venerdì 29 novembre 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


MONDO DI FACCE DI FORME E COLORI
 
Ninna No, Chiara Carminati, Massimiliano Tappari
Lapis 2019


POESIA ILLUSTRATA PER PICCOLISSIMI (dai 2 anni)

"Negli oggetti che abbiamo intorno spesso si nascondono molte facce, e per il bambino ognuna è un personaggio, con il suo carattere, e la sua storia da raccontare [...] Bastano due occhi per fare una faccia."

Per il sonno gli occhi belli
si son fatti piccolini.
Per il sonno son due spilli
due sospiri, due puntini.
Luna tonda sul tuo viso
spunta l'ombra di un sorriso...


Un limone in primissimo piano, a tal punto da essere fuori fuoco. Il picciolo al centro, che è il suo naso. A fare da bocca una imperfezione della buccia, dovuta forse alla sua storia precedente. Due puntini, davvero, non più grandi di due capocchie di spillo, sulla buccia gialla sono gli occhi assonnati di cui parla la Ninna nanna, luna tonda.
Un bricco del latte in acciaio per darsi la buonanotte con il sapore del burro e del miele. Una foglia gialla macchiata, che sembra di tiglio, caduta a terra e rotta a dovere, è il profilo di qualcuno che patisce il vento in faccia, tanto da fargli assottigliare il naso e gli occhi per sfidarlo. Due ricchi di castagna, che diventano occhi di chi non vuole cedere. Uno spremi agrumi che canta la sua vittoria sul sonno. Patate rosse novelle, che sono fratelli, sorelle e cugini con i quali condividere il sonno. Altre foglie, sassi e una banana delfino che salta nel suo pigiamino.
Una galleria di ritratti che è difficile smettere di guardare o dimenticare.

Nasce come secondogenito di una piccola e felice famiglia editoriale.
Con il fratello (o la sorella), A fior di pelle, condivide la genetica: infatti tra loro hanno caratteri somatici condivisi, ovvero la rima, la fotografia, il formato.
E in più tutti e due son rari esempi di bei libri per piccolissimi.


Come capita a tutti quelli che vengono al mondo, anche questi due titoli sono il frutto di un incontro. In questo caso, Carminati e Tappari, rispettivamente la loro mamma e il loro papà, li hanno 'concepiti' come capitoli di una storia, anche molto personale, che cresce.
Ma tutti e due pur essendo fratelli (o sorelle) sono tra loro anche diversi.
Se con a A fior di pelle (Lapis 2018) si percepiva la carezza delle parole e dell'obiettivo della macchina fotografica su quella bambina, arrivata da poco sulla scena, sempre un po' sfumata e sempre in bianco e nero, al contrario qui la bambina è fuori quadro, ma è parte del grande gioco. Perché probabilmente i primi occhi che si sono meravigliati con queste figure, le prime orecchie che hanno ascoltato queste parole per cercare di addormentarsi sono sempre di quella bambina, sfiorata (in) A fior di pelle. Qui però a lei si chiede di essere un po' più grande di prima, per giocare.


Quando un libro è così ben congegnato, quando l'intesa è a tal punto potente, è difficile scindere e valutare l'apporto di chi scrive e di chi illustra. Si assiste a un continuo e serrato dialogo tra un codice espressivo e l'altro.
Tuttavia, se in A fior di pelle i testi dimostravano di avere quella 'sicurezza' tutta materna, che guidava anche l'obiettivo in mano a Massimiliano Tappari, qui invece è l'immagine a dimostrare tutta la sua forza trainante nei confronti del testo. Affettuosamente le parole si fanno 'accendere' dalla inconsueta prospettiva dell'immagine.
E' un po' come se Chiara Carminati le usasse come appoggio elastico per spiccare il suo salto poetico.
In sostanza, la meraviglia con cui Tappari riesce a raccontare il mondo, qui è in tutta la sua immaginifica espressione. Chiara Carminati, come tutti quelli che hanno amato e amano lo sguardo di Tappari, ne accetta la sfida, si fa incantare da lui, e poi però rilancia una sua personale (o condivisa), ulteriore lettura di quegli elementi che sono il nostro mondo delle cose, visto da inconsueti punti di vista.
Nelle patate Massimiliano Tappari ha colto facce che guardano un po' di qui un po' di là con Chiara Carminati diventano una ninna nanna che evoca amici, fratelli e cugini con cui condividere, magari in vacanza o a casa dei nonni, il sonno. 




Ed ecco che, altrettanto magicamente, si crea una immagine sull'immagine. I semini di un kiwi diventano dentini in caduta. I ricci di castagna sono occhi che non vogliono cedere, occhi a pampinedda.
Come ogni grande atleta/poeta, Chiara Carminati è difficile lasciarla indietro e quindi sulle belle foto di Massimiliano è capace di scrivere cose così:
Quando di pappa son piene le pance
E di sbadigli son piene le guance
Prima di arrendermi e andare a dormire
La ninna nanna io voglio sentire
Sempre a stessa, ancora una volta
L'occhio è socchiuso, l'orecchio ascolta.

E allora non si può che rimanere in silenzio per sentire l'eco del suono. 
E poi, a bocca aperta, dire: chapeau!


Carla

mercoledì 27 novembre 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


LA TRILOGIA DEI FIUMI



E siamo al numero tre: dopo ‘Il rinomato catalogo Walker & Dawn’ e ‘La sfolgorante luce di due stelle rosse’, baciati dal successo di pubblico e di critica, il terzo romanzo, appena arrivato in libreria, rappresenta davvero una sfida a mantenere le promesse fatte ai giovani lettori e lettrici, riuscire a imbastire una nuova convincente storia d’avventura.

‘Il Fiore Perduto dello Sciamano di K.’, firmato dall’ormai affermato Davide Morosinotto, è dunque il terzo capitolo della trilogia dei fiumi, ambientato questa volta in Sud America, lungo le sponde di diversi fiumi, ma fra tutti del Rio delle Amazzoni.

La storia è ambientata nel 1986 e la scelta della data ha un suo perché: per il particolare momento politico attraversato dal Perù, paese in cui si svolge l’azione, e per la necessità di armare i ragazzi protagonisti della vicenda di pochi, ma significativi, strumenti tecnologici.

In breve, la trama: i personaggi principali sono due, Laila, ragazzina finlandese affetta da una rara malattia degenerativa, e El Rato, ‘il Momento’, un quasi coetaneo che vive nell’ospedale di Lima in cui lei è ricoverata. La diagnosi è impietosa e vede un progressivo deterioramento prima della vista, poi di diverse facoltà mentali. El Rato è un ragazzino con un Grande Segreto e un Grande Sogno, che si interseca con la disperazione di Laila. Basandosi su un quaderno di appunti di un medico passato di lì e mai più tornato da una spedizione nella foresta amazzonica, i due decidono di partire alla ricerca del mitico Fiore Perduto dello sciamano di K., un fiore capace di guarire le malattie più difficili.

I due partono con pochi soldi e una buona dose di incoscienza, senza sapere esattamente cosa li aspetta.

Il percorso è lungo e tortuoso e tocca prima Cuzco e da lì il fiume Urubamba, poi il cuore della foresta amazzonica. Ovviamente, ogni passaggio è ricco di incontri, di amicizie, di colpi di scena; ritroviamo Viktor, qui diventato un riottoso guerrigliero, protagonista del romanzo precedente; fino a quando non si arriva al cuore magico di questa narrazione: l’universo del pensiero sciamanico e il fragile equilibrio fra la vita e la morte.

Non dico di più sulla trama, che merita la dovuta ignoranza per essere apprezzata nei suoi meccanismi narrativi e nelle sue continue sorprese.

A questo punto vorrei, invece, fare alcune osservazioni: ad un livello più superficiale, di questo romanzo si apprezza l’accurata ricerca bibliografica, ed è cosa rara; la cura grafica dell’impaginazione con alcune trovate interessanti che esplicitano il contenuto del testo. Ancora una volta è un romanzo corale, con i singoli capitoli narrati in prima persona da un personaggio di volta in volta diverso. Niente è casuale ed è necessario porre la dovuta attenzione ai dettagli: ciascun personaggio è contrassegnato da un animale e solo alla fine si capisce perché ed è questo che fa scorrere un sottotesto, una storia parallela, scritta sulle pagine nere, che parla di un’altra realtà. La dovuta attenzione va rivolta al senso della suddivisione in tre parti e ai personaggi che ivi compaiono.

A un livello diverso si pone, dunque, il rapporto fra magia e realtà; Morosinotto riesce a rendere credibile questa scissione in livelli di realtà paralleli, di cui uno popolato di spiriti, che nel romanzo sono presenti fin dall’inizio. Ho apprezzato la sospensione di giudizio come unica condizione per rendere credibile una storia per il resto di un realismo impressionante, piena com’è di dettagli di una precisione quasi maniacale. E ho apprezzato ancor di più la delicatezza con cui si affronta un tema di per sé così ‘pesante’ come quello delle malattie incurabili. Una scelta coraggiosa, che porta a un finale che non è inutilmente salvifico.

Se, dunque, ‘Il Fiore Perduto dello Sciamano di K.’ è indiscutibilmente un romanzo di avventura meticolosamente costruito, è anche a tutti gli effetti un romanzo di formazione che non concede nulla alle facili emozioni, al contrario è un interessante terreno di confronto con i più giovani su temi di grande spessore.

Se volete sapere se mi è piaciuto, sì, senza dubbio; direi quasi di più del ‘Rinomato catalogo’, ed è già tanto.

Lettura consigliata a lettrici e lettori molto attenti, a partire dai dodici anni.


Eleonora



“Il fiore perduto dello sciamano di K.”, D. Morosinotto, Mondadori 2019




lunedì 25 novembre 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


LETTERATURA SENZA AGGETTIVI

Clara e l'uomo alla finestra, María Teresa Andruetto, Martina Trach
(trad. Lorenza Pozzi)
Uovonero 2019


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)

"'Porta questi panni al signore della casa grande.'
Non ti distrarre.
Stai attenta.
Che non si sporchino.
Il signore lascia i soldi sulla porta, sotto lo zerbino."

Villaggio di poche case sparse nella pianura argentina. Un po' più lontana, la casa grande dove lasciare la biancheria pulita. Fuori dalla porta, sullo stesso zerbino che nasconde i soldi che spettano alla madre di Clara, la lavandaia.


Clara l'aiuta e come una piccola Cappuccetto Rosso argentina, parte con il cesto; nella testa riecheggiano le parole dette, le raccomandazioni.
Lasciato il cesto, raccoglie le poche monete. La tenda si scosta e la bambina incrocia lo sguardo di quel signore. Nulla di più.
Clara, sulla strada del ritorno, si ripete nella testa ciò che ha sentito di quella persona: non esce di casa, non può vedere la luce....
Fino alla volta successiva, quando la tenda della casa grande si scosta ancora di più e il signore dagli occhi tristi batte sul vetro per chiamarla.
Uno scambio di poche parole, due sole domande. Alle parole di Clara, perché vivi rinchiuso?, lui risponde con un'altra domanda, sai leggere?
Un libro rosso, come le sue scarpe, l'aspetta sotto lo zerbino la volta successiva. A ogni nuova consegna di panni ci sono nuove storie che l'aspettano.
Fino al giorno in cui la porta si apre e Clara entra.
Quando un bambino entra in una casa, entra in una vita altrui, qualcosa di quel luogo, di quell'esistenza cambia.
E così quelle stanze, piene di ricordi, piene di solitudine, piene di libri ascoltano, dopo tanto silenzio, il dialogo tra due voci. Poche parole per spiegare e per capire.
Bastano semplici gesti per far nascere tra loro un'intesa, per riaccendere un desiderio, per trovare il coraggio e la voglia di tenere aperta una porta, addirittura di varcarne la soglia.
I bambini, in questo, sono passpartout pressoché infallibili.

Per una letteratura senza aggettivi. Si può partire da qui per fare due ragionamenti su Clara e l'uomo alla finestra. Una storia che racconta di come la madre di María Teresa conobbe i libri e di come il suo amico Juan uscì alla luce del sole.
Un albo illustrato che, per come è concepito, attesta una volta di più che la missione della letteratura è quella di raccontare belle storie: María Teresa Andruetto, premio Andersen 2012, lo sostiene da sempre (Per una letteratura senza aggettivi, Equilibri 2014).
E le belle storie sono per tutti, ovvero sono lì a testimoniare che scrivere per l'infanzia non sia mestiere diverso, o addirittura più semplice, dello scrivere per grandi. Quindi, letteratura e basta.
Ed è da questa sana prospettiva che Andruetto riesce a raccontare nel contempo una storia singola e una storia universale, ovvero quella che riguarda il piacere di quella bambina verso i libri e la lettura e il diritto dell'infanzia di avere buona qualità nelle storie, sufficienti luoghi e occasioni di incontro con esse, buona quantità di titoli sugli scaffali.
La casa di Juan, per tornare alla storia singola, sembra essere il luogo ideale perché tutto questo accada.


Ma anche la storia personale di quel signore, Juan, a ben vedere, nel racconto della Tere Andruetto, da storia singola si fa storia universale e il passaggio dall'una all'altra è così naturale, che riempie il cuore di speranza.
Poche e calibrate parole, studiate in forma di dialogo o di monologo interiore, sono l'ordito solido e sapientemente 'traforato', su cui Martina Trach intreccia la sua trama figurativa.


La leggerezza del testo si specchia nei grandi spazi liberi, nel disegno volutamente non finito, nello zoom cinematografico, nell'aria aperta che Clara attraversa. La precisione delle parole si riverbera nei dettagli a matita, negli inserti a collage, nelle trasparenze di pattern a stampa per copertine di libri o tessuti, nella cura degli interni raccontati con precisione da carta millimetrata. Lo scorrere del tempo e dello spazio lo si coglie nel movimento che si moltiplica per seguire linee di direzione sempre differenti e nella stratificazione dei piani, sottolineati da tecniche anch'esse sempre diverse.


Il colore stesso è voce narrante, al pari della parola.
Martina Trach, poco più di trent'anni, ha cose da dire.

Carla

venerdì 22 novembre 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


LUCILLA DEL FARO


‘Lucilla’, romanzo d’esordio della nederlandese Annet Schaap, finora conosciuta come illustratrice, è un interessante mix di elementi realistici e fantastici.
Al centro della narrazione una bambina, Lucilla, ‘esiliata’ per punizione nella misteriosa casa dell’Ammiraglio, ed Edward, il bambino-pesce.
Lucilla, che si chiama in realtà Emilia, come la mamma deceduta tempo prima, vive con il padre in un faro; è lei ad accenderlo tutte le sere, perché il padre, privo di una gamba, non riesce a salire le ripide scale. Lo fa tutte le sere, tranne una: si dimentica fatalmente di andare a comprare gli zolfanelli in una cupa sera di tempesta. Il risultato è il naufragio di un vascello: il padre viene rinchiuso nel faro, condannato a svolgere le sue funzioni senza potersi mai allontanare, la bambina viene mandata ‘a servizio’ nella lugubre casa dell’Ammiraglio.
Vi arriva mentre è in corso un funerale e tutto appare spaventoso; si parla di un mostro pericoloso, rinchiuso in una stanza del piano superiore della villa.
Lucilla è una bambina testarda, che riesce comunque a conquistarsi la fiducia della burbera Martha e del figlio di lei, Lenny, un ragazzone non proprio brillante. La bambina si introduce nella stanza proibita, in realtà per cercare di vedere dalla finestra il faro in cui è rinchiuso il padre; lì incontra Edward, un ragazzino con una strana e fiabesca malformazione: un semi pesce, dai capelli verde alga e una coda che gli impedisce, ovviamente, di camminare. E’ il figlio del borioso Ammiraglio, tenuto nascosto e cresciuto da un fedele maggiordomo, il cui funerale è nei primi capitoli. Ora nessuno vuole avere a che fare con il giovane Edward, impaurito e rabbioso.
Il rapporto fra i due bambini, prima segnato dalla reciproca diffidenza, poi dall’amicizia e l’affetto, occupa tutta la terza parte del libro: la vicinanza di Lucille consente a Edward di riconquistare la sua vita, una sua libertà, fino a uscire dai limiti della proprietà paterna per incontrare quella che forse è la sua vera natura.
Qui il romanzo vira decisamente verso il fiabesco e innesta il processo che porta nel finale, al ritorno dell’odioso Ammiraglio, alla fuga e alla scoperta di una nuova vita per entrambi i protagonisti.
Le ultime parti del romanzo abbandonano la chiave realistica, se pur avvolta nel mistero, e il romanzo si popola di personaggi al limite: dai fenomeni da circo, ai pirati che aiutano il padre di Lucille a fuggire, alla stessa metamorfosi di Edward, tutto converge per creare quella atmosfera incantata, che può dare una svolta positiva alla narrazione.
Se nella prima parte la componente fantastica si insinua fra i dettagli, con gli elementi naturali che prendono voce, il dialogo mentale fra madre e figlia, tutti elementi che hanno molto a che fare con l’infanzia e la sua percezione della realtà, nella seconda parte entriamo proprio in un’altra dimensione, che abbandona i solidi ancoraggi alla realtà e diventa una fiaba attualizzata di ribellione e di libertà.
Mi sembra che questo dualismo, fra narrazione fantastica e realistica, non sia del tutto risolto e che in qualche modo penalizzi il romanzo, per altri versi scorrevole e avvincente, con accurate ricostruzioni d’ambiente.
Al di là dei personaggi, di sicuro il più riuscito quello della tenace Lucille, protagonista assoluto è il mare, con la sua potenza e le sue leggende e ancor di più come simbolo della libertà di andare oltre i confini, così come fanno i corsari.
Nonostante le trecentocinquanta pagine e più, consiglierei la lettura a giovani avventurosi/e a partire dai dodici anni.

Eleonora

“Lucilla”, A. Schaap, La Nuova Frontiera junior 2019


mercoledì 20 novembre 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


SOTTO A CHI TOCCA!
 
Hugo. Cattivo, sanguinario e pericolosissimo, Mia Nilsson,
(trad. Susanna Di Cosimo, Tor Anders Grönlund)
Il Barbagianni 2019



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Da qualche parte al Nord, in una casa piccola piccola, in un bosco grande grande, vive Hugo. Hugo è la creatura più cattiva, più pericolosa e più sanguinaria che si sia mai vista nel bosco.
O almeno così dicono tutti..."

D'altronde Hugo è un coccodrillo e i coccodrilli non hanno fama di essere animaletti mansueti. Eppure fino a poco tempo fa, Hugo non galleggiava a pelo d'acqua in qualche fiume africano, ma piuttosto faceva l'equilibrista in un circo, a vari metri d'altezza. E siccome era molto acclamato dal pubblico, il dromedario invidioso una notte lo spinse giù dal carrozzone.
Così Hugo si trovò solo.
Perso il circo, si mise in cammino e strada facendo, arrivò nel grande ed estremo Nord e vi si stabilì. 



Nessun animale di quelle parti aveva mai visto un coccodrillo e sulla sua persona cominciano a circolare storie piuttosto inquietanti: sulle sue dimensioni, sulle sue abitudini alimentari. In verità il coccodrillo è quello che è e non lo si può definire una creaturina. Tuttavia gli hobby che coltiva sembrano smentire la sua proverbiale ferocia: cucina, lavora a maglia e lustra al meglio i pavimenti della sua casetta. Vorrebbe tanto fare amicizia, ma nessuno si fida di lui. Fino al giorno in cui, pieno di tristezza, decide di emigrare in Australia, agli antipodi. Mentre è lì che cammina a testa china lungo la strada con la sua valigetta, mette in salvo, davanti agli occhi atterriti della madre, due piccoli di cinghiale che stavano per finire sotto le ruote di una macchina. La riconoscenza porta l'intera famiglia di ungulati alla casetta di Hugo che è felicissimo di aver ospiti (e di non dover più partire).
Finalmente qualcuno si dimostra affettuoso nei suoi confronti e comincia a fidarsi di lui. Tutto sembra andare a meraviglia, fino a quando Hugo non si presenta davanti ai suoi numerosi convitati con un coltellaccio in mano...

Costruito su uno dei più classici e fertili meccanismi narrativi, il binomio fantastico, così tanto chiaramente spiegato da Rodari nella sua Grammatica.
La storia nasce - e questa non fa eccezione - dal rapporto contraddittorio tra due termini che sono insolitamente contigui. In questo caso abbiamo una foresta, abitata, come è normale che sia, da conigli selvatici, volpi, caprioli e qualche incauto cinghiale. Un habitat piuttosto insolito per un coccodrillo africano. Primo binomio fantastico. Poi, ed è il secondo binomio, abbiamo un animale feroce che lavora a maglia e fa le torte.
Entrambe le circostanze danno corpo alla storia che si alimenta da questo binomio inaspettato e 'fantastico'.
Alexis Deacon, che di belle storie ne ha scritte diverse, racconta che il suo metodo di invenzione parte sempre da questo tipo di accostamenti improbabili. Mettere un coniglio a pilotare un aeroplano è l'esempio che lui fa, oppure, come accade nel libro della Nilsson, mettere un coccodrillo dove non ci si aspetterebbe mai di vederlo. 



Il binomio genera sorriso o risata e soprattutto tiene alto il livello di attenzione e di curiosità di chi legge.
In tal modo la trepidazione degli abitanti del bosco, all'oscuro di chi sia affettivamente Hugo, fa sorridere il lettore che è perfettamente consapevole che quello è un coccodrillo un po' sui generis. Ma mai abbassare la guardia: perché tutto ora concorre al colpo di teatro finale che, con un sapiente giro di pagina, scioglie il fiato sospeso e lo trasforma in un bel sospiro di sollievo.
Credo che in Hugo si possa tranquillamente lasciare in secondo piano quel po' di retorica sul tema del 'diverso' che arriva e che il gruppo tiene ai margini e sotto osservazione, a debita distanza.


A ben vedere non è la cosa più interessante del libro.
Certo sarebbe stato bello se il coccodrillo alla fine fine fine avesse fatto il suo mestiere e avesse assaggiato un coniglio o un giovane cinghiale... O quanto meno fosse stato lasciato uno spiraglio aperto sull'incertezza. Viene in mente il vecchio lupo della Zuppa di sasso che risparmia la gallina e gli altri, ma nell'ultima pagina silenziosa si dirige con il suo sacco e il suo coltellaccio verso la casa del tacchino...In una meravigliosa quanto autentica logica del 'sotto a chi tocca!'


Carla


Noterella al margine. La Nilsson colpisce per la versatilità del suo fraseggio, tra fumetto, testo scritto e testo illustrato, e per un disegno insolito pieno di soluzioni originali, dettagli divertenti, come il bosco ordinato e il tramonto psichedelico, e garbatamente movimentato e con ritmi ben calibrati tanto nello spazio scenico quanto nelle proporzioni.

lunedì 18 novembre 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


NERA


La graphic novel ‘Nera. La vita dimenticata di Claudette Colvin’, scritta da Tania de Montaigne con i disegni di Emilie Plateau, è rilevante per due validi motivi: il primo, sicuramente più significativo, perché si staglia sullo sfondo delle biografie politically correct che hanno inondato le librerie negli ultimi anni; il secondo perché segnala l’interesse di un editore squisitamente rivolto ai ragazzi, Einaudi ragazzi, verso il linguaggio della graphic novel, con testi, per altro, molto trasversali e graditi sicuramente anche al pubblico adulto.
Veniamo al nostro testo: ‘Nera’ racconta la vicenda di una ragazzina nera, Claudette, anche lei di Montgomery, come Rosa Parks.
La storia di Claudette Colvin precede di poco quella di Rosa Parks e ha come oggetto il rifiuto della quindicenne di colore di cedere il posto a un bianco; la reazione della polizia, intervenuta su richiesta dell’autista del bus, è violentissima e il processo che ne deriva, con relativa inevitabile condanna, provoca l’inizio di quello che poi diventerà un movimento organizzato: il boicottaggio dei mezzi di trasporto da parte della popolazione di colore. E’ quello l’inizio di un movimento di protesta che vedrà protagonista Martin Luther King.


Se questa parte della storia americana è abbastanza nota, grazie ai libri e biografie dedicati sia a lui che a Rosa Parks, meno raccontata è la situazione di partenza, la legislazione che garantiva le segregazione razziale nell’America degli anni ‘50: le cosiddette leggi ‘Jim Crow’, che vietavano ai neri l’accesso ai locali dei bianchi, alle scuole dei bianchi, alle professioni legali. Claudette cresce in Alabama, quel sud dell’America che alla legislazione segregazionista affiancava l’azione criminale del Ku Klux Klan.
La nostra storia inizia proprio così, calandoci nei panni di una ragazzina nera nell’America razzista, in cui ancora non c’era nemmeno all’orizzonte la possibilità di ribellarsi.
E’ il 1955 e una ragazzina nera, sola, sull’autobus segregazionista, si ribella.
Come un sassolino può dare vita a una valanga, così un gesto forse impulsivo dà il via al grande movimento per i diritti civili che ha cambiato, ma solo in parte, l’America.
La narrazione di Tania de Montaigne è asciutta, severa, non risparmia alla giovane lettrice e al giovane lettore gli aspetti più duri di questa vicenda e viene assecondata dai disegni della Plateau che, in una resa sempre frontale della scena, fa scorrere sotto i nostri occhi un film, semplice e durissimo, che racconta di solitudine, di diritti violati, di ribellione e solidarietà. I colori sono pochissimi, oltre al bianco e al nero, solo l’ocra e il marrone, che raccontano con efficacia la città di Montgomery e le sue dure leggi.


E’ una bella storia, che mi ricorda la ballata che Roberto Piumini dedica a Martin Luther King; ed è un bel personaggio femminile al di fuori di qualsiasi retorica.
Queste sono storie che riguardano gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, solo apparentemente distanti, in realtà di un’attualità spaventosa.
Bella operazione, quella di rendere giustizia a un’eroina quasi sconosciuta e di raccontare il lato oscuro dell’America; che poi è un modo per illuminare il presente con la memoria di un recente passato.
Einaudi Ragazzi propone ancora una graphic novel, ed è riteniamo una precisa scelta editoriale, che si pone al confine fra lettura giovanile e adulta, esplorando un territorio ancora poco frequentato, anche se in generale la produzione di fumetti per ragazze e ragazzi è in grande crescita. La risposta del pubblico adulto è contraddittoria, oscillando fra una sottovalutazione e una sopravvalutazione del linguaggio del fumetto, ritenuto di volta in volta troppo semplice o troppo raffinato.
In realtà, come per qualsiasi altra produzione editoriale, vanno valutate le proposte per quello che sono, di buona o cattiva qualità.
In questo caso, non credo ci siano dubbi nell’indicare in questo libro una delle migliori proposte, in termini di graphic novel per ragazzi, di questo finale d’anno.

Eleonora

“Nera. La vita dimenticata di Claudette Colvin”, E. Plateau e T. De Montaigne, Einaudi ragazzi 2019


venerdì 15 novembre 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


WHERE THE WILD THINGS ARE

L'isola schifosa, William Steig (trad. Daniela Magnoni)
Rizzoli 2019


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"C'era una volta un'isola bruttissima, brullissima, schifosissima. Era ricoperta a perdita d'occhio di pietre aguzze e vulcani che ruttavano fumo e fiamme, vomitavano lava bollente, sputavano dardi velenosi e rane a due teste.
Sulle piante sbilenche, deformi e spinose dell'isola non sbocciava mai neppure l'ombra di un fiore."

E questa isola brulla era squassata da terremoti e da eruzioni di vulcani, tempeste di sabbia, cicloni. Durante la notte, tutto ghiacciava, per poi ricominciare a muoversi il mattino seguente.


Su quest'isola, circondata da un mare infestato da ogni genere di animale orribile e pericoloso, compresi i granchi dalle chele giganti, vivevano altrettante creature terribili. Con forme tra loro molto diverse: rachitici o giganteschi, con speroni, artigli e tentacoli, con occhi e altre parti sistemate a casaccio sui corpi. Gli insetti erano grandi come barracuda e il loro aspetto era terribile. Le creature cenavano l'una con l'altra, ovvero si divoravano a vicenda e ogni volta che si incrociavano sputavano, sibilavano. Tra loro non c'era simpatia reciproca: al contrario erano invidiose e gelose della loro bruttezza. Vivevano nei vulcani oppure nuotavano inquinando le acque del mare con il loro veleno. 


La sofferenza degli altri generava in loro puro piacere. Le creature schifose vivevano felici, facendosi del male a vicenda. In qualche modo quell'isola era il loro paradiso.
Finché un giorno dal terreno roccioso sbocciò qualcosa di mai visto: un fiore bellissimo. Tutti lo guardarono con sospetto, quindi paura e poi rabbia. Fu subito guerra: serpeggiava il dubbio che fossero gli altri a piantare qui e lì fiori magnifici per diffondere il terrore. C'è chi andò fuori dai gangheri, chi fuori di testa e fu scontro totale di tutti contro tutti. Questo provocò l'estinzione dei mostri sull'isola che, fiore dopo fiore, pioggia dopo pioggia, smise di ghiacciare la notte e cominciò invece a essere un luogo meraviglioso, circondato da un bel mare blu.



Steig al suo quarto libro, pubblicato per la nascente casa editrice Windmill. Siamo nel 1969 quando esce per la prima volta con il titolo The Bad Island (il titolo fu poi cambiato, in una edizione successiva, in Rotten Island).
Steig non è certo agli esordi della sua carriera di vignettista del New Yorker per il quale lavora già dal 1930, ma sta muovendo i primi passi, per nulla incerti, nel mondo dell'editoria per bambini. Ha già all'attivo CDB! - un capolavoro di scrittura criptata, intraducibile- Roland the Minstrel Pig e soprattutto Sylvester, ovvero Silvestro e il sassolino magico, forse il suo capolavoro che lo ha fatto entrare nell'empireo degli autori classici e che gli ha fatto vincere la Caldecott Medal, l'anno successivo.
L'isola schifosa è per certi aspetti un unicum nella sua produzione, ma ha in sé anche molti dei caratteri della sua poetica. Un unicum forse per il fatto che è una storia corale e forse anche perché attinge a un immaginario di creature inventate e non fa riferimento al più consueto e frequentato mondo degli animali parlanti che popolano la stragrande maggioranza dei suoi bellissimi libri.
Altra caratteristica che la rende unica è l'uso del colore e del disegno che sembra non volere confini o limitazioni. In questo senso, la storia che comunque ha una sua morale interna, sembra essere terreno fertile per far crescere un disegno sempre più incalzante e sempre più divertito e folle. 

 
Lo stesso accade con il linguaggio. Ma in questo caso, la vulcanica atmosfera offre spunto per un racconto carico ed esuberante, costruito spesso sull'elencazione e sull'accumulo di dettagli raccontati.
Tuttavia Steig conferma il sapientissimo uso della sua lingua, leggerlo in inglese fa la differenza, che nonostante la follia raccontata non perde mai il proprio rigore, la propria esattezza e sincerità. La sua lingua, non sempre rispettata in questa traduzione, sa essere immaginifica e precisa allo stesso tempo: gioca con i suoni, ma mai bamboleggia con parole inventate o diminutivi o accrescitivi che avrebbero lo scopo di blandire, fare l'occhietto a chi legge.
Non è impresa facile tradurre bene Steig, ovvero trovare e rispettare la vena lirica che compare talvolta e quella più concreta che però ha il merito di renderla unica e indimenticabile (per intenderci la balena Boris che giace sulla spiaggia è 'breaded', impanata. Il più asettico 'spiaggiata' così come è arrivato a noi, perde parecchia della originaria corporeità).


E a proposito di espressività, L'isola schifosa, è uno straordinario repertorio di disegni totalmente folli, che tanto ricordano quelli dei bambini che inventano davanti a un foglio bianco di carta e che per questa ragione forse sono stati di ispirazione per quelli che ha disegnato nel 1989 Quentin Blake per il testo di Russel Hoban, Mostri).
Il lavoro che Steig fa con il disegno e il colore ha radici profonde. Se il colore è meraviglia pura -e non sembrerebbe un azzardo pensare che dai fauves, dalle belve, dai selvaggi, abbia preso a prestito la gamma cromatica e l'uso da Braque - per quanto attiene al disegno ci sono tracce di un gusto per la scomposizione che deriva dal suo amore dichiarato per Picasso,ma anche una freschezza creativa di un'infanzia mai dimenticata.

Carla