venerdì 29 luglio 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IDROMELE!  

Che magnifica giornata! Philip Waechter (trad. Anna Patrucco Becchi) 
Babalibri 2022 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Spesso un libro avvincente o un po’ di ginnastica aiutano a scacciare via la noia. Ma se nessuna delle due cose funziona, e magari si aggiunge anche un po’ di malinconia, allora non resta che preparare una bella torta di mele. Ed è proprio quello che ha intenzione di fare Procione che, però, si accorge di non avere le uova.'Faccio un salto da Volpe' pensa allora Procione. 'Lei di sicuro avrà delle uova, perché ha le galline.'" 


Così si avvia per andare da Volpe che nel frattempo è arrampicata su una sedia che è a sua volta su una cassetta di legno che è a sua volta sul tavolo, perché non avendo una scala a disposizione per riparare il buco sul tetto, sta cercando di arrangiarsi. Ma la scala dovrebbe averla Tasso che, effettivamente, ha parecchie cose in casa. Forse anche troppe...
Così Volpe e Procione partono per andare da lui. Arrivati, lo trovano impelagato in un cruciverba che non gli riesce. 

Forse Orso saprebbe cosa corrisponde alla definizione: bevanda alcolica a base di miele... Non resta che andare da lui. Quindi adesso sono in tre gli amici che camminano nel bosco. Orso però non è casa, ma a pescare. Che importa? Si prosegue, perché stare in compagnia è la cosa più bella che ci sia. 

Secondo uno schema classico che si ripete in fiabe e racconti popolari, Waechter costruisce la sua storia per accumulazione: con lo scorrere del tempo, personaggio si aggiunge personaggio e cose da fare a cose da fare.
Tutto in un contesto campestre, tra boschi, radure e ruscelli e cespugli di more.
Dopo la pesca, secondo varie tecniche, arriva il bagno rinfrescante dei cinque amici. 
Poi, quando ormai nulla è andato come doveva andare, secondo il medesimo canone, Waechter li rimette tutti sul il percorso di ritorno, durante il quale - a ritroso - tutto si risolve: Volpe rimedia la scala, insieme aggiustano il tetto, Procione ottiene le uova e finalmente può fare la fatidica torta di mele, anzi due! Che tutti insieme gusteranno sul calare del sole di questa magnifica giornata. 
Se la storia fosse fatta solo di questo, sarebbe una storiellina carina, magari particolarmente adatta, proprio in virtù di questo meccanismo di personaggi che si aggiungono via via, ai bambini più piccoli. Ma niente di più. 
La differenza, come sempre, la fanno le piccole cose. 
Accade questo: durante la lettura che scorre baldanzosa, almento quanto i piccoli personaggi lungo i sentieri, cominciano a tintinnare nella nostra testa piccoli campanellini, che, uno dopo l'altro, vanno a comporre una sorta di impercettibile musica di accompagnamento che rende tutto magicamente coinvolgente e molto, molto piacevole. 


Per chiarezza, il fatto che Volpe sia quella che ha le uova, perché alleva galline, è un campanellino che suona. Impossibile non notarlo.
Il fatto che Tasso sia un potenziale accumulatore seriale, vibra nella nostra testa almeno altrettanto. 
Così come tintinna il fatto che la definizione del cruciverba non sia immediata e richieda uno scarto di pensiero: una seppur piccola pausa di riflessione. 
Per non parlare di come tintinnano le tecniche di pesca del persico (che bello che lo si chiami persico e non pesce... din din din) - dallo spinner all'infingardissimo Wobbler - che in assoluta scioltezza Procione elenca al povero Orso seduto che solo di pazienza e verme (inadatto) sembra essersi provvisto. 
Suona, din din din, anche la soluzione del cruciverba che, come aveva previsto Volpe, Orso sa risolvere (lo vediamo nel disegno, ma non lo sentiamo nel testo, mentre dà la soluzione a Tasso). 
Musica per le orecchie è anche il dettaglio di un verbo che si ripete, silenzioso (!): pensare. Nell'ordine il Procione pensa che sia bello passeggiare con Volpe che a sua volta pensa che sia bello un picnic con Procione e Tasso che a sua volta pensa che sia bello arrampicarsi con gli altri. E poi anche Corvo pensa che sia bello pescare con loro, e infine Orso pensa che sia bello nuotare assieme ai suddetti. 
Nessuno di loro lo dichiara o lo comunica: semplicemente accade; tutti infatti hanno fatto un loro pensiero sugli altri e sulla bellezza che c'è nel fare talvolta le cose in compagnia. 


Ma ancora più bello è notare che ciascuno di loro è unico a suo modo. Eppure nell'essere così diversi sono allo stesso tempo così accoglienti l'un con l'altro. 
Per come li concepisce, racconta e disegna Waechter, con intelligenza e sensibilità, siamo di fronte a un repertorio piuttosto variegato di caratteri: da chi è paziente a chi è invece frettoloso, c'è chi è ordinato e chi ama vivere nel caos; c'è chi sa un sacco di cose e chi invece vive spensierato. Una padronanza del disegno e del ritmo narrativo per immagini decisamente notevole. Un gusto per il dettaglio che farà la gioia di molti.


Beh, che bellezza. 
Ecco,  forse è proprio in questa armonia diffusa (tanto nel disegno quanto nel testo), in questa attenzione al dettaglio e in questo suono di campanelli che ci mantiene sempre attenti, in questa capacità di dire, senza dire, che durante la lettura si percepisce una autentica sensazione di libertà di pensiero, nell'assoluta mancanza di qualsiasi retorica e ridondanza. 
La differenza tra lo scrivere (e il disegnare) punto e lo scrivere (e il disegnare) per. 
Amaramente, non resta che constatare che di Philip Waechter (come anche del suo enorme padre) ce ne sia troppo poco in Italia...
 

Beh, che peccato. 

Carla

mercoledì 27 luglio 2022

FAMMI UNA DOMANDA!

UN TRENO LEGGENDARIO


Dopo gli anni della pandemia e con una feroce guerra che infiamma l’Europa dell’Est, sembra tramontato il sogno di un mondo senza confini, dove poter viaggiare liberamente da un capo all’altro del globo.
In controtendenza con questo clima livido e ostile, ecco un libro illustrato che descrive uno dei viaggi più esotici e leggendari: Alexandra Litvina e Anna Desnitskaya, già autrici del bellissimo ‘C’era una casa a Mosca’, firmano ‘Transiberiana. Tutti a bordo!’, pubblicato da Donzelli.
Il libro ci porta, pagina dopo pagina, da una stazione all’altra, partendo da Mosca per arrivare dopo 9288 chilometri a Vladivostok. Il viaggio è diviso in quattro parti che corrispondono alle zone geografiche: Europa e Urali, Siberia Occidentale, Siberia Orientale ed Estremo Oriente; di ciascun segmento di viaggio vengono descritte le città principali, con i monumenti, le attività produttive, la storia. Ma nel corso del viaggio, le autrici raccontano anche come è organizzato il treno, come si dorme, dove ci si può lavare, cosa si mangia e via discorrendo.
Per descrivere nel dettaglio le tante città diverse, gli ambienti, gli usi e costumi, le autrici si sono avvalse del contributo di bambini e bambine del luogo, che dal vivo raccontano cosa c’è di speciale nella loro città.


Il testo, firmato da Alexandra Litvina, consiste essenzialmente in un riquadro più grande, che contiene le informazioni principali, e poi in inserti più piccoli, con i dettagli che riguardano di volta in volta aspetti diversi. Linguaggio semplice e riferimenti alla vita quotidiana rendono la lettura immediata. Le immagini delle tavole di Anna Desnitskaya talvolta occupano la doppia pagina, altre volte anche semplici inserti che illustrano il dettaglio dei diversi soggetti. Belli i dettagli architettonici, le case in legno, le torri dei pompieri e le torri dell’acqua, i monumenti, ma anche la descrizione efficace della modernità.
Un po’ sul modello di Mizielinsky e Mizielinska, testo e immagine sono ben integrati, consentendo una lettura a volo d’uccello, da una stazione all’altra, o una lettura più approfondita.
Ci sono città leggendarie, dotate di una lunga storia, come le due città ai due estremi della tratta; altre città famose per i ritrovamenti paleontologici, nella città di Perm; ma c’è anche una natura incontaminata che, nonostante lo sfruttamento delle risorse naturali, ancora domina con la sua taiga larga parte della Siberia orientale. Poi ci sono le diverse popolazioni, le minoranze linguistiche che si affollano soprattutto nel territorio più orientale.


Insomma, questo è un libro per sognare: sognare un viaggio ai confini, e oltre, dell’Europa, alla scoperta di un mondo diversissimo e affascinante. Ma se ci fossero lettrici e lettori già pronti a partire, le autrici forniscono loro una buona dose di consigli pratici e un glossario in russo per farsi capire.
Consiglio la lettura a chi non si fa condizionare dal triste presente e che abbia voglia di viaggiare, in tutti i sensi possibili, a partire dagli otto anni.

Eleonora


“Transiberiana. Tutti a bordo!”, A. Litvina e A. Desnitskaya, Donzelli 2022



lunedì 25 luglio 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TIMOTI TEME 

Le bambine di solito non salgono così in alto, Alice Butaud, 
illustrazioni di François Ravard  (trad.Silvia Turato) 
La Nuova Frontiera Junior 2022 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 9 anni) 

"La bambina con la coda di cavallo continua a chiamarlo. Timoti prega che suo padre torni sano e salvo e parli alla sconosciuta al posto suo. Intanto continua a fingersi morto. Ma la voce sembra sempre più vicina. Non se ne andrà mai, non pare essere il genere di persona che lascia in pace i morti. Si decide allora a dare un'occhiata fuori e scopre che la bambina è alla sua altezza, seduta a cavalcioni su un ampio ramo del suo albero. Lo sta guardando sorridente, sudata e con il moccio al naso." 

Per chiarire subito, questa bambina si chiama Diana, gira scalza e quella che ha sulla testa non è una coda di cavallo, ma una fontana. 
Ama chiamare le cose con il loro nome (come sua madre), non ha peli sulla lingua, non abbassa lo sguardo davanti a nessuno e niente, e ha un'attitudine per vivere tutto come un'avventura. Dotata di un bel po' di coraggio e ardimento, visto che si arrampica come uno scoiattolo sugli alberi. 
Spuntata dal nulla, e adesso a cavalcioni di quel ramo, Diana cerca di stabilire un contatto, non solo visivo, con Timoti. 
 Lui è piuttosto turbato anche se incuriosito da tanta baldanza. Di certo Timoti, un nome da shampoo che - ironia - porta in sé la radice di timēre, sembra essere l'esatto contrario di questa bambina che gli è piombata nell'esistenza senza neanche bussare. Timido, solitario (come suo padre), pauroso. 
Eppure, questi due hanno un bel po' di cose in comune e comunque una evidente e insopprimibile attrazione reciproca. 
Questa è la loro storia: il loro pezzo di strada assieme in una fuga 'a tempo' da quelle che erano le loro vite fino a ieri. Con grande sorpresa, nascosta sul traguardo. Va da sé che per tutti, nessuno escluso, nulla sarà più come prima. 

Già dal titolo, è chiaro l'intento di Alice Butaud di voler raccontare una storia che abbia un punto di osservazione non convenzionale. 
In tal modo, al contrario di quanto la fiaba ci abbia insegnato finora, spetta a una non cavaliere, scalza e mocciosa, il merito di aver liberato dalla propria prigionia un non principe, pieno di insicurezze. 
Tuttavia non è in questo ribaltamento dei ruoli che si nasconde il vero valore di questa storia. Sebbene non si possa negare il fatto che la vivacità dei dialoghi tra questi due ragazzini, agli antipodi per quanto riguarda il loro modo di vedere il mondo, la comicità delle situazioni in cui si vanno a ficcare, siano le chiavi del successo di questo libro, tuttavia il valore più profondo, che arriva con lentezza, si nasconde altrove. 
Il suo merito sta piuttosto nell'aver raccontato, con la necessaria ironia, la complessità che tiene insieme i rapporti interpersonali, in particolare quelli familiari. 
In questa prospettiva, può essere divertente la ritrosia di Timoti nei confronti dell'ignoto, soprattutto se paragonata alla spavalderia con cui invece lo maneggia Diana, ma molto più interessanti si rivelano le loro rispettive relazioni familiari che hanno alle spalle: quella di Timoti con il padre Gérard e qualla di Diana con la madre Geneviève. 
Si tratta di una rete che, come un ragno sapiente e scaltro, la Alice Butaud tesse intorno ai propri lettori, a loro quasi totale insaputa per poi svelarsi in tutta la sua efficacia di 'trappola' narrativa solo alla fine. 
Mentre siamo tutti lì concentrati a ridere dei battibecchi tra Timoti e Diana, abbindolati all'idea che tutto ruoti intorno al ribaltamento di uno stereotipo di genere: un cavaliere senza elmo ma con un bel pennacchio di capelli sulla testa, che libera un principe goffo, che fugge con un trolley al seguito. Ridiamo e ci divertiamo, ma ci distraiamo da quella che è la questione chiave, che invece si insinua lenta e ci blocca lentamente ogni movimento, fino alla resa dei conti finale. Ci ha catturato, e brava la Butaud. 
Siamo lì a sorridere sulle vicende che tengono insieme i due protagonisti in questa loro avventura che vuole prendere le distanze dai grandi, rispettivamente dai due adulti di riferimento, e ci dimentichiamo proprio di loro, dei grandi, appunto. 
Della madre di Diana quel poco che sappiamo, lo apprendiamo dalle parole, dai racconti saltuari che la piccola Diana fa a Timoti. Mentre del padre di quest'ultimo ci costruiamo un'immagine attraverso i dialoghi, alle volte magnificamente surreali, tra i due all'inizio del libro. Poi Gérard, come è giusto che sia, sparisce quasi del tutto dalla nostra visuale. E Geneviève compare, in carne e ossa con i suoi grandi occhi come di civetta, solo sul finale. Poi tutto succede, nel giro di poche pagine e tutto quello che ci è passato davanti, che abbiamo colto da mezze frasi sbocconcellate qui e lì, assume un significato diverso. Tutto assume un senso, guadagna un proprio interessantissimo spessore. 
E quel padre e quella madre cominiciano a brillare e con loro quei due ragazzini e magicamente si compone una piccola comunità.
Non si può prevedere se anche questo aspetto della storia colpirà, al pari della più diffusa ironia di superficie, i giovani lettori nella sua complessità di fattori e nella sua importanza, ma sono abbastanza certa che gli trasmetterà una necessità di 'mettere testa' su quelle che sono le radici profonde su cui cresce il significato del concetto di famiglia. 
Con tutti i suoi limiti e tutte le sue imperfezioni. 

Carla

domenica 24 luglio 2022

LA GENOVESE DI ERICE PER IL GENOVESE DI GENOVA 

Compleanno in differita per il professore che a Creta ha collaborato con un tasso. 


Tra le diverse mansioni che ho in casa editrice, c'è anche quella non scritta di fare i dolci. Vengo così sollecitata a studiare il caso delle Genovesi di Erice. 
Un pool di cervelli studia la questione a livello teorico, un altro pool di assaggiatori, consapevoli e inconsapevoli, si dedica allo smaltimento delle suddette Genovesi che, a plotoni di sei, invadono il mio frigo. 
Dopo vari tentativi, sono arrivata ad ottenere un risultato soddisfacente che è come sempre una commistione di un paio di ricette. 
Per il ripieno, rigorosamente di ricotta, ho usato questa; per la pasta invece ho usato quest'altra.  

Ripieno per sei genovesi di Erice 
100 gr di ricotta di PECORA molto ben scolata 
30 gr di zucchero 
scaglie di cioccolato oppure buccia di limone grattugiata 

Frolla per sei Genovesi di Erice 
125 di farina 00 
50 gr di zucchero 
50 gr di burro freddo 
1 rosso d'uovo (il bianco serve per la chiusura sigillata delle Genovesi) 
un pizzico di sale 1 cucchiaio e mezzo di acqua 

Montare la ricotta con lo zucchero finché non diventa spumosa, aggiungere o la buccia del limone (per i più delicati) o la cioccolata (per i più gagliardi) 
La crema di ricotta è meglio prepararla la sera prima e farla stazionare coperta in frigo per una notte. 

Per la pasta frolla io uso il frullatore, la famosa pasta frulla: mettere la polveri tutte insieme e dare due colpi di lame, poi aggiungere il burro freddo di frigo e tagliato a dadini e dare altri colpi di lame fino a che non diventa sabbioso il contenuto del frullatore. Aggiungere il tuorlo dell'uovo e l'acqua ricominciare a frullare fino a che il composto non si compatta diventando un palla morbida e consistente di pasta frulla. 
I puristi se ne hanno voglia facciano pure tutto il procedimento a mano. 
Lasciare il panetto di pasta frulla per un'ora in frigorifero. 
Quindi penderne una quantità tra i 25/30 gr e su un piano infarinato ricavarne un dischetto di circa 7 cm, la circonferenza di un bicchiere, (il dischetto deve essere alto 4 mm). 
Fare questo per ottenere 12 dischetti che poi devono tornare in frigo per un'altra mezz'oretta. 
Sui primi sei dischetti disporre una noce abbondante di crema di ricotta al centro. 
Spennellare le estremità del cerchio con la chiara d'uovo. 
Con il secondo dischetto, opportunamente allargato di quel tanto che serve a renderlo lievemente più grande della base, ricoprire il tutto, avendo cura di premere sui bordi per sigillare la ricotta all'interno. Se avete un coppapasta zigrinato, potete chiudere e pareggiare i bordi. 
La Genovese si distingue anche per questo vezzo!


Fatta questa operazione per le altre cinque Genovesi, accendere il forno a 200° e rimetterle in frigo. Caldo il forno, cacciarle dal frigo e metterle in forno sulla leccarda con la carta forno, e farle cuocere per 10/15 minuti, fino a che la base non si imbrunisce e la cupoletta si colora e, forse, si crepa un po'. Sfornarle e passarle sotto una pioggerellina di zucchero a velo. 


Enjoy!

Carla

venerdì 22 luglio 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL BOSCO E' 'ZONA FRANCA' 

Il momento perfetto, Susanna Isern, Marco Somà 
Glifo edizioni 2022 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Quando Scoiattolo si sveglia, è pieno giorno. Tra uno sbadiglio e l’altro, si alza e comincia a preparare la colazione. Nella tazza delle nocciole si trova la misteriosa busta. Scoiattolo legge la lettera, sgrana gli occhi e, di scatto, scappa a prepararsi. È così agitato che esce di casa vestito in modo strano, con le scarpe al contrario e lo zaino aperto che gli ciondola dalle spalle. Scoiattolo corre a più non posso, ma, mentre attraversa un campo, Cervo lo ferma... "

Dove sia diretto, e cosa ci sia scritto nella lettera, questo non lo può sapere nessuno, tranne Scoiattolo e chi quella lettera l'ha scritta. 


L'unica cosa certa è che durante la sua corsa per arrivare chissaddove, Scoiattolo incontra un buon numero di altri abitanti del bosco che gli chiedono un piccolo aiuto, perché è proprio il momento perfetto per farlo: la Tartaruga avrebbe bisogno della sua velocità per andare a prendere da pecora un altro gomitolo di lana per finire la sua coperta; Orso avrebbe bisogno della sua agilità per raccogliere un po' di miele dalla cima di un albero; Riccio avrebbe bisogno della sua gentilezza per togliersi dai propri aculei sulla schiena le pesche che teneva lì a maturare... 
Scoiattolo non si sottrae mai, complice forse anche il fatto che si tratta sempre del momento giusto per prestare il suo aiuto. Tuttavia la sua preoccupazione di arrivare in ritardo aumenta con lo scorrere della giornata. Arrivato finalmente a un passo dalla sua destinazione, però Scoiattolo inchioda perché gli viene in mente che non è proprio il caso di presentarsi a mani vuote. 
Per la gran fretta, proprio lui, così premuroso e generoso, si è dimenticato di portare un regalo.... 
Ma si sa, a far del bene ci si guadagna sempre... 

Due fatti importanti della vita di Susanna Isern attraversano le sue storie e le caratterizzano. 


La prima: Susanna Isern è nata in un piccolo paese dei Pirenei catalani e ha passato tutta la sua infanzia a stretto contatto con il bosco e con i suoi abitanti. A parte scrivere storie sul suo quaderno, da piccola, è lei stessa a raccontarlo, passava le sue giornate camminando tra gli alberi intorno al suo paesino a cercare di salvare animali che fossero in difficoltà. 
In questo libro, come anche in molti altri suoi titoli, trova spazio quel suo immaginario di infanzia. 
Ha provato in alcune circostanze a staccarsi dagli alberi, dagli orsi e dagli scoiattoli, ma poi inevitabilmente sempre lì torna. 
Lei, tra gli alberi, è a casa. 
E questo è sotto gli occhi di tutti.
 

La seconda: sempre in quella sua infanzia un po' fuori dalle grandi strade del mondo, nessuno ha avuto il coraggio, la sensibilità di alimentare la sua passione per la scrittura. 
I ragazzini di adesso hanno ben chiaro che fare lo scrittore può diventare un lavoro vero e proprio, ma quarant'anni fa, è di nuovo lei a raccontarlo, in quel paesino nei Pirenei nessun maestro e nessun genitore si è preso la briga di assecondare la sua passione e, a conti fatti, il suo talento. 
Così lei decide di studiare psicologia. Psicologia clinica, con particolare interesse per l'infanzia, cui dedica i suoi tirocini. 
Il primo incontro con il suo primo piccolo paziente si rivela un fallimento. 
Però lì lei capisce che le potrebbe tornare utile l'altro suo talento: la scrittura. E per entrare in dialogo con il bambino in questione, scrive un racconto per lui, per leggerglielo, per creare un luogo 'terzo' quello che io chiamo nei miei corsi di formazione la 'zona franca' - in cui incontrarsi e dialogare. 
Magicamente funziona. 
Così la Isern comincia a usare la scrittura come metodica per attivare un dialogo con i propri pazienti. 
La china potrebbe essere molto pericolosa: perché da lì a pensare che i libri siano 'medicine', il passo è breve. 


Fortunatamente, Susanna Isern si ferma a un passo dal burrone e decide di concentrarsi sull'aspetto più 'letterario' della questione. Sebbene non riesca a dimenticare del tutto la sua metà psicologa, scrivendo anche una serie di libri dichiaratamente 'terapeutici' che basta non leggere, a un certo punto del suo percorso di autrice di libri per l'infanzia, l'aspetto narrativo diventa preponderante, anche se non sempre dimostra di saper tenere nel cassetto la sua formazione universitaria. 
Nella sua ricchissima produzione (quasi 40 libri in poco più di sette anni) che dalla Spagna arriva in Italia attraverso case editrici come Logos, Fragatina e soprattutto Nubeocho (tutte e tre strettamente legate all'editoria di lingua spagnola) ci sono libri che si occupano di inclusione, di esclusione, di bugie, di relazioni interpersonali, di disturbi del sonno. E via andare. 
Tuttavia, tanto più passa il tempo, e tanto più gli editori si dimostrano bravi a potenziare le sue storie affiancandole una illustrazione di livello, tanto più lei stessa acquisisce sicurezza riguardo alla scrittura e tanto più si affida solo alla propria creatività letteraria senza aver bisogno di un 'tema' da sbandierare. Magicamente funziona. 
Di nuovo con Marco Somà che di questo bosco, di questa comunità silvestre, di questo scoiattolo servizievole e generoso dà una sua versione originale e, come sempre, molto piacevole per lo sguardo. 
A tal punto da mettere quasi in secondo piano la morale della storia, ossia il contenuto educativo del racconto: la generosità dello scoiattolo e degli altri. 
Somà porta in primo piano qualcosa che può considerarsi a tutti gli affetti una vera e propria esperienza estetica, educativa e necessaria anch'essa, al pari della prima. 


Come sempre, con il suo segno al filo dell'ossessione per la linea e la precisione del dettaglio (tutte le tegole, tutti i punti a maglia, tutte le piume del postino, tutti i peli della coda di un scoiattolo, tutte le foglie, tutti i fili d'erba, tutti gli aghi di pino, tutte le venature delle cortecce, tutti i petali hanno la medesima dignità di esistere nel disegno e di farsi notare), con la sua palette di colori identificativa, con la sua grazia di stilista/sarto di tartarughe e giraffe, con la sua originalità per i contesti abitativi si dimostra ancora una volta inarrivabile architetto di boschi e foreste e con uno spiccato talento da arredatore di interni. 
Almeno per quel che mi riguarda, gli affiderei al volo le chiavi di casa e avrebbe carta bianca (!) su tutto.

Carla

mercoledì 20 luglio 2022

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

L’ALBERO DI ARANCE DOLCI


Ci sono romanzi che sono per la loro stessa natura inclassificabili, al di là dei criteri della critica letteraria o dei generi precostituiti, che fanno collocare in una libreria o in un biblioteca un libro lì invece che là.
‘Il mio albero di arance dolci’ di José Mauro de Vasconcelos, scrittore brasiliano, è uno di questi: straordinario racconto di un’infanzia, la sua, che tocca la mente e il cuore di ragazzi ed adulti.
Il protagonista è José, detto Zezé, un bambinetto fra i cinque e i sei anni, che vive con la famiglia poverissima nella favela di Bangu, a Rio de Janeiro. Zezé ha un fratello più piccolo, Luis, per cui inventa giochi meravigliosi, un fratello più grande, Totoca, con cui va a scuola, e una sorella quindicenne, Gloria, che è una specie di fata madrina, l’unica nella famiglia a comprenderlo e proteggerlo; sì, perché Zezé, che è un angelo a scuola, dove va precocemente perché ha imparato a leggere da solo, ed è un angelo anche con lo zio Edmundo, che gli spiega tante parole nuove, ma quando è in casa è un diavolo. Non si sa perché, ma non resiste alla tentazione di fare scherzi e dispetti, di dire parolacce e cantare canzoni sconvenienti, anche senza comprenderne il significato. E allora sono botte, tante botte, con la cinghia del padre o con più delicati ramoscelli usati dalla madre o dalla sorella più grande Lalà.
Zezé si è proprio convinto di essere un diavolo in terra e quindi sopporta e subisce le punizioni come necessarie, legate alla sua stessa natura.
Ma si consola parlando con il suo albero di arance dolci, con cui passa piacevoli pomeriggi di pacate conversazioni: Minguinho, questo è il suo nome, infatti, parla ed è a lui che il bambino confida i suoi dispiaceri, i suoi dubbi. La sua vita è integralmente segnata dalla povertà: il padre disoccupato, sempre triste e scostante, la madre che lavora tutto il giorno, i vestiti rattoppati, il doversi inventare ogni giorno qualche stratagemma per rimediare qualche soldo. Così Zezé si improvvisa cantante, accompagnando seu Ariovaldo, che vende spartiti cantando canzoni popolari.
Ma il vero raggio di sole nella sua vita è rappresentato da Manuel Valadares, detto il Portoghese, o ancor meglio il Portuga: dopo un primo incontro parecchio movimentato, il Portuga diventa il suo unico riferimento adulto, una persona che lo comprende, lo protegge, gli fa vivere esperienze che altrimenti non avrebbe mai potuto vivere. Porta la tenerezza nella sua vita e ‘la vita senza tenerezza non è un granché’.
Il sogno di Zezé di farsi adottare dal Portoghese, che gli regala biglie e figurine in quantità, si infrange dolorosamente e così si infrange anche la sua infanzia.
Il romanzo di De Vasconcelos è stato scritto in poco tempo nel 1968, con uno stile immediato, che fonde realismo e immaginazione, e si inserisce a pieno nella letteratura sudamericana, in cui lo straordinario fa parte della vita comune, così come avviene nel pensiero bambino, che anima le piante e intesse conversazioni con il mondo vivente. Zezé è un personaggio indimenticabile, con la sua forza e la sua fragilità, l’immaginazione portentosa e la rassegnazione ad un destino da ‘cattivo’. Nonostante la durezza della vita, che piega i rapporti familiari, nel libro circola molto amore, un amore dolente, rabbioso, ma che trova i suoi momenti di redenzione.
Dei bambini delle favelas ci aveva già parlato Andy Mulligan in ‘Trash’, ma era lo sguardo di chi vede dall’esterno uno degli inferni del mondo.
Qui lo sguardo è in presa diretta, racconta ciò che lo stesso autore ha vissuto, negli anni venti del secolo scorso, a Bangu. una storia di povertà e di desiderio di riscatto: Zezé ci racconta il suo mondo, le case malandate, il treno che porta in città, il Natale senza regali, e nello stesso tempo il pensiero travolgente, che cambia natura alle cose, che permette di sognare di diventare un giorno poeti.
Lettura caldamente consigliata a ragazze e ragazzi sensibili, da dodici ai novantanove anni.

Eleonora

“Il mio albero di arance dolci”, J. M. De Vasconcelos, trad. A. Campanozzi, prefazione di G. Catozzella, Blackie edizioni 2022




 

lunedì 18 luglio 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LE QUESTIONI DI UN CERTO PESO

Jeppe in missione, Jutta Bauer (trad. Giulia Mirandola) 
Terre di Mezzo, 2022 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Un giorno il mio Re mi fece chiamare nel suo castello. Aveva sentito dire che ero un animale molto veloce e mi ordinò di portare un messaggio importante al Re suo vicino. Oltre le colline, lungo il fiume e poi sempre dritto verso ovest. Presi il rotolo con il messaggio e corsi via subito. Ma già dopo la prima collina mi dovetti fermare." 

Tirato giù dal letto da una voce che lo chiama, Jeppe indossa la sua camicia a quadretti e i pantaloni della tuta e corre al cospetto del suo Re. In segno di devozione, non osa neanche guardarlo, e prende rapido il rotolo avvolto in un nastro che il sovrano gli porge. 


Parte Jeppe di gran carriera per portarlo al re del regno accanto. Durante il il tragitto tuttavia ci sono una serie di cose che Jeppe proprio non si può esimere dal fare, nonostante questo lo faccia rallentare: aiutare papà scoiattolo che è precipitato dall'albero, recuperare un pallone, intrattenere la prole di una mamma indaffarata... 
Il tempo passa, i giorni e le settimane si susseguono e Jeppe, di gentilezza in gentilezza, prosegue sicuro il suo tragitto verso il castello del re vicino. 
Tuttavia quando non si conosce molto bene la strada, e per di più si incontrano ostacoli che sembrano insormontabili, c'è il rischio concreto di allungare il tragitto o addirittura di sbagliare direzione e di tornare inavvertitamente al punto di partenza. Mentre intanto al castello... 

I libri di Jutta Bauer sono indelebili. E di solito capita che lo facciano per la loro leggerezza nel dire cose di un certo peso. 
La prima, la leggerezza, la si percepisce nella semplicità della storia che racconta, nella quotidianità che detta storia attraversa. La quotidianità di una tuta da ginnastica, come ognuno ha o ha avuto appesa nel proprio armadio. Di un paio di pianelle e di una barba incolta. Di un libro letto a dei piccolini. Di una sedia a rotelle. Nel segno che è sempre così tondo e morbido. 


Ecco, la morbidezza che qui non si esaurisce nel solo segno della matita, ma è un'attitudine mentale, è invece quell'ingrediente necessario affinché attraverso un tono leggero si possano dire cose notevoli, significative. 
Jon Klassen, un giorno, in una bella intervista racconta che la 'morbidezza', ossia la gentilezza dei modi che ha a disposizione un autore, può essere la chiave che apre la porta a qualsiasi argomento si voglia affrontare. 
In altri termini, trovando il tono e la parole adatte, ai bambini tutto - ma davvero tutto - può essere raccontato e detto. Se non ricordo male, era a un libro in particolare, che Klassen faceva riferimento: L'anatra, la morte e il tulipano di Wolf Erlbruch. 
Chi lo conosce, riconoscerà immediatamente il senso delle parole di Klassen. Ed è anche dimostrato che nei suoi libri, in quelli di Klassen intendo, almeno fin qui, anche lui lo ha sempre considerato la gentilezza un criterio irrinunciabile nell'atto di raccontare. 
Ecco. 
Esattamente la stessa cosa mi pare la si possa dire per i libri di Jutta Bauer. 


Da Urlo di mamma in poi. Con leggerezza si possono dire cose fondamentali. 
Qui con Jeppe in missione, le questioni 'di un certo peso' sono diverse e si intrecciano magnificamente l'una nell'altra. Ma il tono con cui vengono raccontate resta quello lieve, un venticello leggero che è in grado di raggiungere le orecchie di tutti, volendo. 
Vediamole, dunque, queste cose di peso. 
Da una parte, si ragiona sul fatto che ciascuno di noi non dovrebbe mai perdere, come capita a Jeppe, i propri valori, le personali priorità. Il fatto di essere veloce e coraggioso, non gli fa dimenticare mai di essere anche generoso, paziente e servizievole, doti che sono parte della sua indole, del suo carattere, del suo essere quello Jeppe lì e non un altro. 
Accanto a questa grande verità, se ne aggiunge subito un'altra che ha a che fare il senso che ogni viaggio dovrebbe avere: essere innanzi tutto un percorso, durante il quale si inanellano incontri ed esperienze che costituiscono, a conti fatti, e ad arrivo raggiunto, l'autentico e profondo valore del viaggio stesso. 


A questo si aggiunge anche una riflessione sulla qualità e lo spessore che il tempo porta con sé. Da una parte c'è la linea temporale del viaggio di Jeppe, con tutte le sue soste impreviste, di cui non si riesce mai troppo a percepirne la durata, mentre ne esiste una seconda, in un 'sottofondo' in bianco e nero, che invece riguarda l'esistenza del re. Si vedono le notti succedersi alle giornate, belle o brutte che siano, si percepisce la noia, data dall'immobilità, si percepisce la nascita e la fine di un bel po' di cose, si percepisce addirittura l'avvicendamento degli umori: dall'euforia di un amore alla malinconia della solitudine, dalla cura di sé all'abbandono in cui decidere di vivere. Tutto molto ombelicale.


Non credo di dover spiegare a nessuno che, tra gli altri fattori, lo scorrere del tempo ha la capacità di modellare le nostre esistenze, i nostri pensieri. 
E come se non bastasse, attraverso questo albo, si possono fare ragionamenti anche sulle diversità umane che tengono distinti coloro che sanno - e vogliono - vivere in armonia con gli altri e partecipano delle loro vite e coloro che, invece,  dal loro egocentrismo e individualismo non traggono altro che miseria umana e solitudine coatta.



Con redenzione finale, perché è pur sempre un libro concepito per un pubblico di bambini che meritano di vedere sempre una strada da percorre davanti ai loro occhi. 
Tralascio volutamente la questione che spesso è attraverso l'esempio che si può imparare molto dagli altri e che la generosità e la cura nei confronti del prossimo riempiono la vita e spesso tornano indietro come boomerang... 
Tutto questo accade in un libretto che non supera la cinquantina di pagine e le quattromila battute. 


Nicht schlect, ne? 

Carla

venerdì 15 luglio 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

BERNIE, L'ANGELO CUSTODE 

Il segreto della Hudson Queen, Jakob Wegelius (trad. Laura Cangemi) 
Iperborea 2022 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 10 anni) 

 "Mi ci vorranno settimane per completare il racconto, forse un mese intero, ma se vuole può leggere via via che procedo nella stesura. Ogni sera metterò nel salone, sul tavolino di mogano accanto al pianoforte a coda, le pagine scritte durante la giornata. La macchina da scrivere che mi ha prestato è eccellente. Non avevo mai usato un'Imperial." 

Sally Jones è ospite di Madame, in Francia, nella sua ricca residenza e si appresta a raccontare - come già le abbiamo visto fare in passato - gli avvenimenti che hanno contrassegnato l'ultimo suo anno di vita. Lasciata Lisbona, Ana Molina e il signor Fidardo, entrambi puntano verso la Gran Bretagna, in Scozia, perché hanno in progetto di cercare di restituire alla legittima proprietaria una collana di perle molto preziosa che casualmente loro hanno ritrovato all'interno del timone della Hudson Queen: uno dei segreti che la loro barca, che ancora malconcia in attesa di restauro, ha nascosto per molto tempo. 
Questa è la avventurosissima storia del loro viaggio verso il nord, delle loro vicissitudini con la malavita locale, con i contrabbandieri di whisky durante il proibizionismo, dei loro incontri con alcune persone meravigliose e con altre malvagie e senza alcuno scrupolo, i loro allontanamenti e ritrovamenti, il loro viaggio di ritorno. 

Con la perfezione del cerchio, il libro parte da un punto per poi ritornarci dopo 463 pagine di racconti avvincenti e di figure indimenticabili. 
Che Jakob Wegelius sia uno scrittore eccellente è cosa nota. 
Che, oltre a questo, il suo primo romanzo di avventura che ha come protagonista la gorilla Sally Jones, e il suo libro illustrato che li ha anticipati, siano letture imperdibili è dimostrato dai fatti. 
E di questo non si dirà nulla qui. 
Mentre ha forse senso sottolineare una caratteristica che li accomuna. 
La capacità rara che Wegelius nel 'disegnare' anche in senso più metaforico i suoi protagonisti. 
Non credo sia mai casuale che al principio del libro, ancora prima di qualsiasi parola, Wegelius metta in sequenza una galleria di ritratti dei protagonisti e dei personaggi principali (mancano forse all'appello un detective incauto e un gentleman in bolletta), disegnati secondo la sua cifra che lo rende riconoscibile a distanza. 
Lo fa, anche a livello visivo che decisamente ha un effetto sul lettore molto più immediato, per dare spessore a quello che credo vada riconosciuta come una grande qualità della sua scrittura: la profondità di indagine di ciò che la complessità dell'umanità rappresenta. 
Se da un lato Wegelius è - innegabilmente - un abile costruttore di intrecci, visto che tiene incollati alle pagine i suoi lettori fino alla fine - dall'altra è un sensibile e acuto osservatore dell'animo umano. 
E come se non bastasse dei punti di forza e di debolezza che segnano le singole persone è in grado di offrire una visione in profondità, con la rara capacità di non vederne e restituirne i toni forti, ma anche tutte le sfumature. Questa particolare prospettiva fa sì che ciascun personaggio venga indagato fin nelle più remote profondità e ci venga quindi restituito nella sua complessità. 
Come nei suoi disegni: pieni di luci e ombre per dare loro corpo. 
Porsi in questo modo nell'atto di concepire un romanzo, una storia, ha spesso significato non limitarsi mai personalmente, e di conseguenza neanche costringere i propri lettori a farlo, a una visione dicotomica e assoluta dell'esistenza. Il Male non è mai solo il Male e il Bene non è mai solo Bene. Anche se nella sua galleria di personaggi, o forse sarebbe più corretto dire di persone, più volte si incontra la malvagità e la bontà quasi allo stato puro. 
Farlo in libri che sono pensati per lettori in crescita credo assuma un valore ancora più significativo. Ma non ne dirò la ragioni, in modo che ciascuno possa trovare le proprie. 
Nel Segreto della Hudson Queen, rispetto al precedente La scimmia dell'assassino, sembrerebbe che il lavoro di introspezione dei personaggi addirittura in alcuni punti predomini la sequenza dei fatti. 
Come se Wegelius, in una scrittura ancora più matura, avesse deciso di mettere a fuoco più che la complessità che richiede un romanzo di avventura e di viaggio e di incontri, molto di più lo spirito con cui questi viaggi, avventure e incontri vengono affrontati e vissuti. 
Chiuso il libro, la percezione che resta più viva, è quella di essere accompagnati da alcuni di questi personaggi/persone delle quali non vorresti mai dimenticarti. Uno su tutti è Bernie. 


Forse lui più di altri incarna la bontà. Una bontà che, conosciuta tutta la sua storia, nasce - nel suo caso - dalla purezza, dall'ingenuità e dalla sofferenza personale. Il suo passato, pieno di male subito, sembra essere la ragione per la quale Bernie sia oggi così buono con tutti. 
La sua testa, squassata da anni di pugilato fatto male, lo rende vulnerabile, indifeso e fragile, ma nello stesso tempo lo trasforma in una forza e non solo muscolare. 
Lui è di fatto lo scudo di protezione, così mi immagino siano gli angeli custodi, di una gorilla piena di guai. 
Libro ancora più imperdibile del precedente. 

Carla

mercoledì 13 luglio 2022

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

AMICI SUICIDI


Il libro vincitore del Festival ‘Un mare di libri’ è ‘La compagnia degli addii’, di Axl Cendres, pubblicato l’anno scorso da Il Castoro. I giovani giurati del premio l’hanno scelto fra una rosa di cinque libri, fra cui ‘Senza una buona ragione’ e ‘Rose fuori dal mondo’ .
La trama è semplice: in una improbabile clinica psichiatrica s’incontrano cinque personaggi, tutti accomunati dall’aver tentato il suicidio: sono il gruppo dei Suicidanti, che sono ben lontani dall’aver rinunciato al loro proposito, semplicemente rinviato. Sono Victor, obeso e vittima di bullismo, Colette, vedova inconsolabile e incline all’alcol, Alice, fragile adolescente abusata, Jacopo, miliardario annoiato che non si perdona di essere l’unico in vita della sua famiglia, e, infine, l’io narrante, Alex, la cui madre si è suicidata. Tutti hanno buoni motivi per non amare la vita, tutti contemplano ferite all’apparenza insanabili. Progettano così una una fuga rocambolesca dalla clinica e con la splendida Rolls Royce si avviano verso la maestosa magione di Jacopo, con annessa invitante scogliera, per mettere fine tutti insieme alle proprie sofferenze.
Solo che, giorno dopo giorno, tutti tranne uno trovano nuovi fondamentali motivi per rinviare l’insano gesto.



Questa trama non vi dice niente? Basta tornare indietro di qualche anno, quando nel 2006 l’indispensabile casa editrice Iperborea pubblica ‘Piccoli suicidi fra amici’, di Arto Paasilinna, una divertente grottesca satira del triste primato finlandese in materia di suicidi. Qui due uomini, che si incontrano per caso nello stesso luogo e con lo stesso proposito, danno vita prima a un congresso poi a un viaggio surreale attraverso la Finlandia, poi in Europa, per arrivare alla medesima conclusione del romanzo precedente, e cioè che ci sono infiniti motivi per apprezzare la vita, a prescindere da tutto.
Nel confronto, l’autrice francese Axl Cendres non riesce a sostenere i suoi personaggi con sufficiente spessore, laddove Paasilinna costruisce una miriade di personaggi minori tutti degni di nota, così come l’ambientazione finlandese è intensa e coinvolgente. In comune entrambi gli autori hanno l’approccio sarcastico, a volte grottesco con un tema che non può che definirsi drammatico.
Cosa hanno trovato i giovani giurati nel romanzo della Cendres? Intanto dei ritratti di adolescenti sofferenti, in modi diversi, isolati nel proprio dolore, condizione in cui i giovani lettori e lettrici facilmente si possono identificare, anche se quello del rispecchiamento nei personaggi è spesso un elemento fuorviante, che nasconde altri aspetti della valutazione di un testo. Poi, sicuramente, lo stile ironico, distaccato, ma costellato di metafore illuminanti, consente di affrontare il dramma con leggerezza. Le fantasie sulla morte, così frequenti in adolescenza, vengono smontate nella dimensione satirica, rendendole ‘dicibili’. I personaggi più giovani, Alex, Alice e Victor, rispecchiano aspetti del disagio adolescenziale particolarmente sentiti. Certo, questo non è sufficiente a fare un buon romanzo, ma riesce sicuramente a catturare l’attenzione e il coinvolgimento dei giovani lettori e lettrici.

Eleonora


“La compagnia degli addii”, A. Cendres, Il Castoro 2021
“Piccoli suicidi fra amici”, A. Paasilinna, Iperborea 2006