venerdì 31 agosto 2012

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

NELLE PIEGHE DEL TEMPO, 
CERCANDO ANGELICHE CREATURE



Quando ho finito di leggere il romanzo di Madeleine L’Engle, Nelle pieghe del tempo, mi sono chiesta perché mai l’editore Giunti sia andato a ripescare una storia degli anni ’60 che ripropone le tematiche della fantascienza di quegli anni. Romanzo premiato a suo tempo e di cui è uscita anche una versione cinematografica; ma lontana anni luce dalla sensibilità dei ragazzi di oggi. In realtà questa pubblicazione è stata accolta con favore, proprio perché ripesca un testo di grande successo di quegli anni. La trama: tre ragazzini, un po’ strani, in realtà molto dotati, figli di due scienziati, per ritrovare e salvare il padre, sono costretti a seguire, giustappunto nelle pieghe del tempo, tre strani personaggi, la signora Chi, la signora Quale e la signora Cosè; insieme troveranno il padre dei ragazzi, rapito da un’entità aliena che controlla le menti e ha l’aspetto, indovinate, di un grosso cattivissimo encefalo (nel senso proprio di cervello). Non vi dico quale sarà l’arma letale che metterà al tappeto il perfido, posso dirvi che a me sono cadute le braccia. Un po’ di fisica quantistica, un po’ di esoterismo new age, tanti tanti buoni sentimenti. Sarà perché sono stata consumatrice vorace di storie di fantascienza, non sono riuscita a farmi prendere da una storia che di quel genere letterario prende gli aspetti forse più datati, senza rendere giustizia ai molteplici spunti che in tale narrativa sono presenti, e attualissimi.


Ma non contenta di questa deludente lettura, so che sarò smentita e che mi si dimostrerà che è un gran capolavoro, sono andata alla ricerca di altre creature ‘metafisiche’, all’interno di un romanzo di qualche anno fa di Neal Shusterman, scrittore americano già molto apprezzato: si tratta di Everlost, primo di una trilogia, dalla classificazione difficile, non fantasy, non fantascienza, non romanzo realistico, fondato com’è sulla descrizione di un mondo parallelo in cui sostano le anime che, dopo la morte, per motivi diversi non vanno subito dove devono andare. Nonostante il tema delle ‘anime disperse’ sia molto presente nella produzione americana, compresa quella televisiva, ho apprezzato molto che l’autore sorvolasse con eleganza sulla definitiva loro destinazione.
Everlost, dunque, è un non luogo per eccellenza, che accoglie, forse per l’eternità i bambini e i ragazzini che sono rimasti sospesi fra due mondi; è anche un luogo di paure, di mostri, veri o presunti, di zone morte, ovvero edifici, oggetti, luoghi che sono migrati dal modo reale a questo mondo sospeso; il gruppo più consistente delle anime bambine si riunisce proprio nel fantasma delle Torri Gemelle, la quintessenza della tragedia collettiva dell’America contemporanea. Devo dire che questo forse è il lato più interessante di un romanzo d’avventura raccontato con abilità da un autore sicuramente capace di tenere il lettore ancorato alla narrazione: mi è sembrato il tentativo di tener vivo il ricordo di un evento traumatico e nello stesso tempo di proporre lo scioglimento del nodo di dolore, dicendo, ci sono ancora, esiste un luogo della memoria che conserva il ricordo di quello che era, delle persone che sono morte così inutilmente.
Nello stesso modo ho trovato interessante la descrizione dei diversi modi di affrontare una condizione per nulla felice, di eterna sospensione fra due mondi: c’è chi si rassegna, c’è chi si ribella, chi diventa un mostro e chi riesce a risalire dal centro della terra con la forza della disperazione. Se si riesce a superare il momento di diffidenza nei confronti di ambientazioni molto in voga nella letteratura per teenager (angeli, più o meno caduti, streghe innamorate, per non parlare di vampiri e licantropi), ne viene fuori una storia che si legge con piacere, con i meccanismi oliati dell’avventura.

Eleonora

Nelle pieghe del tempo”, M. L’Engle, Giunti 2012
Everlost”, N. Shusterman, Piemme 2009

giovedì 30 agosto 2012

OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)


AGAPITA, BERENGUER Y WENCESLAO: ¿DE QUÈ OS REÍS?, Rafael Barceló, Aitana Carrasco



"Berenguer y Agapita tienen un secreto que no cuentan ni siquiera a Miguel Ángel: a veces, les visita un robot del espacio exterior que se llama WNCL-1. Ellos le llaman Wenceslao, porque es más fácil."

Berenguer e Agapita sono fratello e sorella e hanno un segreto in comune, che non rivelano a nessuno ad eccezione del loro pappagallino Michelangelo: ogni tanto ricevono la visita di un robot che viene dallo spazio. Si chiama WNCL-1, ma per comodità loro lo chiamano Venceslao.
Il piccolo robot, può stare in una tasca, ha una serie di poteri straordinari: il raggio laser che ha un una consistente potenza distruttrice; sa apparire e scomparire nel nulla, ma si annuncia sempre con un suono inconfondibile, più o meno così: frrrrrrrgiunnnnnnpop!
La sua missione sulla terra è scoprire le abitudini degli umani, informazioni che poi prontamente manda (scrivendole su carta e poi facendo del foglio, un missiletto) sul suo pianeta.
La domanda che ha posto ai due fratelli sembra in apparenza semplice, ma la risposta non pare così scontata.
PERCHÉ RIDETE VOI UMANI?
La risposta immediata di Berenguer è stata: rido perché sento una parola divertente, tipoooo puzzetta, pipì, cacca e al solo dirlo entrambi i fratelli si mettono a ridere (avrete sicuramente provato a dire le tre parole tre volte di fila davanti a un bambino di 5 anni e sfidarlo a non ridere. Impossibile).
Tutto chiaro, pensa Venceslao, così trasmette l'informazione nello spazio intergalattico: gli umani ridono quando sentono le parole delle cose che si fanno in bagno. Come per esempio, lavarsi le mani...ma no, Venceslao, questa non fa ridere...
Allora Venceslao rettifica, e scrive: ridono solo per alcune tra le cose che si fanno in bagno.
Ma gli umani ridono anche per il solletico. Così il povero Venceslao trasmette nello spazio: gli umani ridono quando uno mette le dita sulla pancia di un altro e le muove. Ma non mi fa ridere così Venceslao...
La mamma, invece, sostiene che gli umani ridano per le barzellette, come questa: Mamma, le olive hanno le zampe? No! Oh, allora mi sono mangiato uno scarafaggio! E la mamma giù a ridere.



L'informativa che parte però è la seguente: gli umani ridono quando si raccontano storie molto corte su come si mangiano gli scarafaggi. Ma Venceslao, non fa ridere...
Il padre, che è sempre lì a cercare di far quadrare i conti, interpellato anche lui sulla questione, sostiene che gli uomini ridano per non piangere. E giù a ridere anche lui, tra bollette e fatture da pagare.
Così Venceslao trasmette: gli umani ridono di ciò che non devono. Ma non mi fa ridere...
Oh, oh, ho dato un'informazione che non informa...questo sì che mi fa ridere un'informazione che non informa, un'informazione che non informa ah ah ah (anzi pang pang pang, così ride un robot, rumore di cucchiaino su latta di tonno vuota).
Nel suo pianeta non si rideva mai perché erano tutti così intelligenti e avanzati, ma anche così logici e noiosi...logici e noiosi come una moltiplicazione, comenta Agapita. E tutti giù a ridere!

Ultima tappa del mio viaggio 'spagnolo'.
Questo piccolo albo illustrato è di una piccola ma valente casa editrice spagnola: A buen paso (da tenere sotto controllo, perché pubblica bei libri davvero). Agapita, Berenguer y Wenceslao è un albo che ragiona su un tema per nulla scontato. Come ho già detto, la ragione del riso non è così facile da trovare ed è una caratteristica che ci distingue dagli altri animali (tranne il mio nuovo cane che è stato visto sorridere, molte volte, ormai).
Questo libro fa ridere in sé, a guardare le illustrazioni di Aitana Carrasco e a leggere la storia, ma a ben vedere è anche un buon generatore di ulteriore pensiero.
Ho appena finito di leggere Twain che del riso e del senso dell'umorismo ha fatto la sua cifra e a tal proposito fa dire a Satana in persona:
"Voi (umani n.d.r) avete una percezione assolutamente approssimativa dell'umorismo, null'altro; moltissimi di voi la posseggono. Costoro vedono il lato comico di migliaia di cose triviali e meschine: in genere incongruenze enormi, assurdità, cose grottesche che suscitano la risata cavallina; i diecimila lati veramente comici che esistono al mondo rimangono irrimediabilmente fuori dalla loro ottusa percezione. Verrà mai il giorno in cui la razza umana scoprirà la comicità di queste manifestazioni di infantilismo, ne riderà e, ridendone, riuscirà a distruggerle? Perché la vostra razza, nella sua pochezza, possiede indubbiamente di un'arma infallibile: il riso. Il potere, il denaro, la persuasione, le suppliche, le persecuzioni: tutto questo può, nel corso dei secoli, intaccare un'impostura colossale, respingerla un poco, indebolirla un poco, ma solo il riso può, come in un attimo, ridurla in brandelli, in atomi. Nulla resiste agli assalti del riso. Voi seguitate ad agitarvi ed a battervi con le vostre altre armi. Ricorrete mai a quella? No, la lasciate lì inerte, a coprirsi di ruggine."

Si può dunque solo migliorare. Buona risata a tutti.

Carla


martedì 28 agosto 2012

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)



LA TARTARUGA DEL TEMPO



E' un libro uscito da diversi mesi quello che vi propongo oggi: si tratta de La Dogana Volante di François Place.
E' un gran bel romanzo, ma non per questo di facile lettura. Racconta di Gwen, ragazzino bretone, aiutante di Braz, il conciaossa, una sorta di pranoterapeuta o un guaritore, all'inizio della prima guerra mondiale. Alla morte del suo maestro e protettore, Gwen viene emarginato dalla comunità i cui vive, derubato dei suoi pochi averi fino alla comparsa, in una notte senza luna, del carro dell'Ankou, il messaggero della morte. Il suo viaggio non lo porterà negli inferi, però, ma ad affrontare uno spiazzante viaggio nel tempo e nello spazio, così come, nel libro, le tartarughe sono capaci di risalire il flusso della clessidra: Gwen si ritroverà nelle Fiandre del 1600, ma forse non proprio quelle Fiandre che conosciamo dalla storia. Si tratta del territorio delle Dodici Province, controllato dalla Dogana Volante, un corpo militare che tiene d'occhio tutto il territorio, chiedendo tasse esorbitanti a contadini e pescatori. Sarà un appartenente a questo corpo militare, il cordiale (all'apparenza) Jorn ad accogliere lo smarrito, il ragazzino venuto dal nulla, come molti altri, e dotato di un potere speciale. Perché Gwen scoprirà di avere ereditato il potere di Braz, le sue capacità diagnostiche e curative. Saranno numerose e complicate le vicissitudini che si frapporranno fra il giovane protagonista e il suo ritorno a casa e al suo tempo, alla fine del romanzo. Come si capisce, c'è una forte componente fantastica in questo romanzo, che non impedisce a François Place di descrivere con accuratezza la vita di cinque secoli fa. Ma niente che abbia a che fare col fantasy, niente maghi e draghi, anche se non mancano gli animali fantastici. E' assai vicino al romanzo storico, denso di riferimenti alle arti e alle scienze del tempo. Il viaggio di Gwen può essere interpretato come uno straordinario viaggio nel tempo, o in un mondo parallelo, così come potrebbe essere un sogno o un delirio derivato dall'essere stato vicino alla morte. Ciò che più conta è che è scritto veramente bene, senza sciatterie di sorta: non c'è personaggio che non sia descritto a tutto tondo, compreso il curioso pibillo fischiatore, uccello vaticinatore che accompagna il protagonista nelle sue vicissitudini nell'altro mondo. Accurate le descrizioni, solida la ricostruzione storica, impeccabile lo stile narrativo.
Detto questo c'è un limite, ed è la sua 'appetibilità' per i palati dei nostri giovani lettori, poco avvezzi a farsi portare per mano dall'autore, per quanto sapiente, in territori sconosciuti, in cui i riferimenti alla vita di oggi sono assai pochi. L'essere fuori e lontano da qualsiasi genere lo rende difficile da catalogare e, come è accaduto al Vango di Timothee de Fombelle, la trasversalità ai generi ha provocato molte resistenze. In genere i romanzi storici non raccolgono il favore dei giovani lettori e l'essere per di più al di fuori di una normale classificazione rende i ragazzi ancor più diffidenti.



D'altra parte, l'essere al di fuori o al di là dei generi è una costante di François Place, che con La Figlia delle battaglie e con Gli ultimi Giganti aveva proposto delle storie illustrate (e illustrate con grande maestria) rivolte ai 'grandi', cioè ragazzini di almeno dieci anni. Per noi, in Italia, quella delle storie illustrate per grandi, è ancora una frontiera tutta da scoprire, ma, ovviamente, per questa diffidenza le vendite non brillano.



Resta il fatto che François Place è uno degli autori francesi più interessanti, forse proprio per questa trasversalità, per le doti indiscutibili di narratore e di illustratore e per l'originalità delle storie che racconta.

Eleonora

La Dogana Volante”, F. Place, Rizzoli 2012
Vango”, T. De Fombelle, Edizioni San Paolo 2011
La Figlia delle Battaglie”, F. Place, L'Ippocampo editore 2008
Gli Ultimi Giganti”, F. Place, L'Ippocampo editore 2009



domenica 26 agosto 2012

FOCACCINE AL MIELE

La prima buona regola di una caffetteria di successo è: non deludere il cliente.
La seconda regola è: fare focaccine strepitose.
Ed eccomi qui con la ricetta presa dal romanzo della Cemali.

INGREDIENTI

3 bicchieri di farina 00
mezza bustina di lievito
1 bustina di vanillina (in originale mezza bustina di vaniglia)
mezzo bicchiere di zucchero
100 gr di burro
2 uova
2 cucchiai di yogurt
2 cucchiai di miele
1 bicchiere di noci sgusciate (e qualche pistacchio che ho aggiunto di mia inziativa)



Mettete in una ciotola la farina mischiata con il lievito e lo zucchero e la vanillina, fate un buco al centro e versateci il burro tagliato a tocchetti e piuttosto morbido, 1 uovo, lo yogurt e i due cucchiai di miele. Mischiate il tutto e poi cominciate a lavorare l'impasto con le mani perché il burro si amalgami e raggiunga la consistenza del lobo dell'orecchio (testuale nella ricetta originale). Lasciate riposare per mezz'ora quindi aggiungete un terzo delle noci (e pistacchi) tritati e lavorate ancora un po'. Accendete il forno a 150°.
Foderate la teglia, o imburratela, e fate con le mani tante palline della grandezza di una noce, schiacciatele con le mani fino a dargli la forma di una focaccina. Disposte a un po' di distanza l'una dall'altra, spennellatele con il secondo uovo sbattuto e un impasto delle restanti noci e pistacchi con un po' di miele.


A proposito di quanto miele ci vada sulla copertura, la Cemali non dice nulla così io ho fatto due tentativi. Nella prima infornata ho messo più miele e meno trito di noci e pistacchi e le focaccine sono rimaste più morbide e più dolci e, con il calore del forno, noci e pistacchi si sono disposti sull'intera parte superiore, nella seconda infornata, mettendo meno miele, si sono cotte di più ed erano più 'sode' e la granella è rimasta più compatta al centro della focaccina. Scegliete voi cosa fare; i miei assaggiatori di fiducia votano per la prima versione.
Nella foto si vede un po' la differenza.



La cottura deve essere per mezz'ora a 150° (in realtà la prima infornata è frutto di un errore: mi ricordavo  che il forno dovesse essere a 180° quindi per un quarto d'ora hanno cotto a quella temperatura, poi ho corretto il tiro e gli ultimi 5 minuti hanno cotto a 150°).




Carla






venerdì 24 agosto 2012

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


SOGNO NEL CASSETTO

FOCACCINE AL MIELE, Zeynep Cemali
Rizzoli 2012



NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)

"Mi fermai un attimo in cima alle scale che portavano al mio sogno diventato realtà poi scesi il primo scalino. Appena sfiorai l'interruttore sotto la scala a chiocciola si illuminò tutto quanto. Mi sembrava che il mio cuore avesse iniziato a battere per la prima volta in quel momento..."

Sila, quattordici anni, agnellino con l'henné, come ama chiamarla la zia, è in cima alle scale della sua casa ed è lì a guardare il suo desiderio che ha preso forma. Per tanti anni con la sua mamma aveva sognato di aprire in città, Istanbul, una caffetteria delle focaccine al miele. Ogni sera Sila, con la madre, aveva fantasticato e insieme ne avevano scritto via mail al padre sempre lontano per lavoro. Con la morte della madre tutto cambia: il padre, tornato a casa, lasciato il lavoro, si dedica a quello che era stato il sogno di moglie e figlia e lo fa diventare realtà. Acquistata la bottega dell'elettricista sotto casa, la trasforma (è un valente architetto, d'altronde) in una caffetteria che rispetti in tutto e per tutto le aspettative di chi l'aveva tanto immaginata e desiderata.
"...Un po' come una biblioteca. Un posto dove i vecchi possano leggere i giornali e le riviste, gli studenti trovino i libri di riferimento, i giovani passino il tempo. Non molto grande: sei, sette tavoli. Un posto dove trovi tè e caffè, bevande tradizionali tipo sorbetto di gelso, sciroppo di papavero..." e naturalmente le focaccine al miele, di cui Siva è maestra indiscussa.
Nella caffetteria un tavolino sarà del padre per tenere i conti e per continuare a fare i suoi progetti d'architetto, un tavolo sarà per la giovane zia, Rana, esuberante disegnatrice di gioielli, e nell'aria tutt'intorno si respirerà l'odore dei dolcetti e sarà un posto accogliente.
Questa è la storia di Sila, che si sveglia al mattino presto per sfornare e poi si mette il grembiule e va a scuola, ma è anche la storia di tutti coloro che frequentano la sua caffetteria. Giovani e vecchi, saggi o strampalati, i loro destini spesso li troviamo intrecciati e le loro storie, raccontate un po' come nelle Mille e una notte, laddove le narrazioni di Siva, piccola Sharazade, si 'incastonano' l'una nell'altra, tutte comunque contenute entro una storia cornice che è quella della caffetteria delle focaccine al miele.

Questo romanzo corale dal forte sapore mediorientale ha conquistato un posto nel mio cuore e ne consiglio vivamente la lettura a tutti. A mio avviso, le ragioni per farlo sono molte. Provo ad elencarle.
È una storia che parte da un sogno nel cassetto. Mi piacciono le persone che ne hanno, soprattutto se sono ragazzini.
È una storia di una bella paternità. Mi piacciono le storie con padri che fanno i padri e anche un po' le madri, qualora ce ne sia bisogno...
È una storia piena di umanità. Mi piace conoscere uomini goffi che sanno essere anche eroi, donne volitive che sanno anche riconoscere l'autorità, ladruncoli che hanno anche un gran cuore, ragazze e ragazzi, uomini e donne che riescono a superare i loro limiti, le loro difficoltà: persone che amano, che han paura, che si perdono, che si ritrovano, che regalano, che dimenticano,  che ricordano, che son mangiate dal rimorso o dalla gelosia, che si innamorano, senza accorgersene...
È una storia ben intrecciata. Mi piace farmi stupire da una narrazione che non sia lineare, che mi porti in giro per spazi e tempi diversi, imprevisti e che poi, alla fine, riconnetta il tutto in insieme armonico generale.
È una storia piena di odori e sapori. Mi piacciono le storie che hanno un profumo, un gusto, un sapore che posso immaginare e che mi accompagni nella lettura. Mi piacciono le storie che parlano di cibo e mi piace vedere che intorno al cibo si costruiscono relazioni (non a caso siamo in Lettura candita).

Carla

Noterella al margine. Confesso che esiste un'ulteriore ragione che mi fa amare questo libro: vorrei essere io al posto di Siva; con lei condivido il sogno...e chissà che anch'io, in vecchiaia,non possa magari 'aprire' il mio personalissimo angolo accogliente con pochi tavoli, biscotti allo zenzero e polpette di ogni sorta...

Seconda noterella al margine. Va da sé che la ricetta in coda al romanzo vada provata...ne sentirete parlare ancora, di focaccine al miele, tra sabato e domenica, direi.

mercoledì 22 agosto 2012

OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)


UN REGALO DEL CIELO, Gustavo Martín Garzo, Elena Odriozola
SM, 2007

ILLUSTRATI



"No es normal que se pierda un bebé.
Es verdad que las mamás suelen ponerse
un poco nerviosa cuando lo tienen, y pierden el bolso, el teléfono móvil o hasta la cabeza,
mas raras veces a su bebé."

Ma quel giorno era un giorno speciale. Ben due mamme persero il loro piccolino: una mamma umana e una mamma pecora. Il fatto era che, così stanche per il gran lavoro che avere un bambino comporta, entrambe si erano addormentate. Alla mamma umana, assopitasi su una panchina del parco, sfuggì la carrozzina che scivolò nel ruscello e cominciò a navigare con la corrente. La mamma pecora, invece, si addormentò tra i giunchi e il suo piccolo si allontanò inseguendo una libellula che lo condusse fino alle porte della città.
Le mamme, svegliatesi entrambe di soprassalto, ebbero un bello spavento nel non veder più i loro piccoli. Li cercarono dappertutto, in lungo e in largo, ma il caso volle che ciascuna ritrovò solo il piccino dell'altra: la mamma umana trovò l'agnellino, la mamma pecora, il bambino. Dei rispettivi figli, nessuna traccia.
Ma un piccolo fa comunque tenerezza; così, entrambe, a gran distanza l'una dall'altra, decisero che per consolazione si sarebbero tenute il cucciolo. L'agnellino, nella casa di città, era molto contento della sua nuova mamma quanto il bambino, nel prato di erba alfa alfa, era felice con la sua mamma pecora.

Questa è la prova provata che piccoli e mamme sono fatti per stare assieme, non importa la specie, la razza cui appartengono. E sarebbe bello che più spesso capitassero questi scambi. Per esempio il piccolo della mucca potrebbe ben passare qualche giorno con mamma elefante e il micetto con mamma scrofa, un passero con un gruccione tutto colorato. Se ciò succedesse, ciascuno potrebbe capir meglio come vivono gli altri. Però passar del tempo lontano dal proprio piccolo è ben altra cosa che darlo via per sempre...

Infatti, un bel giorno un pastore che vide la pecora con il bambino chiamò subito la mamma umana perché se lo venisse a riprendere e quando questa li incontrò si rese conto che il piccolo agnello che lei aveva allevato altri non era che il cucciolo di quella pecora che si era dimostrata tanto premurosa con il suo bebè.
Prima di separarsi e di riprendersi i rispettivi figli, le due mamme si ripromisero di vedersi ancora, ma le vite così diverse le tennero in realtà lontane...
Ci si chiede allora se con il tempo si dimenticarono dei loro altri bambini, quelli che avevano allevato con amore per un po'...
No, non lo fecero: ai piccoli 'prestati' mandavano spesso un pensiero e con malinconia si dicevano fra sé che con loro se ne era andato anche un pezzo del proprio cuore, questo perché tutti i bambini del mondo sono un regalo del cielo. E nelle stanze di una casa di città si poteva udire, talvolta: "Che carino che sei, hai gli occhi dolci come un agnellino....", mentre nell'ovile si poteva sentire: "Che meraviglia, sembra proprio che sorrida come un bambino..."

Ulteriore tappa del mio viaggio estivo 'solo immaginato' tra gli scaffali 'solo immaginati' delle librerie di Spagna (chi si contenta, gode...).
Questo strepitoso albo mi colpì anni fa nello stand di SM a Bologna e, visto che non c'era possibilità di acquistarlo lì seduta stante, me lo sono comprato altrove, in Spagna (per i più sedentari c'è sempre Amazon).
Lo considero un capolavoro di albo illustrato. Testo e immagini, entrambi i codici espressivi, si fondono, si compenetrano, si arricchiscono a vicenda e ciò che ne risulta è un libro di grande pregio.
Il valore di quanto racconta il testo: il senso assoluto della maternità e della cura dei grandi nei confronti dei piccoli, quali che siano; l'importanza di 'andare a vedere' chi siano veramente gli altri; l'amore che vince attraverso il ricordo su lontananza e tempo sono tre dei temi che con estrema levità e sintesi felice Gustavo Martín Garzo affida al lettore. Ma l'illustrazione di Elena Odriozola, grandissima interprete di testi e maestra insuperata di leggerezza, sintesi e delicatissimi equilibri, dati da un continuo 'togliere' il superfluo, si insinua negli spazi 'bianchi' lasciati dal racconto.
E allora molto di più che nel testo si può leggere nelle immagini: con ironia la Odriozola gioca con il testo e la distrazione di una mamma umana fa sì che lei porti il suo piccolo come una borsetta. 



Con poesia racconta, attraverso il vuoto, la solitudine di una carrozzina che galleggia in una pagina tutta bianca (unici testimoni, un pesciolino rosso e una foglia caduta). 



Racconta lo spasmo della perdita, mettendo una mamma di vedetta sopra un ramo di un albero in un parco silenzioso e ancora tanto vuoto. La malinconia della perdita e la consolazione di un altro piccolo da accudire la si legge in un ritratto appeso alla parete, in un peluche abbandonato sulla poltroncina  in un pagliaccetto caduto a terra e svuotato del bebé, in una pallina e un libro abbandonati, come pure, dall'altro versante della storia, nell'affannosa produzione 'a maglia' della pecora solerte che lascia tutti un po' interdetti, o in una carrozzina in un pascolo invernale. 



La Odriozola racconta il ricordo che non ci lascia nel gesto di un bambino che 'riconosce' in un paltò molto lanoso, il caldo vello che lo scaldò da piccino, o ancora nella sciarpa rossa che avvolge e difende dal freddo la mamma umana e che pare proprio esser stata lavorata un giorno dalla zelante pecora.



Ma è nell'ultima immagine che l'immaginario dell'illustratrice prende il volo, è proprio il caso di dirlo e va aldilà del testo stesso: ancora una volta in un'atmosfera aerea, una mamma passera veglia sui sonni che si intrecciano nel suo nido fatto a maglia, dove non un gruccione, ma un cucciolo di volpe, si stringe amorevolmente ad un implume passerotto.



Carla


martedì 21 agosto 2012

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


MOSSY TROTTER, Elizabeth Taylor
Biancoenero edizioni, 2011

NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni in su)


"All'inizio dell'estate stavano asfaltando la stradina che portava in paese. Il meraviglioso odore del catrame e soprattutto la sua calda consistenza melmosa esercitavano su Mossy e Selwyn una specie di incantesimo. Dopo la prima sgridata per aver giocato a lasciare impronte nel catrame, sporcandosi tutti i vestiti, Selwyn fu abbastanza saggio da lasciar perdere; Mossy invece proprio non ci riusciva."


Così Mossy, attratto dal catrame, si gioca una delle due cose a cui tiene di più: la sua festa di compleanno.
Ma Mossy è un ragazzino che sa trarsi di impaccio e soprattutto sa fare sempre buon viso a cattivo gioco. Così, di punto in bianco le feste di compleanno diventano ai suoi occhi "roba da ragazze".
Ma già all'orizzonte si delinea un altro guaio: Miss Silkin, la giovane amica di sua madre, lo ha prescelto per fargli da paggetto al suo prossimo matrimonio.
Impossibile per lui immaginarsi vestito come un damerino a tenere lo strascico accanto a una sconosciuta nipotina della suddetta miss.
Ma come al solito Mossy riuscirà a cavarsela egregiamente, perché quella bambina non è tutta fiocchi e trine, come la sua noiosissima zia, ma al contrario un vero talento nell'arrampicarsi sugli alberi. Con lei condivide una madre severa che le fa addirittura mettere una moneta su ogni macchia prodotta, tutte le volte che le cade una goccia di tè o di latte sulla tovaglia: più grande è la macchia più numerose saranno le monete che la piccola Alison dovrà mettere a copertura e che serviranno per pagare la lavanderia...

Le divertenti avventure di questo ragazzino di otto anni, un curioso miscuglio tra Tom Sawyer e Giannino Stoppani, con anche qualcosa dell'Emil della Lindgren, sono una lettura davvero gradevole. Mossy ha, come Emil, una sorellina più piccola, Emma, un po' grillo parlante, un po' vipera affettuosa, e gli sta arrivando un terzo fratello. Ha un babbo accondiscendente che sorride spesso sotto i baffi alle sue monellerie; una mamma che è addetta a fare il c.d. lavoro sporco, ovvero sgridarlo e punirlo, ma che sa anche essere amorevole al momento opportuno; un nonno assai divertente e piuttosto connivente. E poi c'è Selwyn, il suo amico del cuore, con il quale condivide gioie e dolori della allegra vita di un ragazzino nella campagna inglese.



Questo romanzo è l'unico che la Taylor abbia scritto per ragazzi ed è una vera delizia leggerlo. Contribuisce alla piacevolezza, la freschezza dei racconti, l'autenticità dei personaggi, il contesto rasserenante, i divertenti disegni di Eleonora Marton, giovane illiustratrice di stanza a Venezia, che sembrano essere, talvolta, usciti dalla matita dello stesso Mossy e non ultimo, la veste grafica che l'editore Biancoenero cura sempre, affinché il libro possa rispondere ai criteri dell'alta leggibilità.

Carla

Noterella al margine: a proposito della Marton segnalo il suo sito per poter godere della sua passione per il ricamo e per i repertori. Mi pare che sia una sua 'cifra' quella di disegnare (e/o ricamare), in una prospettiva quasi del tutto assente, grandi repertori di oggetti (già la copertina di Mossy, va in quella direzione) o di parole che -sulla carta o sulla stoffa- danno grande gusto nel guardarli e devono aver dato grande gusto a lei nel realizzarli.











lunedì 20 agosto 2012

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


PETER PAN AL FEMMINILE



Seita Parkkola è una scrittrice finlandese di cui è uscito il secondo romanzo, pubblicato in Italia dalle Edizioni San Paolo: Le vetrine del Paradiso. In comune col precedente romanzo, L'ultima possibilità, c'è un personaggio molto interessante, India, e le cupe atmosfere di un opprimente Altrove. Queste atmosfere si riallacciano con chiarezza a quelle della fantascienza 'sociologica', quella cioè che immagina e descrive gli orrori possibili del nostro modo di vita, portato alle estreme conseguenze. Le città alveare, i disastri ambientali, il controllo sugli individui operato da un potere invisibile, l'assenza di libertà. Fra i due romanzi, il secondo raccoglie questa eredità con maggiore originalità, immaginando una città dai confini indefiniti e sostanzialmente divisa in due: il Grande Magazzino, cuore della vita sociale, di cui detta i ritmi e i riti, e, dall'altra parte, gli edifici abbandonati, le rive di un fiume traboccante rifiuti. Fra questi due mondi si muove la protagonista, Brina, e il suo amico Kodak, a metà strada fra il mondo di facciata del Grande Magazzino e il mondo degli invisibili, i reietti, fra i quali agisce una banda di ragazzini, rigorosamente tredicenni. Brina e Kodak entreranno in contatto con questa banda per aiutare il figlio della direttrice del Grande Magazzino a fuggire da quella immensa trappola dorata. Qui davvero ci guardiamo allo specchio e, se sostituiamo un Centro Commerciale qualsiasi al Grande Magazzino del romanzo, il gioco è fatto. Vetrine costruite per creare bisogni e illusioni, promozioni, pubblicità che mobilitano gli animi più di qualsiasi ideale. Mentre intorno la povertà cresce, lo racconta il romanzo, e a scuola si riciclano libri vecchi, perché non ci sono soldi per comprarne di nuovi. Sullo sfondo di questo scenario si gioca la guerra fra il bene e il male, nella complicata età di passaggio fra infanzia e adolescenza.
Brina è proprio questo, una ragazza troppo alta, troppo impacciata, troppo impaurita dalla banda di bulli, guidata dalla sua ex amica del cuore. Questa battaglia senza quartiere è condotta da Brina e Kodak insieme alla banda di ragazzini guidati da India, l'altro trait d'union con il romanzo precedente: questa Peter Pan coraggiosa e senza macchia, ferma il tempo nei tredici anni, e l'Isola che non c'è è nel sottosuolo, nei cunicoli che attraversano la città, dove la banda si muove non vista. Straccioni invisibili, e anche qui come non guardarsi allo specchio!, abilissimi a sfruttare le crepe del sistema.


Lo stesso personaggio di India compare anche nel romanzo precedente, L'Ultima possibilità, con atmosfere ancora più cupe, immaginando l'azione all'interno di una scuola di recupero (l'ultima possibilità, appunto) per ragazzi difficili, ovvero non allineati. Lì un'insegnante a dir poco perversa sperimenta metodi fantascientifici per rendere docili e obbedienti i ragazzi indisciplinati; il protagonista Borea, inserito nella scuola degli orrori dagli ingenui genitori, è lì solo perché ama lo skate ed è abbastanza refrattario alle regole. E, ancora una volta, per sconfiggere il male camuffato da persone 'perbene', sarà indispensabile l'aiuto dei ragazzini che da quella scuola sono già riusciti a fuggire, guidati appunto da India, che si appunta fra i capelli ossicini di pollo e lecca lecca.
Entrambi i romanzi, più riuscito il secondo, hanno il pregio di fissare lo sguardo su quell'infelice età di mezzo che non è infanzia e non è ancora adolescenza; racconta il faticoso divincolarsi dei ragazzini dall'abbraccio soffocante dei riti familiari legati all'infanzia; di questo passaggio l'autrice racconta la solitudine, l'incertezza, la paura di fare tutto troppo in fretta; nello stesso tempo descrive bene l'insopprimibile e confuso desiderio di libertà. Direi troppo pessimistica l'immagine di un mondo adulto che, quando non è ostile, è soggiogato al conformismo e lontano dal mondo dei ragazzi.
Alla fine de Le vetrine del Paradiso, Brina comunque, a differenza di India, tornerà a casa, più forte e più consapevole di sé e dei propri sentimenti. Perché se almeno qualcuno di questi ragazzi non crescerà, chi manderà avanti il mondo?
Come si può capire, sono letture per lettori grandi, da dodici anni in su e non solo per la possibilità di identificarsi nei personaggi, ma anche perché le tematiche sono forti, le atmosfere da fantascienza post apocalittica, lo stile, per altro coinvolgente con la narrazione in prima persona, è spigoloso e duro quanto lo richiede la situazione descritta.

Eleonora

L'ultima possibilità”, Parkkola S., Edizioni San Paolo 2011
Le vetrine del Paradiso”, Parkkola S., Edizioni San Paolo 2012

lunedì 13 agosto 2012

sabato 11 agosto 2012


LA TORTA DI ROSE

Domenica 17 giugno scorso il mio prodigioso GAS (gruppo di acquisto solidale, il mitico RivoluzioMario) ha organizzato una gran bella festa dentro il parco di Santa Maria della Pietà, a Monte Mario, da qui il nome. Si festeggiava, insieme ad altri Gas di zona (cito solo Felce e Mirtillo, perché il nome lo merita più di altri), il fatto di essere diventati numerosi, il fatto di far conoscere ad altri l'esperienza positiva, il fatto di passare una giornata tutti assieme, anche con i nostri cari e amati produttori. Sono arrivati in tanti, dai vari angoli del Lazio e hanno esposto i loro formaggi, il loro miele, il loro yogurt, i loro saponi...In condivisione abbiamo messo anche alcune nostre competenze: i produttori ci hanno parlato delle api, di cosa significhi essere vegani, di come si può fare il sapone in casa, degli insetti che ci ronzano intorno e di come 'utilizzarli' a scopo benefico, e alcuni di noi, più modestamente, hanno prodotto ciò che meglio sapevano fare. Giravano telai per tessere, vaschette per la carta pesta, varie pagnotte autoprodotte, ma la regina della festa è stata lei: la torta di rose, portata da Marilisa di Felce e Mirtillo. Tolta dal suo involucro che ne nascondeva la forma inaspettata, è stata letteralmente presa d'assalto (era anche l'ora delle merenda...). Alla vista si presentava spettacolare e assaggiata ancora di più.


Carpita la ricetta, ve la ripropongo.

PER CHI HA LA PASTA MADRE

INGREDIENTI

a una quantità di pasta madre di circa 80/100 grammi aggiungere
250 gr di farina,
100 gr di zucchero,
1 uovo ed
un po' di latte (al posto della solita acqua, q.b. per un impasto morbido).

Tutti questi ingredienti vanno mescolati insieme e lasciati lievitare per una notte intera.
La mattina successiva si lavora per un po' la pasta e poi la si stende con il matterello in strisce sottili, come per la pizza e quindi si farcisce, ovvero si spennella con marmellata o cioccolata, oppure burro e zucchero o tutto quello che vi viene in mente. 


 
A questo punto si arrotola la pasta su se stessa e si tagliano dei cilindri di 2/3 cm che si affiancano ma non si toccano in una teglia. Colpo da maestro: inserire una mandorla o un pistacchio al centro di ogni spirale, per aumentare l'effetto 'bocciolo' di rosa...


Se si ha tempo, si lascia lievitare ancora un po' e poi si inforna a 180° per una ventina di minuti, sino a doratura.
A torta fredda, cospargerla di zucchero a velo di canna o no, fa lo stesso.



PER CHI NON HA LA PASTA MADRE

INGREDIENTI
5/6 gr di lievito di birra
250 gr di farina
100 gr di zucchero
1 uovo ed
un po' di latte (al posto della solita acqua, q.b. per un impasto morbido)

Mischiare tutti gli ingredienti e lavorarli per una decina di minuti quindi lasciarli lievitare per almeno tre ore.
Passate queste, si rilavora per un po' la pasta e poi la si stende con il matterello in strisce sottili, come per la pizza e quindi si farcisce, ovvero si spennella con marmellata o cioccolata, oppure burro e zucchero o tutto quello che vi viene in mente, be' non proprio tutto.
A questo punto si arrotola la pasta su se stessa e si tagliano dei cilindri di 1/2 cm che si affiancano ma non si toccano in una teglia.
Colpo da maestra di Marilisa: inserire una mandorla o un pistacchio al centro di ogni spirale, per aumentare l'effetto 'bocciolo' di rosa...
Se si ha tempo, si lascia lievitare ancora un po' e poi si inforna a 180° per una ventina di minuti, sino a doratura.
A torta fredda, cospargerla di zucchero a velo di canna o no, fa lo stesso. Tanto è già buona comunqe.

Carla

ideale portarla come dolce in un pranzo con le zie anziane che hanno la glicemia alta...

mercoledì 8 agosto 2012

OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)

UNA SERIE DI SFORTUNATI EVENTI: GOREY (II)

LA NIÑA DESDICHADA, Edward Gorey
Libros del zorro rojo, 2010



ILLUSTRATI PER GRANDI (dai 10 anni)

"Había un vez una niñita llamada Charlotte Sophia.
Sus padres eran bondadosos y acomodados.
La niñita tenía una muñeca a la que llamaba Hortense.
Un día a su padre, coronel del ejército, lo destinaron a África."



E da qui cominciarono tutti i suoi guai.
Carlotta Sofia era una bambina molto fortunata perché aveva due bei genitori, ricchi ed eleganti, che la riempivano di doni, e per di più possedeva una bella bambola di nome Ortensia.
Con la chiamata alla guerra in Africa del padre colonnello, la vita in quella casa cambiò radicalmente. Sfortunatamente, pochi mesi più tardi, sua madre ricevette la notizia della morte del marito avvenuta in una rivolta popolare e ancora più sfortunatamente la notizia ferale la portò rapidamente alla morte. La povera Carlotta Sofia sfortunatamente diventò dunque orfana. Fortunatamente aveva uno zio che si prese cura di lei, ma sfortunatamente anch'egli morì per la caduta accidentale di un pezzo di cornicione sul capo. Fortunatamente, però, l'avvocato di famiglia si occupò di lei, ma sfortunatamente decise di mandarla in un orfanotrofio, dove sfortunatamente la maestra la castigava per cose che non aveva commesso e dove sfortunatamente le sue compagne le rubarono l'amata bambola e gliela ruppero. 



Ma fortunatamente Carlotta durante il giorno restava nascosta, ma la notte sfortunatamente la passava piangendo e piangendo. Fortunatamente riuscì a fuggire dal collegio ma perse i sensi e sfortunatamente un uomo le rubò il medaglione che portava al collo con le fotografie dei suoi genitori morti e ancor più sfortunatamente un altro uomo la rapì e la vendette a un ubriacone malvagio che la obbligò a fabbricare fiorellini artificiali. 




Sfortunatamente a lavorare giorno e notte la sua vista calò rapidamente. In quel mentre, fortunatamente il padre tornò dall'Africa, perché in verità non era morto e fortunatamente si mise subito in cerca della figliola perduta, guidando la sua macchina, per le strade avanti e indietro, con l'intento di ritrovarla. Carlotta Sofia fortunatamente riuscì a fuggire, ormai quasi cieca, dalle sgrinfie del mostro che la sfruttava, e a correre in strada, ma sfortunatamente...



Ecco ancora uno dei migliori Gorey che racconta una serie di sfortunati eventi, capitati alla cara Carlotta Sofia.
Il ritmo è perfetto. Laddove sia possibile, Gorey a sventura aggiunge sventura, ma nel contempo sa anche essere perfido nell'aprire inaspettati spiragli di speranza che hanno l'unico scopo di rendere ancora più precipitosa la caduta verso l'ennesimo baratro di sfortuna.
Questo gioiello di immagini e testo, prezioso in ogni sua parte, rimanda alla grande letteratura ottocentesca di Dickens o certa tradizione di fiaba classica, in cui i bambini erano orfani, sfruttati, maltrattati, abbandonati, uccisi...
Gorey, Tim Burton nelle sue meravigliose poesie (La morte malinconica del bambino Ostrica, Einaudi 1998), ma anche altri autori di successo, come il misterioso scrittore che si nasconde dietro lo pseudonimo di Lemony Snicket nella sua fortunatissima serie dal titolo Una serie di sfortunati eventi (Salani, dal 2000), raccontano questa infanzia.
Pollicino, Hansel e la piagnucolosa Gretel, il piccolo Oliver, o l'intraprendente Pip sono i più fortunati tra gli sfortunati: loro ce l'hanno fatta. Gorey racconta, invece, di tutti gli altri.
Per la gioia di coloro che, ci auguriamo, non proveranno mai nulla di simile e perché è buona norma aver consapevolezza che la sfortuna è sempre lì dietro ad un angolo di strada...

Carla



lunedì 6 agosto 2012

OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)

UNA SERIE DI SFORTUNATI EVENTI: GOREY (I)

EL WUGGLY UMP, Edward Gorey
Libros del Zorro Rojo, 2011

ILLUSTRATI PER MEDI (dagli 8 anni)


Tiroliro tirolera,
el Wuggly Ump vive fuera.
Come paraguas, tachuelas
y fango con sanguijuelas.
Una cosa hay segura:
su actitud es oscura.


Tiroliro, tirolori,
il Wuggly Ump vive fuori.
Mangia ombrelli, chiodi e lattughe
e fango in salsa di sanguisughe.
Un fatto è stato chiarito :
il suo atteggiamento è poco pulito.

Vive all'aperto, mangia ombrelli, chiodi in salsa di sanguisughe ed ha un'attitudine oscura...
Potete immaginare un Wuggly Ump? E se poi voi foste i tre bambinetti sulle tracce dei quali egli si è messo una volta lasciata la sua grotta, stareste tranquilli? 

 
Loro invece, ignari di tutto, sono nel prato a canticchiare e a intrecciare corone di fiori...ma il Wuggly Ump è già sulle colline. Dopo le coroncine, una bella merenda con una tazza di latte... ma il Wuggly Ump è quasi arrivato. Si fa notte: è ora di andare a letto beati... ma il Wuggly Ump bussa alla porta: 'Che occhi, che sguardo avvelenato e che muso tanto ostinato. Che artigli affilati! Che denti arrotati!... GLUGALIRO GLUGALUMP...


che sarà successo, secondo voi?
Chi conosce Edward Gorey può già immaginare...
Maestro assoluto e inimitabile del disegno e della scrittura (fu scrittore, poeta e anche sceneggiatore), Edward Gorey ha un talento naturale per raccontare con assoluto distacco l'inquietudine e il macabro. I suoi disegni e le sue storie sono sempre attraversate da una vena horror, con risvolti spesso più tragici del tragico. Sono sempre storie nere, venate da ambiguità continue, che creano nel lettore turbamento e spaesamento.
Il Wuggly Ump è, per esempio, una innocente filastrocca, ma racconta una storia senza scampo.
Spesso Gorey con questo doppio registro riesce a raccontarci con assoluta serenità mondi oscuri e gotici.
A me piace moltissimo e tutte le sue storie mi attraggono inevitabilmente. Per questa ragione sono qui a parlarvi di Gorey e a consigliarvene la lettura qualora non lo aveste già fatto. Nato nel 1925 e morto nel 2000 Gorey è autore di più di un centinaio di libri illustrati ed è considerato nel mondo davvero un autore di culto. In Italia è considerato autore per soli palati esigenti. Tanto è vero che il libro in questione non c'è in Italia. Qui ne ho una versione iberica, pubblicata da una prestigiosa, coraggiosa e raffinata casa editrice spagnola: Los Libros del zorro rojo (da tenere sempre a mente).
Tutte le storie di Gorey paiono ambientate in un unico contesto, che allude all'Ottocento, piuttosto misterioso, ma anche rarefatto (sono pochissimi di solito gli oggetti o gli arredi che definiscono gli scenari) il più delle volte in bianco/nero. I disegni si caratterizzano per cupezza e oscurità e hanno come protagonisti bambini, adulti o misteriosi animali. Tutti sempre distinti per sguardi mesti o, tuttalpiù, scettici e perplessi.
Devo mettere sull'avviso che purtroppo in Italia sono pochissimi i libri suoi che sono stati tradotti e pubblicati. Attualmente Adelphi ha in catalogo: La gattegoria (2003), L'ospite equivoco (2004),La bicicletta epiplettica (2005), L'arpa muta (2010). Troppo poco!
Soprattutto per questo, nella prossima puntata, un'altra storia, un'altra bambina, un'altra sventura. Promette bene...

Carla