venerdì 30 settembre 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL CORAGGIO DI AVER PAURA

L'aranceto, Larry Tremblay (trad. Fabio Regattin) 
Beisler 2022 



NARRATIVA PER GRANDI (dai 14 anni) 

"Se Ahmed piangeva, piangeva anche Aziz. Se Aziz rideva, rideva anche Ahmed. Per prenderli in giro la gente diceva: 'Un giorno si sposeranno'. La loro nonna si chiamava Shahina. Con quei suoi occhi malandati li confondeva sempre. Li chiamava 'le mie due gocce d'acqua nel deserto'. Diceva: 'Smettetela di tenervi per mano, mi sembra di vederci doppio'. Diceva anche: 'Un giorno non ci saranno più gocce, ci sarà soltanto acqua e basta'." 

Ahmed e Aziz sono fratelli. Gemelli. Ahmed sente le voci nella sua testa, Aziz è molto malato. 
Vivono nel deserto, con i genitori, Zahled e Tamara. Non lontano dalla loro povera casa, quella dei nonni e l'aranceto - un'oasi di colori e profumi - che suo padre coltiva con ostinazione. 
C'è la guerra. Una guerra che ha distrutto la loro scuola e ha appena ridotto in macerie la casa dei nonni. Il giorno in cui li seppelliscono, il padre riceve una strana visita che mette in grande allarme Tamara Dalla jeep avvolta nella polvere scende Soulayed che instilla nel cuore di Zahled il seme della vendetta. Le bombe che hanno ucciso i vecchi genitori provengono dalla montagna, dietro cui si nasconde il nemico. 
Occorre reagire e portare la morte tra gli avversari, anche se questo comporterà il sacrificio di una giovane vita: quella di Ahmed o quella di Aziz. Uno di loro due, questo è il piano che Soulayed espone a Zahled, dovrà arrivare sull'altro versante del monte e farsi esplodere per portare la morte a casa del nemico. 
Un sacrificio enorme che sembra avere il sapore dell'eroismo e della gloria. 
Un dilemma enorme per un padre: quale dei due figli mandare al sacrificio. 
Un estremo tentativo di opporsi a un destino ingiusto per una madre: quale dei due figli salvare. 

Il racconto di Ahmed, quello di Aziz e in ultimo quello di Sony. Tre voci per un'unica storia. 
Una storia che è contemporaneamente il racconto verosimile di un percorso di crescita, difficile, attraversato dalla guerra, da separazioni, rimorsi, e tentativi di riscatto. 
Ma è anche lo spunto per porre in essere una tragedia - attraversata da un dilemma, come accade in quella classica o in quella shakespeariana. 
E ancora: è una parabola dal tono universale per ragionare sul male che incarna la guerra, senza remissione, senza redenzione. 
Ed è anche una galleria di una umanità diversissima nelle sue sfumature. Al suo interno si riconoscono la debolezza di un padre e la forza di una madre, l'indissolubilità di un legame tra fratelli, la spregiudicatezza di chi decide del destino di altri, l'incertezza e l'ingenuità di chi non sa, di chi della guerra - per sorte - ne ha solo sentito parlare... 
Un libro che dimostra una grande originalità nella struttura e nel suo punto di osservazione che, solo sul finale, arriva a coincidere con gran parte dell'esperienza creativa di chi lo ha scritto: Tremblay non è solo un romanziere, ma anche un drammaturgo di calibro. 
La prima parte del romanzo, quella raccontata con la voce e lo sguardo di Ahmed, è decisamente quella che inchioda il lettore alla pagina e lo bombarda di quesiti interiori di rilevante importanza: lo mette di fronte alla guerra, alla sua insensatezza. Per come è congegnata, è proprio difficile ignorare i termini della questione. E diventa necessario prendere posizione: per questa volta è davvero impossibile potersi consolare con l'idea che sia solo 'finzione'. 
E altrettanto impegnativo è districarsi nelle ragioni dell'uno o dell'altro, nello scegliere tra il coraggio e la paura, tra il sacrificio e il senso di colpa. 
Non è difficile constatare che alla radice della guerra ci sia l'uomo, la sua sete di vendetta e odio, mentre parrebbe che spetti alla donna il coraggio di fare una scelta che abbia in sé, seppur dilaniante, un nocciolo di futuro. Ed è proprio questo slancio verso il domani che porta il lettore alla seconda parte, quella raccontata dalla voce di Aziz.
Sono passati dieci anni, lo scenario è del tutto diverso: negli Stati Uniti, sulle tavole di un palcoscenico durante le prove di uno spettacolo che sta per debuttare. Tutto il passato che ha arrovellato il lettore, adesso si intreccia con il presente, lo appesantisce, o per meglio dire, gli dà la giusta profondità e complessità di visione e lettura. 
Un dialogo serrato tra un professore che mette in scena un racconto di guerra, una guerra raccontata per sentito dire, e un ragazzo che sulla propria pelle la guerra e le sue conseguenze le ha incise in modo indelebile. 
L'impossibilità da parte sua di accettare le approssimazioni e le ingenuità del professore, porta il ragazzo lontano dalla scena, salvo poi tornarci, inaspettato, a chiudere il cerchio. 
A dimostrare a se stesso e a tutti che forse proprio attraverso la finzione, attraverso un palcoscenico di un teatro, ma verrebbe da dire anche attraverso le pagine di un gran bel libro come questo, si prende coscienza di quello che si è. 
Con l'auspicio che leggerlo possa contribuire alla crescita del 'fragile albero della convivenza', per usare le parole di Giuseppe Cederna che questa storia la chiude con un suo pensiero tanto accorato quanto pieno di speranza. 


Carla

mercoledì 28 settembre 2022

FAMMI UNA DOMANDA!


IL CIELO STELLATO SOPRA DI ME


Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me.” Così scrive Kant nella ‘Critica della ragion pratica’ e prosegue: “ La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata”.
Ovvero, il cielo stellato sopra di noi ci mette a confronto con l’infinità dello spazio e del tempo, ci fa sentire piccoli piccoli di fronte alle distanze siderali. Non è sempre stato così e il cielo è stato anche immaginato come una sfera contenente tutto l’universo e questo ci è raccontato nel bellissimo ‘Universi’. Si può vedere il cielo anche da un punto di vista mitologico, risalendo ai miti che hanno dato il proprio nome alle costellazioni, che, come è noto, non sono altro che una convenzione, che raccorda stelle fra loro anche molto distanti. C’è però un sentimento che accomuna adulti e bambini, scienziati e filosofi ed è lo stupore, quel senso di meraviglia che, secondo Platone, è all’origine della filosofia.
Meraviglia che può essere associata al senso di mistero che le ore notturne inducono nell’osservatore più giovane.


Ed ecco un libro, pensato proprio per loro, bambini e bambine che cercano di svelare il mistero del cielo: ‘Nascosti nel cielo’ di Aina Bestard, pubblicato meritoriamente da Camelozampa. La struttura del libro è semplice: ogni doppia pagina descrive l’interno della cameretta di un piccolo osservatore situato in diversi paesi del mondo. Questo interno descrive gli arredi e i motivi decorativi tipici del paese corrispondente, illuminati da uno squillante fascio di luce bianca. Il resto è tratteggiato sul fondo blu che ritroviamo aprendo le finestre e scoprendo una porzione di cielo notturno, in cui campeggiano alcune stelle. Quella porzione di cielo nasconde un segreto, che lettori e lettrici possono svelare illuminando il retro della pagina con una fonte luminosa: ecco apparire il disegno dell’animale che corrisponde alla costellazione e ne spiega il mito.
Il testo nella pagina, costituito da poche righe in rima, accenna all’animale rappresentato dentro la finestra con un indovinello.


Alla fine del libro, nelle ultime due pagine, vengono riassunte le diverse costellazioni, col loro nome e la stella più luminosa che le caratterizza.
Cos’ha questo libro di particolare? Di libri sull’osservazione delle costellazioni ne sono usciti diversi; ricordo, in particolare, la ‘Guida galattica alle stelle per gattini e umani’ , intelligente guida astronomica per lettrici e lettori di sette, nove anni. Nel libro della Bestard abbiamo un target di età differente, più basso, anche se la piacevolezza del libro può adattarsi anche a bambini e bambine più grandi. Penso che il target di riferimento siano bambini e bambine fra i cinque e sette anni, sensibili a quel senso di meraviglia che la scoperta inusitata, l’immagine che appare solo se illuminata, suscita. Scoprire gli animali nascosti nel cielo, fra le stelle e magari chiedersi quali storie possano raccontare; chiedersi anche cosa possano essere quei puntini luminosi che brillano nell’oscurità della notte (sempre che si riesca a vederli!), ecco aperta la strada a un’infinità di domande, che è poi il fine vero di ogni buon libro di divulgazione.


Aina Bestard si conferma un’autrice di valore, capace di spaziare fra argomenti differenti: ricordiamo il raffinato ‘Paesaggi perduti’, con un target d’età e argomento del tutto differenti; in comune, il tratto illustrativo analitico, dettagliato, preciso, l’uso sapiente della carto-tecnica, che consente effetti sorprendenti; infine la capacità di creare suggestioni oltre il contenuto strettamente tecnico delle illustrazioni.
Libro caldamente consigliato a piccoli lettori e lettrici, a partire dai cinque anni.

Eleonora

Nascosti nel cielo”, A. Bestard, Camelozampa 2022



lunedì 26 settembre 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA MAGNIFICA VERTIGINE

Bianca, Paul De Moor & Kaatje Vermeire (trad. Joy Jansen) 
Kite Edizioni 2022 


ALBI ILLUSTRATI PER MEDI (dagli 8 anni)

"Da qualche parte c'è una grande terra bianca. 
Quella terra è circondata da un grande bianco mare. 
Tutti gli animali nella vasta terra bianca sono bianchi. 
Piccoli animali bianchi e grandi animali bianchi. 
La pioggia nella vasta terra bianca è bianca, ma la neve non lo è. 
C'è una grande casa bianca nella grande terra bianca." 

Al suo interno ci vive una bambina, Bianca (con sua sorella Alma). Nel giardino della casa crescono alberi bianchi e fiori bianchi. Le pareti sono bianche, così come sono bianchi i piatti, il tavolo e anche le mele e le pere. Persino le banane. 
La sua stanza, le sue bambole, il suo letto e il suo piumino: bianco. 
La cosa meravigliosa che accade è che nella sua finestra appare un grande quadro dove si vede una grande casa bianca... 
E anche quando sta per addormentarsi Bianca conta pecore bianche e quando prende sonno persino i suoi sogni sono bianchi: una grande terra bianca, circondata da un grande mare bianco dove abitano animali bianchi, piccoli e grandi. 
La pioggia è bianca, ma la neve no... 

Il testo che Paul De Moor ha scritto, quando un giorno davanti a un paesaggio innevato si è reso conto che la neve non era bianca, ma conteneva in sé molti altri colori, è tante cose diverse allo stesso tempo. 
Prima di tutto si tratta di un testo ipnotico, dove per più di novanta volte compare la parola bianco, il colore che tutto contiene, nelle sue diverse declinazioni - al maschile al femminile al singolare al plurale. Poi può essere definito un testo che ha le sembianze di una spirale, ovvero dimostra di avere un andamento 'circolare', pur avendo l'ardire di non ripassare mai per gli stessi punti esatti, ripercorrendo lo stesso perimetro, ma sempre con un leggero scarto rispetto alle volte precedenti. 
E ancora. Un testo che ha - in apparenza - la struttura di una matriosca, ossia dentro di sé contiene tante piccole riproduzioni di sé stesso. 


O forse sarebbe più corretto assimilarlo a un gioco di specchi che hanno la capacità di moltiplicare una immagine all'infinito? 
Di certo questa costruzione narrativa, che ha il tono di una poesia, dimostra da una parte di essere molto originale, ma dall'altra di essere altrettanto complessa. In assenza di scosse ed emozioni.
Un loop che ruota intorno al bianco. 
Non lo si può definire un testo costruito sull'immediatezza; al contrario le successive letture che richiede sembrano lì apposta per creare una sorta di magnifica vertigine. 
Un carattere che appare evidente, in questo suo continuo ripetersi ed evolversi (in una inspiegabile assenza di contraddizione interna!), è la grande fluidità che offre ai propri lettori. 
Ciascuno di loro, infatti, è all'entrata di un percorso labirintico ed è quindi chiamato a trovare un proprio bandolo di interpretazione, un vero e proprio 'filo di Arianna' per uscirne sano e salvo. E appagato. 
Diciamo che tutti i libri che meritano un bel po' di testa per essere capiti, così come tutti i libri che permettono al lettore di intraprendere un proprio percorso interpretativo personale, ecco i libri così di solito sono buoni libri. 
Anche se magari non si adattano a tutte le stagioni. 
E questa è forse una delle ragioni per cui Bianca di Paul De Moor ha trovato come illustratrice, non una qualsiasi, ma un'artista piena di talento, di coraggio e di immaginazione. 
Kaatje Vermeire, a parte la stima e l'amicizia che la lega a De Moor, ha tutte le qualità per confrontarsi con un testo del genere, e dargli una forma definitiva che però sia anche in grado di rispettarne la suddetta fluidità e il suo incedere cadenzato, tra ripetizione ed evoluzione. 
Come lei stessa dichiara in una intervista, per arrivare a costruire un immaginario figurativo di questo testo, ha dovuto leggerlo e rileggerlo molte e molte volte. Ha dovuto sudare parecchio. 


Poi, con le sue capacità e il suo coraggio, ne ha dato la sua personalissima lettura visuale. E, giocando con luci e ombre, ha creato profondità.
Ha dato corpo alle sue figure, laddove il testo le lasciava spazio per farlo: ha trovato soluzioni per una sorella che non si vede mai, ha dato un volto e un carattere e un immaginario a Bianca, le ha regalato un gatto, l'ha ritratta da mille angoli diversi, l'ha fatta uscire di casa, l'ha fatta correre nei prati; l'ha fatta ridere, le ha dato il buio e la luce, le ha dato dei giocattoli magnifici con cui giocare. 
E persino un paio di ali con cui uscire...



E come se non bastasse, si è anche districata a meraviglia sulla grande questione 'cromatica' di trovare una palette per tutto questo mare di bianco. 
In altre parole si è presa sulle proprie spalle la responsabilità di dare un colore, anzi molti colori, al bianco, arrivando a regalare dei veri e propri cieli notturni tersi e pieni di stelle o corruschi, ha dato colore all'acqua, alla neve, alla casa. 
E facendo tutto questo, in qualche modo ha permesso che il cerchio si chiudesse e si tornasse all'assunto di partenza dell'autore davanti alla neve. 
In sostanza il bianco (Munari ci vorrà perdonare, ma d'altronde lo stesso Crushiform pare confermarlo) è un colore senza colore. 


Un colore che esiste perché il nostro sguardo lo percepisce in ragione del fatto che racchiude in sé tutti i colori dello spettro visibile. 
Ecco: in Bianca la fisica tocca la poesia. 

Carla

venerdì 23 settembre 2022

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

ANCORA SCUOLE PER GIOVANI SPECIALI


E dunque sì, continua a estendersi il filone che ruota intorno alle più o meno occulte scuole per giovani dotati di particolari capacità. Il richiamo che vedo più vivo è con l’universo Marvel, gli X-men, anche loro dotati di una scuola speciale e di un mentore, in sedia a rotelle. La serie di fumetti, degli anni ‘80, si interseca con quella degli Avengers, che la precede di una ventina d’anni. Ma non credo che il fascino di questi supereroi colpisca i giovani lettori e lettrici di oggi attraverso le loro storie disegnate, quanto con la trasposizione cinematografica. Questo forse spiega la fortuna, più o meno duratura, di libri e film che ruotano attorno a questo nodo narrativo: ragazzi e ragazze particolari, che siano mutanti o semplicemente super dotati, soli nel mondo, adottati da un mentore che li accoglie e li forma per svolgere, in modi diversi, la loro missione, salvare il mondo. Su questa falsa riga sono usciti fumetti, romanzi, serie televisive, film, un fortunato filone con molte sfaccettature e grande successo di pubblico.
Dunque è un tema che affascina particolarmente i più giovani: l’avventura, l’unicità dell’eroe, o del gruppo di eroi, il mondo che assiste stupito alle gesta di queste persone ‘speciali’. Il male è un male assoluto, il bene ha le sue fragilità, ma alla fine vince sempre, o quasi sempre.
Su questa lunghezza d’onda è anche la trilogia dello scrittore americano Trenton Lee Stewart, pubblicata fra il 2021 e il 2022 da Mondadori; la serie si intitola ‘La misteriosa Accademia per Giovani Geni’ e racconta le avventure di quattro ragazzini, due maschi e due femmine, selezionati dal misterioso signor Benedict, affetto da narcolessia. Nel primo romanzo, quello in questione, che introduce i personaggi principali e lo scheletro della serie, i quattro eroi si devono introdurre come spie nella inquietante scuola di Ledroptha Curtain: il Venerabile Istituto per i Veri Illuminati.
Qui si costruiscono trame occulte per condizionare il comportamento delle persone attraverso i messaggi veicolati da bambini e bambine. Innumerevoli colpi di scena e disvelamenti portano al prevedibile finale, che annuncia le successive avventure.
Siamo di fronte, quindi, a una classica produzione seriale, frutto di quell’onesto artigianato che riempie gli scaffali delle librerie. Narrazione scorrevole e trama avvincente rendono questi libri apprezzabili anche da lettori non troppo esperti. Nel nostro caso, c’è anche qualcosa in più: i personaggi appaiono credibili, nella loro particolarità e con la loro goffaggine, o impulsività suscitano nel lettore simpatia: Reynie Muldoon, Sticky Washington, Kate Wetheral e Constance Contraire sono ‘anomali’, ma anche credibili come ragazzini soli, troppo strani per essere capiti, anche se la loro diversità risiede solo nelle particolari capacità.
La lettura è adatta a quei giovani lettori e lettrici che apprezzino in particolare l’avventura, con un robusto risvolto fantastico e un pizzico di essenziale ironia. Età di lettura consigliata, dagli undici in poi.

Eleonora

“La misteriosa Accademia per Giovani Geni”, T. Lee Stewart, Mondadori 2021



mercoledì 21 settembre 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UNA BUONA IDEA

Una buona ragione, Matteo Razzini, Beatrice Zampetti 
Zoolibri 2021 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"E' sempre la stessa storia: il solito pensiero non mi fa prender sonno. 'Sono stanco di svegliarmi così presto per andare a scuola. Non è giusto!' 'Che cosa hai detto?' chiede la mamma. 'Ho detto che domani non posso andare a scuola!' 'Dammi una buona ragione e potrai restare a letto' replica la mamma." 

E così parte la sfida. Ogni giorno lui ci prova. 
Prima la malattia contagiosa, quindi il rimpicciolimento (idea probabilmente ispirata alla triste vicenda di Triclinio o alla perniciosa restringite della signora Sporcelli), poi la pietrificazione e via andare per sette lunghe mattinate, il piccolo asino blu tenta in ogni modo strade diverse per convincere sua madre che per lui è proprio impossibile andare a scuola. 
Fino al momento in cui, all'ottava mattina un silenzio insolito lo circonda. 
Peccato, che nessuno venga a constatare quale è stato l'ultimo guaio che gli impedisce di vestirsi, lavarsi e poi uscire... per andare tutti a scuola o al lavoro, non fa differenza... 

Il 19 settembre anche le ultime due regioni hanno spedito i loro bambini a scuola: la Val d'Aosta e la Sicilia. Non c'è più scampo neanche per loro. 
Tutti devono alzarsi presto, devono lavarsi, vestirsi, fare colazione, prendere cartelle o zaini e mettersi in marcia.
 

Diciamo la verità: la fatica sta tutta nel riprendere il ritmo, perché la voglia di rivedersi con amici e compagni - almeno al principio dell'anno scolastico - ha tutto un suo fascino. 
Quando arriverà l'inverno e tutto sembrerà più faticoso, allora sì che molti bambini cominceranno la loro politica recalcitrante e quindi potranno prendere ispirazione dalle sette soluzioni dell'asino blu. 
Il tono scanzonato di questo breve e divertente piccolo repertorio di scuse, o meglio di buone ragioni, è nel DNA di Matteo Razzini. 
A lui piace non prendersi troppo sul serio, a lui piace esagerare e scrivere storie che abbiano una voce, una voce forte, dentro. 
Questo, come già altri suoi libri, dimostra di avere un suo potenziale nell'essere messo in scena. Costruito sulla ripetizione, quindi con uno schema narrativo semplice semplice che anche a piccolissimi diventa gradito, in qualche modo porta in sé una sorta di crescendo, viste le ragioni sempre più folli che l'asino blu mette in campo, è fatto di soli dialoghi. Un tentativo divertente da parte del piccolo, al quale come un boomerang torna indietro sempre la stessa risposta: NO! Sempre perentoria, a giudicare dalle due lettere, la N e la O, belle grandi e scandite e seguite dall'immancabile punto esclamativo. 


Quel No è lì su ogni pagina ed è a un passo dal diventare un ritornello. Quale bambino vorrà sottrarsi, una volta capito il meccanismo, dal ripetere il no in un coro estemporaneo? 
Ed ecco che da un libro uscito dalla testa di Matteo Razzini, si genera un canovaccio per uno spettacolo, una narrazione pubblica e condivisa. Questo è nel suo stile. 


C'è da credere che il limite delle 32 pagine e dei 7 giorni che sono il confine di questa storia, possa essere valicato con grande gusto durante le sue narrazioni orali. E c'è da credere che alle 7 buone ragioni, la sua vulcanica testolina ne aggiunga almeno altrettante, ad uso e consumo dei suoi spettatori. 
Così come la potenzialità orale, una sorta di fremente voce di sottofondo che attraversa e dà movimento al racconto, altrettanto sembra voler essere l'illustrazione di Beatrice Zampetti, che non si accontenta di mettere in scena i tre + uno protagonisti principali, ma li moltiplica - appena può - sulla pagina: lo stesso asino svogliato - specialista in bolle di moccio dal naso - compare enne volte nelle sue diverse posture, sempre più annoiate, per esempio ai piedi del suo letto: gambe su pancia all'aria, gambe giù pancia sotto, gambe in giù pancia in su braccia conserte, gambe larghe e braccia larghe sbadiglio scomposto.




Ma, come se non bastasse, laddove pensa di potersi ritagliare altro spazio senza per forza trovarsi vincolata dalla storia, ossia nei risguardi, mette in sequenza un'intera squadra di asini blu che fanno cose; non importa se grandi, piccoli, vecchi, nuovi. 

Carla

lunedì 19 settembre 2022

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

DALLA PARTE DELLE VITTIME


‘I delitti di Whitechapel. Il mistero di Jack lo Squartatore’, scritto da Guido Sgardoli e Massimo Polidoro, da poco pubblicato da De Agostini, rivela un approccio originale alla storia, terrificante e affascinante insieme, di Jack lo Squartatore, l’assassino seriale che terrorizzò Londra nel lontano 1888.
L’originalità sta non tanto nel fondere insieme solide basi storiche con un’invenzione letteraria, strada già percorsa da altri; quanto nell’impostare la narrazione dal punto di vista delle vittime.
Anche la protagonista, Sybil Conway, è realmente esistita, anche se con un nome diverso; rappresenta il filo conduttore, attraverso le indagini che compie dopo l’omicidio della madre, che porta il lettore e la lettrice nel pieno della ricostruzione dei delitti efferati compiuti nell’East End di Londra. Pagina dopo pagina ci si avventura nei bassifondi della capitale inglese, si incontra la varia umanità che lì vive, o meglio tenta di vivere, fra lavori umili, bettole malfamate, delinquenti di tutte le risme e prostitute. Questa ricostruzione, accurata e dettagliata, che ha utilizzato, fra l’altro, le ricerche di Hallie Rubenhold, permette di capire due cose: l’ambiente in cui era possibile, per un criminale a caccia di vittime, incontrare persone che, vivendo ai margini della società, dormendo spesso all’aperto, erano facili prede; e, cosa non secondaria, l’ostilità e il disprezzo che circondavano le vittime, a torto o a ragione considerate prostitute e per ciò stesso in qualche modo considerate degne della terribile fine che le aspettava.
Nel romanzo di Sgardoli e Polidoro questo aspetto viene spesso sottolineato attraverso lo sguardo indignato della protagonista, Sybil, che conduce le sue ricerche proprio per comprendere la vita della madre, Catherine Eddowes, fra lavori precari, accattonaggio, alcol. Ridare dignità alle vittime è la sua missione, intrecciata a quella, ben più pericolosa, di individuare il colpevole di quelle uccisioni.
‘(Sybil) aveva scoperto che le donne, nel mondo degli uomini, erano considerate ancor meno di quanto pensava, e così i bambini, visti il più delle volte come forza lavoro. I poveri venivano bollati senza appello fannulloni, criminali o alcolizzati, a seconda della convenienza. Un mondo spietato e senza regole se non quelle che i ricchi e i potenti confezionavano a loro uso e consumo. Un mondo nel quale lo Squartatore si muoveva a proprio agio, con abilità, sfruttando a proprio vantaggio quelle regole o la mancanza di esse.’
Non si può far a meno di indignarsi, pensando al disprezzo, alla disumanizzazione che le vittime, già oltraggiate da una morte atroce, subivano da parte di una opinione pubblica perbenista.
Interessante e meritorio aver raccontato una storia così nota da un’angolazione originale, sapendo bene che il pregiudizio sulle vittime non è proprio solo dell’epoca vittoriana, ma vive tuttora nei pregiudizi che riguardano, ad esempio, i casi di violenza sulle donne. Quel ‘se l’è cercata’, che spesso viene detto a mezza bocca, raramente smentito.
‘I delitti di Whitechapel’ è quindi un accurato ritratto di un’epoca, la Londra vittoriana di fine Ottocento, con tutte le contraddizioni e le miserie morali e materiali che spesso ci sono state raccontate. Può essere proposto a ragazzi e ragazze di almeno tredici, quattordici anni che abbiano uno sguardo non banale sulla storia e sulla cronaca. Ma può senz’altro piacere anche al pubblico adulto, interessato a un nuovo punto di vista sul mistero intramontabile di Jack lo Squartatore.

Eleonora

“I delitti di Whitechapel. Il mistero di Jack lo Squartatore”, G. Sgardoli e M. Polidoro, De Agostini 2022




venerdì 16 settembre 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

E VISSERO FELICI E RIDENTI 

La famiglia Porelli, André Bouchard (trad. Fabio Regattin) 
#Logosedizioni 2022 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 6 anni) 

"Presto sarà Natale! Come i fiori a primavera, da ogni parte spuntano i falsi Babbi Natale. E' risaputo, infatti che il vero Babbo Natale vive al Polo Nord, in un palazzo di ghiaccio. Se abitasse nel quartiere, si saprebbe! I falsi Babbi vanno a lavorare in città, dove per pochi soldi fingono di essere quello vero. Spesso stazionano nei grandi magazzini, dove attirano i bambini che ci si perdono assieme ai genitori. Il falso Babbo Natale si riconosce dalla faccia avvilita." 

Il Babbo Natale falso si riconosce anche dallo sguardo cupo e dalla sua incapacità di sorridere, men che meno di ridere. 

© André Bouchard

Esattamente come capita anche a tutti gli adulti del quartiere. Anche loro, come papà e mamma Porelli che passano il loro tempo a cercare di sfamare le 6 bocche di famiglia, hanno dimenticato come si fa a ridere. Fortunatamente ci sono i ragazzini. 
Carlo, con i suoi fratelli e la sorella Carolina, scorrazzano per il quartiere in assoluta libertà: non è un posto dove le macchine veloci sono solite sfrecciare. 
A dire la verità un adulto sorridente ci sarebbe, il signor Nicola, maestro della scuola del quartiere. 
Il Natale si avvicina a passi da gigante e, nonostante gli sforzi dei ragazzini, tutto sembra avvolto in un manto di cupezza, fino al momento in cui arriva un regalo ben fatto che riesce a spandere allegria diffusa, nonostante un testone si rifiuti di lavarsi le mani... E che Natale sia! 

Dedicato a Dickens, a Marx e a François Ruffin (ognuno indaghi per conto proprio) per far capire al lettore adulto quali direzioni la storia voglia prendere.

© André Bouchard

Verso Dickens per la malinconia diffusa e patente, verso Marx per la verità che si palesa a proposito della pancia piena e verso Ruffin per la sua stoffa di politico e di uomo di satira. 
Un quarto nome importante a cui questo libro poteva essere dedicato è quello di Ken Loach, per il contesto di sottoproletariato spinto. 
Come sempre accade nei libri di Bouchard è il punto di vista che fa la differenza: qui per raccontare il Natale tutto parte da un aspetto piuttosto laterale: il falso Babbo Natale. Sarà capitato anche a voi di vederli, mesti, all'entrata di un grande magazzino e di pensare - se siete di Roma, beninteso: poreeello! 
Per esperienza, credo si possa sottoscrivere ogni parola di quella descrizione che Bouchard ne fa. 
Dunque, porello, nel senso di poverello, il falso Babbo Natale e Porelli i membri della famiglia protagonista. 
Ma in questa storia c'è di più. 
Come già negli altri due titoli di Bouchard, che con grande merito Logos e Glifo stanno portando in Italia, anche in questo caso si mette in moto il consueto quanto divertente meccanismo ironico che nasce dallo scarto di ciò che si vede da ciò che si sente. 
Andare a fare la spesa al mercato, e poi al supermercato e fare merenda nel pomeriggio al parco sono rispettivamente illustrate con un ravanare tra le cassette di legno accumulate fuori da un mercato rionale, tra i cassonetti all'esterno di un magazzino di una grande catena di distribuzione e tra i cespugli di un giardinetto dove una ricca signora in pelliccia tira a dei piccioni pezzi del suo croissant. 

© André Bouchard

E ancora: il quartiere cui si allude e di cui si tessono le lodi per la sua scarsa pericolosità è una baraccopoli con auto senza pneumatici, casupole di ondulato di lamiera, roulotte e vecchi tubi 'abitabili'. Ma al di là di questa relazione forte che tiene insieme immagine e testo, raccontati nel loro ironico smentirsi a vicenda, La famiglia Porelli è piena di tante sottigliezze, molte delle quali sono anche linguistiche. A partire dal titolo che se hai la ventura di abitare a Roma o di frequentare il vernacolo locale, un cognome del genere diventa subito irresistibile. Trovate un romano e chiedetegli di tradurre Poverelli in romanesco e otterrete un poreeelli, detto con la dovuta intonazione commiserevole... 
Magari un milanese coglierà invece una curiosa assonanza/stridore tra Porelli e Pirelli... Chissà. 
Gioca dunque Bouchard con il lessico - e Regattin è bravo a stargli dietro e non perde un colpo - come attestano le materie studiate a scuola: dal fai-da-te all'aritmetica, dalla politica alla saldatura. Come attestano parole perfette come 'avvilito'.
Gioca Bouchard anche con il colore, dando agli adulti mesti che girano per il quartiere un unico colore: il nero su cui il brulicare dei bambini che schizzano di qua e di là spicca parecchio, insieme alle foglie di insalata che escono dalle tasche dei cappotti sdruciti. 
Gioca Bouchard con il colore anche quando lo usa come indicatore 'emotivo' di un crescente benessere, un po' come se fosse il corrispettivo visivo della pancia piena.
 
© André Bouchard

Gioca Bouchard con i dettagli del suo disegno così dettagliato: dal ritratto di una costosa quanto magica Le Creuset rossa, in grado di cucinare a comanda, a un improbabile albero di natale che si tiene su un foratino con due zeppe di legno. 
In conclusione, Natale o no, la sequenza dei libri di Bouchard che Logos sta pubblicando (ce ne sono 2 in arrivo), nell'ambito della Biblioteca della Ciopi in ottima compagnia con altri bei titoli, non possono che rendere felici e ridenti chi vorrà leggerli. 
A natale, ma non solo.

Carla

mercoledì 14 settembre 2022

FAMMI UNA DOMANDA!

UNA ROSA È UNA ROSA

Ogni tanto è bello fare una passeggiate nel campo sterminato delle domande filosofiche. Fra i diversi libri usciti in questi anni, alcuni dei quali segnalati in questa rubrica, c’è ne è uno che da tempo pensavo di proporre, anche se il tema che tratta è davvero impegnativo: si tratta di ‘Questa non è una rosa. Manuale di filosofia, domande ed esercizi per bambini e adulti curiosi’ che i Ludosofici, alias Ilaria Rodella e Francesco Mapelli, propongono per i tipi del raffinato editore Corraini.
Come il precedente, i due autori prendono di petto quesiti fondamentali nella storia della filosofia: se avevano proposto nel volume precedente la domanda ‘chi sono io?’, ora affrontano il secolare tema del rapporto fra i nomi e le cose, che attraversa la storia della filosofia da Abelardo al novecentesco Circolo di Vienna.
Prima di introdurre il tema, ripropongono in termini diversi le definizioni di ‘filosofia’ per poi passare alla storia delle parole, ovvero all’etimologia, che spesso svela significati nascosti e rivelatori: ad esempio la parola robot deriva dal termine ceco robota che vuol dire lavoro forzato. Quindi gli automi, così amati da Asimov, nascono per essere nostri schiavi.
Ma veniamo al cuore della questione: perché diamo nomi alle cose? Per trasmetterci informazioni, per capirci, per distinguere e identificare gli oggetti. In realtà ogni popolazione attribuisce maggiore o minore rilevanza ad una classe di oggetti, specificandone analiticamente i nomi, come, per esempio fanno in una comunità nativa in Brasile, che utilizza 29 nomi diversi per indicare le formiche.
Ma la questione vera è se il nome è necessario perché la cosa corrispondente esista, ovvero ad essere dotato di realtà è il nome (e il concetto che lo sottende) o la cosa? Se noi non attribuiamo un nome ad un oggetto, questo esiste comunque? Ma se il nome attribuisce realtà alla cosa, allora anche i draghi esistono perché hanno un nome?


Naturalmente non tutti i filosofi hanno dato la stessa risposta al quesito riguardante il rapporto fra nomi ( e concetti) e le cose, fra il soggetto e il mondo reale; Democrito, per esempio, era convinto che i nomi fossero frutto della convenzione di una comunità che si accordava per chiamare cavallo proprio quell’animale lì.
Come vedete ci sarebbe da perdere la testa dietro ai rovelli che hanno impegnato moltissimi studiosi; i Ludosofici sono bravissimi a porre questioni così complesse nel modo più semplice possibile, ponendo al lettore e alla lettrice domande via via più intriganti e inserendo nel testo vero e proprio schede per scrivere le proprie riflessioni.
L’impostazione grafica, che agisce sull’impaginazione e sulla dimensione dei caratteri di stampa, e le illustrazioni di Noemi Vola rendono il libro visivamente vivace, ricco di ‘colpi di scena’, creando un vero e proprio percorso all’interno del pensiero filosofico.


Questo, come il precedente, è un ottimo testo per introdurre i giovani lettori e lettrici a un interessante percorso filosofico, da compiere, magari, insieme a genitori curiosi e disponibili. Per quanto possa essere usato anche prima, proprio per l’uso dell’astrazione che il testo comporta, consiglierei la lettura a partire dai dieci, undici anni.

Eleonora


“Questa non è una rosa”, I Ludosofici, ill. di Noemi Vola, Corraini 2019



lunedì 12 settembre 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DEL FARE SQUADRA : GLI STEADS E AMOS 
[II E ULTIMA PARTE] 

Amos Perbacco perde l'autobus, Erin E. Stead, Philip C. Stead 
(trad. Cristina Brambilla) 
Babalibri 2022 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Amos mise il bollitore sul fornello, dimenticando però di accenderlo. Poi si sedette ad aspettare il suo tè mentre, quasi per caso, si addormentava sulla sedia della cucina. Bip-bip! Amos si svegliò di soprassalto. 'Oh, no!' disse, controllando l’ora, 'arriverò in ritardo al lavoro!' Indossò i suoi stivaletti e il suo cappello preferito e si precipitò fuori." 

 Amos si era addormentato al tavolo di cucina perché la notte, dall'emozione, non aveva quasi chiuso occhio: con i suoi amici aveva in progetto di andare a fare una gita. L'esserci addormentato al tavolo di cucina fu la ragione che gli fece perdere l'autobus. Il numero cinque, quello che lo avrebbe portato diretto allo zoo dove lavora e dove i suoi amici lo stanno aspettando. Tutta la strada la fa arrancando, quanto gli permettono i suoi piedi e il bagaglio che porta con sé : un fascio di ombrelli. Nel correre dietro - invano - all'autobus perde anche il suo berretto e il suo portapranzo. Arrivato allo zoo, non gli resta che raccontare ai suoi amici animali quello che è successo e mentre lo fa uno di loro, la tartaruga, si allontana e prende l'uscita. Amos nel frattempo si appisola sulla panchina, esausto. I suoi amici fanno al suo posto tutti i lavori che avrebbe dovuto svolgere lui e in tal modo, oltre ad aver scoperto che le giornate riservano belle sorprese, forse c'è ancora tempo per salvare la gita... 

[continua dalla I parte] 
E' vero che Amos è un personaggio lento e pacifico però dimostra una volontà di ferro nel rispettare se stesso e il proprio ritmo. E in qualche modo riesce anche a dimostrarsi fedele, seppure con l'aiuto degli altri, nei confronti dei propri progetti. 
In questa sua lenta ma inesorabile attraversata della realtà che abita, la sua direzione è contraria a quella che ha il mondo e i suoi abitanti.
 

In questo senso, se riprendiamo il discorso di Philip circa il suo desiderio di scrivere storie controcorrente, non possiamo che averne conferma: "Con il tempo ho capito che Amos è esattamente il libro che ho sempre voluto fare perché è sovversivo anche se in un modo diverso. L'essere sovversivo si manifesta in quell'essere lento e silenzioso in un mondo che non considera queste qualità, un mondo veloce e pieno di frastuono. 
Amos è il personaggio meno cinico che io abbia immaginato e probabilmente anche di tutto quello che è stato scritto negli ultimi vent'anni. 
Lui è la rappresentazione di come vorrebbe che il mondo fosse e non di come è effettivamente. E capire questo ha segnato una bella svolta nella mia vita di scrittore. Io voglio fare libri in cui racconto come dovrebbe funzionare il mondo, ed è per questo che certi temi ricorrono nei nostri libri.
Dunque mi pare incontrovertibile che Amos, ed entrambe le storie che Philip ha scritto ed Erin ha illustrato,  abbiano un 'quid' che le rende diverse dalla stragrande maggioranza dei libri per bambini. Vediamo perché.
Sono entrambi libri costruiti, di fatto, sul silenzio dei personaggi. A parte Amos, gli altri agiscono, ma non parlano. Tutt'al più ragionano tra sé oppure sventolano un cartello che indica ciò che vogliono esprimere. Pochissime frasi pronunciate da Amos e poi tutto il resto è una voce narrante, capace anche spesso di fare un passo indietro e di tacere per lasciare parlare le matite di Erin. Lo stesso Philip ricorda come nel primo libro avesse messo una cura spasmodica nella scelta dei verbi, nelle concordanze sintattiche, costruendo frasi molto 'canoniche'. Era un po' la paura di sbagliare, ma soprattutto la certezza di non aver ancora trovato una propria voce. 
Se inusuale è questo pacato raccontare di un uomo pacato, altrettanto insolitamente pacato è il tipo di disegno e la palette di colori che usa Erin. 
Lei stessa, nei suoi tre anni di inattività creativa, aveva maturato l'idea che i suoi disegni - così pallidi, così delicati - non fossero adatti a un pubblico di bambini. Nulla è sgargiante in lei. 
Ed ecco che torna il lavoro di squadra: Philip conosce il tipo di segno di Erin e accorda la sua voce a quelle pallide matite. 
Inusuale è anche la tecnica che ha usato in entrambi i libri di Amos; oltre a essere piuttosto complessa nella fase di realizzazione, implica un lungo tempo di gestazione per arrivare a un risultato cromatico unico e inconfondibile, ma decisamente 'attenuato', un po' come se lei creasse le sue tavole con la 'sordina' per attutirne l'impatto visivo.

 
La tecnica che Erin ha adottato per i due libri di Amos implica un lento lavoro di incisione su tavolette di legno, di una loro stampa successiva sul foglio e quindi di un completamento del disegno a matita. 
Queste scelte figurative così insolite, almeno al principio, rendevano insicura Erin - condizione che al principio lei viveva quotidianamente - e anche Neal Porter che, pur riconoscendone l'altissima qualità, temeva un po' per la loro assoluta novità. Forse in cuor suo ha scelto di tirare dritto perché ha scommesso sul fatto che tanto talento, tanto studio, tanta dedizione avrebbero necessariamente portato dei frutti. 
E che frutti.
Fatto sta che quei tre, nel 2010, ci hanno creduto, si sono fidati e si sono aiutati reciprocamente, facendo squadra.
E, come spesso accade in questi casi, tutto è andato bene. 
Non parrebbe qui necessario dover sottolineare i parallelismi che si possono stabilire tra la storia editoriale di questi due libri e le due storie inventate che essi contengono... 

 
Ognuno lo può facilmente fare da sé.
Si direbbe, invece, più interessante sapere, la ragione di questa seconda 'nascita'. Chi ha preso la decisione, a distanza di dieci anni, dopo quel clamoroso successo, di pensare a una nuova storia di Amos Perbacco?  Nessuna idea furbetta a livello editoriale, proprio nessuna (non è nelle corse di Neal Porter al quale piace fare sempre libri diversi...).
Al contrario. Si è trattato, piuttosto, di un'urgenza sociale, nata tra le mura di casa Stead. 
Come allora, così oggi Philip e Erin continuano a pensare che il mondo debba andare in una direzione diversa da quella in cui effettivamente va, e in una intervista su Yarn riguardo questa questione entrambi hanno dichiarato: "In America stanno succedendo cose davvero imbarazzanti e questo ci ha fatto riflettere sul fatto fosse necessario tornare alle atmosfere di Amos, per poter descrivere un mondo opposto a quello che vedevamo fuori. Nel mondo di Amos tutti si comportano correttamente nei confronti degli altri, se qualcuno ha un problema si cerca di risolverlo tutti insieme. Si tratta di un mondo molto semplice, ma dentro il quale tutto succede nel modo in cui vorremmo che succedesse, in contrasto con il mondo reale. C’era anche una forte componente personale, noi avevamo bisogno di passare del tempo con Amos, eravamo noi in primis ad avere bisogno di questa pausa dal mondo reale.
Se da una parte, questo secondo libro ha creato in loro minori timori - in fondo, camminare su impronte già lasciate lungo un sentiero già percorso, ossia disegnare e scrivere con una traccia segnata, è più rassicurante - dall'altra il peso del grande successo riscosso nel 2010, sebbene Erin e Philip non siano più alle prime armi, oggi nel 2022 li spaventa ancora molto perché percepiscono, rispetto al passato,  una pressione molto più forte, che - per paradosso - proprio con quel passato ha a che fare. 
Una tensione che nasce dal confronto e dalle relative aspettative di tutti gli estimatori del primo Amos. 


E' un po' come dire che quei due si sentono chiamati a giudizio, e sentono di avere una precisa responsabilità di non deludere tutti coloro che hanno amato Amos Perbacco con il raffreddore. 
E, attenzione, non siamo stati proprio due o tre... 

Carla

Noterella al margine. A settembre di Erin e Philip Stead si parlerà a Cagliari durante una giornata di formazione propedeutica all'incontro/intervista con i magnifici Steads durante il Festival Tuttestorie, a Cagliari dal 5 all'8 di ottobre.