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mercoledì 20 novembre 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

COME SI CHIAMANO LE COSE 

Come si chiamano le cose è il primo gioco che i bambini fanno appena nasce in loro il linguaggio. 
“Questo cos’è?” 
“E questo?” 
“Tu sei la mamma” 
Definizione e apprendimento. 
I bambini piccoli spesso amano stilare delle liste di oggetti, alcuni bambini non dimenticano mai questo modo di codificare il mondo, tanto che anche da adulti, continuano ad amare le liste e i nomi: due di questi adulti sono Francesco Pittau e Bernadette Gervais. 
C’è anche da dire che nei paesi francofoni c’è una precisa tipologia di libri per bambini - gli imagier - che raccoglie albi che insegnano i nomi. 
Agli imagier appartiene il libro primavera estate autunno inverno di Pittau&Gervais. In realtà il titolo preciso sarebbe quello con le figure, ossia questo: 


Come un imagier da manuale esige, il libro è formato da un’immagine e dalla sua definizione. In realtà i due autori aggiungono un elemento - anche questo abbastanza comune - ossia quello temporale: parliamo delle stagioni. 
Non è facile per me affrontare questo libro che è uscito in Italia, sempre per Topipittori, la prima volta nel 2011, scomparso poi per anni e cercato invano in tutte le librerie dell’usato, riapparso per la felicità di molti nel 2024. Un libro fantastico. Ma perché? 
Butto giù le idee e mi accorgo che due sono i concetti cardine del libro sotto cui molti aspetti trovano casa. 
Il primo è il concetto di FORMA. 




Il libro nomina due fiori, nel caso del tulipano e del carciofo, che hanno una forma in comune, e un nome in comune, ma che hanno funzioni diverse (uno si mangia e l’altro no) e caratteristiche diverse (uno è liscio e delicato, l’altro è spinoso e carnoso). Una sola categoria, due opposti, si potrebbe dire. 



Questa complessità nell’apparente semplicità potrebbe già essere un motivo sufficiente per avere il libro. Ma qui siamo ancora solo in superficie. 
Quello che gli autori desiderano fare con i loro libri è la valorizzazione del mondo che circonda i bambini, in particolare Gervais si dice “ossessionata dalla natura”: per questo nel libro, tutto è un costante invito all’osservazione fine. 
E’ vero che dal bruco nasce una farfalla – la realtà – ma è anche vero che quella farfalla, così precisamente riprodotta da percepire la polverina che ricopre le delicate ali, diventa l’idea poetica di una farfalla. 



Gervais in un’intervista di qualche tempo fa dice: “(…) quello che mi piace non è disegnare, ma fare i libri”. L’artista belga disegna degli stencil che poi applica al foglio bianco, in più inserisce delle alette che girandosi donano nuovo sguardo agli oggetti rappresentati. 
Lei non ragiona mai per tavole, ma per lei la tavola è solo una delle parti di cui si compone il libro, per questo è l’intero libro a raggiunge una sorta di perfezione e tutti gli elementi concorrono allo stesso modo. 
Quindi anche il corsivo non è un caso: perché usare il corsivo? 
E’ un libro per bambini piccoli che cominciano a dare i nomi alle cose o è un libro per bambini che iniziano a scrivere i nomi delle cose? 
Entrambi. 
Il corsivo mi permette di introdurre il secondo concetto chiave del libro ossia il TEMPO. 
Questo libro è un libro che il bambino consulta per diversi anni. Le relazioni complesse che apre a nomi e figure lo proiettano oltre l’utilizzo dell’apprendimento delle parole. Un bambino imparerà dapprima che esiste un fiore che si chiama ‘tulipano’, poi apprenderà che l’ape non è una ma esistono l’ape operaia, il fuco e l’ape regina, infine che quell’uccello lì si chiama ‘pernice’ mentre quell’altro ‘fagiano’, infine, ormai grande imparerà a leggerlo da solo il libro, quando saprà leggere il corsivo. 
Il tempo è anche rappresentano, in alcune tavole, attraverso l’uso della doppia apertura, come nel caso del papavero. 




Qui a un iniziale accostamento formale tra il bocciolo del papavero, che ricorda un cigno, e la tortora, si prosegue con il trascorrere del tempo che passa attraverso l’apertura della pagina interna e che porta alla piena fioritura del papavero.
 

Di queste accelerazioni temporali il libro è pieno: dagli animali alle foglie, tutto si trasforma: una stagione contiene già in sé la stagione successiva? Per questo – e torniamo al libro come opera completa – l’uso della spirale? C’è un inizio? C’è una fine? 
Da quando il piccolo lettore ha aperto questo libro per la prima volta in cerca di parole nuove che definiscano il mondo a quando è riuscito a leggere le parole in corsivo, sono passati almeno sette anni e lui, o lei, ancora sfoglia questo capolavoro, ne siamo certi. 

Valentina 

"primavera estate autunno inverno", Francesco Pittau, Bernadette Gervais, Topipittori 2024 (2011) 

mercoledì 5 giugno 2024

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

GUARIRE È UN PO’ SPARIRE 

Uno degli aspetti più interessanti della letteratura per l’infanzia è il fatto che essa sia rivolta a interlocutori diversi. Affacciati alle pagine non ci sono soltanto il grande e il bambino, ma anche: nel grande il bambino che è stato, e nel piccolo, l’adulto che diverrà. 
Di conseguenza, è possibile intravedere non solo una visione d’infanzia, ma anche una di adultità. In casi fortunati, istanze e interrogativi trasversalmente potenti. Pur narrando lo stesso accadimento, - una caduta, un’escoriazione, sangue, conseguenze varie - Io e Pepper e La ferita mostrano come sia possibile stabilire diversi gradi di coinvolgimento. 


La storia di Io e Pepper è presto detta: una bambina cade e si sbuccia il ginocchio. Al sangue fa seguito il cerotto, al cerotto una orrenda crosta. Alla crosta, l’attesa. 
"Quando si staccherà?" domanda la bambina.
"Tra qualche giorno" risponde la mamma. 
 La bambina affronta il misterioso tempo della guarigione stabilendo una relazione con l’entità che le è cresciuta addosso e che sembra non avere intenzione di staccarsi. Con un atteggiamento da perfetta filosofa, esplicitato da posture ribaltate e sbilenche, indaga la propria condizione: da un nome alla crosta (Pepper) la interroga, ci conversa con crescente confidenza. 

 

La caduta, la ferita e la guarigione sono gli accadimenti che vengono utilizzati per rendere tangibile lo sbigottimento della perdita di identità che ogni cambiamento comporta, andando a sfiorare per estrema estensione anche il tema del lutto. Tuttavia è nello scorrere del tempo che avviene la misurazione di questa sconcertante esperienza: nella ripetizione dei giorni e dei gesti, nei margini che rimpiccioliscono, nel riassorbimento che lascia spazio alla pelle nuova. Questo è il racconto della preoccupazione anche angosciosa che provocano le cose che cambiano, con tutto quel cascame di domande che non possono essere evase per sola forza di volontà, quasi a riecheggiare le raccomandazioni di Rilke al giovane poeta: “Lei è così giovane, così fresco di ogni inizio (…) vorrei pregarla di aver pazienza per quel che di irrisolto vi è nel suo cuore, e di cercare di aver care le domande stesse…” 
Serve tempo, dunque. Ma intanto? 
Un bel mattino Pepper scompare. Ma contrariamente a quanto la protagonista aveva sperato, non basta che la crosta caschi perché tutto torni come prima, perché nulla torna mai esattamente come prima. 
L’assenza della crosta diviene una nuova dimensione della ferita, una nuova apertura che necessita a sua volta di altro tempo e altra attesa per schiudersi in altra esperienza, ancora e ancora. Così è la vita. 
La bambina ritrova la crosta caduta tra le lenzuola, la deposita tra i papaveri, e rimane ad osservare quello che è rimasto: una cicatrice bianca, un segno per ricordare quello che è stato. 


La bellezza di questo albo, oltre che nelle illustrazioni illuminate, sta tutta nell’altezza delle domande e nella raffinatezza che Alemagna ha di rimanere costantemente disponibile a più livelli di lettura, con una cura che esprime sì l’idea di infanzia dell’autrice, ma anche una precisa idea di adulto che già era stata delineata in Cos’è un bambino? 
Ricordate? Certi bambini decidono che non cresceranno mai e si faranno portatori sani, nel mondo dei grandi, di quell’atteggiamento stuporoso e interrogante che è proprio dell’infanzia e che nella poetica di Alemagna diventa una modalità di relazione con l’esistenza. 



 Con La ferita siamo in un altro mondo. 



Tutto accade durante la pausa in cortile: il protagonista cade e si fa male. Dalla sua posizione supina con gli occhi affondati nel cielo ecco che succede una meraviglia: tutti accorrono: “Sono venuti quelli di prima, sono venuti quelli di seconda, sono venuti alcuni della materna e anche Niklas di quarta. Sono venuti quelli del coro, è venuta Anna alta di terza…”, anche un piccione arriva per l’occasione. 


Il sangue che prorompe dalla ferita non è tanto, tuttavia sembra moltiplicarsi e punteggiare all’infinito le pagine altrimenti grigie di una normale giornata di scuola: quello squarcio, proprio sul suo ginocchio sembra avere il potere di dar senso a tutte le attività della giornata e dei giorni a venire. Oggetto di una tale popolarità, il protagonista si ritrova ben presto a fare i conti con un dilemma di spaventosa cogenza: che ne sarà di lui quando la ferita guarirà? Quando il sangue si asciugherà e ognuno tornerà alle proprie occupazioni? 
L’albo mantiene per tutto il suo corso un linguaggio intonato all’età a cui è rivolto, affidando il racconto della guarigione a quella eccitazione minuta che correda la prima esperienza di ogni cosa, che non è faccenda privata, ma un vissuto di comunità. Vengono mostrati gli ambienti scolastici, le attività tipiche di una classe elementare, i cerotti, i disegni, i colori che finiscono, le imbranataggini degli insegnanti. 
Tuttavia, sotto queste mentite spoglie AdBåge scoperchia il malconfessato desiderio (o bisogno) di voler essere al centro dell’attenzione; un sentimento agrodolce che viene denudato delicatamente e che sembra essere anche un banco di prova offerto al lettore adulto, quasi a volerlo sfidare. 
Se in Io e Pepper il nodo era lasciare andare l’esperienza, in La ferita si tratta piuttosto di rinunciare alla condizione di visibilità che la ferita, con il suo marchio di eccezionalità, dischiude, e richiede ai grandi di sostare sul sottile confine del pudore. 
Adbåge mostra una visione d’infanzia reale, quotidiana, forse anche un po’ sgraziata ma non per questo meno piena, libera e indipendente, e ha la grinta di non risparmiare agli adulti l’occasione di una riflessione coraggiosa. Se infatti può essere semplice riconoscere come infantile il piacere di avere tutte le attenzioni su di sé, quanto è più impegnativo riconoscere come proprio quello strisciante piacere di distinguersi attraverso il racconto dei propri malanni? Quanto coraggio ci vuole per lasciar risuonare quegli interrogativi che scaturiscono attorno al languore di essere visti in quanto feriti? Soprattutto cosa significa esattamente accettare di guarire, se farlo significa anche un po’ sparire? 



Giorgia

"Io e Pepper", Beatrice Alemagna, Topipittori 2023 
"Che cos’è un bambino?", Beatrice Alemagna, Topipittori 2008 
"La ferita", Emma AdBåge (trad. S. K. Milton Knowles), Camelozampa 2024 
“Lettere ad un giovane poeta”, Rainer Maria Rilke (trad. Silvia Albesano), Il Saggiatore 2021 

lunedì 3 luglio 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA CONCHIGLIA IN UN BOTTONE 

Canto per una casa ritrovata, Sophie Blackall (trad. Chiara Carminati) 
Terre di mezzo 2023 


POESIA 

"In cima a una collina 
in fondo a una strada 
accanto a un ruscello 
che svolta e risvolta, 
 c'è una casa 
dove dodici bimbi 
sono nati e cresciuti 
andando a gattoni 
 nell'atrio accogliente 
mettendosi in posa 
sui gradini di legno..." 

Lo stipite della porta è segnato a matita con tutte le misure di bimbi in crescenza. Le pareti sono decorate da stampi dipinti con le patate. A essere dipinto adesso è anche il gatto di casa. Sgridate, scuse e un po' di lacrime finiscono in un grande abbraccio. A chi invece si impunta va un po' meno bene. Intorno c'è chi gioca e chi suona. Quando si fa l'ora di andare a letto, nel sottotetto, qualcuno di quei bambini prende un libro da leggere e qualcun altro continua il suo broncio. Ma tutti, da addormentati, sogneranno qualcosa.
La vita va avanti nella grande casa che contiene i loro giochi, i loro sogni di mare, i loro tesori, i loro segreti, i loro dentini caduti. 
La vita va avanti anche nei lavori da fare: mungere, pulire la stalla, allattare i vitellini, raccogliere il fieno sul carro. Ma anche andare a pescare e raccogliere mele per la torta di mamma. I più grandi hanno cullato il bebè, hanno aggiustato i calzini e attaccato bottoni che prima erano conchiglia. 
Se i bambini ogni giorno diventano più grandi, la casa ogni giorno diventa più vecchia: entra l'acqua dal tetto e piano piano si svuota perché ognuno di loro parte per la propria strada. 
E quando anche le ultime due sorelle, ormai vecchiette anche loro, la lasciano per raggiungere il mare tanto sognato, la casa si svuota, diventa silenziosa, ma non per molto... 

Succedono cose molto interessanti in questo libro. 
In ordine sparso: la prima è l'idea di fondo: ossia di raccontare la storia di un grande contenitore - una casa - attraverso il suo contenuto - una famiglia con i suoi animali. Bambini, genitori, gatti, mucche un cavallo si muovono tra le sue mura e con esse interagiscono: dai segni lasciati su uno stipite per segnare le altezze dei bambini, alle coccarde appese che sono state vinte a scuola per buona condotta, dai fiorellini stampati sulle pareti ai segni di una di una foto incorniciata portata via come ultimo ricordo. 


Non è esattamente il primo libro con questa prospettiva, tuttavia con i suoi precedenti, condivide l'intento di dare voce e anima a chi si suppone non ne abbia: un muro, un tetto, una porta... 
Chiunque avrà nei propri ricordi l'attraversamento di una casa disabitata e avrà altresì in mente di averla immaginata abitata e per farlo avrà dovuto cogliere i segni che essa porta sui muri, le tracce sui pavimenti: è una voce silenziosa, ma pure sempre una voce. E come spesso accade sono le assenze, i vuoti a raccontare, come fossero echi di suoni che ora non ci sono più. 
E proprio su questi vuoti Sophie Blackall costruisce la storia di una casa diroccata che era accanto alla vecchia fattoria che lei aveva appena acquistato.
 La casa, così è lei stessa a raccontare, era davvero molto malmessa. Talmente lo era che lei - che tanto ama le cose vecchie - non ha potuto fare diversamente e l'ha fatta demolire (dolore vero). Tuttavia le sue pareti pericolanti avevano conservato nel tempo piccoli o grandi oggetti che invece ha salvato non solo per conservarne il valore come cimeli, ma per farli entrare di nuovo in gioco a rappresentare di nuovo l'arredo della casa, quella disegnata. Pezzetti di stoffa, un bottone di madreperla, tutti possibili frammenti di carte raccolti, sono diventati illustrazione, strato su strato. Oppure sono diventati parole. 


Le cose vecchie portano storie. 
Un bottone un tempo è stato conchiglia. E questa è la seconda cosa interessante che succede. 
La terza è il racconto della vita di quella casa senza le persone, una casa che si fa tana, cuccia, riparo. 
Un orso in cantina, procioni in cucina e scoiattoli alla scordatura dell'organo. 
La quarta è la ricerca da parte di Sophie Blackall delle storie vere della famiglia Swantak. Le raccoglie soprattutto attraverso i racconti dei loro discendenti che quella valle la abitano ancora. E attraverso le storie che ha ascoltato e raccolto ne è nata una poesia illustrata: un unico flusso che attraversa il tempo senza mai fermarsi. Solo qualche virgola qui e lì e un punto alla fine. Lo stesso lo si percepisce nelle immagini che attraversano il tempo con bambini e bambine che crescono. Grandi panorami sinuosi della campagna cui si alternano visioni della casa piena di gente, di mobili e di suppellettili, visti in sezione come se fosse una casa di bambole. E in qualche modo lo vuole essere.


La quinta cosa sono gli indiscussi qualità, spessore e esattezza, di disegno e parola (nella traduzione di Chiara Carminati). 
La capacità di essere semplice e nello stesso modo intenso. Di essere chiaro e profondo. 
In un dialogo, un canto libero tra figure e parole.

Carla

lunedì 4 aprile 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA VERTIGINE DELLA LISTA

Unico nel suo genere. Una storia sul raggruppare e classificare, Neil Packer
(trad. Sara Saorin) 
Camelozampa 2022 


ILLUSTRATI 

"Questo è Arvo. E questa è la famiglia di Arvo. Questo è il gatto di Arvo, Malcom. E questa è la famiglia di Malcom. Arvo e il suo gatto, però, appartengono a un gruppo ancora più grande... il regno animale. Se sei umano, sei uno degli oltre sette miliardi di esseri umani, ma siamo solo una piccolissima parte del regno animale. Tutto può essere raggruppato!" 

Arvo è un ragazzino che sta correndo, con due custodie di strumento a tracolla: quella di un violino e quella di una chitarra. Probabilmente la chitarra la studia a scuola, mentre a lezione di violino è il padre che lo deve accompagnare con la macchina. Poi Arvo lo si ritrova nel suo capanno degli attrezzi dove rimette in sesto la sua bici che ha forato una gomma. Poi con la bici corre in città ma deve accelerare perché il tempo sembra instabile. Lo vediamo che sta per entrare nel centro cittadino e per più pagine riconosciamo mentre pedala, avanti e indietro, tra edifici diversi. Il suo obiettivo è arrivare dal fruttivendolo, perché ha una commissione da fare per suo padre: comprare delle mele. Le compra anche se la scelta non è facile, viste le tante diverse qualità. Resta un mistero dove abbia lasciato la bici, ma non importa perché adesso lo seguiamo mentre fa un salto in biblioteca per prendere in prestito un libro d'arte. 


La biblioteca sembra essere un posto adatto a questo ragazzino curioso, infatti Arvo decide di fermarsi per dare anche un'occhiata ad altri libri: uno in particolare attira la sua attenzione perché è sul cibo preferito, il formaggio. Ma Arvo è un ragazzino pieno di interessi e quindi il suo tempo in biblioteca si dilata... Preoccupato di fare tardi, è di nuovo in giro per le strade della sua città. E mentre è lì, un pensiero lo attraversa nel momento in cui il suo sguardo ne incrocia un altro familiare, quello del padre. Come è possibile che tra tante persone siano riusciti a riconoscersi e a trovarsi? La risposta che gli dà il padre ha molto a che fare con l'essere unici nel proprio genere... umano. 

Se questo fosse l'unico filo narrativo che attraversa il libro, saremmo di fronte a poca cosa. Mentre invece Unico nel suo genere, quanto meno per dimostrarsi coerente con il titolo che porta, è qualcosa di molto più ricco, qualcosa di molto particolare. Qualcosa di molto insolito, che difficilmente può permettersi di passare inosservato e che, una volta aperto, dimostra tutte le sue potenzialità, tutta la sua forza catalizzante. La prima cosa che salta agli occhi è il formato (38x28 cm) e subito dopo il tipo di disegno, che già dalla copertina divisa in 12 riquadri  rettangolari denuncia molteplici direzioni che il tipo di illustrazione prende. Dalla fotografia, al Costruttivismo, dal disegno scientifico a quello 'prospettico'. 
E' confermato: mai visto niente di simile. 


Ancora prima di arrivare al grande frontespizio di un bel bianco e nero, leggiamo qualche riga di N.P. in cui racconta cosa lo abbia spinto a progettare, come suo primo libro da autore completo, un oggetto così particolare. 
Sembra di capire che la passione per la catalogazione, per organizzare le cose secondo categorie sia nel suo DNA. Come ogni buon catalogatore, anche N.P. ha molto chiaro che non esiste un unico criterio e che non esiste soprattutto un unico livello di precisione. Ci si può muovere dall'assoluto rigore della scienza alla casualità di un pasticcione, accumulatore seriale. Lui si pone nel mezzo e laddove gli è stato possibile, ha applicato criteri recenti e condivisi, ma in molti altri casi ha scelto quello suo personale, quello che gli è più congeniale. 
Su una cosa non si può che dargli ragione nell'aver perseguito il suo intento di creare un libro bello e divertente. Unico nel suo genere è prima di tutto un libro bello e divertente e quando prima è stato definito catalizzante lo si è fatto a ragion veduta: una volta aperto non puoi fare a meno di guardarlo e di sfogliarlo e di attraversarlo con lentezza, dal centro alla periferia della pagina e viceversa. Questo effetto ammaliante, quasi ipnotico lo si percepisce fin dalla prima illustrazione in cui conosciamo Arvo, il suo abbigliamento, la sua premura di andare, ed è lì messo al centro del grande foglio e al centro di un sistema di raggi che lo rendono a dir poco magnetico. 


La pagina successiva è di tutt'altro genere: un ordinato reticolo di piccoli ritratti umani connessi tra loro da una serie di connessioni che poi scopriamo essere il grande albero genealogico di Arvo. Lui è seduto - si prende una pausa - in basso al centro. La sua testa è connessa con le due figurine dei genitori che a loro volta sono connessi con i loro, con fratelli, cugini, zii con quelli consanguinei e quelli acquisiti. Quarantatré da parte di madre e ben quarantasei da parte di padre, che ad evidenza viene da una famiglia più numerosa... 
Ciascuno di loro ha caratteri somatici diversi, capelli differenti e soprattutto per ognuno di loro N.P. ci tiene a far sapere la percentuale di DNA che i singoli membri della famiglia condividono. Per capirci, sotto madre e padre la percentuale riportata nel tondino giallo è di 50%. Con lo zio, ossia il fratello di mamma, del 25% con la moglie dello zio invece è 0. Ci si può trascorrere del tempo a cogliere le somiglianze, a studiare i tratti caratteristici, quelli regressivi e quelli dominanti... 
Altra pagina, altro cambio di stile: un gattone - Malcom - impera a sinistra, mentre a destra si allineano 37 felini, la famiglia dei felidae, anche questi tenuti assieme da una rete, che ovviamente non è di parentela, ma che sta insieme in base al criterio del tempo, della discendenza, ovverosia l'evoluzione della famiglia dei gatti, attraverso le diverse ere geologiche. 


Terza pagina, terza ulteriore scelta: qualcosa di simile a un grande gioco dell'oca concentrico in cui attraverso la scansione data da specie, genere, famiglia, ordine, classe, phylum e infine regno, è possibile ricostruire quanto Arvo debba condividere con i sapiens, con gli ominidi, con i primati, con i mammiferi, con i vertebrati e infine con il grande regno animale, ovvero con tutto ciò che è organico e in grado di muoversi autonomamente. In ciascuna delle spirali di caselle N.P. ripete più volte i singoli elementi che necessariamente devono ritornare: per intenderci Arvo con i primati è in compagnia dei gorilla (con i quali era in compagnia anche nella linea degli Ominidi) ma anche dei macachi e di sua bisnonna, da parte di padre. 
Ulteriore cambio, quando si arriva alla pagina in cui gli strumenti musicali vengono organizzati, voce umana compresa, in macro categorie. Il criterio sembra essere quello più diffuso e conosciuto. Poi si passa ai mezzi di trasporto... e via andare. 
A questo punto il gioco di N.P. è molto più dichiarato: a seconda di quali siano le macro categorie da ordinare: dall'edilizia, ai felini, dagli strumenti ai cultivar di mele esistenti, costruisce un esile filo di un racconto di cose che Arvo fa nel corso della sua giornata. Noi lettori ci teniamo attaccati a esso e per ciascuna doppia pagina che qui non è poca cosa, ci prendiamo il tempo necessario per dare forma e spessore al catalogo degli oggetti e del pensiero. Ogni categoria, ogni pagina ha un suo criterio di organizzazione nello spazio e ha una sua particolare e diversa scelta stilistica che la rende 'unica nel suo genere'. 


Si passano interi quarti d'ora a leggere i singoli nomi degli utensili ordinatamente disposti sulle colorate pareti del capanno degli attrezzi. Si va a cercare in rete se effettivamente quello possa essere definito seghetto a copiare o non sia piuttosto il seghetto da traforo, si riconosce il saracco, il martello da carpentiere, si nota purtroppo l'assenza del ben noto maleppeggio. Dei cacciaviti quello a stella qui ha un altisonante nome esotico Pozidriv, mentre quello a croce è il Phillips e nello stesso tempo ti interroghi di come si possa vivere bene pur non avendo in casa un set di punte Torx. Insomma ci si perde, si impara ma soprattutto si passa in assoluta piacevolezza per gli occhi e per la testa un gran bel tempo, un tempo intelligente e pieno di sollecitazioni. Però. 


Però, visto che tra catalogatori esiste una rispettosa ma latente rivalità a chi fa meglio e a chi fa di più, a me è venuto in mente che N.P. avrebbe potuto 'intrecciare' ancora di più le cose, ovvero avrebbe potuto creare ancora più connessioni tra i vari cataloghi e non solo mettere qui e lì una bisnonna o un obelisco. In tal modo non solo avrebbe solo fatto un libro bello e divertente sul concetto di catalogare, e lo ha fatto, non solo avrebbe dimostrato la tesi sull'unicità di ciascuno, e lo ha fatto, ma anche quella secondo cui in fisica -e non solo- tutto si tiene...
Insaziabili! 

Carla

venerdì 8 ottobre 2021

FAMMI UNA DOMANDA!

IL TEMPO, I TEMPI


Guillaume Duprat è un maestro, un autore che ha mostrato, con grande efficacia, come i libri di divulgazione possano essere anche esperienze estetiche, viaggi nel reale enell’immaginario. Dal primo tradotto in italiano, ‘Il libro delle terre immaginate’, al più recente ‘Universi. Dai mondi greci ai multiversi’, l’autore e illustratore francese ha avuto il coraggio e la capacità di attraversare molti argomenti ‘spinosi’ per la loro complessità: lediverse ‘visioni’ del mondo, l’ottica applicata alla zoologia, i misteri dell’astrofisica. La sua impostazione, che unisce solidamente testo e immagine, gli ha consentito di rendere argomenti di grande complessità comprensibili anche per i più giovani.
Arrivato da pochi giorni in libreria, ‘Il libro dei Tempi’, pubblicato come di consueto daL’Ippocampo, mi sembra rivolto a bambine e bambini dai sette, otto anni in poi. Duprat, qui supportato da Olivier Charbonnel, specialista in cartotecnica e pop up, fa un breve viaggio nella dimensione temporale, alternando la descrizione oggettiva di come il tempo è stato concepito e misurato, al discorso del tempo soggettivo.
Viene dunque descritta la diversa scala temporale della vita di tanti organismi, che possono vivere poche ore, come l’effimera, o centinaia di anni, come alcuni alberi. Il succedersi delle generazioni, e quindi il tempo passato espresso dal ramificato albero genealogico, ci avvicina al tempo storico, che però si sviluppa su un piano temporale che prescinde dalla nostra memoria.
C’è poi il ritmo naturale dato dal succedersi del giorno e della notte, con il correlato ritmo circadiano che regola le nostre vite; e di qui i sistemi sempre più esatti di misurazione del tempo.



Veloce, anzi velocissimo l’accenno alla teoria della relatività e alle implicazioni che riguardano la dimensione temporale.Dagli orologi super precisi, i fusi orari che regolano le relazioni fra gli stati nel mondo, si approda al tempo soggettivo, quello dettato dalle emozioni, dagli stati d’animo, dai sogni.
Linguaggio chiaro, esempi che attingono alle esperienze della vita quotidiana, immagini suggestive e nello stesso tempo precisa integrazione del testo rendono il libro adatto a bambini e bambine che cominciano a farsi quelle domande radicali che tanto imbarazzano gli adulti; a differenza di altri testi, come il bellissimo ‘Universi’ , non ci sono passaggi di grande astrazione e non vedo davvero nessuna difficoltà a proporlo dai sette anni in poi.
Le suggestioni sono moltissime, partendo proprio dalla differenza fra il tempo soggettivo e il tempo misurato dalle precisissime macchine che abbiamo inventato. Così come è affascinante esplorare i tempi cosmici, commisurati ai tempi biologici.


Sfogliare le pagine, animare le immagini, scoprire i testi nascosti saranno il divertente complemento di una lettura che apre un vero universo di domande.

Eleonora

“Il libro dei Tempi”, G. Duprat e O. Charbonnel, L’Ippocampo edizioni 2021


venerdì 23 aprile 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL COLORE EMOTIVO
 
Il germoglio che non voleva crescere, Britta Teckentrup
(trad. Sante Bandirali)
Uovonero Edizioni 2021


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)
 
"Formica aveva ragione. Ben presto il seme mise delle piccole radici e cominciarono ad apparire delle foglioline verdi.
La sua vita stava cominciando.
Sembrava molto delicato e fragile.
Formica e Coccinella se ne innamorarono immediatamente."
 
Quel seme aveva impiegato più tempo degli altri a germogliare e quindi quando comincia a crescere le foglie degli altri gli fanno ombra. Così diventa per lui necessario mettersi in cammino verso il sole. Tutti gli animali del prato, da piccoli a grandi, lo sostengono e lo aiutano come possono. Formica e Coccinella sono davvero orgogliose di come da piccolo germoglio diventi una pianta sempre più robusta e determinata che attraversa l'ombra in cerca del sole. Finalmente quando anche la piccola piantina riesce a sentirne il calore sulle foglie si si rende finalmente conto che quello è il suo posto sulla terra.
Felice, diventa ogni giorno qualcos'altro: una bella pianta che produce boccioli che poi diventano fiori, si riempie di bellissime foglie e durante l'estate è casa per molti animali. Quegli stessi che lo avevano sostenuto quando era piccolo germoglio. Loro non la dimenticheranno neanche quando l'autunno le dora le foglie e il vento la fa ondeggiare e le porta via i semi, verso il loro proprio destino. E' in arrivo l'inverno e con lui il silenzio e il freddo della neve che tutto copre, anche la pianta. Piccolo topo con gli altri amici animali esprimono il desiderio di ritrovarla alla primavera successiva. Accadrà? 
 
Il colore in un libro un po' come la musica in un film: agisce sulle emozioni. E' dalla metà dell'Ottocento che i pittori lo teorizzano.
Lo stesso si può dire della luce.
 

Britta Teckentrup lo sa e nei suoi libri se ne serve spesso e volentieri.
Su un testo esile che racconta il percorso faticoso di un seme, più lento di altri, verso il suo diventare pianta, l'elemento che colpisce è l'impatto forte che proprio il colore e la luce - molto più che parole, disegno o composizione - hanno anche a livello narrativo. 
 

Un bambino, anche nel silenzio delle parole, sarebbe in grado di leggere la luce e sentire il suono dello scorrere delle stagioni, il passaggio dall'ombra attutita di un sottobosco, alla luce piena di un prato illuminato dal sole e brulicante di piccoli suoni emessi dalla miriade di animaletti che ronzano. Nei toni caldi del marrone coglie invece l'autunno e nei toni freddi dell'azzurro e del grigio percepisce le intemperie in arrivo: il suono della pioggia, il soffio del vento teso e infine la neve che porta il silenzio, attutendo i suoni e le forme, coprendo entrambi. 
 

In questo senso, i libri di Britta Teckentrup possono essere considerati, nella maggioranza dei casi, come esperienze estetiche dello sguardo: una sorta di percorso verso il riconoscimento e apprezzamento della bellezza.
Il suo metodo compositivo, non dissimile da quello che ha utilizzato Eric Carle anche se con risultati ben diversi già negli anni Sessanta, si basa sulla realizzazione di veri e propri pattern di colore, quindi ritagliati e ricomposti, e qui sta la differenza con Carle, per poi essere rielaborati al computer. Circostanza che le permette di sovrapporli, una volta passati allo scanner e rielaborati, su un unico livello in modo da ottenere quel particolare affetto 'nebbioso' che rappresenta una sorta di sua firma.
Si riconferma la sua predilezione per la creazione di scenari in ombra, ombra che qui più che altrove vediamo in dialogo con il suo opposto, la luce.
 

Entrambe protagoniste assolute, questa volta dichiaratamente, anche nella costruzione narrativa.
Dei colori 'emotivi' la prima cosa che l'occhio percepisce è la sagoma e, solo in un secondo momento, l'occhio va a indagare il dettaglio che è sempre molto puntuale: le farfalle.
E in un terzo momento ascolta le parole che raccontano di un ciclo naturale e nel contempo di una difficoltà superata, grazie a una squadra di supporto.
E a proposito di questo, accanto all'indubitabile valore estetico che ti colpisce all'istante, forse val la pena fermarsi a guardare anche il senso ultimo di questo racconto. La tenacia per uscire dall'ombra e trovare il proprio posto al sole è una questione, ma il farlo in ritardo, con un ritmo diverso da quello comune è una questione ulteriore da mettere in circolo. Ma ancora, per farlo occorre l'impegno e il sostegno di tanti. Diventare grandi è un percorso personale sul quale però ha importanza anche il contributo degli altri. E dimostrare riconoscenza per questo è ancora un tema. 
 

E ultima ma non ultima forse è possibile fare anche una riflessione su come la Natura abbia leggi severe, ma nel contempo abbia in sé una potenza enorme che è all'origine della vita (vita che se è anche protetta con cura diventa più facile) e alla sua lotta per morire quando è il tempo giusto per farlo.
 
Carla

 

venerdì 16 aprile 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

ANCORA SUL PRIMA E SUL DOPO


Dopo l’eccellente rappresentazione del tempo data da Anne-Margot Ramstein e Matthias Aregui in ‘Prima Dopo’, lo stesso editore, L’Ippocampo, propone un illustrato di Bernadette Gervais: ‘In 4 tempi’.
Qui, infatti, la sequenza temporale è scandita dai quattro riquadri che riempiono la pagina di destra, mentre in quella di sinistra il ritmo è esplicitato dai quattro punti in cui si sviluppa l’azione.
In questo modo 1. un bocciolo 2. si schiude, 3. cadono i sepali e 4. il papavero sboccia.
 

Fosse tutto così, sarebbe probabilmente un lavoro apprezzabile soprattutto dal punto di vista formale. In realtà l’autrice si diverte, e molto, a costruire delle piccole storie: un’anatra che passa da sola, poi, nella sequenza successiva, passa insieme ad un’altra e infine, nella terza sequenza, i due passano seguiti dagli anatroccoli.
Altre volte, le tavole collegate fra loro, con lo stesso soggetto, che non sono mai collocate consecutivamente, ripetono un’azione che appare sempre uguale: la chiocciola che parte e poi passa, sempre lentissimamente.
 

Talvolta viene descritta, sempre in quattro tempi, un’azione velocissima: la lepre che corre o il riccio che, spaventato, si appallottola; altre volte si seguono i cambiamenti indotti dal passare del tempo: la fioritura di un bocciolo o una pera che prima matura e poi marcisce.
Ma tutte queste sequenze sono comunque espressione del passare del tempo, un tempo lineare, talvolta accelerato, altre volte rallentato dall’azione di soggetti lentissimi. Un tempo ritmato e razionalizzato nella scansione in quattro parti, comunque orientato dal passato al presente.
Il lettore e la lettrice più piccoli si divertiranno un mondo a ricostruire le storie, così come le ha pensate l’autrice : quanto tempo, o meglio quante pagine impiega la lumaca per arrivare da un lato all’altro del foglio? E il gatto ad andare e tornare?
 

Ma credo ci si possa divertire moltissimo anche a inventarsele le storie, su questo schema ritmico e semplice.
Meno astratto di ‘Prima Dopo’, questo è un albo godibilissimo a tutte le età: formalmente ineccepibile, coi rigorosi fondi neri della pagina a sinistra e con la geometrica leggibilità delle immagini di destra; la scansione in quattro tempi invita alla ricerca della differenza del dettaglio, qualche volta macroscopico, altre volte no, che denota il passaggio di stato. I più piccoli potranno interpretare al meglio l’aspetto giocoso, i più grandi potranno perdersi in intriganti riflessioni sul tempo, sulla sua soggettività e sullo scorrere ineluttabile dal prima al dopo. Sul tempo si potrebbero dire molte altre cose e lo si potrebbe descrivere in modi diversi, per esempio supponendone la ciclicità; ma questo mi sembra un ottimo, razionalissimo, inizio.
Lettura consigliata a lettrici e lettori dai cinque anni in poi.
 
Eleonora
 
“In 4 tempi”, B. Gervais, L’Ippocampo edizioni 2021



lunedì 22 febbraio 2021

FAMMI UNA DOMANDA!

GUIDA NATURALISTICA AL QUOTIDIANO

Il tempo sospeso imposto dalla pandemia ha in vari modi modificato le abitudini e i ritmi abituali di molti bambini e bambine: meno attività, meno tempo fuori casa, meno spazi dedicati al gioco collettivo; ma non per questo i ragazzi hanno imparato ad apprezzare il tempo dell’attesa, che potrebbe essere scambiato come un tempo noioso, in cui ‘non succede niente’.
E’ stato da poco pubblicato da Giunti un libro che ha l’ambizione di spiegare ai più piccoli che molte cose in natura, per realizzarsi, hanno bisogno di tempo.
‘Piano piano… Osservare la natura per vivere senza fretta’, questo è il titolo, è stato scritto da Rachel Williams con le illustrazioni di Freya Hartas e raccoglie cinquanta storie, prese dal mondo naturale, che declinano in modo diverso l’idea del passare del tempo.
Alcune più intuitivamente evidenti, come la metamorfosi di una farfalla, altre francamente un po’ più forzate. Se appare evidente che un pulcino dentro l’uovo non può certo forzare le tappe della propria crescita, risulta un po’ meno evidente come un tramonto possa di per sé richiamare un concetto di lentezza, a meno di non identificare questo con uno stato di meditazione.
Sicuramente efficaci gli esempi delle formiche tessitrici e del loro duro lavoro per costruire il loro particolare formicaio; del viaggio dei salmoni dal mare al fiume in cui depongono le uova; del serpente che cambia pelle e così continuando.
Molto presenti gli esempi di predazione, che spaziano dalle imprese di un ragno, agli agguati di una libellula, alla caccia di un barbagianni. E’ infatti indiscutibile che una dote dei predatori è sicuramente la pazienza, la capacità di aspettare il momento giusto per sorprendere la preda.
 

Nello stesso modo, viene anche descritta la vita ordinata di un’ape, nonostante i molteplici compiti cui deve fare fronte, o le laboriose abluzioni che consentono a un passero di tenere pulite le proprie penne.
Le illustrazioni di Freya Hartas supportano il testo molto ridotto con tavole che occupano quasi tutta la pagina e che descrivono con minuziosi particolari quanto sinteticamente detto nel testo. Un impianto nell’insieme efficace, anche se un po’ didascalico, che consente di trasmettere, al di là delle descrizioni, un invito rivolto a bambine e bambini ad assaporare il passare del tempo, per lento che possa apparire.
L’autrice, nelle note finali, fa riferimento esplicito alla meditazione e questo spiega alcuni passaggi non immediatamente evidenti. Meditando o meno, è importante che si utilizzi questo tempo sospeso, in cui sembra che tutti non vedano l’ora di tornare alla normalità, per acquisire una nuova consapevolezza sull’uso del tempo, sui ritmi forsennati, sull’assenza di tempo per ‘pensare’.
 

Ottime intenzioni, non sempre realizzate nel modo migliore, ma utili per far capire che non tutto, del tempo di prima, va riproposto così com’era.
La lettura di questo libro illustrato ha senso soprattutto così, facendo emergere un chiaro punto di vista sui nostri tempi, attraverso le mirabolanti imprese di piante ed animali.
Lettura consigliata a bambine e bambini riflessivi, a partire dagli otto anni.
 
Eleonora


“Piano piano...Osservare la natura per vivere senza fretta”, R. Williams e F. Hartas, Giunti 2021