venerdì 28 giugno 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


DI ANATROCCOLI BELLI (I)

Il brutto anatroccolo, H.Ch. Andersen, Veronica Ruffato
Zoolibri 2018



ILLUSTRATI PER MEDI (dai 6 anni)

"Che estate quell'estate!
Il grano dorato, l'avena verde, il fieno tagliato e imballato: tutto risplendeva.
Folti boschi circondavano i campi nascondendo specchi d'acqua calmi e profondi. Una vecchia cascina battuta dal sole spiccava, contornata da un ampio fiume.
Tra le sue mura e il corso d'acqua crescevano foglie di cavolaccio così alte che i bambini potevano nascondersi all'ombra delle più grandi.
In quel luogo isolato e protetto un'anatra covava il suo nido, in attesa della schiusa.
Covare richiedeva tempo e pazienza."

Questo è l'incipit, lievemente riveduto e adattato (è sparita la cicogna che biascica egiziano) della fiaba di Andersen, Il brutto anatroccolo.
Come la vicenda va avanti è noto a tutti. L'uovo che richiede la cova più lunga contiene un pulcino più grosso degli altri, decisamente sgraziato agli occhi degli animali del pollaio, dove mamma Anatra orgogliosa, ha appena portato in parata i suoi piccoli. 


E' un drago nel nuoto, quindi è escluso si tratti di giovane tacchino, tuttavia tutti pensano sia un intruso e come tale da tenere a distanza. E anche di mala grazia.
Lui fugge convinto di essere uno scarto e come tale si comporta per tutto il tempo che girovaga, dalla palude, alla casa della vecchia o a quella del contadino che lo salva dal ghiaccio del lago in inverno. Perennemente maltrattato, il brutto anatroccolo, che nel frattempo è cresciuto, è ormai convinto della propria bruttezza e del fatto che al mondo non ci sia posto per lui. Solo una volta nella sua vita aveva sentito un tepore nel cuore quando, al sopraggiungere del freddo, aveva visto uno stormo di cigni volare nel cielo diretti verso territori più caldi.
Ma per lui tutto cambia allo sciogliersi del ghiaccio delle acque che diventano specchio: al brutto anatroccolo capita di vedersi riflesso e quindi capire finalmente chi lui sia. A seguire, un coro unanime di persone che lo acclamano, per la sua bellezza. A chiudere, la felicità fino a quel momento mai provata!

Le fiabe sono terreno adatto all'esercizio. Le fiabe portano con sé un immaginario ben costruito, solido e soprattutto condiviso e diffuso e nel contempo, proprio perché illustrate già da moltissimi, sono luogo favorevole alla sperimentazione e all'interpretazione di detto immaginario. 


Fabian Negrin, che di fiabe se ne intende parecchio, parlando delle sue illustrazioni per le diverse collane di Donzelli, afferma che uno dei suoi obiettivi è proprio quello di andare in cerca di aree inesplorate tra le pieghe del racconto, in modo da garantirsi una visione originale rispetto a chi come illustratore lo ha preceduto sul medesimo terreno.
E dato che Negrin è Negrin, una delle sue maggiori abilità sta proprio nel aver saputo trovare chiavi di lettura e risvolti inediti che abbiano sempre qualcosa di nuovo da aggiungere a una storia vecchia di secoli.
Le fiabe però sono anche altro, ovvero sono terreno ideale per giovani illustratori, a patto che questi abbiano dalla loro una buona capacità interpretativa e un poco di coraggio.
Tuttavia in caso diverso, alla robustezza del testo poco potranno nuocere.
Qui con Veronica Ruffato siamo davanti a un ottimo esempio di talento all'opera su un materiale che ovviamente vanta precedenti illustrissimi.
E la giovane illustratrice, presumibilmente come lavoro di conclusione del suo Master a Macerata nell'ambito di Ars in Fabula, è chiamata a illustrare una delle fiabe più universali nella sua attualità.
E come lo fa? Dimostrando sostanzialmente tre cose: una buona dose di coraggio nell'invenzione, un indiscusso talento nel disegno e nella composizione, una grande sensibilità nel cogliere il nocciolo della questione.


L'invenzione. Il suo coraggio sta nell'essere riuscita a infilarsi nelle maglie di un contesto preciso: la campagna con le sue fattorie, le sue case di contadini, i suoi stagni e laghetti attraversati dalle stagioni danesi. Un gran freddo e un gran ghiaccio. Andersen descrive i luoghi con un certo gusto per il dettaglio: lo stesso incipit è costruito sul colore di quella estate e di quell'angolo tranquillo di Danimarca. Lo stesso fa in seguito: "fra i rami degli alberi protesi sopra i giunchi; il fumo azzurrino passava come nuvola tra gli alberi scuri e restava a lungo sospeso sull'acqua; nel fango comparvero i cani da caccia..." oppure "si trovò in un grande giardino, dove i meli erano in fiore e i cespugli di lillà odoravano e piegavano i lunghi rami verdi fino all'acqua del canale serpeggiante."
Veronica Ruffato di tutto questo decide di cogliere solo alcuni aspetti, citandoli, ma costruisce un contesto originale per allontanarsi dal rischio di essere didascalica.


Gli animali non sono solo quelli da cortile, ma un variegato quanto unico 'corpo vivo', da cui escono tigri, tucani, pappagalli, fenicotteri, manguste e anche un piccolo dinosauro (giocattolo). Questa idea di mettere insieme in un unico oggetto scenico, tante forme e corpi diversi che si incastrano tra loro come i pezzi di un puzzle, mi ricorda esempi illustri come alcune magnifiche pagine di Carll Cneut (non ultimo nella scelta di 'tagliarli' con il taglio della pagina). 


Veronica Ruffato per tenere su questa grande 'macchina scenica' ha bisogno di una architettura in cui collocarla e lo fa continuando a giocare, inserendo una torre rovescia composta di elementi sempre più grandi e sempre più pesanti, sfidando ogni legge della fisica: si parte da un castello di carte alla base per arrivare a un cassettone di legno al vertice. Usa una paletta di colori ristretta che sembra più fedele alla Venezia del tardo Cinquecento che non alla realtà danese, pur rispettando i blu e i verdi scuri delle acque fredde.
La palude in cui incappa l'anatrino si trasforma in una giungla percorsa da una improbabile battuta di caccia, ma già nella pagina successiva il grande muso di cane sbuca 'fedelmente' tra le canne di bambù.
Il talento. Della composizione in qualche modo si è già detto nella sua capacità di muoversi all'interno della pagina, non sentendola mai come una gabbia, quanto piuttosto potenziandone i limiti. È brava nell'alternanza tra vuoto e pieno, tra minuscolo e grande, tra bianco e colore. E sa disegnare molto bene perché nel suo segno si riconosce la sicurezza necessaria per poter 'deformare' i profili originali, rendendoli grotteschi. Anche in questo caso si permette la libertà di giocare con i suoi lettori. E a proposito di gioco sa essere ironica, punteggiando sempre le tavole di dettagli extravaganti, compreso il disegno del mio adoratissimo uccellino oscillante dalla pancia di vetro e dal becco di spugna e di un soldatino danese con la sua giubba rossa e la bandoliera bianca incrociata e il tipico colbacco di pelo (lo conservo ancora dall'infanzia).
La sensibilità. E sto alludendo principalmente alla costruzione di un personaggio che deve avere alcune caratteristiche imprescindibili: deve essere sgraziato, ma nello stesso tempo deve ispirare tenerezza. Deve essere buffo, ma nello stesso tempo evitato da tutti. Deve avere le caratteristiche di un cucciolo.


Il suo anatroccolo ha zampe e becco sproporzionati (e collo forte!) si muove sempre ai margini del foglio. Parte a testa in giù per poi attraversare in lungo e in largo le pagine. Lui è l'unico a non avere colore, o meglio ad avere un colore che lo ricopre da capo a piedi, grigio bluastro, colore che mantiene anche a metamorfosi avvenuta. Un po' come a voler ribadire che ciascuno di noi è il risultato del proprio passato.


Noterelle a matita punteggiano le tavole (come se fossero disegni ancora in via di definizione) e fanno riferimento a l suo immaginario cinematografico (si direbbe una vera passione). Diversi dettagli sono lì a ricordarci altre fiabe di Andersen.
Tutto questo contribuisce a fare di Veronica Ruffato una illustratrice di talento e sperabilmente in ascesa, ma anche a dare qualità e originalità a questa bella edizione della fiaba classica più autobiografica che sia mai stata scritta.


Carla

mercoledì 26 giugno 2019

FAMMI UNA DOMANDA!


SEMPLICITA’ E COMPLESSITA’


Come più volte sottolineato, la produzione editoriale di carattere divulgativo non riesce a coprire in modo soddisfacente le esigenze di ragazze e ragazzi sopra i dieci anni. Recentemente, dopo anni di scarsità, alcuni editori si sono indirizzati in questa direzione, traducendo soprattutto, ma non solo, dall’editoria britannica.
In questa fascia d’età il problema più grande è spiegare in modo semplice argomenti complessi, che sono spesso oggetto delle curiosità dei giovani scienziati: dall’informatica all’astrofisica, dalla genetica alla botanica e così continuando di complessità in complessità.
L’editoria di lingua inglese ha una grande tradizione nell’ambito divulgativo e un esempio lo abbiamo nei testi che sto per proporvi. L’editore in questione è Usborne, che propone alcune collane molto interessanti.
La prima l’ho già proposta tempo fa, e ora la ripropongo per un tema che potrebbe incontrare l’interesse dei ‘nerd’ in erba: ‘100 cosa da sapere su Numeri, Computer e Codici’, realizzato come sempre da una nutrita schiera di specialisti, affronta tematiche di grande complessità e, diciamolo, astrazione, temi che spaventerebbero molti e molte di noi. Dalla misurazione del tempo al codice binario, dalla sequenza di Fibonacci ai numeri irrazionali per arrivare a temi filosofici come quello della esistenza reale dei numeri; insomma molti argomenti, i 100 del titolo, che spiegano in una sola pagina e con l’aiuto dell’info-grafica, ciascun tema, che può trattare di tecnologia, di storia della scienza, di attualità o di teorie fra le più difficili, con un linguaggio semplice e preciso.
La vulgata vuole che dopo una certa età, i fatidici dieci anni, non si ricorra più allo strumento libro per approfondire gli argomenti interessanti, ma ci si rivolga al magico mondo della rete. Temo che raramente la ‘rete’ sia frequentata per questi scopi e che garantisca la stessa qualità delle informazioni di un buon libro, ma soprattutto manca la possibilità di seguire il filo dei propri interessi, la curiosità di scoprire nuovi argomenti, lo stimolo a mettere in relazione anche ambiti differenti.


Nello stesso spirito è anche ‘Il mio taccuino di ingegneria’, dello stesso editore, anche questo parte di una collana, che si rivolge alla stessa fascia d’età, ma con un approccio più operativo, proponendo attività connesse alla costruzione di macchine semplici, spiegandone via via i principi che ne permettono il funzionamento. Grafica semplice, attività pratiche e spiegazioni teoriche ne fanno un breve efficace trattato per giovani costruttori e costruttrici di domani.
Questi testi, che non si segnalano per la particolare raffinatezza delle immagini, ma per la grande efficacia del progetto editoriale dovrebbero essere presenti in tutte le biblioteche, scolastiche e non, e anche in casa di quei ragazzi e ragazze che non si accontentano di saper usare un computer, ma vogliono conoscerne il funzionamento e la logica ispiratrice.
Indispensabili per scienziate e scienziati di domani.

Eleonora

“100 cose da sapere su Numeri, Computer e Codici”,Edizioni Usborne 2019
“Il mio taccuino di Ingegneria”, Edizioni Usborne 2019

lunedì 24 giugno 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


IL CIELO DI HEIVISJ

Il nostro avvenire dorato, Benny Lindelauf 
(trad. Anna Patrucco Becchi)
San Paolo Edizioni 2019


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni

"Adesso lo sapevo. Lo sapevo. Non che non me lo fossi aspettato. Il mio sogno andò in frantumi in modo terribile e fatale: non sarei diventata maestra, né ora né il prossimo anno, né mai. Non avrei finito la scuola! Mi sentii male dalla delusione.
E a quel punto mi fu chiara anche un'altra cosa: quanto intensamente l'avessi desiderato, con tutto il cuore."

Pochi giorni prima, siamo nel 1938, la direttrice della scuola aveva chiesto a Fing se le sarebbe piaciuto, finita la scuola, entrare in collegio, l'Istituto magistrale, per studiare da maestra. Sarebbe stata scelta tra diverse candidate, avrebbe avuto un sussidio, avrebbe dovuto separarsi dalla casa e dalla famiglia: questo sembrava essere il suo avvenire dorato. Nonna Mei però non è donna che accetti aiuti economici: carità per i Boon è indegnità! questo è il suo motto. Lei, complice un capotto sdrucito, si mette di traverso a questo sogno di ragazzina e così Fing non andrà all'Istituto magistrale e non finirà neanche la scuola. La nonna ha altri piani per lei: per pochi soldi, andare a tenere compagnia alla nipotina della Prussiana e dell'Imperatore dei sigari, in una delle famiglie più ricche della città.
Gli scenari nella vita di Fing cambiano rapidamente: c'è aria di guerra, la convivenza con quella bambina viziata le induriscono il cuore, Muulke e Jes stanno crescendo, e anche Fing scopre sentimenti nuovi e nuovi lavori, Pap e figli, che sembrava avessero trovato la loro strada nella produzione di sigari, vengono deportati a lavorare in Germania, nonna Mei non regge il colpo.
Su tutto cala la grande ombra della guerra che spagina le poche certezze di quella ragazzina, e inaspettatamente le apre spiragli di luce su alcune vere verità.

Lindelauf non ha abbandonato la famiglia Boon. Ha solo fatto passare degli anni che hanno fatto crescere le tre ragazzine e i quattro fratelli, mettere la testa a posto a Pap, invecchiare con stile e immutato piglio nonna Mei. Ma anche per tutti coloro i quali non abbiano mai incontrato i Boon (e non abbiano ancora avuto il piacere di leggere Nove braccia spalancate) il libro non perde un battito.
La cosa che accade e che lo rende diverso dal precedente è la prospettiva. Continua a essere un romanzo corale molto ben orchestrato, ma smette di ruotare intorno a un luogo, perno per quella famiglia, la casa Nove braccia spalancate e, si potrebbe dire, sboccia verso l'esterno, verso la vite degli altri, verso la Storia. La casa come luogo fisico e dell'immaginario va sullo sfondo come sullo sfondo passano anche molti membri della famiglia. Resta sempre in primo piano invece quella meravigliosa 'sorellanza' che sembra avere più di un legame con Piccole donne e Piccole donne crescono.
Lindelauf continua ad affidare a Fing la narrazione, ma adesso quella ragazzina è ai bordi del suo debutto in società e i suoi rapporti interpersonali sono molto più allargati, più complessi, più coinvolgenti. Non c'è più solo la famiglia nel suo orizzonte.
E molto più forte è la percezione e la tensione verso il futuro. In questo senso il titolo appare come un dichiarazione di intenti. Insomma ci si muove in direzione opposta rispetto a Nove braccia spalancate che al contrario era molto legato al passato. Fing ha una consapevolezza di sé molto maggiore ed è a un passo dalla perdita dell'innocenza. Si assiste al suo rito di passaggio, al suo diventare grande. E in questa prospettiva, la guerra gioca un ruolo fondamentale, come è normale che sia.
Concepito come un monolite dal punto di vista della costruzione narrativa, Il nostro avvenire dorato, compreso il finale letteralmente travolgente, ha molte qualità al suo attivo: l'universalità delle questioni che solleva e la relative prospettiva di lettura; una robustezza di impianto da romanzo classico; una capacità di rendere visiva, immaginifica, la narrazione che, in alcuni passaggi, diventa vero e proprio cinema sulla pagina (Heivisj ne è protagonista assoluto); più di un paio di piccole perle, brevi digressioni, incastonate nella narrazione più grande (una su tutte la storia di Trudi Strutto); un'indagine introspettiva sulla protagonista che dà dell'età di passaggio una chiave di lettura profonda, complessa e onesta; un crescendo 'drammatico' nel racconto della guerra, quella combattuta da chi è rimasto a casa.
E su tutto, a tenere insieme tanta bellezza, una scrittura fluida, tradotta con il consueto garbo e sensibilità.
Non leggerlo sarebbe un peccato.

Carla

venerdì 21 giugno 2019

FAMMI UNA DOMANDA!


OCEANO


Helene Druvert, già autrice di ‘Anatomia’, firma in coppia con Emmanuelle Grundmann, autrice dei testi, un nuovo sorprendente libro illustrato dedicato al mare. ‘Oceano. Libro animato per esplorare il mondo marino’, pubblicato da L’Ippocampo, è uno straordinario viaggio nei molteplici ambienti marini, dalle coste ai fondali abissali, dai ghiacci dei poli alla meraviglia della barriera corallina.
Il percorso proposto dalle due autrici è certamente sintetico , ma non superficiale. Le informazioni contenute nei testi sono precise e approfondite, mentre le immagini riassumono ed esplicitano le informazioni.


Si comincia dalle definizioni generali, sottolineando come, al di là dei diversi nomi, l’oceano sia uno solo, comprendente ambienti assai diversi. Tali ambienti possono essere esplorati andando in profondità, cioè guardano le diverse forme di vita che popolano il mare a diverse profondità, partendo dalla riva per arrivare là dove non arriva la luce del sole. Oppure alle diverse latitudini, dai mari tropicali ai freddi ambienti dei poli.
All’origine di tutto, il ciclo dell’acqua, che viene descritto con chiarezza; ma sfogliando le pagine di questo libro troviamo anche la spiegazione delle maree, delle onde, del sale. Segue poi la descrizione di uno degli ecosistemi più noti e importanti: la barriera corallina.


Infine le particolarità delle creature marine, alcune dalle dimensioni gigantesche, altre dalle intelligenze misteriose e dalla capacità di mimetismo sorprendenti. Vengono descritte situazioni ambientali estreme, come gli organismi che riescono a sopravvivere nelle fumarole o negli abissi oceanici. Il libro non può che chiudersi con un richiamo alle problematiche ambientali, che vanno dal riscaldamento globale, con l’innalzamento delle acque e lo scioglimento dei ghiacciai polari, all’inquinamento. Tematiche importanti, di stringente attualità.
La realtà è che l’oceano è in larga parte sconosciuto, così come lo sono la maggior parte degli organismi viventi che lo abitano. Ed ad essere ancora più radicali, sappiamo poco anche delle creature conosciute: sul tema delle intelligenze ‘altre’ il mare ospita animali dalle capacità sorprendenti, come il polpo, o comunque meno conosciute di quel che si pensa, come nei caso dei mammiferi marini, delle balene, dei delfini e delle orche. Su questo argomento si stanno scrivendo libri di grande interesse e l’editore Adelphi ha dedicato un’intera collana, Animalia, alle menti ‘aliene’ che vivono, e soffrono, intorno a noi.


Questo libro sicuramente non si addentra in questi argomenti affascinanti e difficili, il suo obbiettivo è riempire di contenuti il fascino che esercitano le vastità oceaniche, l’incredibile varietà di specie che costruiscono una complessa catena alimentare. Lo fa con la raffinata tecnica del laser cut, dell’intaglio della carta con il laser, che rende le illustrazioni più mobili, stratificate, sfruttando le trasparenze e i dettagli che si intravedono attraverso la trama sottile dell’intaglio. Lo fa con un sobrio uso di finestrelle, che coprono qualche dettaglio o informazione supplementare; con l’uso sapiente del colore, che varia da gamme cromatiche sgargianti delle barriere coralline, al blu cupo degli abissi.
Tutto questo fa di ‘Oceano’ un libro esemplare per l’intreccio fra testo e immagine, per la bellezza delle illustrazioni, per l’accuratezza di un testo che non cede mai al sensazionalismo, né all’approssimazione.
Consigliato per un’affascinante lettura estiva per bambine e bambini a partire dagli otto anni.

Eleonora

“Oceano. Libro animato per esplorare il mondo marino”, H. Druvert e E. Grundmann, L’Ippocampo edizioni 2019

mercoledì 19 giugno 2019

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


I'll be you and you be me

Chi mi frequenta mi avrà sentito parlare più volte di una questione che con l'intesa ha a che fare: ovvero la mia personalissima teoria detta delle coppie felici. 
Chi sono? In estrema sintesi, si tratta di due persone che si incontrano e si intendono a meraviglia nel loro modo di raccontare. Le loro due voci, pur diversissime, che si esprimono rispettivamente nelle parole e nelle immagini, sono magicamente in perfetto accordo.
E a me pare di notare, e da qui deriva la teoria, che questa armonia che li tiene insieme si diffonda nel libro e ne potenzi inevitabilmente la qualità. 
In diverse occasioni ho imputato alla felicità della coppia uno dei fattori principali che determinano la bellezza di un albo illustrato, sostenendo che il valore aggiunto risiede per l'appunto in quel loro mettere in dialogo, in un dialogo mai disarmonico anche se talvolta dissonante, le diverse parti che lo compongono. Si tratta di accordo di voci, di sguardi, di segni, di parole.
Di convergenza.
Per definire meglio il concetto di unanimità di vedute (e della relazione da essa derivante) si può prendere a prestito il titolo di un libro della coppia felice per eccellenza Krauss/Sendak, I'll be you and you be me (HarperCollins, 1954).
La meraviglia, va detto, sta però anche altrove: nel constatare che non è solo il libro a guadagnarci, ma sono i singoli autori a potenziarsi a vicenda, semplicemente nell'entrare in contatto l'uno con l'altro. Come a dire che alla qualità personale contribuiscono sempre anche fattori esterni e nella fattispecie la vicinanza di una persona giusta: Guridi in tandem con Ingrid Chabbert dà il meglio di sé e Ingrid Chabbert con Guridi idem. Laddove non si verifica il magico connubio, nulla scatta.


Grande come il mare, uscito da poco per terre di Mezzo e Il giorno che sono diventato un passerotto, pubblicato alcuni anni fa da Coccole Books sono due storie che hanno un bel po' di intesa all'interno. 


E non solo perché sono entrambi libri della coppia felice in esame, ma perché raccontano due storie in cui i protagonisti, rispettivamente un bimbetto e la sua bisnonna e un bimbetto e la sua innamorata, si capiscono, si intendono nel profondo. Si accolgono e si prendono cura dell'altro. Tra loro c'è consonanza, armonia, affiatamento, comprensione.
Il primo, ambientato in un villaggio del deserto a due giorni di cammino dal mare, racconta di felicità raggiunta per un sogno realizzato e di piedi indolenziti. La bisnonna di Ali, un bambinetto dal gran testone, nella sua lunga vita a realizzato tutti i suoi desideri tranne quello di vedere il mare. Armato di un secchio vuoto e uno zaino pieno di datteri e acqua, il suo piccolo nipote parte alla ricerca. Il cammino è lungo.


Arrivato a destinazione, immagina di avere accanto la sua bisnonna, di tenerla per mano e di vedere la gioia nei suoi occhi che si perdono nel blu dell'acqua. La strada del ritorno è lunga quanto quella dell'andata e il gran caldo del deserto non aiuta chi porta il mare in un secchiello. Ma nonostante tutto, la tenerezza di un abbraccio è un buon traguardo da raggiungere.
Il secondo, ambientato in una scuola, racconta anch'esso di felicità raggiunta per un sogno realizzato e di una timidezza nascosta tra le piume. Innamorato di Candela, il bambino immagina di essere invisibile agli occhi di lei che, al contrario, sembrano guardare solo gli uccellini che tanto ama. Così lui prende la decisione di costruirsi una grande maschera da passerotto, anche se la sua vita si complica un bel po'. Fino al momento in cui due braccia tese gli tolgono il travestimento e lo abbracciano con tenerezza. Anche qui, traguardo raggiunto.
Dov'è che si percepisce maggiormente l'intesa tra Chabbert e Guridi dunque?
In primo luogo nell'idea di bambino che entrambi coltivano. Piccoli, ma sempre pieni di tanto ingegno: con gambette sottili e grandi teste. Piccoli, ma sempre abitati da emozioni grandi: pomelli rossi sulle guance e occhi attenti.


Piccoli, ma sempre con bei sogni in tasca: attraversano il deserto a piedi o volano goffi in cima a un albero.


In secondo luogo dal comune intento di avere del vuoto intorno alle loro narrazioni: da una parte un testo costruito sull'essenziale cui fa eco la grande pagina bianca in cui i personaggini fluttuano con quasi nulla intorno.
In terzo luogo il ricorrere a una immagine di forte valore simbolico: il simulacro di passerotto 'osservatore' e un secchio 'pieno' di una sola goccia. Entrambi centrali in quella bella composizione rarefatta.


Delle questioni che i due libri sottendono non si parlerà qui. Lo hanno già fatto diffusamente e al momento giusto  grandi segugi migliori di me.

Carla

I. Chabbert, Guridi (trad. E. Armaroli), Grande come il mare
Terre di Mezzo 2019
I. Chabbert, Guridi (trad. M.P. Iannuzzi, G. Casella), 
Il giorno che sono diventato un passerotto, Coccole Books 2015


lunedì 17 giugno 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


LANCIARE SEGNALI


‘Lettere dall’Universo’, romanzo di Erin Entrada Kelly premiato con la Newbery Medal nel 2018, presenta un sottotitolo italiano, immagino proposto dall’editore Rizzoli, leggermente fuorviante: ‘alcune amicizie sono scritte nelle stelle’ potrebbe far pensare a un romanzo sentimentale, una storia tutta incentrata sulle relazioni fra i diversi personaggi.
In parte è così, abbiamo quattro ragazzini: Victor, di origine filippina e con una nonna fantastica che lo ricopre di affetto e di storie tradizionali; Kaori Tanaka, coetanea di origini giapponesi, dedita, con l’aiuto della sorella più piccola, all’arte della divinazione e convinta, per ovvi motivi, che nel cosmo tutto è collegato; Valencia, ragazzina sorda, di cui è segretamente innamorato Virgil; e Chet, detto il Toro, bullo, in realtà fifone, della scuola, il motore che scatena gli eventi della storia.
Cosa hanno in comune questi ragazzi, tutti ragazzi e ragazze delle medie? La loro singolarità, l’essere diversi dalla media, o per le caratteristiche fisiche, Victor è mingherlino, Valencia è sorda, o per le loro scelte, le loro passioni.
Il fatto scatenante è opera di Chet che, incontrando Victor nel bosco che lo separa dalla casa di Kaori, dove è diretto, gli prende lo zainetto, in cui c’è anche Gulliver, il porcellino d’india, e lo butta in un pozzo. Cosa può fare Victor, se non calarsi nel pozzo, salvo poi non essere capace di trarsene fuori? Dunque uno dei protagonisti, il fragile, ma risoluto Victor è intrappolato con il suo porcellino in fondo a un pozzo. Per sua fortuna, Kaori è a sua volta una ragazza testarda e non si convince che il ritardo di Victor sia casuale. Da lei in quel momento c’è proprio Valencia ed entrambe non sanno che il cruccio di Victor, cui Kaori dovrebbe porre rimedio, è proprio Valencia. Così, dopo molte titubanze, le ragazze, con sorellina al seguito, si mettono in cammino nel bosco, dove incontrano anche Chet, morso da un serpente. Dopo diversi tentativi di cogliere segnali dal cosmo, che spieghino il mistero, Valencia ha un’intuizione che le fa ritrovare il pozzo fatale.
Nel frattempo, Victor tenta di vincere la paura cercando aiuto in un personaggio delle storie della nonna, Ruby, che gli spiega come mandare messaggi nell’universo, rivolti alla sua famiglia.
In questo universo fantastico in cui si mescolano legami concreti e fantasie popolari, tutto è collegato, tutto si tiene in un groviglio di relazioni che non lascia solo nessuno.
Questi pensieri danno la forza al ragazzino di resistere in fondo all’oscurità del pozzo e di uscirne fuori molto cambiato, come se avesse vissuto una vera e propria iniziazione.
Tornerà a casa in compagnia di un cane randagio, fino ad allora custodito da Valencia, e con il cuore grande di un eroe. Solo la nonna, fra gli adulti, comprende questo cambiamento e quelli che seguiranno.
‘Lettere dall’Universo’ è un romanzo d’avventura ben congegnato, con un perfetto meccanismo narrativo che riserva a ciascun personaggio il proprio ruolo; è anche un romanzo sulla crescita, sull’affrontare quelle prove che fanno lasciare, ma non del tutto, il mondo dell’infanzia. E’ soprattutto una delicata narrazione del mondo visto con gli occhi di chi è speciale, in uno dei tanti modi in cui lo si può essere. E’ anche un modo di raccontare la vita, l’universo delle relazioni umane, come un insieme interconnesso di relazioni, più o meno complesse. E se anche non si volesse pensare come Kaori, che ne l mondo non esistono coincidenze, è affascinante l’idea che i nostri pensieri possano viaggiare nel cosmo portando quelle emozioni e quei sentimenti che magari non sappiamo esprimere a parole.
‘Tutti riceviamo lettere (dall’universo) – ribatté Ruby – Però alcuni sono più bravi ad aprirle’
Lettura avvincente e delicata, per lettrici e lettori che non disdegnano la riflessione, oltre l’avventura. Consigliata dagli undici anni in poi.

Eleonora

“Lettere dall’Universo. Alcune amicizie sono scritte nelle stelle”, E. Entrada Kelly, Rizzoli 2019


venerdì 14 giugno 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


TROMPE-L'OEIL

Ti aspettavo da tanto, Olivier Tallec (trad. Maria Pia Secciani)
Edizioni Clichy 2019


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"È da così tanto tempo che ne chiedo uno, che quando l'ho visto non potevo credere ai miei occhi, mi sono avvicinato e il mio cuore ha iniziato a battere forte forte.
Mi è sembrato talmente carino con i suoi occhioni lucidi.
Ora dobbiamo abituarci l'uno all'altro, è così che funziona con i nuovi amici."

E' Natale e sullo sfondo di un salotto giallo con poltrona rossa un bambino e un cane si incontrano. Quel cane è il regalo di Natale appena ricevuto da quel bambino che, con gli occhi sgranati, in pigiama lo guarda incredulo. Da qui si potrebbe dedurre che il cuore che batte forte forte sia quello del bambino. E forse lo è anche. I due che si sono appena incontrati devono fare conoscenza reciproca e così avviene. 


Giocano nel salotto, passeggiano insieme al parco e un guinzaglio li tiene uniti. Finita la vacanza, durante le giornate normali però le loro esistenze si separano: uno rimane a casa e l'altro fugge via. Ma poi torna il tempo libero per entrambi e lo passano di nuovo assieme al mare, o sul divano a guardare la tele o in un prato a tirarsi un bastone. Su come trascorrere la notte ci sono divergenze di vedute e anche a tavola hanno gusti diversi...
Il tempo passa così: questi due, anche se non si sono scelti, continuano a essere i migliori amici del mondo. 
Anche se sul divano adesso stanno un po' più stretti.

Tallec ama giocare sottile. E Tallec è da amare per questo.
Ti aspettavo da tanto è costruito su un grande equivoco di fondo, su una palpabile ambiguità, su un gioco non dichiarato. La voce narrante che pare ad evidenza quella del bambino, il quale ha appena ricevuto un cane per Natale (tutti i bambini ne dovrebbero ricevere uno prima o poi) lentamente rilascia nel lettore una sensazione di insicurezza e di disorientamento. 
Un po' come succede con l'eco che risponde dalla montagna, o quando al cinema sentiamo il rombo degli elicotteri dietro la testa, pur avendoli davanti agli occhi sullo schermo o quando vediamo un trompe-l'oeil su un quadro o in una architettura: i nostri sensi mandano segnali discordanti e il nostro cervello si confonde e si disorienta, e in quello stesso istante tempo accende tutti i recettori con l'intento di ristabilire chiarezza e orientamento.
Questo libro funziona così: accende l'attenzione, lavora sul piccolo dettaglio nel disegno e il doppio senso,l'ambiguità nel testo. 
E per un certo numero di pagine il dubbio resta. 


Si svela con maggiore chiarezza solo quando i due sono seduti sul divano.
Un lettore adulto e smaliziato, in verità, fin dalla copertina così ambivalente, si fa venire un dubbio su chi effettivamente aspetti chi. Un lettore bambino, che smaliziato non dovrebbe essere, abbocca e Tallec lo aspetta e lo invita sulla pagina a giocare con lui a una sorta di nascondino della verità, pur lasciando sempre un angolino di essa in vista, pronta a essere smascherata.
Proviamo a vedere quali sono alcuni di questi snodi dal punto di vista del disegno. Si tratta di piccoli dettagli che però sono per l'appunto rivelatori.
In primo luogo la copertina dove lo sguardo dei due protagonisti è perfettamente simmetrico nell'essere all'erta. Come a dire: attento che potresti fraintendere... E quella palla, testimone muta e forse oggetto del contendere.
La pagina dei passanti in città in cui non è ancora chiaro chi deve scegliere chi. E' il bambino che avrebbe voluto scegliersi il proprio cane o viceversa?
La scena dei bambini con i cani al guinzaglio è di nuovo ambigua (e lo è solo in un caso, ovvero quello dei due protagonisti) perché solo tra quei due non è chiaro chi porti chi, grazie a quell'impercettibile vezzo del guinzaglio pendulo.


E non è tutto. Il rapporto interno tra immagine e testo - quello che Sophie Van der Linden chiama correttamente 'gioco' ed è da intendersi come spazio vuoto tra due oggetti (la parola e l'immagine) che ne permetta il movimento autonomo e anche reciproco - è la chiave di buona riuscita di un albo illustrato. Tallec in Ti aspettavo da tanto di questo 'gioco', ovvero questo spazio vuoto di interpretazione, lo esalta e lo fa diventare spina dorsale dell'intera storia.
Lo stesso formato del libro 'alla tedesca' ovvero incernierato su un dorso orizzontale ma largo come un formato più consueto 'all'italiana' trova una sua giustificazione nell'esigenza di non tagliare mai l'illustrazione orizzontale e di tenerla rigorosamente separata dal testo, come a voler accentuare la distanza necessaria perché si crei un'eco del dialogo delle due parti, quella visuale e quella testuale.
Quando si dice saper dominare il mezzo...
 

Spero sia chiaro a chiunque che tutto questo contribuisce a dare sostanza e spessore alla storia raccontata da Tallec. 
Si potrebbe sintetizzarla così: tra cani e bambini la reciprocità di rapporto è circostanza evidente e, aggiungerei, naturale. E se malauguratamente non dovesse esserlo, dipenderà solo da un'invasione di campo da parte degli adulti. E spero sia altrettanto chiaro a chiunque che in questa bella storia di reciprocità e ambivalenza, Tallec i grandi non a caso li ha relegati ai bordi del campo.


Carla

mercoledì 12 giugno 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


AMORI SPERIMENTALI


Un gradito ritorno, quello di Rebecca Stead, con un nuovo romanzo, ‘L’amore sconosciuto’, pubblicato questa volta da Terre di Mezzo. Un gradito ritorno e una conferma del talento della scrittrice americana, premiata con la Newbery Medal per ‘Quando mi troverai’ e con il Guardian Prize con ‘Segreti e bugie’. Anche in questo caso racconta una storia di preadolescenti, di ragazze e ragazzi alle soglie di quella esplosione di vitalità e di contraddizioni, rappresentata dall’adolescenza.
In sintesi, la trama: ci sono tre storie che scorrono parallele il cui intreccio viene svelato solo alla fine. La prima, la più consistente, ha per protagonista una ragazzina, Bridge, alle prese con i problemi tipici di quell’età: l’amicizia, solidissima, con Emily e Tab, i dubbi su quel sentimento strano, misterioso e perturbante chiamato amore, che a volte si confonde con l’amicizia; e la seconda storia che ci viene raccontata riguarda proprio il migliore amico di Bridge, Sherm, che scrive lettere destinate a non essere spedite al nonno che ha pensato bene di abbandonare il tetto coniugale per cambiare vita. La terza storia è di un personaggio misterioso, una ragazza che scappa di casa, travolta dai sensi di colpa, e si rifugia nel locale del papà di Bridge.
Questi sono i personaggi principali, tutti disegnati con attenzione: i loro pensieri, i dubbi, gli errori inevitabili sono trattati come sempre con delicatezza. Bridge è sopravvissuta, da piccola, a un grave incidente stradale e si chiede costantemente se la sua vita abbia uno scopo particolare; Emily è innamorata e per il suo ragazzo commette il più ingenuo degli errori, gli manda una sua foto sexy, scatenando la vandea dei like di un’immagine condivisa da tanti.
Tab è quella più impegnata politicamente, segue con passione un corso di un’insegnate carismatica. Tutte e tre hanno sottoscritto un patto, non litigare mai.
Intorno alle vicende della foto compromettente si dipana il filone principale del racconto, che però non abbandona mai i personaggi minori, le storie parallele, che alla fine convergono in un’unica direzione, che consente alle tre protagoniste e ai loro amici di fare i conti realmente con l’amicizia, l’affetto fraterno, e l’oggetto misterioso che ossessiona soprattutto le ragazzine: l’amore, o quello che sembra tale e forse non è.
Anche in questo caso, come nei romanzi precedenti, la Stead dimostra grande abilità nella costruzione della trama, che, nonostante la molteplicità dei soggetti coinvolti, non perde mai ritmo e coerenza del racconto. C’è una indiscutibile capacità di mettersi nei panni di questi ragazzi e ragazze, rendendo credibili e importanti sentimenti, emozioni, riflessioni tipici di quell’età. Viene reso con affettuoso realismo la vita quotidiana, i sapori, i profumi di biscotti appena fatti, di pasti veloci preparati da genitori indaffarati. La vita vera, e quella rappresentata qui, è complicata, è difficile capire le ragioni degli altri, orientarsi nella giungla di silenzi, segreti, colpe apparentemente inconfessabili. L’unica differenza, fra questa rappresentazione e la realtà è che non sempre tutto trova una soluzione, nella realtà esistono i traumi, le sconfitte, silenzi che non vengono più superati.
L’immediatezza della scrittura della Stead fa di questo romanzo, nonostante la sua complessità, una lettura quasi obbligata per quelle ragazze, e quei ragazzi, che si interrogano sui sentimenti. A partire dai dodici anni.
Eleonora

“L’amore sconosciuto”, R. Stead, Terre di mezzo 2019