray, circondati, ovviamente, dall’ostilità della comunità locale.
Lui e gli altri ragazzi sono costretti ad andare a scuola, dove ogni pretesto è buono per farli oggetto di scherno, di insulti, minacce. C’è ovviamente una banda di bulli, capitanata da Moss Cunningham, che cerca costantemente l’occasione per dargli una lezione, ma c’è anche Kit, una ragazzina dall’uniforme troppo larga e con un pessimo padre. Fra Kit e Jim nasce prima una grande amicizia, lei gli insegna a leggere qualche parola, poi qualcosa che assomiglia all’amore.


Ma, c’è sempre un ma quando le cose sembrano filare per il verso giusto, c’è una brutale perquisizione nel campo, con l’invito esplicito ad andarsene; e una altrettanto brutale aggressione a Declan, il più piccolo e delicato fra i ragazzi nomadi. Dunque, non ci vuole molto a decidere fra rimanere e combattere, o lasciare la verde terra d’Irlanda, imbarcandosi su una nave.
Nel salutare Kit, Jim le regala un sasso, scelto fra i tanti bagnati dal mare, simbolo di un legame che comunque resterà, se non altro nel ricordo.
Due osservazioni su questo libro: in primo luogo la capacità dell’autrice, che a questo ha dedicato la vita, di raccontare gli ultimi, quelli che vivono ai margini o forse sono solo un po’ diversi, senza retorica, senza un preponderante impegno pedagogico nei confronti della lettrice e del lettore. La Dowd ci racconta questa diversità, questo mondo che indiscutibilmente ha luci e ombre, senza contrapporre noi e loro, loro, i pavee buoni e noi, i buffer, o i gagé, o gaggi, come ci chiamano i rom, cattivi. La realtà è complicata e talvolta l’unico modo di continuare a essere se stessi è fuggire.


Il secondo aspetto, collegato al primo, è la capacità di farci entrare nella testa di questi presunti ‘diversi’, di descriverceli con quel senso di comune umanità che contraddistingue la Dowd. Ragazzi come tutti gli altri, alla ricerca di un contatto con un mondo che li respinge ai margini.
Infine, soprattutto in considerazione del fatto che questo è l’ultimo volume degli scritti di Siobhan Dowd, un ringraziamento all’editore, Uovonero, che tanta cura e attenzione ha messo nel tradurre questi testi. Cura, attenzione che si colgono nella scelta delle parole, nell’accuratezza della traduzione, nella valorizzazione di un testi che sono diventati un riferimento nelle letture dei ragazzi di oggi.
Direi che in tempi come questi, in cui la classifica degli esclusi si allunga ogni giorno di più, consiglio la lettura in classe per ragazzi e ragazze a partire dagli undici anni.

Eleonora

“Il pavee e la ragazza”, S. Dowd con le illustrazioni di E. Shoard, Uovonero 2018



lunedì 29 ottobre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


Tortartè, Ma la torta di che artista è?, Thé Yjong-Khing
Beisler 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni)

Tutto succede in un sogno. Si è appisolata sulla poltrona. Forse è stanca per i preparativi di una festa (quella torta in primo piano sarà bene per qualcuno...) o forse i libri di storia dell'arte che sono aperti ai sui piedi l'hanno affaticata? 


O forse?
Nel suo grande sogno sta succedendo qualcosa di inaspettato. Mentre tutti sono intenti a spostare e appendere quadri di pittori famosi, avviene un furto. Non sono però le tele dei grandi artisti a prendere il volo e neanche la solita torta, quanto piuttosto il suo ritratto. 


A inseguire il ladro si mettono tutti e mentre lui attraversa i campi di grano di Van Gogh, la folla che lo tallona esce di gran fretta dal Guggenheim di Bilbao, inseguito e inseguitori attraversano i campi sotto le Viaduct de l'Estaque di Braque e proseguono per Murnau Kohlgruberstrasse di Kandinsy. Se il ladro non fosse inciampato in un gatto picassiano, forse li avrebbe distanziati. Ma la sua vera fortuna arriva nella Metafisica quando tra gli inseguitori si sfiora la rissa (che esagerazione, per un piedino pestato...)


il ladro con il ritratto di torta sembra sparito, mentre quelli che lo tampinavano passano come se niente fosse tanto nel paesaggio fiorito a maggio di Hockney quanto tra le ballerine Czardas di Kirchner e la Jane Avril di Toulouse-Lautrec. E il violinista di Chagall, per l'occasione è sceso dal cielo. Non si fermano neanche un secondo a guardare Moore, o Matisse, o Mondrian sotto i drappeggi di Haring. Sono tutti diretti alla pompa di benzina di Hopper. Fortunatamente il Leone di Rosseau il Doganiere ha messo alle strette il ladro che ora è arrampicato su un albero del Paesaggio marino coi pioppi di Beckmann. 


Sotto gli alberi di Gaugin le piccole scaramucce interne al gruppo sembrano ricomporsi, ma l'inseguimento prosegue via mare e, sulla cresta dell'onda di Hokusai, il ladro viene raggiunto e catturato. Fradici ma soddisfatti per aver recuperato il quadretto mancante, mettono la parola fine al sogno. Ma non al libro che ha una sua ultima pagina rivelatrice.

Talvolta accade che studi universitari di quasi una vita fa si rivelino di una qualche utilità anche nell'ambito della letteratura illustrata per l'infanzia.
Thé Thiong-Khing, l'autore olando-cino-indonesiano di una bella serie di silent books che ruotano intorno a una torta (in Italia tutti pubblicati da Beisler), ha abituato il suo pubblico più giovane e non distrarsi neanche un momento quando 'legge' i suoi libri e a tenere sempre a mente che nello stesso momento molte cose accadono possono accadere.
Dopo Tortinfuga e Tortintavola arriva Tortartè, parimenti silenzioso e movimentato come gli altri, ma in questo caso dedicato al mondo dell'arte contemporanea. Dopo essersi occupato di Bosch, in un libro che ha avuto grande riscontro anche se personalmente ho sempre pensato che di quel pittore visionario ne avesse saputo restituire solo una minima parte, ora gioca con un panorama ancora più allargato: la storia dell'arte occidentale tra la fine dell'Ottocento e le avanguardie del Novecento.


L'adulto, leggendo il libro si diverte a riconoscere, ride per Van Gogh con Ghery o per Mondrian nascosto sotto Keith Haring. Gli esami all'università con i riconoscimenti e la mano sulla didascalia sono acqua passata: ora è solo puro divertimento. E i bambini? Loro che ne sanno della Belle Epoque? O del Surrealismo di Magritte o dell'arte naive di Rousseau o dei Fauves e dei Cavalieri azzurri? Loro si concentreranno sulle questioni interne degli inseguitori, si divertiranno alla sorpresa finale, ma senza colpo ferire i loro occhi incamereranno il rosso di Matisse, i cieli di Hockney, i prati di Van Gogh, la schiuma immobile di Hokusai, la luce di Hopper. E se avranno la fortuna, da più grandi, di aver qualcuno che li porta al Guggenheim di Bilbao, senza ricordarselo in modo consapevole, i loro occhi gli confermeranno che tanta bellezza l'hanno già incontrata. Da piccoli, in un libro divertente.


Carla

venerdì 26 ottobre 2018

FAMMI UNA DOMANDA!


MA QUANDO E’ COMINCIATA?


Fa un certo effetto vedere, sia pur sinteticamente e ironicamente, esposta la storia dell’oppressione femminile, si può dire dagli albori dell’umanità. E’ quello che fanno Soledad Bravi e Dorothée Werner con un libro divertente e, nello stesso tempo, agghiacciante: ‘La grande avventura dei diritti delle donne. Perché esistono le disuguaglianze tra donne e uomini?’, pubblicato dall’editore Sonda.
Più debole nella primissima parte, dove sembra ignorare le società matriarcali, diventa via via più preciso e incalzante, raccontando senza mezzi termini le grottesche giustificazioni alla sottomissione del genere femminile.


Questa grande corsa nella Storia ci viene raccontata a vignette, improntate alla sintesi e all’ironia:
così vediamo una carrellata di abusi, giustificati spesso in modo stravagante. Dalle società antiche, come quella greca, in cui le donne erano poste sotto tutela prima del padre, poi del marito, o in quella medievale, in cui, secondo la dottrina della Chiesa, la donna, colpevole della tentazione nel peccato originale, viene considerata un essere imperfetto. Già qui sono evidenti le differenze di censo, perché diverso è il destino delle donne appartenenti alla nobiltà, cui talvolta capitava di comandare. Breve ed efficace la descrizione del periodo della feroce caccia alle streghe e della Santa Inquisizione, quando si estorcevano confessioni di oscuri patti col diavolo grazie alle raffinate tecniche di tortura. E a esserne oggetto erano spesso donne portatrici di sapienza, di conoscenze tradizionali.


Interessante, più di tutto questo, l’andamento contraddittorio, fatto di passi avanti e altrettanti indietro, dalla rivoluzione francese in poi, quando per la prima volta si affaccia la bandiera dell’emancipazione femminile. Da Olympe de Gouges alle suffragette, eroiche militanti inglesi, il tema dell’emancipazione femminile entra ed esce dal dibattito pubblico, fino al 1926 anno in cui le donne inglesi conquistano il diritto di voto.
Diritto che in Italia viene riconosciuto solo nel 1946. Da quel momento si sono susseguite molte tappe importanti, dalla legge sul divorzio, a quella sulla riforma del diritto di famiglia, alla legge sull’aborto, a quella sulla violenza sessuale e lo stalking. Queste battaglie le ho vissute tutte e riguardano una parte importante della mia giovinezza, in cui credevo che la Storia avesse intrapreso il suo viaggio verso un futuro luminoso, o anche solo migliore.
Mi sono dovuta ricredere, e i tempi recenti non fanno presagire nulla di buono.
Nonostante i suoi limiti, questo è un libro importante che dice due cose sostanziali: non c’è nessun elemento naturale che sancisca l’inferiorità delle donne; la questione chiave, e questo bisogna dirlo forte e chiaro, è sempre stata ed è tuttora, il controllo sulla riproduzione. La libertà femminile nell’uso del corpo è di per sé rivoluzionaria, nel senso proprio che mina uno dei cardini della società patriarcale. La seconda cosa: nessuna conquista è per sempre.


Quindi alle ragazze, e ai ragazzi, che si sono appassionati alle ‘bambine ribelli’, consiglio caldamente la lettura, veloce, agile, divertente, di questo libro che imposta la questione in modo del tutto differente. A partire dai dodici anni.

Eleonora

“La grande avventura dei diritti delle donne”, S. Bravi e D. Werner, Sonda 2018

mercoledì 24 ottobre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


NON CI PERDIAMO!

Seb e la conchiglia, Claudia Mencaroni, Luisa Montalto
Verbavolant 2018


ILLUSTRATI

"C'è un posto che conosco solo io. Ci vado da sola, quando fa buio. Non è lontano da qui, ma nessuno conosce la strada. Nessuno tranne Seb. Seb parla una lingua che nessuno conosce, nessuno tranne me. Allora di notte io aspetto il silenzio, faccio pianino, trattengo il respiro, tra un piolo e l'altro del mio letto alto."

Poi si mette la felpa con il cappuccio e, come una sottiletta scivola fuori, lasciando a dormire nel letto la propria ombra.
Corre al fossato dove c'è Seb ad aspettarla e in silenzio la bambina gli porge una conchiglia. A lei, invece, rimane la sabbia tra le dita.
Fanno un patto quei due, un patto silenzioso e anche una corsa. Talmente veloce che gli occhi lacrimano lacrime salate.
E al mattino nel letto, al risveglio, la conchiglia è ancora là e anche la sabbia fra le dita.

Ci sono libri che si attaccano addosso. 
Questo è uno di quelli. 


Non è il primo libro da parati che arriva sul tavolo, quindi non dipende dall'insolito formato. No, le cose che lo rendono speciale sono diverse. 
La prima, l'immediatezza e la leggerezza di figure e testo.
Quest'ultimo stupisce più di ogni altra cosa: entra come un lampo a illuminare questa ragazzina e di riflesso prende luce anche Seb, attraverso le sue parole. Poi diventa simmetrico e gioca con se stesso ma soprattutto 'cattura' chi legge, in quella specularità di frasi ripetute, come un ritornello 'nessuno conosce...' 'nessuno tranne...'.
Accidenti, in tre righe quella bambina ha già un suo spessore e contorni ben definiti. Se ci fosse qualcuno che ne dubita, basta proseguire e arriva subito la conferma che si è di fronte a una ragazzina che sa il fatto suo e che, 'divina', crea e modella il racconto della realtà a suo uso e consumo. E nel raccontarlo non smette mai di giocare, pescando parole inaspettate e solleticando l'immaginario con visioni surreali di ombre che rimangono a dormire e di respiri che vanno e vengono e di cose dette in silenzio. 


Alla successiva apertura del grande sedicesimo arriva Seb che parrebbe sognatore almeno quanto lei. Lui parla con gli occhi, lui guarda profondo. A chi non è in quel fossato non resta altro che constatare la felicità cosmica di cui i bambini e le bambine sono capaci. La loro corsa.
E poi, e poi non resta che cadere con lei e riatterrare in un tempo reale, in un letto, con una conchiglia sotto il cuscino e ancora sabbia tra le dita: traccia di un percorso fatto.
Una delle cose che ho imparato a riconoscere, occupandomi a tempo pieno di libri per l'infanzia, è la sospensione del tempo durante il racconto. Non sempre chi scrive sente il bisogno di trovarla. Certo è che quando la si incontra la qualità della storia raccontata è di una spanna superiore. Precedenti illustrissimi a partire dagli archetipi di Alice e di Peter Pan, poi i notturni Häwelmann e Little Nemo di McCay, quindi Polly di Newell, poi Sendak e Erlbruch fino ad arrivare a esempi recentissimi e paradigmatici, quali Come? Cosa? di Negrin o l'ineffabile coppia di Sam e Dave alle prese con una buca...


Il canone prevede un avvio da un contesto di realtà da cui parte un percorso di misura diversa che però invariabilmente attraversi l'onirico, sconfini nel surreale, nel sogno - insomma in un altrove dove il tempo si potrebbe fermare o almeno andare a una velocità tutta differente. Il viaggio a ritroso verso la realtà può essere simmetrico rispetto all'andata (Sendak) oppure prevedere un 'risveglio' brusco quanto improvviso che, inevitabilmente porta sempre in sé tracce del tragitto percorso.
La conchiglia di Seb rispetta il canone, compresa la traccia della sabbia nelle dita.
C'è però anche dell'altro. Quella leggerezza e immediatezza di tocco che ha un suo corrispettivo efficace nei pennelli di Luisa Montalto. Più organica e originale del solito, è brava nel rispettare il 'crescendo' di misura che, un libro costruito così, impone, pur non perdendo la sua passione per le faccine da manga. E la sua soluzione per l'illustrazione finale merita un applauso, per il 'gioco' (nel senso di non esatta corrispondenza) che sa creare con il testo.
In ultimo va detto che non è passata inosservata la capacità da parte di chi scrive di rendere immediatamente materico, sensibile, il racconto. Ci sono suoni, sapori, sensazioni sulla pelle che son lì per essere percepiti e, ancora una volta, ti si attaccano addosso.


Bello!

Carla

lunedì 22 ottobre 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

L’ATTACCO ALLE TORRI


Penso che non ci rendiamo conto fino in fondo del peso esercitato dall’episodio dell’attacco alle Torri Gemelle di New York nel 2001. Una ferita imprevista e insanabile, che ha modificato profondamente il rapporto fra il popolo americano e il resto del mondo.
Affronta questo tema, con un romanzo dalla natura complessa, Wendy Mills in ‘Tracce’, pubblicato da Edt Giralangolo.
La struttura della trama prevede le voci alternate di Jesse, che ha 16 anni nel 2016 e che ha perso il fratello Travis nel crollo delle Torri, sedici anni prima; e di Alia, sedicenne musulmana, di origine indonesiana, che aveva sedici anni nel 2001 e che ha incontrato casualmente Travis proprio nel giorno fatale.
Le due storie evidentemente tendono a incontrarsi: Jesse non sa nulla di quanto accaduto in quel giorno di sedici anni prima, vorrebbe sapere cosa è successo, perché il fratello fosse lì, e cosa ha fatto nelle sue ultime ore di vita. E’ una ragazza confusa, la famiglia chiusa nel proprio dolore e incapace di affrontarlo insieme; Jesse inevitabilmente cerca un appoggio nelle persone sbagliate, un gruppo di ragazzi un po’ sbandati, che di notte riempe i muri della città di tag e di scritte islamofobe. Ma anche Jesse prova rabbia, rabbia e frustrazione per non sapere nulla di ciò che è accaduto. Proprio a causa di queste bravate viene arrestata e e costretta a fare volontariato in un centro islamico; qui approfondisce l’amicizia, che inevitabilmente diventerà amore, con Adam, un giovane musulmano che aveva già incontrato nelle lezioni di arrampicata. E’ lui ad aiutarla a portare avanti le sue ricerche, a individuare i vecchi amici del fratello, ad ascoltare l’ultimo messaggio che Travis ha lasciato nella segreteria telefonica di casa.
Nello stesso tempo, seguiamo Alia, al suo primo giorno con il velo, che è andata al World Trade Centre per vedere suo padre e che si ritrova intrappolata con Travis dentro un ascensore, dopo il primo schianto. La parte del romanzo che la riguarda non è altro che la descrizione di quei momenti tremendi, la fuga mentre il palazzo va in fiamme e alla fine crolla. Questa parte è raccontata in prima persona, indizio che fa giustamente pensare che Alia rivedrà la luce del giorno.
Jesse scopre la presenza di Alia in compagnia del fratello e si mette sulle sue tracce, per sapere qualcosa delle ultime ore di vita. Ed ecco che i due percorsi si incontrano. Diventa possibile per la famiglia di Travis, a quel punto, ritrovarsi insieme e fare i conti, ciascuno, con i propri sensi di colpa.
Abbiamo di fronte, dunque, un romanzo complesso, secondo me non comprensibile a pieno da chi non ha vissuto il trauma di una nazione potentissima, colpita nel suo cuore, simbolicamente, da una soggettività, l’islamismo radicale, che a quel punto è diventato uno dei principali attori della scena internazionale. Non è facile comprendere come ci si possa sentire, passando dalla percezione del proprio paese come il più potente del mondo a essere evidentemente vulnerabili rispetto a una strategia terroristica. Mi sembra che la scelta di raccontare tutto questo attraverso questi spezzoni di vita di due sedicenni, una ragazza islamica e il suo rapporto complesso con la sua religione, e una ragazza di oggi, sbandata, confusa, incapace all’inizio di darsi delle risposte, dia qualche elemento in più, offra uno spaccato della complessa realtà americana.
Un’ultima osservazione. Da questi episodi hanno preso il via diverse guerre, chiamate ‘guerre di civiltà’, che hanno aggravato l’instabilità politica senza risolvere il problema dell’islamismo radicale. Le guerre ‘locali’, così gravide di violenze soprattutto sui civili, hanno generato milioni di profughi. Ma l’America, patria del più grande movimento pacifista che ci sia stato nel ‘900, quello contro la guerra nel Vietnam, non ha saputo questa volta produrre gli anticorpi necessari a una politica miope, che ci ha consegnato il mondo di oggi.
Questa assenza di lucidità, questo lutto collettivo, così come ce lo descrive questo bel romanzo, ancora non è stato elaborato e quelle vittime innocenti, 2603 solo a New York, chiedono ancora un senso e una ragione a tutto questo.
Lettura impegnativa, che consiglio a lettrici e lettori a partire dai tredici anni.

Eleonora

“Tracce”, W. Mills, Edt giralangolo 2018

venerdì 19 ottobre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


TROPPO BREVE

Troppo opposti, Max Dalton
Il Castoro 2018


ILLUSTRATI

"Troppo caldo troppo freddo. Troppo grande troppo piccolo. Troppo lungo troppo corto. Troppo su troppo giù. Troppo tardi troppo presto. Troppo lontano troppo vicino."

In un libretto quadrato si avvicendano diciannove coppie di opposti.
Dov'è la novità? Non sarà il primo e nemmeno l'ultimo dei libri da mettere in mano ai più piccoli per farli giocare sulla relazione tra due caratteri tra loro contrari.


Eppure. Eppure qui c'è qualcosa in più. A partire dal titolo che, per una volta almeno, in italiano sembra funzionare meglio che in inglese dove l'assonanza interna si perde in Extreme Opposites.
Il primo scatto verso l'alto questo libro lo fa in quel 'troppo' che mette in allerta il lettore poco poco smaliziato. Come a dire che gli opposti che si snocciolano pagina dopo pagina non sono affatto gli opposti di sempre, ma portano in sé qualcosa di esagerato, di al di sopra delle righe.
E puntualmente accade.
Per intenderci, il caldo non è quello di una stufa accesa o di un solleone al mare, ma è il fuoco che un drago sputa contro il cavaliere in fuga. E sebbene il libro non abbia narrazione, quel 'troppo caldo' scritto a lettere cubitali potrebbe benissimo essere l'affermazione esasperata del suddetto cavaliere che, nel darsela a gambe, rinuncia a far fuori il drago perché è davvero 'troppo caldo'.
Lo stesso si potrebbe dire per il corrispettivo opposto: il Babbo Natale che, nel suo bagno al polo, sta tendando di ripulirsi e invece viene sommerso da una gragnuola di cubetti di ghiaccio sputati dalla cipolla della doccia.
Ed ecco il secondo scatto del libro: il contesto. 


Per ciascuno di questi esagerati opposti Max Dalton attinge a un repertorio di soggetti sofisticato, sottile e raffinato (la cui bellezza si coglie soffermando il pensiero su ciò che l'occhio vede), mai prevedibile e soprattutto senza scampo. Davvero non è possibile immaginare il troppo piccolo, più piccolo di così o il troppo giù, più in basso di così. 


Diavoli per il troppo giù, la cagnetta Laika per il troppo lontano, il troppo alto per il settimo nano non nano, il troppo basso per il principe di Raperonzolo, il troppo asciutto per l'arca, il troppo chiaro per Dracula. E così via andare.
È il terzo scatto deriva dalla vena di ironica crudeltà che attraversa in lungo e in largo il libro: primo esempio quello del cane che si tende al massimo ma non raggiunge l'osso perché la catena che lo tiene legato alla cuccia è 'troppo corta'. Lo stesso vale per lo sguardo interrogativo verso il lettore da parte del lottatore di sumo che si trova davanti un avversario piuttosto mingherlino.
O ancora il terrore negli occhi del paziente in sala operatoria quando vede l'equipe chirurgica che consulta le tavole di anatomia perché il suo intervento sembra davvero 'troppo difficile' per loro. Oppure il pirata all'arrembaggio che titilla il veliero da assaltare con la punta del piede perché la distanza che li separa è troppo larga...


Il quarto scatto è, ovviamente, il tipo di segno e la composizione della pagina. Oltre al bianco del fondo e al nero solo altri due colori si alternano : il rosso mattone e il turchese. Da graphic designer, Dalton sa che l'immediatezza è fondamentale e in questa prospettiva utilizza al meglio la relazione tra il disegno e il testo. Quest'ultimo dialoga in modo serrato con il primo, occupandolo (la mela gigante sulla testa del bambino contiene il troppo facile), oppure assecondando il significato di cui è portatore, troppo grasso e troppo magro, o diventa allusivo o entra persino in gioco con il contesto. Ai silenziosi mimi è arrivato in sorte un bambino urlante, 'troppo rumoroso'. E il povero sub...


Tutto questo (e molto altro ancora) segna un evidente plus valore del libro.
D'altronde Max Dalton nel campo della comunicazione visiva è un fuoriclasse e come tale concepisce tutta la sua produzione artistica, affidandosi a quest'ottica così tanto originale.
Se i libri con gli opposti sono attrezzi naturali di allenamento di giovanissime menti, Troppo opposti è una palestra intera in cui tanto i piccoli quanto i grandi possono andare a farsi dei bei muscoli.

 
"Pedagogicamente superiore" lo definisce il suo editore americano e il Wall Street Journal preconizza ininterrotte letture per interminabili giornate e nottate con divertimento diffuso per grandi e piccoli.
Da crederci.

Carla

Noterella al margine. E' uno di quei libri che quando chiudi, pensi...troppo breve.


mercoledì 17 ottobre 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

ALBO DISTOPICO, O FORSE NO.


‘Domani farà bello’, di Rosie Eve, pubblicato da L’Ippocampo, è un albo illustrato originale, che racconta con grande semplicità il dramma del cambiamento climatico, con un finale che rappresenta una prospettiva diversa e interessante.
Il protagonista è un giovane orso polare che con la sua mamma affronta le giornate belle e quelle brutte, le tempeste e le giornate di sole. Solo che le tempeste sono sempre più violente e il sole è troppo caldo, tanto da sciogliere i ghiacci della banchisa. 


Così, a un certo punto, mamma e cucciolo sono separati dal crollo di un pezzo di iceberg, su cui l’orsetto si troverà a vagare da solo, in mezzo al mare. 


Ci sarà il momento di doversi tuffare e cominciare a nuotare e continuare a farlo per giorni; per fortuna, quando si è stanchi, viene in soccorso un amico e il viaggio può continuare. E’ la mamma che parla e incoraggia ad avere sempre fiducia, perché lei sarà sempre lì ad attendere il ritorno del piccolo.
Qui c’è il brusco cambiamento di prospettiva. La mamma aspetta il suo cucciolo non più sulla banchisa, ma in un territorio nuovo, disegnato dalle città sommerse; come dire che noi, la nostra civiltà fatta di consumo compulsivo delle risorse, costi quel che costi, verrà letteralmente ricoperta dall’innalzamento dei mari, dovuto allo scioglimento dei ghiacci. Loro, gli orsi, in qualche modo se la caveranno, come hanno sempre fatto, certi del loro futuro e attenti a conservare il loro ambiente.


Dunque, convivono due registri di narrazione: da una parte l’esperienza drammatica della perdita, la ricerca e poi il sollievo di ritrovarsi insieme, con il ruolo di mamma orsa che, conducendo il racconto, incoraggia a non perdere mai la speranza; dall’altra lo sfondo dei cambiamenti climatici, la visione, apocalittica, ma realistica, di quello che potrebbe essere lo scenario futuro, a fronte del comportamento autodistruttivo che la specie umana sta mettendo in campo. E’ come se l’autrice volesse mettere in guardia, sottolineasse quanto, in una favola, può esserci di realismo, una prospettiva remota, ma non troppo, che può coinvolgere tutti noi. Non a caso il titolo inglese è ‘The bear and the change’, mentre in quella francese e in questa italiana, tradotta dal francese, si sottolinea il messaggio rassicurante: Domani sarà bello.


Se la linearità del linguaggio, la chiarezza delle immagini rendono la storia fruibile anche dai cinque anni, in realtà il centro narrativo di questo albo apre la porta a molte riflessioni e a molti approfondimenti che ha senso fare con bambine e bambini un po’ più grandi, direi dalla terza elementare in poi. Sarebbe bello ragionare con loro sull’idea di futuro che hanno, come se lo immaginano e cosa farebbero per renderlo migliore.

Rosie Eve è una poliedrica artista inglese, che ha grande familiarità con le tecniche tradizionali dell’illustrazione e con quelle digitali, nonché con il linguaggio del fumetto. L’albo, dunque, alterna tavole a tutta pagina o a pagina doppia, a pagine in cui il racconto accelera con sequenze di immagini che descrivono le azioni. L’autrice sottolinea la propria poliedricità, l’utilizzo di linguaggi diversi, ma sottolinea anche di prediligere un linguaggio chiaro e immediatamente comprensibile, che non a caso si presta perfettamente ad una storia che ha tanti contenuti diversi. La storia dell’orsetto che ha perso la mamma, la sua solitudine in mezzo al mare è resa con intuitiva evidenza, sollecitando la partecipazione emotiva del giovane lettore o lettrice. La visione del mondo futuro ha una limpida chiarezza, che esprime un indiretto grido d’allarme.
Bella sperimentazione, che evidenzia ancora una volta la capacità dell’editore, L’Ippocampo, di individuare novità interessanti del panorama editoriale europeo.

Eleonora

“Domani farà bello”, R. Eve, L’Ippocampo 2018





lunedì 15 ottobre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


NON IN QUELLA CASA...

PEPI MIRINO e l'invasione P.N.G. ostili, Cristiano Cavina
Marcos y Marcos 2018


NARRATIVA PER GRANDI (da 10 anni)

"Per sbaglio, invece dell'icona di YouTube, toccò quella di fianco, dell'App Store. Nella fretta, poteva capitare. Ci voleva meno di un secondo a spingere il tasto home e tornare alla schermata iniziale. Ma la sua attenzione, in quel millesimo di secondo che impiegò il cervello a ordinare al dito di tornare alla schermata iniziale, fu attirata da un gioco nella parte alta dello schermo e capì al volo. Lo vide pure Santino e capì al volo. 'Quello non possiamo' disse, senza distogliere gli occhi dall'icona. Pepi ci aveva cliccato sopra, aprendo la pagina. Sul rettangolo verde c'era scritto INSTALLA."

Richiamo irresistibile e Pepi clicca. Da qui prende l'avvio l'avventurosa vicenda dei quattro ragazzini del Club dei Cecchini - Sofi, Giamma, Santino e Pepi - doppia coppia di cugini. I primi tre vivono a Borgo, il quarto si divide tra Borgo, dove vive con il padre, detto il Primo ingegnere e la nonna e la città dove vive con la madre, detta la Dottoressa.
Il divieto assoluto di scaricare giochi 'proibiti' sul suo tablet, Pepi lo ha molto chiaro nella testa. La frase che il padre non finisce di ripetergli ogni volta che lui cerca di estorcergli il permesso è sempre la stessa: No! Non in questa casa.
Una ragione ci sarà...
GTA, il gioco in questione viene, invece, scaricato.
A turno, ci giocano tutti e quattro; una notte però accade l'imprevedibile: un personaggio esce dallo schermo ed entra prepotentemente nella realtà e molla una gran legnata sulla testa di Pepi che cerca di prenderlo.
Ai grandi non si può dire la verità e persino gli amici del Club stentano a credergli, ma quando vedono con i loro occhi una nebbiolina verdastra che si alza dal tablet e da cui si materializzano personaggi dei videogiochi, la prospettiva cambia.
Occorre capire che cosa sta succedendo e per farlo occorre indagare sul contesto, sulle cause, sulle condizioni che lo rendono possibile.
Per loro diventa una vera missione e, nei ruoli assegnatisi (una stratega e ufficiale in comando, un ranger tiratore scelto, un addetto alla logistica e un esploratore), i quattro si danno un gran da fare, cercando di tenere i grandi fuori da tutto.
Quello che prima era solo un gioco ora ha assunto tutti i connotati della realtà, ma il problema è che nella realtà si fa sul serio.

Avventura pura che corre lungo un confine oggi sempre più labile: quello tra il vero e il virtuale.
Cavina, che tra i tanti meriti, ha anche quello di saper dare voce alla provincia e di saper costruire intrecci umani interessanti, questa volta costruisce la sua storia intorno a una questione non da poco che solo apparentemente riguarda i più piccoli: il mondo virtuale in cui tutti siamo - volenti o nolenti - immersi.
Come spesso accade, Cavina fa salve le cose che gli vengono meglio quando scrive, ovvero il contesto, la costruzione pulsante dei personaggi e la 'commedia umana' in cui si intrecciano le vicende e che per molti versi ricorda un'altra Commedia umana, quella tanto amata di Saroyan. Su questa robusta tessitura che tiene assieme tutti i personaggi della storia, grandi e piccoli, e li fa agire in uno spazio tutto sommato limitato, rigorosamente di provincia, ma a tal punto ben raccontato da diventare visibile e tangibile, appoggia un plot che ai suoi lettori sotto i 15 anni risulterà molto familiare.
Àncora sapientemente il gioco virtuale alla realtà, e lo fa con un salto mortale che solo la finzione narrativa può permettere. Ma è bravo Cavina perché non eccede mai, al contrario riconduce sempre l'assurdo a una dimensione 'credibile', trovandone in qualche misura una sua spiegazione logica.
E mentre è lì che illustra al lettore le ragioni per cui un videogioco può uscire da un tablet, trova anche il modo di mettere su questioni ben più universali che di fronte al virtuale, hanno una potenza incomparabile: una per tutte, la morte.
A chi non ne sa mezza di videogiochi, mi sento di consigliare di portare pazienza nella parte centrale del romanzo e semplicemente di 'crederci', perché accade dopo che la storia letteralmente decolli nelle mani del miglior Cavina.
Siamo già qui ad aspettare i prossimi due titoli...

Carla


domenica 14 ottobre 2018


L'ERBAZZONE  DOLCE

Dal corso di formazione di Hamelin fatto a Montesole mi son portata dietro un quadernino pieno di appunti, un po' di cose su cui ragionare, belle chiacchiere con gli amici e il ricordo di una buona torta. Verde.

Per colazione, in cubetti minuscoli - eravamo in molti - ci è stata offerta dalla Premiata Ditta Piccinini. Sparita in un batter d'occhio. 
Gli unici indizi che avevo a disposizione per ritrovarla erano 
1) la zona di provenienza: il reggiano e 
2) l'ingrediente verde: gli spinaci.



Ricercata in rete, vince su tutte (ogni famiglia pare averne una personale) la ricetta della Gianna, ufficio paghe, presa da un blog che si chiama Il grembiule da cucina.



Ingredienti:
Per la pasta frolla, io userei le mie consuete dosi

  • 125 g di farina 00
  • 75 g di burro
  • 50 g di zucchero
  • un tuorlo
    ma nella ricetta originale le dosi sono:
  • 100 g di farina 00
  • 50 g di burro
  • 50 g di zucchero
  • un tuorlo

Per il ripieno:

  • 200 g di spinaci crudi
  • 50 g di burro
  • 200 g di zucchero
  • 150 g di mandorle pelate e tostate
  • 3 uova
  • 2 bicchierini di Sassolino (ovviamente a Roma il Sassolino - liquore di Sassuolo - è introvabile quindi è stato sostituito da un liquore a base di anice e assenzio che ricorda un pochino il Pernod, così dice il barista da cui ogni fine settimana il professore va a procurarselo)
  • la buccia grattugiata di un limone



Preparate la pasta frolla come di consueto, ovvero il burro freddo a dadini lavorato con farina e zucchero preventivamente mischiate. Aggiungete il tuorlo, impastate ed è fatta.
Quindi imburrate la tortiera e infarinatela e poi stendeteci la pasta frolla
e mettetela in frigo.

Pulite gli spinaci e poi lavateli. Fateli appassire in padella senza asciugarli troppo e senza aggiungere acqua.
Strizzateli e ripassateli con un pochino di burro per una manciata di minuti.

Fateli freddare e poi tritateli con la mezzaluna.
Dopo aver tostato per un quarto d'ora le mandorle in forno tritatele nel frullatore ma non riducetele in polvere.
Montate i tuorli con lo zucchero, unite gli spinaci, le mandorle, la buccia di limone e il liquore.
Quando il ripieno sarà omogeneo, aggiungete i tre albumi montati a neve fermissima e mescolate con attenzione dall'alto in basso.

Versate il ripieno nella tortiera preparata e infornate nel forno a 200°.

Fate cuocere per 40 minuti, finché non scurisce e il bordo di frolla e la superficie della torta, quindi toglietela dal forno e fatela freddare nella tortiera.
Spolveratela di zucchero a velo, con le foglie degli spinaci che ne fanno la decorazione.



Poi servitela, ma prima fate indovinare agli altri quali sono le foglie raffigurate...



Carla