TIMOTI TEME
Le bambine di solito non salgono così in alto, Alice Butaud,
illustrazioni di François Ravard (trad.Silvia Turato)
La Nuova Frontiera Junior 2022
NARRATIVA PER GRANDI (dai 9 anni)
"La bambina con la coda di cavallo continua a chiamarlo. Timoti prega che suo padre torni sano e salvo e parli alla sconosciuta al posto suo. Intanto continua a fingersi morto. Ma la voce sembra sempre più vicina. Non se ne andrà mai, non pare essere il genere di persona che lascia in pace i morti. Si decide allora a dare un'occhiata fuori e scopre che la bambina è alla sua altezza, seduta a cavalcioni su un ampio ramo del suo albero. Lo sta guardando sorridente, sudata e con il moccio al naso."
Per chiarire subito, questa bambina si chiama Diana, gira scalza e quella che ha sulla testa non è una coda di cavallo, ma una fontana.
Ama chiamare le cose con il loro nome (come sua madre), non ha peli sulla lingua, non abbassa lo sguardo davanti a nessuno e niente, e ha un'attitudine per vivere tutto come un'avventura. Dotata di un bel po' di coraggio e ardimento, visto che si arrampica come uno scoiattolo sugli alberi.
Spuntata dal nulla, e adesso a cavalcioni di quel ramo, Diana cerca di stabilire un contatto, non solo visivo, con Timoti.
Lui è piuttosto turbato anche se incuriosito da tanta baldanza.
Di certo Timoti, un nome da shampoo che - ironia - porta in sé la radice di timēre, sembra essere l'esatto contrario di questa bambina che gli è piombata nell'esistenza senza neanche bussare.
Timido, solitario (come suo padre), pauroso.
Eppure, questi due hanno un bel po' di cose in comune e comunque una evidente e insopprimibile attrazione reciproca.
Questa è la loro storia: il loro pezzo di strada assieme in una fuga 'a tempo' da quelle che erano le loro vite fino a ieri. Con grande sorpresa, nascosta sul traguardo.
Va da sé che per tutti, nessuno escluso, nulla sarà più come prima.
Già dal titolo, è chiaro l'intento di Alice Butaud di voler raccontare una storia che abbia un punto di osservazione non convenzionale.
In tal modo, al contrario di quanto la fiaba ci abbia insegnato finora, spetta a una non cavaliere, scalza e mocciosa, il merito di aver liberato dalla propria prigionia un non principe, pieno di insicurezze.
Tuttavia non è in questo ribaltamento dei ruoli che si nasconde il vero valore di questa storia. Sebbene non si possa negare il fatto che la vivacità dei dialoghi tra questi due ragazzini, agli antipodi per quanto riguarda il loro modo di vedere il mondo, la comicità delle situazioni in cui si vanno a ficcare, siano le chiavi del successo di questo libro, tuttavia il valore più profondo, che arriva con lentezza, si nasconde altrove.
Il suo merito sta piuttosto nell'aver raccontato, con la necessaria ironia, la complessità che tiene insieme i rapporti interpersonali, in particolare quelli familiari.
In questa prospettiva, può essere divertente la ritrosia di Timoti nei confronti dell'ignoto, soprattutto se paragonata alla spavalderia con cui invece lo maneggia Diana, ma molto più interessanti si rivelano le loro rispettive relazioni familiari che hanno alle spalle: quella di Timoti con il padre Gérard e qualla di Diana con la madre Geneviève.
Si tratta di una rete che, come un ragno sapiente e scaltro, la Alice Butaud tesse intorno ai propri lettori, a loro quasi totale insaputa per poi svelarsi in tutta la sua efficacia di 'trappola' narrativa solo alla fine.
Mentre siamo tutti lì concentrati a ridere dei battibecchi tra Timoti e Diana, abbindolati all'idea che tutto ruoti intorno al ribaltamento di uno stereotipo di genere: un cavaliere senza elmo ma con un bel pennacchio di capelli sulla testa, che libera un principe goffo, che fugge con un trolley al seguito. Ridiamo e ci divertiamo, ma ci distraiamo da quella che è la questione chiave, che invece si insinua lenta e ci blocca lentamente ogni movimento, fino alla resa dei conti finale. Ci ha catturato, e brava la Butaud.
Siamo lì a sorridere sulle vicende che tengono insieme i due protagonisti in questa loro avventura che vuole prendere le distanze dai grandi, rispettivamente dai due adulti di riferimento, e ci dimentichiamo proprio di loro, dei grandi, appunto.
Della madre di Diana quel poco che sappiamo, lo apprendiamo dalle parole, dai racconti saltuari che la piccola Diana fa a Timoti. Mentre del padre di quest'ultimo ci costruiamo un'immagine attraverso i dialoghi, alle volte magnificamente surreali, tra i due all'inizio del libro. Poi Gérard, come è giusto che sia, sparisce quasi del tutto dalla nostra visuale. E Geneviève compare, in carne e ossa con i suoi grandi occhi come di civetta, solo sul finale.
Poi tutto succede, nel giro di poche pagine e tutto quello che ci è passato davanti, che abbiamo colto da mezze frasi sbocconcellate qui e lì, assume un significato diverso. Tutto assume un senso, guadagna un proprio interessantissimo spessore.
E quel padre e quella madre cominiciano a brillare e con loro quei due ragazzini e magicamente si compone una piccola comunità.
Non si può prevedere se anche questo aspetto della storia colpirà, al pari della più diffusa ironia di superficie, i giovani lettori nella sua complessità di fattori e nella sua importanza, ma sono abbastanza certa che gli trasmetterà una necessità di 'mettere testa' su quelle che sono le radici profonde su cui cresce il significato del concetto di famiglia.
Con tutti i suoi limiti e tutte le sue imperfezioni.
Carla
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