IL CORAGGIO DI AVER PAURA
Beisler 2022
NARRATIVA PER GRANDI (dai 14 anni)
"Se Ahmed piangeva, piangeva anche Aziz. Se Aziz rideva, rideva anche Ahmed. Per prenderli in giro la gente diceva: 'Un giorno si sposeranno'. La loro nonna si chiamava Shahina. Con quei suoi occhi malandati li confondeva sempre. Li chiamava 'le mie due gocce d'acqua nel deserto'. Diceva: 'Smettetela di tenervi per mano, mi sembra di vederci doppio'. Diceva anche: 'Un giorno non ci saranno più gocce, ci sarà soltanto acqua e basta'."
Ahmed e Aziz sono fratelli. Gemelli. Ahmed sente le voci nella sua testa, Aziz è molto malato.
Vivono nel deserto, con i genitori, Zahled e Tamara. Non lontano dalla loro povera casa, quella dei nonni e l'aranceto - un'oasi di colori e profumi - che suo padre coltiva con ostinazione.
C'è la guerra. Una guerra che ha distrutto la loro scuola e ha appena ridotto in macerie la casa dei nonni. Il giorno in cui li seppelliscono, il padre riceve una strana visita che mette in grande allarme Tamara
Dalla jeep avvolta nella polvere scende Soulayed che instilla nel cuore di Zahled il seme della vendetta. Le bombe che hanno ucciso i vecchi genitori provengono dalla montagna, dietro cui si nasconde il nemico.
Occorre reagire e portare la morte tra gli avversari, anche se questo comporterà il sacrificio di una giovane vita: quella di Ahmed o quella di Aziz. Uno di loro due, questo è il piano che Soulayed espone a Zahled, dovrà arrivare sull'altro versante del monte e farsi esplodere per portare la morte a casa del nemico.
Un sacrificio enorme che sembra avere il sapore dell'eroismo e della gloria.
Un dilemma enorme per un padre: quale dei due figli mandare al sacrificio.
Un estremo tentativo di opporsi a un destino ingiusto per una madre: quale dei due figli salvare.
Il racconto di Ahmed, quello di Aziz e in ultimo quello di Sony.
Tre voci per un'unica storia.
Una storia che è contemporaneamente il racconto verosimile di un percorso di crescita, difficile, attraversato dalla guerra, da separazioni, rimorsi, e tentativi di riscatto.
Ma è anche lo spunto per porre in essere una tragedia - attraversata da un dilemma, come accade in quella classica o in quella shakespeariana.
E ancora: è una parabola dal tono universale per ragionare sul male che incarna la guerra, senza remissione, senza redenzione.
Ed è anche una galleria di una umanità diversissima nelle sue sfumature. Al suo interno si riconoscono la debolezza di un padre e la forza di una madre, l'indissolubilità di un legame tra fratelli, la spregiudicatezza di chi decide del destino di altri, l'incertezza e l'ingenuità di chi non sa, di chi della guerra - per sorte - ne ha solo sentito parlare...
Un libro che dimostra una grande originalità nella struttura e nel suo punto di osservazione che, solo sul finale, arriva a coincidere con gran parte dell'esperienza creativa di chi lo ha scritto: Tremblay non è solo un romanziere, ma anche un drammaturgo di calibro.
La prima parte del romanzo, quella raccontata con la voce e lo sguardo di Ahmed, è decisamente quella che inchioda il lettore alla pagina e lo bombarda di quesiti interiori di rilevante importanza: lo mette di fronte alla guerra, alla sua insensatezza. Per come è congegnata, è proprio difficile ignorare i termini della questione. E diventa necessario prendere posizione: per questa volta è davvero impossibile potersi consolare con l'idea che sia solo 'finzione'.
E altrettanto impegnativo è districarsi nelle ragioni dell'uno o dell'altro, nello scegliere tra il coraggio e la paura, tra il sacrificio e il senso di colpa.
Non è difficile constatare che alla radice della guerra ci sia l'uomo, la sua sete di vendetta e odio, mentre parrebbe che spetti alla donna il coraggio di fare una scelta che abbia in sé, seppur dilaniante, un nocciolo di futuro. Ed è proprio questo slancio verso il domani che porta il lettore alla seconda parte, quella raccontata dalla voce di Aziz.
Sono passati dieci anni, lo scenario è del tutto diverso: negli Stati Uniti, sulle tavole di un palcoscenico durante le prove di uno spettacolo che sta per debuttare. Tutto il passato che ha arrovellato il lettore, adesso si intreccia con il presente, lo appesantisce, o per meglio dire, gli dà la giusta profondità e complessità di visione e lettura.
Un dialogo serrato tra un professore che mette in scena un racconto di guerra, una guerra raccontata per sentito dire, e un ragazzo che sulla propria pelle la guerra e le sue conseguenze le ha incise in modo indelebile.
L'impossibilità da parte sua di accettare le approssimazioni e le ingenuità del professore, porta il ragazzo lontano dalla scena, salvo poi tornarci, inaspettato, a chiudere il cerchio.
A dimostrare a se stesso e a tutti che forse proprio attraverso la finzione, attraverso un palcoscenico di un teatro, ma verrebbe da dire anche attraverso le pagine di un gran bel libro come questo, si prende coscienza di quello che si è.
Con l'auspicio che leggerlo possa contribuire alla crescita del 'fragile albero della convivenza', per usare le parole di Giuseppe Cederna che questa storia la chiude con un suo pensiero tanto accorato quanto pieno di speranza.
Carla
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