lunedì 30 marzo 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


LA SEGGIOLINA VERDE

Vai via Alfredo!, Catherine Pineur (trad. Tanguy Babled)
Babalibri 2019



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni)

"Alfredo è un tipo strano.
Non vogliamo tipi come te!
Vai via!
Alfredo ha appena il tempo di prendere la sua piccola sedia e se ne va."

E così Alfredo non ha più un posto dove stare. Invano cerca ospitalità sui rami degli alberi. Ma per una ragione o per l'altra nessuno gli fa spazio:il nido è troppo piccolo, oppure la mamma non sarebbe d'accordo, oppure la tua presenza sui fili li appesantirebbe troppo...
Alfredo, sconsolato, si tira dietro la sua seggiolina e capisce molto bene che nessuno lo vuole.
Sul fondo però nota una strana casetta, alta e stretta. E' quella di Sonia, ma lui non lo sa chi sia Sonia. Quella casetta è fatta apposta per lei, che è una gru. A lei piace vivere lontano da tutti e da tutto, laggiù alla fine del bosco. Dalla finestra Sonia si accorge dell'arrivo di quel tipo strano e chiude la porta per la paura ed è contenta che stia facendo buio così non lo vedrà più.
La mattina dopo quando si alza, però, Alfredo è ancora lì, seduto sulla sua seggiolina.


Lentamente gli si avvicina, Alfredo le sorride e...

Ci sono libri che sono timidi, un po' come Sonia, che è schiva. E che se sei distratto, possono passare inosservati, o peggio, sfuggirti del tutto.
Stava per succedere, ma come spesso accade tra timidi, ci si intende quando gli sguardi si incrociano.
Ignorato al momento della sua apparizione sugli scaffali delle librerie, la sua copertina mi appare a mesi di distanza in qualche escursione personale in rete.
E poi c'è quella seggiolina verde. 


Partendo da zero, con la sola immagine di copertina, pare già dire tanto.
Un uccellino con un gran becco giallo, uno zuccotto rosso in testa. Lo sguardo basso, forse in direzione di una seggiolina verde che è accanto a lui.
La sua solitudine emerge anche da quel titolo urlato, Vai via, Alfredo!
Scatta immediato il senso di protezione nei suoi confronti.
Ancora prima di aver visto cosa contiene, Alfredo ha già un pezzetto del mio cuore.
Nei risguardi Alfredo è ancora lì.
E poi c'è anche quella seggiolina.
Ha perso il colore e il tratto a matita è ancora più sottile. Da questo punto in poi, in un lago di bianco si susseguono pochi segni, linee orizzontali o verticali, ottenute con l'uso di carta carbone, che alludono a una strada o a tronchi d'albero: lo scarno contesto in cui Alfredo si muove. 


E poi c'è quella seggiolina verde che è nel contempo un peso che lui si trascina dietro, ma anche l'ultimo pezzettino di una casa che non c'è più. E' un oggetto che in alcuni momenti accentua il ridicolo della situazione, e in altri diventa utensile, in altri ancora, anche se non raffigurata, diventa simbolo di attesa e poi finisce per essere funzionale alla scena finale. 


Anche quella seggiolina verde è timida, come Alfredo.
Questa diffusa timidezza di segno si ripropone a ogni incontro che Alfredo fa. E tanto più è delicato il gesto del disegno, tanto più è forte l'impatto del testo. E qui pare evidente la qualità della scelta poetica della Pineur, peraltro confermata in una sua presentazione, ovvero quella di dare una voce 'timida' sottile al quel personaggio e a tutto quello che esso può rappresentare e invece dare una voce forte, violenta a tutti gli interlocutori e a tutto quello che essi possono rappresentare. Ma non solo. Il valore aumenta nella scelta programmatica di usare un segno timido per lasciare spazio alla questione di fondo.
Raccontata con così pochi segni, e con così poche parole, ma affilate, la storia di Alfredo assume necessariamente un valore che esula dal contingente e diviene universale. Sotto le piume di quell'uccellino ci sono tanti fratelli e sorelle che come lui non sanno dove stare. E che come lui, dal mondo prendono solo schiaffi.
La Pineur racconta di una sua 'rabbia interiore' per tutto quello che vede succedere attorno a sé rispetto a tutti coloro che, come Alfredo, una casa non la hanno. E questo piccolo libro diventa il suo contributo, la sua voce per dire: No, così no! 


Il finale, nelle parole della gru e nella presenza di quella seggiolina verde, come è giusto che sia nei bei libri, sono una porta spalancata - questa finalmente sì - verso la discussione.
E i risguardi ne sono il suggello.

Carla

venerdì 27 marzo 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


VOLARE


L’occasione per conoscere la vita avventurosa e per certi versi strabiliante di Fiorenza de Bernardi, prima donna a diventare pilota di linea in Italia, è data al protagonista del romanzo di Gigliola Alvisi, ‘Oltre il muro di nuvole’, dal viaggio che fanno insieme, per puro caso, da Roma a Bruxelles. Il ragazzino, Mario, va a raggiungere i genitori che si sono trasferiti a nella capitale belga per lavoro e non è affatto contento di questa scelta. Non gli piace l’idea di lasciare la sua città, Roma, i suoi amici, la scuola e così via. Per ribellarsi a questa scelta, due mesi prima di partire, ha fatto una bravata e la consapevolezza di quella sciocchezza, che ancora non sa nessuno, gli pesa enormemente.
Parte comunque, rassegnato e si trova a fianco un’arzilla vecchietta, che tra l’altro ha assistito alla sua bravata. Mario vola per la prima volta e ha molta paura e la sua vicina di posto gli racconta la storia di Fiorenza de Bernardi, un’aviatrice coraggiosa, una vera pioniera del volo in Italia, figlia di Mario de Bernardi, figura leggendaria del mondo dell’aviazione italiana, non solo pilota collaudatore, ma anche inventore prolifico.
La figlia non segue immediatamente le orme del padre, ma inesorabilmente questo accade dopo la seconda guerra mondiale, quando nel ‘51 quando ottiene il primo dei tre brevetti di volo.
Il romanzo scorre con il racconto dei suoi viaggi straordinari, delle sue avventure, dei suoi atterraggi di fortuna come delle sue trasvolate, fino a diventare comandante di aerei di linea. Solo alla fine del viaggio, fra vuoti d’aria e venti tempestosi, Mario scopre che la sua vicina di posto è proprio lei, Fiorenza de Bernardi.
Una bella storia, con il racconto di una vita che ha tutto dell’eccezionale e che sorprende per lo spirito d’iniziativa e per la libertà che questa donna si è conquistata. Il bello è che ha fatto tutto questo, superando gli ostacoli e l’ostilità dei suoi colleghi, non per motivi ideologici, al contrario provenendo da una famiglia cattolica osservante e con un approccio tutt’altro che progressista. Ma si può essere anticonvenzionali senza essere dei rivoluzionari; ed è quello che è successo in quella famiglia, che ha sostenuto le aspirazioni di una ragazza fuori dal comune e dalle indiscusse capacità. Come in altri casi, una figlia della borghesia cui non era attribuito solo un destino di madre di famiglia.
Questo rende ancora più interessante il personaggio, meno legato ad un’immagine stereotipata di ‘ragazza ribelle’.
Tutto sommato, però, trovo un appesantimento il fatto di voler introdurre la biografia di questa meravigliosa signora, oggi novantenne, con una cornice che dovrebbe forse rendere meno pesante il racconto, attualizzandolo attraverso la storia di Mario, che però ha ben poca consistenza rispetto alla vita avventurosa della de Bernardi. Così come ho trovato un esperimento poco riuscito il mescolare, nel suo linguaggio, un perfetto italiano letterario con una improbabile parlata romanesca, che non ha molto senso pensando alla biografia della signora, nata a Firenze, vissuta a lungo a Milano, per poi arrivare a Roma.
Si tratta in ogni caso di una lettura interessante, una biografia fuori dalla retorica e con molti spunti di riflessione.
Lettura adatta a ragazze e ragazzi a partire dagli undici anni.

Eleonora

“Oltre il muro di nuvole”, G. Alvisi, Edizioni San Paolo 2019



mercoledì 25 marzo 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


ON THE ROAD


‘La seconda avventura’, romanzo di Simone Saccucci, pubblicato da Edt Giralangolo, è proprio un romanzo on the road, che racconta la fuga di due donne, una giovanissima l’altra anziana, verso un luogo di fatto mitico, l’isola irlandese del lago di Innisfree, cantata da Yeats.
Situazione implausibile, ma che acquista una sua credibilità man mano che ci si addentra nel testo: la protagonista, Bianca, che ci racconta il suo viaggio in prima persona, è una sedicenne in fuga dalla famiglia, dopo la morte del padre; la sua non è una fuga qualunque, sta scappando alla guida del suo camion, in testa il mito della camionista polacca Iwona Blecharczyk. Vuole andare via e dimostrare a se stessa di essere all’altezza dei suoi sogni. Incappa quasi subito in una curiosa autostoppista, muta, assai in là con gli anni, che dichiara di chiamarsi Siria e di volere andare a Innisfree.
La ragazza accetta, in fondo non ha meta e non ha molti soldi, può essere utile farsi pagare il gasolio da questa strampalata signora.
Solo che, lungo il percorso, si svelano altre verità: Siria ha un altro nome, Maria, ed è anche lei in fuga, non solo da una casa di cura in cui è nei fatti reclusa, ma dal suo passato.
Lei, cresciuta nei monti della valle dell’Aniene, in un paesetto di poche anime, fatto di povertà e di ignoranza, non è andata a scuola, ma ha avuto un amico, Primo, che le ha fatto conoscere la poesia e la gentilezza. Lei così ha imparato a cantare le storie e lo ha fatto fino al matrimonio con Domenico e ai quattro figli avuti nel corso degli anni. Con loro ha imparato a leggere e scrivere e si è nutrita dei libri che le prestava Primo. Incombe la tragedia, con Domenico è preda di una violenta e feroce gelosia, che la priva, ma non del tutto, della voce, e lei accusata della morte del marito.
Tutto questo Bianca lo apprende dalle poche parole di Maria/Siria, il suo nome d’arte, e dal diario che lei le consegna.
La fuga diventa via via più difficile e drammatica, nonostante le pause e gli aiuti occasionali. Ma d’altra parte, è difficile non farsi notare quandosi è tanto giovani alla guida di un camion.
Non dirò del finale, che riporta il lettore e la lettrice con i piedi per terra.
Il romanzo ha una struttura complessa, che alterna il punto di vista delle due protagoniste e nello stesso tempo inserisce nella narrazione i flashback rappresentati dal diario di Maria, costruendo un continuo cambiamento di piani, di prospettive: il presente della sedicenne in fuga, il presente dell’anziana Maria, in fuga dalla casa di cura, il suo passato di contadina ‘istruita’, cui la poesia ha dato voce.
E’ l’incontro di due solitudini, di due persone in cerca di un futuro che le porti lontano dal passato e poco importa se a Innesfree non ci si arriverà mai.
Simone Saccucci si definisce ‘narratore di comunità, storyteller’; nella sua scrittura c’è molto del racconto orale e della sua apparente incoerenza, con l’evidente scopo di coinvolgere il lettore e la lettrice in una storia dall’andamento ellittico, che ti riporta ciclicamente nello stesso punto, visto però in modo diverso.
Lettura consigliata per lettrici e lettori sopra i dodici anni.

Eleonora

“La Seconda Avventura”, S. Saccucci, Edt Giralangolo 2020

lunedì 23 marzo 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


HAROLD E IL SUO PAPA' -  II PARTE

Harold e la matita viola, Crockett Johnson (trad. Sara Saorin)
Camelozampa 2020


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

Harold, il nome è quello del bambino adottato dalla sorella di Johnson, ebbe un impatto sul pubblico che neanche in casa editrice si aspettavano così imponente. Quando la Nordstrom e la sua collaboratrice Ann Powers vedono il dummy del libro hanno qualche dubbio sul fatto che lo si possa considerare davvero un libro per bambini, ma entrambe maturano la sensazione che quel bambino lì e la sua "dannata" (così in una lettera della Nordstrom a Johnson) matita viola hanno qualcosa che non esce dalla testa di chi lo legge.
Nonostante entrambe non riescano a riconoscergli nulla di sensazionale, tuttavia quella storia incita silenziosamente alla lettura e alla rilettura.


Effettivamente alcuni passaggi del racconto le avevano parecchio convinte " ma ormai stava affondando nell'oceano", altri molto meno, ovvero la pagina immediatamente seguente in cui Harold inspiegabilmente torna in superficie e comincia a disegnare la sua barca oppure quando è in cerca della propria finestra e disegna due tipi di case diversissime. 
Tuttavia la loro conclusione, fortunatamente, è la seguente "the more I look at the book, the more I like it".
E il libro si pubblica. 
Dopo piccoli aggiustamenti su suggerimento della Nordstrom, Johnson rimanda il manoscritto e il libro va in stampa nel 1955. La prima edizione di 10000 copie va esaurita in un soffio tanto che Harper ne ordina una ristampa da 75000. Circostanza questa che suggerisce ad Harper di chiedere a Johnson di mettere in cantiere altre storie di Harold (cosa che lo vedrà all'opera per i successivi 10 anni e non solo su Harold, ma anche su altri titoli). 


Le recensioni sui quotidiani sottolineano subito l'accento forte che Johnson conferisce alla forza dell'immaginazione.
Ma non è solo in questo che sta il valore di questo libro.
E non è un caso che Harold e la matita viola abbia segnato l'immaginario di molti artisti, tra cui quello di Chris Van Allsburgh, all'epoca seienne, che lo cita espressamente nel suo discorso in occasione del conferimento della Caldecott Medal nel 1982 per Polar Express, come il libro memorabile della sua infanzia. 
E lo fa sulla scorta di due ragioni principali.
La prima, il potere che Johnson assegna all'immaginazione.
La seconda, la sua grandiosa capacità di sintesi nel descrivere un'idea decisamente inafferrabile.
Sulla questione del potere dell'immaginazione si può riflettere dopo.
Mentre ora è più interessante partire dal ragionamento di Van Allsburgh sull' 'inafferrabilità'.
In sostanza si può affermare che il libro, così come è concepito, incoraggi la riflessione sul rapporto che lega la rappresentazione e la realtà (questione centrale per l'arte in generale e per il Surrealismo in particolare, quest'ultimo non a caso 'saccheggiato' da una infinità di illustratori per l'infanzia). 
I disegni di Harold possono essere definiti metafigure, come anche quelli di Saul Steinberg, ovvero il loro significato cambia con il cambiare della figura, del disegno. 


Per capire meglio: quello che Harold disegna come un cerchio diventa un pallone e quindi una mongolfiera, nel momento in cui ci disegna sotto un cestello. Lo stesso vale per le linee iniziali che possono essere lette non solo come la strada per la passeggiata di Harold, ma -metafora- come il percorso che ci viene suggerito per entrare nella logica 'inafferrabile' di questo libro.
Non mi è possibile verificare se Iela Mari avesse avuto per le mani Harold e la matita viola, ma è un fatto che Il palloncino rosso (di una dozzina d'anni più giovane) ragioni sullo stesso concetto.
Questo concetto che è alla base di Harold e la matita viola si esalta a livello emotivo in alcune particolari situazioni: il tremore del gesto che trasforma il segno in ondine di acque increspate oppure la montagna che è disegnata oggettivamente solo per metà e genera il capitombolo in basso. 


Fortunatamente Harold è un bambino pieno di risorse (cosa che fa immediatamente pensare alle geniali soluzioni di Ned in Fortunatamente di Remy Charlip, posteriore di meno di dieci anni) e con la sua matita disegna la soluzione ai suoi problemi.
Molto correttamente Philip Nel, a tal proposito, costruisce una somiglianza forte tra il piccolo Harold e il grande Crockett. E' l'ennesima convalida della frequente esistenza di meravigliose quanto naturali genealogie tra gli autori e i loro personaggi.
A parte la circostanza fisionomica che li assimila, Harold e Crockett sono entrambi calvi, hanno un'altra caratteristica comune: entrambi hanno scelto la matita con strumento di salvezza. Per Harold non credo occorra aggiungere nulla, per Johnson va forse detto che la sua questione con l'FBI era andata avanti fino al 1954 (per poi risolversi positivamente proprio alla fine del 1955 in concomitanza con l'uscita del libro) a tal punto che proprio mentre lavorava ad Harold due agenti lo tenevano d'occhio e lo aspettavano al varco per 'intervistarlo', all'esterno della sua casa, e lui, all'interno li controllava dalla finestra del suo studio senza sognarsi di uscire, ma creando un'altra realtà, disegnando, disegnando e ancora disegnando. Esattamente come il dio in pigiamino, Harold.
Tanto Ruth Krauss cercava nei bambini che aveva modo di osservare la sua fonte di ispirazione (come d'altronde anche la Wise Brown), tanto Crockett Johnson la cercò e la trovò in sé. Harold per molte ragioni sembra essere il ritratto del piccolo Dave, che da piccolo disegnava sempre.
Disegnare di notte è l'altro tratto che li tiene insieme. E ancora, la passione, quasi un'ossessione, per il colore marrone di Johnson, che amava circondarsi solo di cose di quel colore e si vestiva praticamente solo di marrone è la ragione per cui, accanto al viola c'è solo un lago di bianco e quanto più marrone possibile. 


A partire dalla copertina, quella originale è ancora visibile nelle vecchie edizioni e marrone è ancora quella dell'edizione sacrificatissima fatta da Einaudi. Oggi purtroppo è perduta, ma l'amato marrone resiste nel contorno di Harold e nel retino di testa e mani e nella tipografia. Diventa colore dominante nel libro successivo dove il fondo di quasi tutte le pagine è marrone - assoluta novità per l'epoca - a indicare un cielo buio da attraversare. Anche in chiave più strettamente politico/sociale Harold e il suo papà si rassomigliano.
Se si mette in luce la poetica di Johnson si nota subito che il suo impegno di fumettista e di autore consiste nel dire al mondo, anche attraverso questo bimbetto in pigiama, che le cose nel mondo si possono cambiare e che, attraverso l'immaginazione, è possibile creare le condizioni per una vita migliore.
L'immaginazione è lo strumento che abbiamo per provare a modificare la realtà, ma è anche lo strumento del bene morale, come diceva Shelley.
E solo così per esempio si spiega l'attenzione di Johnson a non mandare sprecate, lì sul prato, le torte. Basta disegnare un alce e un riccio che se le finiscano. 


La sua responsabilità morale è salva. O ancora, in Harold e il viaggio nello spazio (Einaudi Ragazzi, 2000), il protagonista decide di sabotare, come sempre attraverso il disegno con la sua matita, il disco volante del marziano che altrimenti avrebbe potuto spaventare i bambini sulla terra.
L'immaginazione mostra che ciò che esiste non è necessariamente ciò che dovrebbe o potrebbe esistere.
E per chiudere il cerchio perfetto che è questo libro, si torna su di lei, che ha illuminato anche il principio di tutto, la luna: testimone muta di questa 'inafferrabile' creazione dell'immaginazione. 


Non credo di dire fesserie se affermo che Sendak, con quella luna che veglia sul suo bambino divino, di nuovo vestito di bianco, è stato il primo e grato discepolo del suo grande amico, Dave.

Carla

Noterella al margine. La conoscenza e le riflessioni su Crockett Johnson, sulla sua poetica e sui suoi libri più significativi sono parte di una ricerca più ampia da me condotta su alcuni degli autori e delle autrici più importanti dal Dopoguerra a tutti gli anni Sessanta nel panorama della cultura occidentale. 


Tale lavoro di ricerca è diventato argomento per un seminario, tenutosi a Roma lo scorso novembre.









venerdì 20 marzo 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


HAROLD E IL SUO PAPA'  -  I PARTE

Harold e la matita viola, Crockett Johnson (trad. Sara Saorin)
Camelozampa 2020


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Una sera, dopo averci pensato per un bel po', Harold decise di andare a fare una passeggiata al chiaro di luna.
Ma la luna non c'era e ad Harold serviva una luna per fare una passeggiata al chiaro di luna."

Evidente. Per fare una passeggiata serve anche una strada e anche quella non c'era e andava creata. E la strada che disegnò con la sua matita viola era lunga e diritta perché non voleva perdersi. Purtroppo però quella strada sembrava non arrivare da nessuna parte e così la abbandonò per andare verso una foresta che non c'era e che andava disegnata. Una grande foresta sarebbe stata pericolosa, quindi la fece con un unico albero di melo, carico di mele. A guardia disegnò un drago che però lo spaventò al punto di fargli tremare la matita che inavvertitamente disegnò le ondine di un mare dentro cui il povero Harold stava per affogare se non avesse disegnato in tempo una barchina con anche la vela. la navigazione procedeva tranquilla fino ad arrivare a una spiaggia dove fare merenda. Disegnò quindi le sue nove torte, ma non le mangiò tutte. Anche questa volta ebbe una grande idea per non sprecare nulla....Con la matita in mano il viaggio proseguì su montagne ripide e attraverso città fitte di palazzi e quando la stanchezza e la voglia di casa lo prese non gli restò altro che disegnare la propria finestra di camera, il proprio letto, infilarcisi dentro, tirandosi sul naso la coperta soffice. 
Disegnata anche quella.

In un tiepido giorno di agosto del 1950 Crockett Johnson, conosciuto fumettista - la sua striscia è Barnaby, un fratello di Harold - apre la porta della sua casa e si trova davanti due agenti dell'FBI. E' un venerdì.

Crockett Johnson, Barnaby
 
Crockett Johnson è sposato da 7 anni con Ruth Krauss. In quel momento lui sta per scrivere il libro che lo ha reso famoso nel mondo Harold e la matita viola e lei sta per scrivere il suo undicesimo libro, A Hole is to dig, che poi illustrerà Maurice Sendak, al suo quasi esordio.
Ma perché l'FBI alla loro porta? Il loro successo non è ancora così consolidato, ma le loro persone si trovano all'incrocio di tre strade importanti, ovvero arte-politica-commercio.
Nell'era della Maccartismo molti artisti che avevano dichiarato la loro appartenenza ideologica alla sinistra - tra questi Krauss e Johnson - venivano 'bruciati' nell'ambito della loro attività, ma trovavano un certo seguito in quello dell'editoria per l'infanzia. La Huac (commissione per le attività antiamericane) aveva il potere di escludere i libri dai circuiti commerciali. Ma l'editoria per l'infanzia non era considerato ancora un terreno pericoloso e così molti, per necessità, vi approdarono.
Insomma, se da un lato gli Stati Uniti rappresentò la terra delle seconde opportunità per molti autori europei fuggiti dal disastro della II guerra mondiale, dall'altro fu la terra più fertile per diffondere una delle più capillari 'cacce alle streghe' di sempre.
Fortunatamente per noi, Krauss e Johnson nonostante l'attenzione dell'FBI in realtà poterono continuare felicemente a lavorare perché scelsero l'ambito espressivo considerato dal sistema di controllo come il meno pericoloso: i libri per bambini.
Gli anni Cinquanta, Maccartismo a parte, furono anni di grande fermento nel campo dell'editoria: il baby boom fece esplodere i fatturati che tra il 1950 e il 1960 triplicarono.
Furono davvero anni d'oro per l'editoria. Furono gli anni delle Cronache di Narnia di Lewis (1950), della Tela di Carlotta di White (1952), dell'approdo di Pippi, oltreoceano (1950 Viking Books pubblicò la prima traduzione in USA).
Dunque, molti scrittori e illustratori fuggiti dall'Europa a causa del conflitto, erano arrivati in USA già da qualche anno ed erano attivi come grafici, designer o fumettisti di fama e proprio negli anni Cinquanta, per il Maccartismo e per il baby boom, un gran numero tra loro si indirizzò con successo verso il mondo dell'illustrazione per l'infanzia.
E questa è anche la storia di Johnson, il cui vero nome era David Johnson Leisk.
Fumettista già affermato, arrivò solo in seconda battuta all'illustrazione per l'infanzia, ovvero nel 1943 con un libro sul denaro, The Rich World: The Story of Money e anche Ruth Krauss, all'epoca, si occupava più di antropologia che di infanzia.
Eppure entrambi da lì a un anno, nel 1945, scrissero uno dei libri più belli che siano mai stati pubblicati. 

 
Libro che segnerà il destino di entrambi: The Carrot Seed.
A contribuire alla perfezione di quel libro di poche pagine, con un testo che non supera le 110 parole, e con un disegno a dir poco cristallino, fu Ursula Nordstrom la leggendaria editor di Harper in quegli anni. Per intenderci, quella che scoprì Sendak, la Wise Brown, Ungerer, Silverstein, Lobel.
The Carrot Seed, quando fu pubblicato (dal 1945 senza interruzione), alcuni lo considerarono eversivo nei confronti degli adulti, altri un manifesto dell'autonomia di pensiero dei bambini, alcuni lo definirono una bella narrazione sulla fede che anima i piccoli.
A little book with a big idea! Ebbe un successo immediato, diventando subito un fenomeno editoriale.
Questo incoraggiò entrambi a proseguire in quella direzione. 
E meno male.
Questa lunga premessa è, se non necessaria, quanto meno propedeutica per poter capire a fondo la temperie culturale in cui nasce Harold e la poetica del suo autore, purtroppo misconosciuto al di qua dell'Oceano, che andrebbe invece considerato una delle colonne dell'illustrazione di sempre.
Senza di lui e senza Ruth Krauss, molto probabilmente non esisterebbe neanche Sendak. Tanto per dirne una.
Crockett Johnson, che si era formato alla Cooper Union e poi alla New York Universtity School of Fine Arts, facoltà di Thipography and Graphic Design, è molto riconoscibile per il suo stile semplice, quanto inconfondibile.
Attento agli elementi essenziali della scena, è solito eliminare tratti e cose che non siano necessari alla narrazione. Uno stile semplificato quasi diagrammatico per raccontare con chiarezza, evitando ogni superfetazione arbitraria.
La purezza della linea dei suoi disegni è diventata leggendaria, a tal punto che un suo collaboratore la definì al di là del perfezionismo.
Nello stesso tempo, Johnson è ossessionato dall'idea di disegnare sempre allo stesso modo: effettivamente i bambini Harold, Barnaby e quello che coltiva la carota sembrano fratelli. 


Questa però non è una debolezza, al contrario un punto di forza.
La semplicità, la pulizia e il rigore del tratto è un atto di rispetto nei confronti dell'osservatore. Di fatto non si offre nulla di ulteriore e superfluo per la comprensione, nulla di meno perché l'occhio capisca. Quello che sembra un modo semplice di disegnare è in realtà il frutto di una pulizia e di un perfezionismo estremo.
'Mai perdere di vista l'arte del sembrare semplice.'
Ciò nonostante, Johnson non è mai stato apprezzato quanto avrebbe meritato, neanche in patria, dove venne ignorato dalla Caldecott, forse in ragione del suo passato di 'fumettista': una sorta di peccato originale, macchia indelebile nella carriera di un illustratore.
Harold e la matita viola Johnson lo propose alla Nordstrom che si dimostrò interessata e che lo pubblicò nel 1955.
Il libro divenne subito un grande successo non solo perché dava espressione al senso dell'immaginazione, ma anche perché è una rappresentazione del fatto che con le idee si può cambiare il mondo: quando il sogno diventa realtà. 



Niente non può diventare qualcosa.
Sebbene non sia il primo a mettere viola su bianco il concetto di immaginazione (precedenti illustri in Saul Steinberg, McCay con Little Nemo), Johnson ha la capacità di distillare l'idea nel modo più semplice possibile e attraverso la forma più profonda.
Harold vive sulla pagina bianca, non esiste mondo se non quello che lui crea.
Harold è un piccolo dio in pigiamino. 



La maggiore studiosa di Jackson Pollock, parlando di Harold lo definisce la miglior lezione di storia dell'arte possibile: nella matita di quel bambino c'è il mondo.
Fu un successo pazzesco 10.000 copie vendute e poi 75.000.

Carla

[continua]

mercoledì 18 marzo 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


AVA NON E’ WONDER


E’ stato spesso accostato al romanzo della Palacio, ‘Wonder’ appunto, il testo di esordio di Erin Stewart: ‘Io sono Ava’, pubblicato recentemente da Garzanti, che inaugura così la nuova collana di narrativa per ragazzi, Libri Ribelli. Ha in comune con il fortunato romanzo pubblicato da Giunti l’avere come protagonista una ragazza dall’aspetto fisico devastato non da una malattia, in questo caso, ma dalle ustioni.
Come in ‘Wonder’ il romanzo descrive il percorso, ovviamente difficile e pieno di ostacoli, della giovane protagonista, Ava, una sedicenne sopravvissuta all’incendio in cui sono morti i genitori e la cugina Sara. Il tono, quindi, è quello del dramma, ammantato da sensi di colpa e dalla difficoltà ad entrare nella nuova vita, in cui non c’è una ragazzina di successo, ma un corpo martoriato che in ogni suo centimetro dichiara la propria storia.
Incontriamo la protagonista, che parla in prima persona, dopo un anno dall’incidente, che le ha lasciato un corpo irriconoscibile, pieno di cicatrici, con una mano deforme e senza un orecchio.
E’ il momento di ricominciare a vivere insieme ai nuovi genitori, gli zii rimasti senza la figlia, e a improbabili nuovi amici. Ava è in una nuova città e deve provare a tornare a scuola, un liceo con tutte le caratteristiche di una scuola superiore: gruppetti di amiche, giovanotti super sportivi e via discorrendo. Ava riesce a legare con due sole persone: Piper, anche lei reduce da un incidente automobilistico e ridotta su una sedia a rotelle, e Asan, un ragazzo di origini orientali.
Il romanzo è in sostanza la descrizione del difficile percorso che con grande dolore porta Ava ad accettare la sua nuova se stessa; nello stesso tempo è la descrizione delle relazioni familiari e amicali che la circondano, fatte di alti e bassi, di comprensione e di tradimenti, di segreti difficili da raccontare. Questa è sicuramente la parte del romanzo che funziona meglio, rendendo ragione alla inevitabile fragilità di ciascuno. Non è facile per gli zii superare il lutto, non è facile per gli amici continuare ad esserci.
Qui la svolta viene data dalla partecipazione della protagonista allo spettacolo del liceo, un musical ispirato al Mago di Oz, che costringe Ava a misurarsi con il giudizio degli altri, tutt’altro che impietoso.
Come dicevo, Ava non è Wonder: in questo romanzo non c’è l’esasperato, e inverosimile, ottimismo, semmai la registrazione delle difficoltà e del dolore di chi vive una situazione così estrema. Il romanzo della Stewart si muove costantemente in bilico fra l’esigenza di trasmettere un messaggio positivo, incoraggiante, e la descrizione delle difficoltà reali. Non cade negli eccessi della retorica, ma ha il grande difetto di di voler insegnare a tutti che la vita può essere bella per chiunque, qualunque sia la sua storia e il suo dolore.
Sicuramente è una storia coinvolgente e forse qualcuna delle lettrici e dei lettori vorrà fare una qualche riflessione sulla nostra subcultura legata all’immagine, che tanto condiziona il comportamento degli e delle adolescenti. Ma è essenzialmente una storia a tema, scritta con il supporto delle associazioni americane che aiutano i grandi ustionati.
Pur essendo uno spaccato di vita reale, in quanto tale interessante, temo verrà letto per i sentimenti che smuove, esattamente come è stato per ‘Wonder’.
Lettura molto emotiva per ragazze e ragazzi sopra i tredici anni.

Eleonora

“Io sono Ava”, E. Stewart, Garzanti 2020



lunedì 16 marzo 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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Non C'è posto per tutti, Kate&Jol Temple, Terri Rose Baynton
(trad. Susanna Mattiangeli)
Il Castoro 2020

POSTICIPATA L'USCITA AL 2 APRILE 
(giorno in cui da qui ve lo ricorderemo)


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Un posto per tutti non c'è
Ed è sciocco ripetere che
C'è spazio, si entra, ci stiamo
Sciò! Non ti vogliamo!
Non potremo dirti mai
Benvenuta tu e i tuoi cari.."

C'è uno scoglio in mezzo all'acqua e due foche e un gabbiano lo occupano. A destra c'è un frammento di roccia su cui si riposa una foca con il cucciolo, stremati. Il loro viaggio probabilmente è stato lungo, e anche pericoloso. Magari sono fuggiti da un mare in tempesta. Ma lo scoglio è già occupato e le foche, ora sono addirittura tre, e anche i gabbiani sono aumentati, non sembrerebbero lì per dare loro il benvenuto. Le loro parole sono molto chiare e perentorie: la foca e il piccolo devono riprendere la via verso il luogo da cui stanno arrivando. Dunque sembra chiaro per tutti che l'unica cosa da fare sia tornare indietro.

Ecco. Tornare indietro, questa è la chiave.
Nel senso più letterale possibile, ovvero rileggendo tutto quanto letto finora e sfogliando il libro dalla fine verso il principio.
Due sole accortezze, farlo con uno sguardo e un ritmo di lettura 'vergine' rispetto a quelli della lettura precedente.
Se lo si fa, per esempio, con le righe che aprono, suona esattamente così:
"Benvenuta tu e i tuoi cari
Non potremo dirti mai
Sciò! Non ti vogliamo!
C'è spazio, si entra, ci stiamo
Ed è sciocco ripetere che
Un posto per tutti non c'è."


Una storia-palindromo che funziona come un meccanismo di precisione, complici due circostanze: la prima la si deve alla scansione di ritmo che impone necessariamente il giro pagina e la seconda si sviluppa nelle sacche di ambiguità che l'inglese in originale, ma anche l'italiano in traduzione dimostrano di possedere.
Certo è che tanto nella lingua originale, quanto nella traduzione si vedono all'opera talenti e sensibilità sviluppate.
A partire da quelli che dimostrano di avere Kate&Jol Temple che impostano tutto, a partire già dal titolo, sul doppio significato che la parola room possiede: può oscillare tra due significati che solo apparentemente sono lontani - spazio e possibilità - che qui concretamente dimostrano la loro prossimità. La stessa ambiguità esiste anche in italiano, d'altronde.


Un testo così perfettamente calibrato rende necessaria una traduzione illuminata, quella di Susanna Mattiangeli, che dimostra di avere la stoffa per mantenere in piedi la stessa vivacità di pensiero e di lessico, dell'esilarante coppia di autori australiani (se anche Parrott Carrott potesse essere tradotto, saremmo tutti molto contenti).
Dunque, andando da sinistra a destra nella lettura la storia è quella di una esclusione, di un respingimento verso un mare pieno di insidie. Se invece ripartiamo dal fondo e risaliamo, per così dire, la corrente si tratta di un viaggio effettivamente pericoloso verso un luogo dove potersi fermare e sentirsi accetti e a casa. Protagoniste le foche che anche nella realtà fanno lunghi tragitti in mare per riprodursi, un po' come i salmoni e le balene. Naturalmente mettere una madre con il cucciolo migrante al posto di una madre con il bambino migrante, alleggerisce l'impatto, ma non toglie nulla al senso più profondo del racconto.


Se per il testo le opportunità sono state messe in luce, per quel che riguarda il disegno, la situazione si presenta più insidiosa. Essere respinti o essere accettati ha per forza dei risvolti nell'espressione dei personaggi. Terri Rose Baynton fa quasi sempre un buon lavoro, nel mettere nei loro sguardi la paura, la speranza e l'incertezza. Anche il disegno non è sempre all'altezza, ma bisogna ammettere che il compito non era semplice. Rispettare la struttura del testo che è sospesa in piccoli versi che si troncano con esattezza millimetrica, laddove è necessario farlo, fa sì che lei debba muoversi in un 'mare' incerto.
E poi, fortunatamente, ci sono loro, i gabbiani. Non sono solo lì a fare da testimoni. Hanno il compito di dare la direzione giusta alla storia, quella stessa direzione che Amnesty International ha voluto sostenere.


E che è decisamente l'unica umanamente possibile.

Carla