mercoledì 28 febbraio 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

ISOLE!


‘Un mondo di isole’, scritto da Serenella Quarello e illustrato da Camilla Tasin Bertoldi e pubblicato da Editoriale Scienza, è un vasto, approfondito, affascinante repertorio di quelle entità geografiche che chiamiamo, appunto, isole.
I punti di vista con cui guardare a queste realtà grandi e piccole sono diversi: squisitamente geografico, geologico, biologico, storico, letterario.
È piuttosto difficile mettere insieme isole come la Groenlandia con isole molto più piccole, poco più di un insieme di scogli, ma Serenella Quarello riesce nell’intento di proporre un filo conduttore comune che non ha la pretesa della sistematicità, ma risponde alla curiosità del lettore, affrontando di capitolo in capitolo punti di vista differenti.
Un aspetto sicuramente interessante, e importante dal punto di vista della storia della scienza, è quello biologico ed ecologico: le isole rappresentano infatti ecosistemi relativamente chiusi, in cui le specie possono evolvere e differenziarsi anche in aree geografiche ristrette; oltre alle celeberrime Galapagos, che tanto hanno ispirato le ricerche di Charles Darwin, va ricordato, ad esempio, il Madagascar con i suoi lemuri.
Un altro aspetto interessante, e a lungo misterioso, è legato al ciclo vitale delle anguille, che, nella fase riproduttiva migrano verso le isole galleggianti costituite da alghe nel Mar dei Sargassi. Per molto tempo questo viaggio incredibile che porta dei pesci di acqua dolce a traversare l’oceano Atlantico è rimasto sconosciuto, tanto che nell’antichità si credeva che le anguille si generassero spontaneamente dal fango.
Ma non è certo meno interessante l’aspetto storico, che lega alcune isole alle vicende di pirati e corsari, con tanto di mappe, per lo più sbagliate, e tesori nascosti. Ci sono poi isole misteriose, che appaiono e scompaiono nella nebbia, oppure che si spostano; isole leggendarie e isole letterarie, come Indian Island, in cui è ambientato ‘10 piccoli indiani’, oppure Lincoln Island, dove si svolge l’azione de ‘L’isola misteriosa’. All’elenco breve, ma molto divertente, redatto dall’autrice, avrei aggiunto ‘Alla fine del mondo’, scritto dalla McCaughrean e ambientato nell’ostile arcipelago di Saint Kilda, in Scozia.
Ci sono anche molti riferimenti all’attualità, dall’incombere dell’innalzamento del livello dei mari dovuto al riscaldamento globale, con l’inevitabile tragico impatto sulle popolazioni più esposte, come gli abitanti dell’arcipelago di Tuvalu; oppure il proliferare di isole di plastica, costituite dalle tonnellate di rifiuti non degradabili che stanno soffocando il mare.
C’è molto su cui riflettere, ma anche moltissime curiosità, notizie che possono allargare gli orizzonti di lettrici e lettori curiosi. L’impaginazione vivace, le illustrazioni realistiche, ma suggestive, rendono la lettura stimolante, divertente, densa di spunti che chi vuole può approfondire.
Alla fine del libro il necessario glossario e la mappa delle isole.
Consiglio caldamente la lettura, a partire dagli otto anni, a tutti quelli che si immaginano esploratori, a chi ama la natura e la geografia, a chi sogna di vivere le avventure di Robinson Crusoe. Buona lettura!

Eleonora

“Un mondo di isole”, S. Quarello, C. Tasin Bertoldi, Editoriale Scienza 2024


lunedì 26 febbraio 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

I BAMBINI VOLANO

I bambini crescono
, Claudia Mencaroni, Luisa Montalto 
Verbavolant 2023 


ILLUSTRATI 

"Quando nascono 
i bambini stringono i pugni 
e puntano i piedi nudi. 
I piedi dei bambini 
non restano nudi a lungo, 
tranne alcuni 
pochi." 


Ma quali sono le cose da cui nascono questi bambini? Desideri, scricchiolii, speranze, magari anche un dolore, da una possibilità su un milione, da un segreto. 
E cosa succede quando questi bambini sono nati? Beh, è tutto un risveglio, ma anche uno sbadiglio. A questi bambini nati si regalano piume e sassi e sentieri da percorrere e quando questi bambini crescono corrono scalzi. E poi si tuffano. 

Questo è un libro che parla quattro lingue diverse, ma in armonia tra loro. 
La prima è quella scritta nelle parole. 
E saranno i grandi a capirla, nell'ascoltarla e nel volerne cogliere il senso più profondo. Saranno i grandi a cogliere il senso molteplice di molte parole, saranno i grandi a leggere in trasparenza la grande metafora. 
Da tutto ciò, i piccoli mi sembrano esclusi. Loro sono occupati a vivere, insomma sono lì a fare altro che interrogarsi sul senso di queste parole, per loro oscuro. 
Se non le capiscono, pazienza: vuol dire che non sono per loro e tirano dritto. 
La seconda lingua è ancora nelle parole, ma non nel loro senso, quanto piuttosto nel loro suono. E allora sì che i bambini si fermeranno ad ascoltare: non sarà affatto necessario capire, basterà sentire come le parole tintinnino tra loro.
 

I bambini godranno di risveglio e sbadiglio vicini, di scricchiolio, di grembo. Si divertiranno per la pausa necessaria per il giro di pagina e per la frase che riprende in una direzione diversa. Si godranno le piccole pause del verso se letto in modo corretto. Questo è il valore della poesia: quella di suonare ancora prima di dire. 
La terza lingua è silenziosa, pur dicendo un bel po' di cose. È la lingua che si ascolta con gli occhi. E anche questa ai piccoli piacerà, perché è davvero molto insolita. Diversa dalla consuetudine dei libri che avranno letto e sfogliato finora. 
Come nella consuetudine dei libri Verba volant non sembrano esistere vincoli di sorta sul loro formato. Dai libri poster in giù, questa casa editrice (cimento e delizia del loro stampatore Priulla di Palermo) ha sempre guardato un po' più in là rispetto a quelli che sono i formati standard. 
E anche questo libro non fa eccezione. 
L'unica differenza forse sta nel fatto che fino al momento in cui lo sfogli non percepisci i diversi azzardi che contiene. La prima è un angolo, precisamente quello inferiore, ripiegato e incollato con precisione verso il centro del foglio. Va da sé che il disegno ci giochi. 


La seconda è una piegatura ancora più complessa che ha la funzione 'narrativa' di nascondere il bambino che Luisa Montalto disegna nella metà del foglio, quella verso il taglio, cui il testo allude: I bambini nascono da un segreto. Ci sono pagine spiegazzate ad arte oppure pagine più piccole con una bandella che si offre a un nuovo gioco del disegno di Luisa Montalto... E poi c'è l'ultima che non si deve raccontare qui. 
Queste forme che vanno in direzioni mai prese finora, questa programmatica richiesta fatta ai lettori di essere attivi nell'atto consueto di sfogliare le pagine sono stimoli verso la sorpresa e verso la curiosità. 
La quarta e ultima lingua è anche questa tutta visiva ed è quella dei bambini disegnati. 
Un pugnetto di ragazzini, prima più piccoli, poi cresciuti, abitano - ma sarebbe meglio dire scorrazzano sul bianco delle pagine. Si mascherano, si bisbigliano cose all'orecchio, saltellano, si acquattano, si stiracchiano sotto le coperte, e poi si accucciano, poi si arrampicano, poi spiccano un salto e si tuffano, e all'ultimo... spiccano il volo, come uccelletti. 


D'altronde, Almond ce lo ha detto, è una cosa che loro sanno fare: sono bambini. 

Carla

venerdì 23 febbraio 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

BLU SURREALE


Deve essere stata un’impresa faticosa, quella di tradurre ‘Il portoghese blu’, scritto da Peter Svetina e illustrato da Damjan Stepančič : impresa riuscita a Martina Clerici, con la pubblicazione per i Tipi di Sinnos della versione italiana.
Con un evidente e voluto omaggio all’Alice di Lewis Carroll, l’opera dei due artisti sloveni è un caleidoscopio di immagini e parole che insegue il lettore e la lettrice di pagina in pagina.
Si comincia, e ogni riferimento è puramente voluto, con la caduta dell’intrepida Anna Clara nel cassone dei giornali, rovistando fra i quali lei e il coraggioso topo Giacinto (in realtà non sapremo mai se si tratta di un topo o di un ratto) si ritrovano in uno strano paese, in cui imperversa Fosca Marciarita, ex bambina delusa, divenuta perfida strega.
Costei, supportata da Massimo Re e Luigi Gnorsì, ha imprigionato dei poveri bambini sotto campane di vetro ed è ovvio che la nostra Anna Clara si faccia paladina della loro liberazione.
Detto così sembra semplice, in realtà il percorso che i nostri eroi dovranno percorrere è lungo e pieno di sorprese: dal campo di orecchie a quello delle gambe, passando per locande, boschi pieni di imprevisti e incontri straordinari.
Se sono tante le situazioni sorprendenti e fantastiche, altrettante sono le sorprese linguistiche, le parole composte che nascondono altri significati, i giochi di parole basati sulle assonanze e via discorrendo. Per questo va sottolineata la bravura della traduttrice, che in questo labirinto di significati riesce a destreggiarsi rendendo vivida la sua prosa scandita dalle parole in blu.
In tutto questo trambusto, Anna Clara e il fido Giacinto non perdono il filo del loro compito, riuscire a liberare i bambini prigionieri sotto le campane di vetro. Una volta raggiunto l’obbiettivo, possono ritornare a casa, svegliandosi nel cassone dei giornali. Si è trattato di un sogno? Potremmo pensarlo, ma alcuni oggetti misteriosi lasciano nel lettore il dubbio che fra realtà e fantasia la divisione non sia così netta.
Anche le illustrazioni di Stepančič non possono che assecondare il gusto del surreale che emerge dal testo: la foresta di orecchie, il generale della battaglia combattuta a suon di pentole sbattute, facce, mani, occhi che scrutano dalle pagine, tutto concorre a sostenere l’avventuroso e stravagante racconto.
‘Il portoghese blu’, così misterioso, così sorprendente, così pieno di invenzioni linguistiche forse può spaventare i lettori alle prime armi; ma già con un minimo bagaglio di competenze linguistiche, diventa una matrice di giochi e di rimandi.
Consiglio caldamente la lettura a lettrici e lettori, a partire dai dieci anni, che amino le letture sorprendenti, i giochi di parole, le atmosfere fantastiche.

Eleonora

“Il portoghese blu”, P. Svetina & D. Stepančič, Sinnos 2023



mercoledì 21 febbraio 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

RACCONTARE STORIE PER DOMANI

Kosmos, Matteo Meschiari, Roger Olmos 
#Logosedizioni 2023 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER GRANDI (dagli 11 anni) 

"Non preoccuparti, disse una voce nella sua testa. 
Fu allora che vide una piccola ombra staccarsi dalla collina e coprire per un attimo il fuoco. Poi l'ombra avanzò lungo il viale e a un certo punto si fermò, come se volesse lasciare tra sé e Barra Tre uno spazio abbastanza ampio per battere in ritirata. 
Allora, disse la voce nella sua testa, mi presento, io sono Caliban, e no, non sono una cosa da mangiare. Sono un cane, e anche se tu non sai che cos'è un cane, e ci sono certamente dei cani terribili, e c'è anche chi i cani se li mangia, io non voglio farti niente di male e tu non ne farai a me. Adesso avvicinati al fuoco che ti presento gli altri." 

Barra Tre, questo è il diminutivo del suo nome completo che è CSU 956.072/3, ossia l'acronimo di Corpo Sostitutivo Umano, è sopravvissuto al veleno che doveva eliminare lui (o lei) e molti altri CSU buttati nella Grande Vasca. Relitti, ormai erano inservibili, che erano stati 'spenti' dalla fabbrica che li aveva progettati e poi costruiti. 
Barra Tre non soccombe come gli altri e la mattina successiva, sempre sotto una pioggia incessante, si alza in piedi e, con le poche forze che ha, si fa guidare dalla voce che sente nella testa, quella di un cane, Caliban, telepatico. Cane vecchio e un po' sciancato che lo conduce dagli altri che con lui vivono sulle colline del Cimitero delle Macchine. Ad aspettare Caliban ci sono infatti Je Rin, un vecchio clochard dalla lunga barba bianca e dall'incedere regale, nonostante sia vestito di stracci, in quel preciso momento occupato ai fornelli, e AP, un robot dalla forma di grande uovo metallico che fluttua a mezza altezza, smagliante nella conoscenza e nel pensiero, nonostante sia ormai molto scrostata la sua originaria verniciatura rossa. 
© Roger Olmos

Loro tre formano già un piccolo nucleo, una Compagnia Miracolosa, cui Barra Tre si aggiunge, felice di riempirsi un po' la pancia e soprattutto di non sentirsi più solo (o sola) per quel poco che gli resta da vivere. 
Questa è la loro storia. Questo è il loro viaggio, un paio di mesi dell'anno 2520, attraverso luoghi del pianeta, ormai quasi irriconoscibili se non per piccole tracce che affiorano qui e lì nella memoria di chi racconta e di chi legge. 

Il valore profetico - e quindi in qualche modo salvifico - di questa parabola ti aggancia e non ti molla fino alla fine. 
Un lungo racconto illustrato, o un breve romanzo, che mette insieme una sequenza di belle idee che, attraverso una altrettanto bella scrittura per parole e immagini, costruisce uno scenario complesso e articolato, che implica un bel po' di ragionamenti. 
Su tutto questo però si impone un ulteriore elemento, particolarmente interessante. 
Esiste, fin dalla prima pagina, un doppio valore della narrazioni, sia iconica sia testuale: da una parte si tratta di pura letteratura, pura finzione, ma dall'altra il lettore è messo di fronte a una riflessione antropologica alla quale non può sottrarsi. Toccando corde profonde, aggiunge in chi legge e in chi guarda inquietudine alla propria inquietudine. 

© Roger Olmos

Guai se non fosse così. Tuttavia, nello stesso tempo, tanto le immagini quanto il testo hanno la capacità di rischiarare possibili percorsi per uscirne incolumi. 
Le buone storie lo fanno!
La scrittura di Meschiari - che qui ancora una volta mette in campo le sue competenze professionali insieme a quelle più creative - fa una continua operazione di connessione tra il racconto in sé e il senso profondo di cui è intriso. 
All'unisono si muove Olmos, che non perde occasione di raccontare la finzione attraverso una realtà potenziata, ma riconoscibile in tutto e per tutto.
 
© Roger Olmos

Per poi chiudere con una tavola finale che si lascia indietro tutto il disastro fatto di macerie fin lì per offrire uno scenario di una Terra tutta nuova: luminosa, primordiale. 
Lo si può definire dunque parabola, fiaba, racconto epico, ma si lo si potrebbe chiamare anche e soprattutto mito: Kosmos ha la capacità di 'far vedere' le cose, senza per questo mai cadere nella didascalia. Il processo di passaggio da un'apocalisse a una genesi, da una fine a una nuova nascita, è palpabile. 

© Roger Olmos

E qui entrano in gioco ancora una volta l'antropologia di Meschiari e l'arte di Olmos. 
Da antropologo e narratore di storie, Meschiari riesce a mantenere quella necessaria lucidità di pensiero che fa diventare il suo racconto qualcosa che va ben oltre la pura distopia. Lo trasforma davvero in una narrazione che con il mito condivide chiarezza e luminosità. 
Da artista, Olmos dà forma a un immaginario che inquieta per quanto reale appare. E lo fa, nonostante le distorsioni. Per poi sciogliersi invece dentro uno scenario primigenio, che è aria pura. 
Mi pare di aver letto in una intervista a Meschiari che questa sua scelta di riflettere in chiave antropologica attraverso la letteratura di invenzione sia una sua modalità per indirizzare il pensiero scientifico verso una dimensione dichiaratamente immaginativa. Questo gli permette di raggiungere il suo obiettivo primario, ovvero l'esplorazione di ciò che è ancora ignoto. Ma mette in pratica anche il suo contrario, ovvero Meschiari è capace di permeare la letteratura di riflessioni antropologiche per dare ai suoi lettori una possibile chiave di lettura del mondo e del modo di starci dentro. 
Ed è forse in questa prospettiva che la lettura di Kosmos diventa strumento nelle mani di un lettore. Lettori di oggi, ma forse ancora di più di domani, visto il nome dato alla collana: La capsula del tempo.
Da una parte, le grandi questioni quali la terra come matrice comune, l'importanza dell'altro da noi, la necessità del mutuo soccorso, l'affermazione della propria identità, la lotta contro l'ingiustizia e la prevaricazione, il potere e le sue nefandezze, l'amicizia, l'affetto, la perdita e il suo superamento, la memoria... e potrei continuare. Tutte queste cose sono lì sulla pagina, intrecciate in un racconto che sa essere anche avventuroso e al tempo stesso sottilmente ironico. 

© Roger Olmos

Dall'altra parte irrompe l'immaginario di Roger Olmos che ha il potere di rendere su quella stessa pagina tutto drammaticamente visibile e indelebile. 

Carla

lunedì 19 febbraio 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

CERCANDO LA FILOSOFIA


Matteo Saudino è uno stimabile professore di storia e filosofia in un liceo torinese, ma è anche autore di un noto canale youtube ‘BarbaSophia’, dedicato alla filosofia.
Anche lui, che è un ottimo divulgatore, si cimenta nell’impresa di raccontare la filosofia ai bambini e lo fa con un romanzo filosofico intitolato ‘Sofia Express’, pubblicato lo scorso anno da Salani.
La forma narrativa è spesso usata quando, nella divulgazione, si affrontano temi complessi; in questo caso il tema del viaggio fantastico compiuto da bambini e bambine di una quinta elementare è niente meno che la ricerca della felicità, nel pensiero filosofico della Grecia antica.
Dalla complessità del tema si evince quanto fosse necessario contenere l’argomento in un ambito almeno in parte più ristretto. Ed ecco l’escamotage del pulmino ‘Sofia Express’ che porta i bambini attraverso il tempo e lo spazio, fra Atene e Alessandria d’Egitto, passando per il giardino di Epicuro nei sobborghi di Atene.
In questo viaggio i bambini sono accompagnati dal loro maestro Paolo e dalla reincarnazione della filosofa Diotima di Mantinea. I bambini, dunque, con la mente piena di domande, incontrano prima il sofista Protagora, poi la scienziata Ipazia, poi Epicuro, infine Socrate e Platone.
Il tema della felicità è tanto accattivante quanto difficile da affrontare: quello che bambini e bambine imparano in questi incontri ravvicinati con i pensatori greci è soprattutto un metodo di indagine, che parte proprio dalla definizione di quello che consideriamo ‘felicità’. Un metodo razionale, che sfronda l’idea di felicità da tutte le accezioni più facili e banali. Seguire questo metodo implica impostare un discorso che è condiviso da tutti e tutte e che risponde alle diverse esigenze e aspirazioni, cercandone il tratto comune.
In questo modo, i giovani lettori e lettrici si confrontano con il concetto di moderazione, proprio della filosofia epicurea, col precetto, di origine delfica, di ‘conosci te stesso’, col metodo dialogico che consente ai pensieri di emergere e di confrontarsi con il punto di vista di altri.
Le tematiche connesse a quelle esposte sono molte, ma giustamente l’autore si concentra su questi concetti basilari che rendono l’idea dell’originalità e radicalità del pensiero greco, che è poi la fonte e l’origine del nostro.
Se, dunque, l’intenzione è meritoria e valido il criterio di selezione dei temi affrontati, trovo tuttavia difficile immaginare un uso autonomo di questo libro da parte dei giovani lettori, comunque di un’età superiore ai dodici anni. D’altra parte, anche isolando i singoli episodi, non si semplifica la comprensione del filo conduttore che lega uno all’altro. 
Ho qualche dubbio che la forma narrativa sia davvero il veicolo migliore per introdurre concetti filosofici.
In fondo, la cosa migliore è adottare il metodo socratico e sottoporre a bambini/e e ragazzi/e quesiti sempre più radicali, guidandoli nella ricerca di risposte razionali e condivise.
Consiglio comunque la lettura a chi si voglia cimentare nell’impresa di introdurre i giovani lettori nei meandri del pensiero filosofico.

Eleonora

“Sofia Express”, M. Saudino, Salani 2023






venerdì 16 febbraio 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA GALLINA NON E' UN ANIMALE...

Peggy. Il viaggio in città di una gallina avventurosa, Anna Walker 
(trad. Elena Montemaggi) 
Caissa Italia Editore 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Ogni giorno, pioggia o sole, Peggy fa colazione, gioca nell'aia e osserva i piccioni. 
Un giorno tempestoso una forte folata di vento squarcia le nuvole e si porta via foglie, ramoscelli e... Peggy. 
Peggy atterra con un tonfo sordo. 
È lontana da casa. 
Si alza, arruffa le piume e si incammina.!" 

Ed è così che una gallina nera comincia a zampettare per le strade trafficate di una città. 
La gente sembra non notarla. Ma lei invece nota tutto quello che vede: la sua immagine moltiplicata per il numero di televisori esposti in quella vetrina, gli animali - veri o finti che siano - assaggia anche gli spaghetti e il pop corn al cinema. E quando è stanca riesce anche a trovare un angolino tranquillo dove riposare, anche se non è esattamente come a casa. 
Ecco, è proprio di casa che sente la nostalgia, ma anche se chiede in giro come tornarci, nessuno la capisce e la sa essere d'aiuto. 
Deve fare tutto da sola, facendo appello al proverbiale buon senso di cui è dotata ogni gallina. 
Decide di seguire quelle poche tracce che le possono ricordare casa: dei girasoli, per esempio. O dei piccioni... 

Le storie con le galline dentro, di solito, sono interessanti a prescindere. Davvero è difficile che passino inosservate. Tanto le galline, nella nomea che le precede, sono considerate animali stupidi, tanto invece nelle storie che le riguardano di solito si riscattano con onore. Non bisogna credere alla canzone di Cochi e Renato: la gallina non è un animale intelligente, lo si capisce lo si capisce da come guarda la gente...


Peggy non fa eccezione. 
La sua storia nasce dall'osservazione diretta della gallina di casa Walker che, importunata dal cane Sunshine, non si dava mai per sconfitta: svolazzava un po' più in là e ricominciava a farsi i fatti suoi in tutta serenità. La Peggy letteraria fa altrettanto: non si scompone, tutt'al più si arruffa, ma poi riprende con passo sicuro il suo cammino. Anche in una grande città, per lei campagnola, un'assoluta novità. 
Ci sono almeno tre cose belle in questo albo: la prima è la qualità del disegno, la seconda è l'alternanza e il buon equilibrio tra la lingua scritta e quella disegnata, la terza è il finale. 
La qualità del disegno e una certa grazia diffusa si percepiscono fin dalla copertina di questo libro che arriva dall'Australia, dove è stato pubblicato una dozzina di anni fa. L'impronta australiana si percepisce anche se con l'altra grande autrice Freya Blackwood le differenze si percepiscono.
Anna Walker, dalla sua parte, ha sempre dimostrato una grande versatilità nell'uso delle diverse tecniche, anche se è appunto l'acquerello il medium in cui raggiunge i risultati più interessanti. 
E' un fatto innegabile che lei dimostri sempre di sapere molto bene scegliere, a seconda della direzione che la storia prende, la tecnica da usare: dal monotipo alla grafite, dal collage alla guache. 


E anche Peggy non fa eccezione: nella dominanza dell'acquerello - che le permette di raggiungere ottimi risultati per gamma di toni e per trasparenze - si prende lo sfizio di 'punteggiarlo' con più di un collage di fotografie. Piacevole scoprirle qui e lì. 
E a proposito di acquerello, forse è il caso di notare come Anna Walker usi solo lo stretto necessario il pennino a china per ripassare i contorni delle figure, ma invece sfrutti al meglio il naturale tono lievemente più scuro che si crea sui contorni laddove la pennellata ha inizio o termina (Oxenbury e Wiesner rule!).


Rispetto al rapporto tra i due modi di narrare, Walker dimostra di saper calibrare molto bene quando sia il momento delle parole e quando invece a 'parlare' sia il disegno. In questo caso, sembra prenderci gusto e moltiplicare le occasioni di ripetere lo stesso soggetto, Peggy, in una sequenza che ha un ritmo bello serrato. Una piccola frase come Peggy osserva, zompetta, saltella, volteggia e assaggia le offre la possibilità di moltiplicare le singole scene per ben quattordici volte all'interno della doppia pagina. 
Il disegno, spesso nel più assoluto silenzio, le dà anche modo di essere ironica. 
Di nuovo una piccola frase come Peggy vede cose che non ha mai visto prima è un buon assist per il disegno nell'angolo destro della doppia tavola con uno scenario di città. 
Sa sfruttare  i giri di pagina per i suoi piccoli coup de théâtre, compreso il finale, ed è brava a creare una sorta di circolarità nel racconto, che tra inizio e fine parrebbe davvero essere speculare, tranne per due piccoli dettagli, che sembrano essere il nocciolo di senso di tutta la storia.


In cauda venenum: a mio gusto, un paio di virgole in più e un sottotitolo in meno. 

Carla

mercoledì 14 febbraio 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

LA NATURA E I NUMERI


Distanti dalle biografie storiche che si sono moltiplicate nell’editoria per ragazzi, dopo il successo, piuttosto effimero, delle ‘Storie della buonanotte per bambine ribelli’, Guido Quarzo e Anna Vivarelli firmano insieme diversi romanzi storici che si contraddistinguono per l’accuratezza storica e la forma narrativa avvincente.
Nel 2023 hanno pubblicato, per i tipi di Editoriale Scienza, ‘Il mio nome è Tartaglia’, dedicato al matematico bresciano vissuto nel ‘500.
La storia di Nicolò Fontana, più tardi chiamato Tartaglia, è drammatica: durante il sacco di Brescia, operato dalle truppe francesi nel 1512, il ragazzino viene colpito in pieno viso da un colpo di spada, che lo farà sentire a lungo deforme e provocherà i difetti di pronuncia che lo segnarono per tutta la vita. Di famiglia povera, Nicolò accede agli studi già quattordicenne, ma le sue capacità straordinarie gli consentono di recuperare velocemente e di imparare a leggere correntemente anche in latino.
La frequentazione con un artigiano locale, che conserva un automa costruito sulla base dei disegni di Leonardo, la Comare Pettegola, poi la frequentazione con un ricco notaio dotato di una fornitissima biblioteca matematica, gli aprono la via verso sia le ricerche matematiche che quelle applicate, che svolgerà soprattutto fra Verona e Venezia.
Finalmente appagata la sua sete di sapere, Nicolò può dedicarsi anche all’insegnamento, coronando il suo sogno di riscatto. Nel romanzo si conclude anche la vicenda del vile soldato, un italiano passato ai francesi, colpevole della sua infermità: viene infatti ucciso, diversi anni dopo, mentre tenta la fuga.
Il nome di Tartaglia è legato alla soluzione delle equazioni di terzo grado, al triangolo di Tartaglia e alle traduzioni in italiano delle opere di Euclide e Archimede, è quindi uno dei personaggi più significativi della matematica italiana di quel periodo.
L’impostazione data da Quarzo e Vivarelli al racconto della vita già di per sé affascinante del matematico è interessante per diversi motivi, principalmente perché pone l’accento su due aspetti importanti della scienza moderna: la visione per cui i numeri sono immanenti alle cose e la matematica diventa il linguaggio con cui esprimere l’essenza numerica della natura; e l’interesse, che sarà sempre più crescente, per gli automi e il loro uso in ambito militare. Nel Codice Atlantico di Leonardo sono stati rinvenuti, in effetti, diversi disegni che si possono far risalire a un progetto di ‘soldato meccanico’; studi di questo genere rientravano in generale nella ricerca di nuove armi, sempre più potenti.
Il primo aspetto ha evidenti implicazioni filosofiche, che ritrovano le loro radici nel pensiero pitagorico e platonico; il secondo traccia un indirizzo di ricerca che troverà la sua maggiore espressione nel ‘700.
Questioni, quindi, molto importanti, che gli autori riescono efficacemente a calare in un romanzo che non si perde mai in digressioni didascaliche; anzi il ritmo sostenuto e lo stile stringato con cui sono narrate le vicende di Nicolò aiutano anche il lettore digiuno di matematica a immergersi con piacere in questo racconto.
Consiglio la lettura, a partire dai dodici anni, a tutti quei lettori e quelle lettrici che nelle storie cercano suggestioni impegnative, che abbiano curiosità per le cose del mondo e per le scienze che, a vario modo, le descrivono.

Eleonora

“Il mio nome è Tartaglia”, G. Quarzo e A. Vivarelli, Editoriale Scienza 2023


lunedì 12 febbraio 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN BELL'AFFARE

Madeline
, Ludwig Bemelmans (trad. Alessandro Riccioni) 
Lupoguido 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"A Parigi, in una vecchia casa 
 coperta di edera rigogliosa 
vivevano dodici bambine, in fila per due. 
In fila per due, in mensa a mangiare, 
in fila per due, i denti a lavare. 
In fila per due, in silenzio perfetto, 
in fila per due, e poi subito a letto!" 

Una di loro, la più piccola e la più coraggiosa, si chiama Madeline ed è quella che di più dà filo da torcere alla signorina Irene, l'istitutrice. Vestita come una suora, ma lo sarà poi veramente?, la signorina Irene ha il compito di vegliare sulle dodici bambine. 
Tutte con la loro divisa, con il grande cappello, si muovono all'unisono: sono un piccolo plotone di educande. 
La signorina ha il compito di scandire i tempi delle loro giornate, ne organizza le attività tra le mura del collegio, ma anche all'aperto, per le strade di Parigi. Le segue, o precede, ovunque, insegnando loro le buone maniere, ma anche vegliando amorevolmente sul loro stato di salute: non solo un'istitutrice, ma anche una zelante vigilatrice. 
Ed è infatti lei che, messa in allarme dalle urla della povera Madeline, chiama subito il dottore perché la piccola si lamenta e piange calde lacrime nel dodicesimo lettino, poco prima del sonno notturno. 
Il dottore, accorso, capisce la gravità e, avvolta Madeline in una coperta, con l'ambulanza la porta in ospedale: un lampante caso di appendicite. 
Per dieci giorni le sue compagne di collegio l'hanno persa di vista, finché in torpedone tutte insieme con la signorina Irene, la vanno a trovare al capezzale in ospedale. 
Circondata da amorevoli cure, vezzeggiata e coccolata, la piccola Madeline è attorniata da giocattoli, libri e può avere mille diversi tipi di dolci e poi, soprattutto, ora ha da mostrare alle compagne un bel segno rosso sopra l'elastico delle mutande. 
Le undici educande sgranano gli occhi per la sorpresa e ciascuna nella propria testolina elabora un pensiero che diventa comune: l'appendicite sembra essere proprio un bell'affare... 

Lontano nel tempo: pubblicato nel 1939 dopo essere stato rifiutato dall'editore storico di Bemelmans, Viking, la prima edizione di Medeline esce negli Stati Uniti con Simon e Schuster, il giorno preciso dello scoppio della Seconda Guerra mondiale. 
Lontano nel contesto: un collegio parigino molto austero per giovani educande, guidate da una signorina, a suo modo dolce e premurosa, che tanto assomiglia a una novizia. 


Lontano nelle sue forme: pubblicato al risparmio in due soli colori, con unicamente, seppure magnifiche, 8 tavole a colori. 
Lontano nel segno: un segno rapido che Bemelmans mutua dalla sua attitudine a schizzare volti e personaggi e quindi poi dalla sua attività di vignettista. Ma nello stesso tempo un segno espressivo, riassuntivo, un segno d'artista che è figlio di una precisa temperie culturale e di una sua istintiva capacità a riassumere in pochi tratti i caratteri di un personaggio. 


Eppure tutta questa apparente lontananza, estraneità a quello che è il canone dell'illustrazione dell'epoca e ancora di più di quello contemporaneo, questa sua immediatezza e unicità, gli ha permesso di attraversare con successo il tempo che passa e arrivare fino a qui ancora pieno di freschezza e attualità. Così come è successo a tutti i più grandi. 
Europeo fino nel midollo, ma poi cresciuto alla grande scuola newyorkese, anche quella interessantissima di riviste come Judge e New Yorker, Bemelmans di poco più anziano di personaggi rivoluzionari come Saul Steinberg e William Steig quell'aria sta respirando e a suo modo ci sta restituendo un'idea di infanzia, tutta da recuperare. 
In questo suo primo libro dedicato al personaggio di Madeline, ci sono già tutti gli ingredienti perché diventi un libro di successo, cosa che puntualmente accade (un Caldecott Honor e poi la Caldecott vera e propria con la seconda storia). 
Il collegio e la severità delle regole sono un ottimo punto di partenza per creare un terreno per far crescere le turbolenze dell'infanzia, per far ridere i lettori di tanto ordine e disciplina, sovvertito con la dovuta grazia. 


Il secondo elemento che gioca a suo favore è la rapidità con cui iconizza in tre tavole e in tre versi, quello che è il succo di una buona educazione: 

Un sorriso a chi è buono, 
un ghigno a chi è malvagio, 
a volte eran tristi e a disagio. 

Il terzo ingrediente è l'ironia (già notata ampiamente in Cerfoglio) che qui si esplica nel paradosso di fondo e in alcuni dettagli, come i fiori e il vaso.
Il quarto ingrediente è il punto di vista: presumibilmente consapevole (ma a leggere la sua storia, parrebbe aver dichiarato di essere, anche da adulto, un ragazzino di sei anni). 
In questo primo libro pare emergere nel ragionamento che le 11 educande fanno all'unisono: tutte in coro si augurano di soffrire di appendicite, un'epidemia!, per poter usufruire dei benefit che questa condizione comporta. E se il prezzo da pagare è farsi aprire la pancia, dov'è il problema? Peraltro la bellezza di una cicatrice fresca non è paragonabile a null'altro di più desiderabile. 


Questo andare dritti al punto, al risultato finale, direi senza tema di essere smentita, sia tipico di un pensiero che un seienne potrebbe fare in surplace. 


Quinto ingrediente, che anche nella felice traduzione italiana, si è cercato di preservare il più possibile, è il testo in rima. Suona e diventa all'istante orecchiabile e ripetibile. 
Sesto ingrediente, e mi rendo conto di essere di parte, sta nella qualità alta di molte immagini che sono una vera e propria esperienza estetica. 
Mi batterò fino allo stremo nel sostenere che, oggi più di sempre, l'educazione al bello -così come altre educazioni imprescindibili: quella alla gentilezza, quella al rispetto ecc. ecc.- dovrebbe essere elemento fondante e irrinunciabile nel percorso di formazione di una persona. 
Dovrebbe. 

Carla 


Noterella al margine. L'educazione al bello passa inevitabilmente per la conoscenza (come tutte le educazioni, peraltro). Ragione per la quale sono eternamente grata a Lupoguido per il fatto di aver pubblicato con benemerita ostinazione -una dopo l'altra- le monografie di autori chiave dell'illustrazione del Novecento. Collana, questa, che arriva dritta dritta dalla Gran Bretagna, The Illustrators, curata da Sir Quentin Blake e della sua collaboratrice e consulente Claudia Zeff.

venerdì 9 febbraio 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


DEL LUTTO E DEL LASCIARE ANDARE


Esce nella collana neroinchiostro dell’editore Pelledoca l’ultima fatica di Daniele Nicastro: ‘Spiriti dello tsunami’, dedicato a lettori oltre i tredici anni.
Come dice il titolo, l’ambientazione è profondamente giapponese e fa riferimento non solo a un evento reale, il terremoto del 2011 cui seguì uno spaventoso tsunami, ma anche e soprattutto alla cultura nipponica, con particolare attenzione all’aspetto magico, sovrannaturale.
Il tema centrale è rappresentato dal dramma di chi, in quella circostanza o in circostanze analoghe, non ha riavuto indietro un corpo su cui piangere e a cui dare degna sepoltura. I vivi non possono darsi pace, ma nemmeno i morti, che continuano ad aleggiare intorno ai propri cari; col tempo la loro irrequietezza diventa rabbia, e queste anime disperate diventano degli Yurei, spiriti ostili e bellicosi.
Il protagonista è Andrea, che insieme alla famiglia si è trasferito in Giappone per seguire il fratello più grande Marco. Quest’ultimo insegna in una scuola di Okawa ed è lì che viene sorpreso dallo tsunami, mentre cerca, forse, di mettere in salvo i bambini. Il suo corpo non è stato ritrovato e così Andrea, il fratello minore che continua a vederlo e a parlare con lui, non riesce a darsi pace.
Decide di andare proprio lì, dove il disastro è avvenuto, per trovare risposte e forse anche il corpo di Marco. Nel suo viaggio incontra una ragazza, Yoko, una sopravvissuta che non riesce a dare un senso al suo essere ancora al mondo. Arrivati sul posto, conoscono Midori, una donna ossessionata dal desiderio di ritrovare la figlia. In realtà si tratta di un racconto corale, in cui tanti personaggi esprimono modi diversi di rapportarsi alla morte, al lutto, con rabbia, con rassegnazione, con indifferenza.
Le vicissitudine affrontate da Andrea durante il viaggio sono molteplici, così come gli incontri con i vivi e con i morti, che per un attimo attraversano Yoko, raccontando la loro tragica storia.
Dunque fantasmi, spiriti inquieti che visitano il mondo dei vivi, come se fra le due dimensioni ci fosse una sorta di osmosi. Il racconto è costellato di visioni inquietanti, di odori nauseabondi che gli stessi spiriti si portano dietro, dalle profondità abissali in cui i loro corpi sono precipitati; in mezzo due ragazzini, forse più incoscienti che coraggiosi, alla ricerca di una pacificazione difficile da trovare.
Il romanzo, i cui capitoli sono titolati quasi tutti in giapponese, con debita traduzione, è permeato dalla passione che l’autore nutre nei confronti della cultura nipponica e si vede con chiarezza con quanta cura siano stati approfonditi sia gli aspetti storici sia quelli culturali. Gli siamo immensamente grati per aver pensato a un glossario, in fondo al capitolo, che colma almeno qualche lacuna del lettore.
Ma se l’atmosfera è permeata dal sovrannaturale, l’aspetto centrale credo sia quello della pacificazione dei vivi, quando il lutto non può seguire le vie consuete. Il tema è quindi la capacità di lasciar andare, di separarsi da una persona cara in condizioni talmente drammatiche da mettere in discussione qualsiasi credo.
La tematica è importante e richiede una certa maturità e la capacità di guardarsi dentro. Per questo consiglio caldamente la lettura di questo romanzo appassionante a chi ama il Giappone e la sua storia, a chi non teme le storie di fantasmi e a chi vuole affrontare temi impegnativi come quelli che qui sono trattati.

Eleonora

“Spiriti dello tsunami”, D. Nicastro, Pelledoca 2024