mercoledì 30 giugno 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

VESUVIO


Marco D’Amore e Francesco Ghiaccio, conosciuti entrambi come autori, sceneggiatori e, nel caso del primo, anche attori di film e serie televisive di grandissimo successo, a partire da ‘Gomorra’, tentano un esperimento difficile: coniugare le ambientazioni e le tematiche delle storie ‘nere’ di camorra con una storia per ragazzi e ragazze. Il romanzo, pubblicato da De Agostini, è intitolato ‘Vesuvio’.
I protagonisti sono un ragazzo e una ragazza, rampolli di due famiglie rivali, che si cercano e si scontrano quotidianamente: Federico, detto Vesuvio, con il suo gruppetto di accoliti, tutti dotati di adeguati soprannomi, e Susy, al comando di un manipolo di Sirene.
Entrambi vivono all’interno della logica violenta dei clan: ogni offesa va cancellata con un livello superiore di violenza, anche se si tratta di storie di ‘ragazzi’, che in realtà non sono tali: il loro destino è già chiaro, pedine o futuri capi in clan che si contendono il territorio.
Dunque, Federico-Vesuvio e Susy-Sirena si scontrano in un crescendo che oscilla fra lo scherzo goliardico e l’offesa mortale.
Il padre di Federico è un capo clan e pensa di sfruttare questi litigi a suo vantaggio, scatenando la guerra contro il clan del padre della ragazza, per impadronirsi dei suoi territori.
Susy, intanto, è andata a Milano, a coronare il suo sogno da musicista; lì la segue Federico, appoggiandosi alla casa dello zio Gabriele, da anni esule volontario.
Lontano da Napoli, dai suoi fedeli amici, dal clima opprimente di casa sua, Federico riesce a vedere con maggiore chiarezza i propri sentimenti, ma è combattuto: è cresciuto in un ambiente che conosce solo violenza ed è solito nascondere i sentimenti più profondi, i lutti sotto uno strato di riti e miti che accomunano molti clan, fatti di fedeltà e tradimenti, di sete di potere, affari e un presunto codice d’onore, che di onorevole ha molto poco.
Federico, anche grazie allo zio, deve compiere un percorso doloroso che inevitabilmente implica la separazione da tutto quello che ha conosciuto fino a quel momento.
Il tentativo compiuto dai due autori è notevole: piegare il materiale incandescente delle storie della criminalità organizzata a una trama che si fonda sulle dinamiche interpersonali, sui percorsi di ciascun personaggio, alla ricerca di una via d’uscita dal vortice di violenza in cui sono calati.
Si vede con chiarezza la padronanza del mezzo comunicativo, i ritmi veloci, i cambi repentini di scena propri di una sceneggiatura; c’è una grande capacità di farci ‘vedere’ le situazioni, proponendo istantanee che immediatamente ci raccontano cosa sta succedendo. Meno credibile, però, l’altro lato della narrazione, più introspettivo; i personaggi dovrebbero avere più spessore, dovremmo sapere di più di loro e dei loro stati d’animo, le ragioni dei loro cambiamenti.
L’istantanea di Napoli, raccontata con gli occhi di adolescenti predestinati a un futuro di guerre camorristiche, è efficace, viva, dolorosamente credibile. La descrizione di queste generazioni di ragazzini, già condannati a una vita da malviventi solo per il fatto di essere nati nella famiglia sbagliata, è assolutamente realistica e risponde a tante realtà, meno eclatanti, in cui all’infanzia è negato qualsiasi futuro.
La lettura è avvincente e può sicuramente piacere a ragazzi e ragazze che apprezzino le crime stories, a partire dai tredici anni.
 
Eleonora


“Vesuvio”, M. D’Amore e F. Ghiaccio, copertina di A. Serio, De Agostini 2021



lunedì 28 giugno 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DI BIGLIE E DI BURRO

Il mio amico geniale, Gary Paulsen (trad. Sara Saorin)
Camelozampa 2021


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
 
"Non avevamo niente in comune, da nessun punto di vista, tranne il fatto di essere due emarginati, e questo ci attirava l'uno verso l'altro come due biglie di vetro che rotolano verso il centro di una ciotola, che gravitano una attorno all'altra, rimbalzano respingendosi di tanto in tanto, ma si avvicinano sempre più, e alla fine eravamo diventati amici."
 
L'uno, gracile, a casa con una famiglia disastrata alle spalle e a scuola con Chimmer che lo perseguita, non proprio un valente studioso, sempre in cerca di un lavoretto per alzare qualche soldo. L'altro, Harold, vestito come un trentenne impomatato, con una famiglia normale alle spalle, un cervellone che parla come un libro stampato, sempre in cerca di nuove esperienze, che spaziano dalla fisica degli elettroni, ai primi appuntamenti con una ragazza, dagli sport invernali più alla moda, alla ricerca di indipendenza grazie all'acquisto di una Dodge del '34.
Sono diversissimi tra loro eppure attraversano gli anni complicati dell'adolescenza, tenendosi su a vicenda. L'intraprendenza di Harold, contrapposta alla prudenza del suo amico, diventa un motore narrativo: per arrivare alle ragazze decide di iscriversi al corso di economia domestica e si documenta sui testi di Walter Raleigh e su un manuale di educazione sessuale per essere all'altezza del primo appuntamento, oppure indossa un paio di legni lunghi più di due metri per dimostrare che lo sci è uno sport affascinante, o ancora mette su un business con il recupero delle palline da golf cadute nel fiume per potersi comprare una macchina. Scettico, recalcitrante, dubbioso, ma fedele e leale, il suo amico è sempre con lui.
L'irresistibile Harold è un vulcano di idee, che in qualche modo hanno il merito di rivelarsi alla fine anche vincenti almeno quanto improbabili, un passo dietro di llui c'è il suo anonimo compare, che forse potrebbe chiamarsi proprio Gary, che ha l'arduo compito di tenerlo sulla Terra, a ogni decollo della sua fervida inventiva.


Quando nel 1998 uscì tra gli Shorts di Mondadori, una piccola e preziosa collana per tutti quei lettori spaventati dai libri di narrativa sopra le cento pagine, si ebbe la conferma che Gary Paulsen fosse uno scrittore di classe da tenere sempre nel mirino. In realtà Mondadori, il suo editore italiano, se lo dimentica ben presto e solo dopo molti anni altre case editrici più piccole, in ordine sparso, ripubblicano i suoi migliori libri che all'epoca avevano fatto storia. Ritradotti (qui a onor del merito integralmente), aggiornati i titoli (qui forse in cerca di un'assonanza con il titolo della Ferrante), si sono viste di nuovo sugli scaffali alcune pietre miliari della letteratura di avventura.
Il mio amico Harold, così era il titolo della prima edizione del 1998, indimenticabile nella traduzione di Angela Ragusa, rimane nella mia testa da quegli anni, principalmente per questa storia delle biglie nella ciotola.
A parte l'indiscutibile divertimento che la lettura genera - Harold è davvero esilarante e geniale nel suo modo di stare al mondo ed è molto divertente il contrasto di visione tra i due protagonisti - l'intero libro, ambientato nell'America degli anni Cinquanta/Sessanta, è attraversato da una questione che nel 2021 non è esattamente una novità in campo letterario, ovvero il racconto della ricerca di una propria popolarità, in altre parole del bisogno che ognuno di noi ha di sentirsi amato, o quanto meno accettato, dalla comunità in cui vive. Qui in particolare è l'adolescenza maschile a trovarsi al centro del problema: essere accettati come parte del gruppo dai propri pari, magari fare parte di una squadra di un qualsiasi sport, magari essere oggetto di interesse da parte di una ragazzina, magari sentirsi richiesti per una determinata qualità, fosse la simpatia, fosse una dote fisica o intellettuale.
Se sono questi gli obiettivi di Harold, al contrario quelli del suo anonimo amico sono molto più modesti. Lui ha una stima di sé stesso piuttosto bassina - si accontenterebbe di non essere picchiato e buttato nel cestino dei rifiuti quotidianamente da Dick Chimmer.
Tuttavia, pur non essendo una novità, la questione "dell'essere popolare" è oggi più di allora di estrema attualità, al tempo dei social, che definirei una vera urgenza sociale. Il fatto di metterla sul piatto dall'angolazione di due 'perdenti', con questo tono così 'scanzonato' non può che giovare al dibattito e al confronto e allontanarlo il più possibile da ogni fin troppo facile retorica.
Tuttavia, accanto a questa questione, c'è comunque un altra domandona su cui varrebbe la pena soffermarsi e che di nuovo riporta alle due biglie di partenza. Quali sono le 'dinamiche' che avvicinano due persone tra loro e le fanno diventare amiche, fidanzate o compagne di avventura? Si tratta di affinità o differenza?
In altre parole, è di nuovo un po' quella questione del pane e burro, che Zemeckis, con felice sintesi, mise in bocca a Forrest a proposito della diversissima Jenny.
 
Carla




 

venerdì 25 giugno 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

 FRONTIERA


Con un po’ di ritardo, rispetto ad altri editori più presenti nel mondo dell’editoria per ragazzi, anche Feltrinelli ha aggiunto una collana economica alla sua proposta per ragazzi e ragazze: nella Universale Economica Ragazzi sono confluiti titoli provenienti dalla collana Kids e dalla collana Up, oltre a titoli del catalogo generale. Pian piano stanno uscendo anche proposte originali, come la linea di gialli per ragazzi, e titoli pensati per uscire direttamente nella versione tascabile.
E’ questo il caso de ‘La frontiera raccontata ai ragazzi che sognano un mondo senza frontiere’, tratto dal testo di Alessandro Leogrande, prematuramente scomparso, con l’adattamento di Nadia Terranova.
In questo libro sono contenute alcune delle storie del volume precedente uscito nel 2015, a partire da un naufragio avvenuto vicino alle coste di Lampedusa nel 2013. Da questo episodio si dipanano una serie di storie: di chi si è salvato, delle loro storie prima del viaggio, le cui tappe sono magari durate anni; di chi ha salvato, ha aiutato, ha cercato di capire. Quello dei migranti è un popolo in cammino, dalle provenienze diverse, l’Afghanistan, l’Eritrea, tanti paesi dell’Africa sub sahariana. Su questi destini incerti incombe la ‘frontiera’, concetto assai variabile che si modifica nel tempo, mobilitando le speranze di chi vuole attraversarle e le paure di chi vuole difenderle.
E’ una frontiera anche quella che separa il tempo di prima e quello che verrà, con tutte le aspettative che comporta.
Leogrande più che fare un resoconto di eventi, raccoglie testimonianze e le riporta raccontando in prima persona, come se la lettrice o il lettore fossero lì con lui; c’è grande partecipazione e nessuna retorica, un desiderio profondo di capire la materia viva che anima un processo storico inarrestabile, la volontà di tante persone, ciascuna delle quali ha una storia e degli affetti da raccontare, di affrontare il pericolo perché quello che lasciano è una condizione di vita inaccetabile.
Nadia Terranova è stata molto brava nell’assemblare le storie tratte dal libro del 2015, rispettando lo sguardo partecipe dell’autore. Ne discende un libro molto intenso, decisamente drammatico nel descrivere le tragedie dei naufragi, i pericoli delle rotte per mare e per terra, le vite difficili di chi ce l’ha fatta.
 

Bellissime le pagine finali in cui l’autore si interroga sull’impotenza del nostro sguardo, utilizzando ‘Il martirio di san Matteo’ di Caravaggio, nel cui sguardo si identifica: assistere senza poter intervenire, cogliendo tutta la dolorosa violenza di un gesto ingiusto.
 

Qui forse, in questa dichiarazione di impotenza, che non è rinuncia all’azione, ho trovato forse il principale ostacolo alla lettura dei più giovani. Farsi carico di questa consapevolezza, del fatto che non possiamo cambiare alcuni aspetti del mondo, pur vedendone la profonda ingiustizia, è un processo difficile, che forse può essere anche interpretato come assenza di speranza.
E’ un tema complesso, che richiede maturità personale e consapevolezza del mondo, per questo mi sento di consigliare la lettura di questo libro, così intenso, così eticamente forte, a lettori e lettrici che abbiano almeno tredici anni, accompagnandoli nell’approfondimento di temi così importanti.
La frontiera è una convenzione, eppure rimarca un al di qua rispetto a un al di là che possono cambiare radicalmente le vite delle persone. Persone che raramente vediamo in quanto tali, etichettandole come migranti. Riflettere su questo tema nella sua concretezza è un primo necessario passo per superare la retorica, le false narrazioni, i pregiudizi e per cominciare a smantellare proprio quelle frontiere che hanno richiesto un tributo così alto di vite umane.
 
Eleonora


“La frontiera raccontata ai ragazzi che sognano un mondo senza frontiere”, A. Leogrande e N. Terranova, Feltrinelli 2021

mercoledì 23 giugno 2021

OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)

ONE OF A KIND - UNICO NEL SUO GENERE
 
Slow Loris, Alexis Deacon
Hutchinson 2002


ILLUSTRATI 
 
"Slow Loris wasn't his real name but that was what everyone called him.
A slow loris is just a type of animal.
Slow Loris was a slow loris.
He really was... very... slow.
It took Loris ten minutes to eat a satsuma..."
 

E per percorrere l'intero tronco che attraversava la sua gabbia allo zoo ci impiegava venti minuti e un'ora gli occorreva per grattarsi il didietro. Come capita a ogni lori lento, anche questo lori lento - che tutti chiamavano Slow Loris - passava la maggior parte del tempo sonnecchiando, cosa che lo rendeva noioso agli occhi dei visitatori. Ma a lui questo non importava, perché aveva un segreto: ogni notte quando l'intero zoo dormiva, quello che tutti chiamavano Loris si alzava e faceva cose... a grande velocità. Scendeva dai rami, si metteva cravatta e panama azzurro e divorava un intero piatto di satsuma e poi risaliva sul tronco successivo. Tutto di gran corsa fino al momento in cui, stanco, non aveva più la forza di fare nulla e tornava a essere il solito lori lento di sempre. Fino a che un giorno, facendo cose molto rumorose, ovvero suonare una batteria di pentole con un mestolo di legno, indossando questa volta un ushanka, colbacco sovietico, viene scoperto da un gruppo di suricati che non ci mette un minuto a spargere la voce tra tutti gli animali dello zoo. Il risultato è che la notte successiva tutti gli animali, ad evidenza usciti dalle loro residenze, sono riuniti davanti alla sua gabbia ad attendere gli eventi. E quando lui, quatto, apre lo sportellino con in testa il suo sombrero con i pendagli di sughero e la cravatta rossa tutti capiscono che il lori lento non è davvero un animale noioso, al contrario è davvero selvaggio e folle.
Da quel momento nulla potrà essere più come prima.


Questo è il primo libro di Alexis Deacon: si è appena laureato a Brighton e nell'anno successivo lo pubblica, ma già ci lavorava durante i suoi studi, disegnando gli animali dal vero. Immediatamente è tra i finalisti del Blue Peter Book Award. A quasi vent'anni dalla sua pubblicazione continua a essere stupefacente il suo modo di concepire una storia e di illustrarla. Un libro pieno di buone idee.
La prima buona idea sta nella scelta del personaggio.
La seconda buona idea è nascosta in un dettaglio: la impercettibile differenza che c'è tra lo scrivere slow loris e Slow Loris, creando in questo modo un gioco lessicale che ha il gusto dell'equivoco, tra il nome comune dell'animale e il suo nome proprio, che comunque (tra parentesi) poi non è neanche quello.
La terza buona idea si avvale di uno dei topoi letterari più interessanti: l'uno e il suo doppio. Un animale che di giorno, in pubblico, è lentissimo, tenendo fede alla sua natura di lori lento, e di notte, in privato, si trasforma in tutt'altro.
 
 
La quarta buona idea sta nel disvelamento di una serie di anomalie che diventano all'istante, nell'atto della condivisione, la norma. Non mi riferisco solo al fatto che un lori lento vada veloce e faccia baldoria di notte, ma anche e soprattutto alla presenza di una serie di dettagli insoliti se disegnati nelle gabbie di uno zoo. La follia del lori lento si incarna, almeno nello sguardo degli animali che la notte sono un unico corpo giudicante, in quel cappello originale, che sembra essere il frutto di una sua particolare ricercatezza di stile. Il cappello e la cravatta color lacca diventano subito bandiera di appartenenza. 
 
 
Tornando indietro nelle pagine precedenti capiamo che i cappelli e le cravatte rappresentano una sorta di Leit Motiv, una cifra 'assurda' che connota lo stile di vita di quell'animaletto, ma a ben vedere, anche l'intero racconto a figure. Non è un caso infatti che nella tavola che precede la sua entrata in scena con il sombrero, tutti gli animali siano seduti e perplessi, mentre in quella immediatamente successiva i protagonisti sono grossomodo i medesimi, ma compaiono tutti bardati secondo la moda lanciata dal lori lento.
Let's go party! Contagioso è anche lo sfinimento a fine serata, con la relativa apatia che prima apparteneva solo al piccolo primate e la mattina successiva è di tutti.
 

A tutte queste belle idee se ne aggiungono un tot che hanno a che fare con la composizione: sto pensando allo script fatto a mano, spesso bianco su nero e spesso disteso e allungato a seguire i volumi disegnati, al taglio della pagina che segue il profilo dei suricati, alla presenza di una finestrella in corrispondenza del piccolo sportello della gabbia, all'uso della sfocatura per raccontare la velocità, all'uso delle pagine nere che alludono al buio della notte in arrivo, ma sono anche 'pause' narrative in attesa di una sorpresa; penso alla già sapientissima versatilità nell'occupare lo spazio della pagina secondo ritmi diversissimi: dal primissimo piano della satzuma alle sequenze con il disegno tagliato, che hanno il compito di accelerare. Penso all'impiego del margine del foglio in senso narrativo...
 

Su tutto questo si distende una qualità del disegno che fa sobbalzare e che ha fatto dire ai sapienti critici che Alexis Deacon è stato uno dei dieci migliori illustratori degli anni Duemila.
 
Carla

lunedì 21 giugno 2021

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

 STORIE DI PAURA E DI MISTERO


‘La stanza 13’, a suo modo, è considerato un classico dell’horror per ragazzi; richiama le storie di fantasmi, genere molto presente nella letteratura inglese, con quella caratteristica miscela di realismo e sovrannaturale. Robert Swindells lo ha scritto nel 1989, mentre la traduzione italiana, dovuta a Mondadori, segue di due anni.
 

Protagonista di questo romanzo breve è Fliss, dodicenne della scuola media della cittadina di Elsworth, nello Yorkshire, ma l’azione si svolge a Whitby, dove tutta la sua classe è in gita scolastica, per visitare, in particolare, l’antica abbazia. 
 

La partenza di Fliss, il cui nome completo è Felicity, è funestata da un incubo inquietante; anche l’arrivo a destinazione è disseminato di strani indizi che sembrano anticipare qualcosa di pauroso. La ragazzina e alcune amiche alloggia all’ultimo piano di un hotel e già la prima notte sente strani rumori e, quando lei esce dalla propria stanza, nota che sulla porta dell’ultima camera, uno sgabuzzino, è comparso il numero 13. Il giorno dopo non può che confidare i suoi timori all’amica Lisa e a Gary Bazzard e David Trotter, detto Trott. Grazie ai loro appostamenti notturni, scoprono che una loro compagna, Ellie-May, si introduce nella stanza 13; la ragazzina di giorno è sempre stanca e sembra ammalata.
Nel frattempo i ragazzi raccolgono vari oggetti, del tutto inconsapevoli dell’uso che me faranno.
Come in tutti i buoni romanzi di paura, anche qui alcuni personaggi, in particolare una vecchia pazza che sembra essere l’unica a conoscere la verità sull’albergo, compiono la loro metamorfosi, l’arco narrativo che li porta a essere, da presenze inquietanti, imprevisti alleati contro il Male.
Perché è proprio questa la lotta che si svolge nottetempo nella stanza 13, in cui un vampiro viene alla fine annientato da un paletto dalla forma di un bastoncino di zucchero e una croce ricavata da un aquilone. Anche la protagonista e i suoi amici si trasformano in coraggiosi paladini del Bene, animati da una forza che non appartiene solo a loro.
Questa impostazione ‘metafisica’, il Bene e il Male che periodicamente si affrontano attraverso le loro incarnazioni, è ancora più evidente in ‘Nel ventre del drago’, scritto nel 1993 e ora tradotto, sempre da Mondadori, nella collana Contemporanea.
 

I protagonisti sono gli stessi del romanzo precedente, di un anno più grandi. Devono organizzare una recita che racconti una delle leggende più importanti del luogo, quella della santa Ceridwen che, poco prima dell’anno Mille, sconfisse il drago che terrorizzava la cittadina. In realtà, da quel poco che sono riuscita a ricostruire, Ceridwen è una divinità celtica, cui sono legati numerosi racconti; non sono riuscita a trovare riferimenti a una versione cristiana di questo personaggio, ma potrebbe essere un contributo creativo dell’autore.
Questa volta lo schema narrativo vede Fliss, che nella recita deve impersonare la santa, contrapposta ai suoi amici, Lisa, Ellie-May, Gary e Trot, che impersonano il drago, cioè danno vita all’elaborato costume che lo rappresenta. Solo che, come si vuole in tutte le storie di paura, i giorni che precedono la rappresentazione sono punteggiati di misteriose apparizioni, eventi inquietanti, aggressioni, che sembrano avere a che fare proprio con i quattro amici di Fliss, travestiti da drago.
Qui è ancora più evidente quanto Fliss, nel momento in cui affronta il drago, che si incarna nel drago di cartapesta, non è solo lei, ma è portatrice di una forza sovrannaturale. E, d’altra parte, il sovrannaturale in queste storie è il cardine della narrazione, con una evidente polarizzazione di natura morale. Il Bene e il Male prendono ogni volta forme diverse, costringendo i ragazzini a dare vita a uno scontro che non può avere fine.
Questo secondo romanzo, animato dal gruppo di ragazzini della scuola di Elsworth, è molto più legato del precedente al patrimonio culturale inglese, anche se la ‘cristianizzazione’ della leggenda lo rende ben comprensibile a tutti i giovani lettori e lettrici che amino le storie di paura. In entrambi i romanzi, il mondo adulto assiste inconsapevole, con le poche eccezioni di figure marginali, la pazza di ‘La stanza 13’, o il barbone de ‘Nel ventre del drago’, alle prove straordinarie sostenute da questo manipolo di ragazze e ragazzi, che riescono a decifrare i segni del Male che i grandi non riescono a scorgere.
Al di là di queste considerazioni, questi due romanzi incarnano alla perfezione il genere horror, con tutte le sue implicazioni: inquietudine, segnali ricorrenti di presenze malefiche, paura crescente, solitudine dell’eroe: è Fliss che affonda il paletto, di zucchero, nel petto del vampiro, è Fliss che sconfigge il drago. Nell’essere rivolti a ragazze e ragazzi delle scuole medie, non hanno nulla di eccessivamente esplicito, o morboso. Sono storie ben strutturate, con un uso sapiente della suspense in un crescendo di tensione che facilita la lettura veloce.
Ottime letture estive, che familiarizzano con un genere letterario che spesso appassiona anche i lettori e le lettrici più giovani.
 
Eleonora


Noterelle al margine. Il titolo originale del secondo romanzo è ‘Inside the worm’, laddove il drago, perché di un drago stiamo parlando, è chiamato ‘verme’. Nel libro si accenna al fatto che gli antichi Anglosassoni chiamassero così draghi e altri mostri rettiliformi. Trovo la cosa singolare, ma non sono riuscita a trovare una spiegazione di questo curioso accostamento.
‘La stanza 13’ ha ottenuto il premio Red House Children’s Book Award, mentre il romanzo di Swindells che ha vinto la Carnegie Medal nel 1993, ‘Stone cold’, non è stato ancora tradotto.

 

“La stanza 13”, R. Swindells, Mondadori 1991, in Oscar junior dal 2015
“Nel ventre del drago”, R. Swindells, Mondadori 2021



venerdì 18 giugno 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

ESSERE, NON AVERE 
 
Una specie di scintilla, Elle McNicoll (trad. Sante Bandirali)
Uovonero 2021


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
 
"'La storia che il signor Patterson stava raccontando mi faceva... era difficile da ascoltare. Quindi avevo bisogno di autostimolazione, ma siccome sapevo che non potevo farlo... mi sono fatta prendere dal panico.' Audrey annuisce, ma so che ancora non lo capisce del tutto. Penso che per le persone neurotipiche debba essere difficile immaginare un modo completamente diverso di pensare e di sentire. Un modo potenziato dove tutto è più forte, più luminoso. Migliore. Peggiore."


Audrey, la sua nuova compagna di classe, ha appena assistito a qualcosa che non sa spiegarsi: un forte malessere di Addie durante il racconto del signor Patterson su alcune donne che molti anni prima erano state condannate per stregoneria a Juniper. Per come è fatta Audrey, non ha senso elucubrarci sopra, ma piuttosto chiedere ad Addie una spiegazione di tutto ciò.
La spiegazione è lì sotto i suoi occhi: Addie è una ragazzina autistica che ha una sensibilità differente dai neurotipici e che, nel sentire i dettagli della storia di queste donne accusate ingiustamente di stregoneria solo sulla base di presunte loro diversità nel modo di comportarsi, fa immediatamente sue le loro sofferenze: si immedesima in quella condizione che riconosce un po' come sua. E' un po' come se riuscisse a vederle, a sentirle, con una sensibilità molto più forte di chiunque altro.
Addie, in ogni minuto della sua esistenza, si misura con l'esterno e ne verifica la capacità di essere più o meno compresa, nella sua diversità. Ovviamente in famiglia lei è e si sente capita - con la sorella maggiore Keedie ha un feeling tutto particolare, essendo anche lei autistica.
Nella sua vita sociale le cose però non sono affatto semplici e tranquille: un'insegnante ottusa e gretta le rende la vita scolastica semplicemente insopportabile, i compagni di classe la bersagliano spesso e volentieri, la sua ex migliore amica Jenna, in coppia con la perfida Emily che l'ha soppiantata, la prendono di mira e la vessano con una crudeltà. Al contrario, il bibliotecario e l'insegnante di teatro sanno entrare in sintonia con lei e con loro è una bellezza parlare e aprire il proprio cuore.
Questo è il racconto in prima persona di Addie, della sua vita di relazione all'interno di una piccola comunità, il villaggio di Juniper, alla periferia di Edimburgo, dove cercare di essere se stessi non sembra così facile. Ma è anche la storia di una sua personale battaglia, che combatte al fianco della sua amica Audrey e della sua famiglia, perché a tutte quelle donne, che la società condannò come streghe solo sulla base del fatto che erano diverse, sia riconosciuta giustizia e onore.


Questo è un libro che cresce con lentezza, ma che dimostra di avere una sua forza interna in grado di 'spostare' il lettore, ovvero di creare in lui una differenza tra il prima e il dopo. E questo, per un libro, è un buon risultato.
Si fa fatica per tutte le centottanta pagine a digerire alcuni personaggi e, alle volte, risulta difficile dare loro una parvenza di autenticità perché sono davvero nauseanti nel loro modo di fare. Tuttavia, tutto questo sembra avere una sua ragion d'essere in una prospettiva di maggiore respiro in cui la voce di Addie abbia modo di esprimersi in tutte le sue sfumature. Insomma, occorre un termine di paragone che sia immediatamente leggibile come in contraddizione e oppositivo al personaggio di Addie. Ed è esattamente quello che accade. Il racconto assume spessore proprio in questo continuo stridere tra chi si reputa normale, e su questa normalità costruisce il proprio potere, e chi invece sa riconoscere la propria unicità, e sulla consapevolezza di sé, costruisce la propria sicurezza.
Attraverso il suo sguardo che è differente, camminandole dietro lungo strade mai percorse finora, si riescono a palpare luci, colori ed elettricità nell'aria, si riescono a percepire le sensazioni, si impara un codice interpretativo e comunicativo 'altro', si riescono a seguire quelli che sono i modi di interpretare la realtà di chi è autistico.
L'esperienza non può lasciare indifferenti, per due ragioni che si compenetrano. La prima ha a che fare con l'apprendimento: stiamo di fatto imparando una nuova lingua, ma forse sarebbe più corretto dire una nuova cultura, in tutte le sue sfaccettature; la seconda ha a che fare con l'immedesimazione. In questo caso, il fatto che Elle McNicoll sia effettivamente una 'neurodivergente' produce in chi legge una tale onda di autenticità che risulterebbe davvero complicato non arrivare a 'sentire' in modo empatico quello che prova Addie. E questo non vuole dire solo che il lettore prende le sue parti di fronte alle ingiustizie cui viene di continuo esposta, ma molto più profondamente il lettore si irrigidisce con lei, quando qualcuno la abbraccia troppo a lungo, si preoccupa con lei quando qualcuno alza troppo il tono della voce, socchiude gli occhi con lei quando c'è una luce che sfarfalla...
Bella e utile esperienza.


Carla

mercoledì 16 giugno 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

UNA SAGA GIAPPONESE


La storia giapponese fra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 offre materiale a volontà, per chi volesse scrivere un’epopea con tutti gli ingredienti del grande romanzo storico, ma anche di costume: intrighi, vendette, misteri, samurai e attrici, case del tè e castelli fortificati. E’ questo il materiale che Camille Monceaux, giovane scrittrice francese, mette insieme per il primo romanzo di una tetralogia, ‘Le Cronache dell’Acero e del Ciliegio’, dal titolo ‘La Maschera del Nö’.
Il protagonista, che racconta le vicende in prima persona, è Ichirö, un bambino dalle origini misteriose, raccolto da un vecchio samurai, Tenzen, e dalla sua governante, Oba. Il bambino porta con sé un monile che con tutta probabilità ne stabilisce l’appartenenza ad un casato. Ma per molti anni la sua vita sarà limitata alla casa nel bosco di Tenzen, dove le sue esplorazioni non vanno oltre il tempio della Dea Volpe. Ichirö viene istruito dall’anziano maestro alla via della spada, la via dei samurai; diventa bravo, ma questo non gli consente di salvare Tenzen dall’assalto di un crudele ninja, che in realtà sta cercando proprio lui. La casa viene data alle fiamme e comincia così per il giovane Ichirö un durissimo apprendistato al vagabondaggio e alla povertà.
Dopo aver vagato a lungo nei boschi, perdendo ogni suo avere compresa la spada del maestro samurai, approda alla pericolosa città di Edo, l’antica capitale. Qui è ancora più difficile sfuggire ai pericoli, alle bande criminali, alle guardie, ai procacciatori di bambini e bambine per le case del tè.
Quando è proprio nei guai viene raccolto da Daichi, un poeta squattrinato, autore di testi per il teatro kabuki, che si oppone al più tradizionale teatro nö. La vita del nostro protagonista ricomincia con un nuovo nome, Tomo. Diventa inserviente, e poi attore, del teatro locale, viene accolto dalla famiglia di Shin, anche lui aiutante nello stesso teatro. Nello stesso tempo fa conoscenza con una ragazza misteriosa, Hiinahime, che vive portando costantemente una maschera del nö, reclusa nella sua abitazione.
E’ per esaudire un suo desiderio, recitare almeno una volta in teatro, che la situazione di Tomo precipiterà nuovamente nella disgrazia. Il teatro va a fuoco, lui viene incolpato, mentre alcuni sospettano che Tomo non sia quello che dice di essere. Incarcerato, torturato, viene alla fine liberato dall’amico Shin, ma il suo destino lo porta a fuggire ancora.
E’ un intreccio complesso, basato sulla ricostruzione storica del Giappone di quel periodo, caratterizzato da feroci lotte per il potere, da una società fortemente gerarchizzata e dal potere dei samurai. L’autrice si prende tutto il tempo necessario per portare la lettrice e il lettore nel Giappone antico, nei suoi usi e costumi, descrivendo nel dettaglio abiti, cibi, abitazioni, ma anche le ingiustizie, i soprusi, la violenza di una società fortemente maschilista.
Si tratta, però, essenzialmente di un romanzo di formazione, la crescita del giovane samurai attraverso le durissime prove che la vita gli impone ed è probabilmente su questo aspetto che si soffermerà l’interesse dei giovani lettori e lettrici: è una storia descritta a tinte forti, con personaggi molto definiti, per certi versi simili a quelli del romanzo fantasy. Ma non è l’unico elemento di attrattiva; l’altro, ed è potente, è il fascino, in questo momento dilagante, per il Giappone, per le sue atmosfere, per i suoi fumetti. Un fenomeno collettivo che periodicamente si riaffaccia, sempre con le medesime caratteristiche. L’editore italiano, L’Ippocampo, ha colto questa tendenza, traducendo questo romanzo, ma anche altri testi che vanno nella stessa direzione.
Se è indiscutibile la cura con cui l’autrice ha costruito la cornice storica del romanzo, tuttavia mi è sembrato di cogliere qualche immaturità letteraria nella descrizione dei personaggi e delle loro relazioni. E’ soprattutto un romanzo corale, basato sullo schema del ‘giovane in cerca del suo destino’, che è ovviamente un destino di battaglie, di vittorie e sconfitte.
Pur con questi limiti, è sicuramente molto più interessante della stragrande maggioranza dei romanzi destinati ai cosiddetti ‘giovani adulti’, con le dovute eccezioni.
Lettura estiva perfetta, con molte emozioni e uno sguardo non banale sull’amato Giappone.
 
Eleonora


“Le Cronache dell’Acero e dell Ciliegio. Libro1. La Maschera del Nö”, C. Monceaux, L’ippocampo 2021



lunedì 14 giugno 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

EVAN IL TERRIBILE
 
Un'isola tutta per noi, Sally Nicholls (trad. Anna Becchi)
San Paolo Edizioni 2021
 

NARRATIVA PER GRANDI (dai 10 anni)
 
"Ho aperto il cassetto. Era pieno di cose sue, cose che credo zio Evan e Jo avessero portato o tirato fuori dalla sua borsetta o giù di lì. 'Cosa? Queste?' ho tirato su gli auricolari. 'Questa?'. Una scatola di pillole. 'Questo?'. Un pacchetto di polo alla menta. 'Questo?' Ho tirato fuori quello che sembrava un libro e lei ha iniziato ad agitarsi veramente parecchio. Ha smesso di dare colpi e ha mosso le mani facendomi dei segni. Ho guardato ciò che tenevo fra le mani. Era un albo fotografico, uno di quelli piccoli con una singola foto per ogni pagina e con in tutto lo spazio per una ventina di foto.
Mi ha sorpreso che zia Irene avesse una cosa del genere."


Zia Irene, è sempre stata una donna molto particolare: tecnologica e, da sempre, piena di segreti e misteri riguardo ai suoi possedimenti; convinta che nella vita ognuno dovesse guadagnarsi il proprio posticino nel mondo attraverso l'impegno personale.
Ora è in fondo a un letto di ospedale: ha avuto un ictus. A gesti e a bocconi di parole sta cercando di convincere Holly, 12 anni, a prendere quell'album e considerarlo un suo regalo, ma soprattutto la incita a 'uuaare... uuaare'. E ancora di più le preme che né il marito Evan né la figlia Jo, assistano alla scena. Ma loro fortunatamente sono al bar dell'ospedale...
In quelle poche foto - non si tratta di foto artistiche, o foto ricordo di persone, piuttosto sembrano foto per provare un nuova macchina fotografica - sono immortalati luoghi ai loro occhi sconosciuti: rotaie, spiagge, uffici. Un vero mistero per i tre orfani Kennet, ai quali evidentemente la zia, in punto di morte, sta offrendo un bandolo di una intricata matassa per arrivare ai suoi gioielli, di cui saranno - per sua espressa volontà testamentaria - i futuri proprietari.
Bisognosissimi di soldi, i tre orfani Kennet - Jonathan 18 anni tutore dei suoi fratelli, Holly di 12 e Davy di 7 dal momento della morte della loro mamma - sono per ovvie ragioni un nucleo familiare piuttosto originale che può contare poco sull'aiuto dei parenti, mentre un po' di più sul sistema di welfare britannico. Ma è sempre poca cosa: finiti i risparmi della madre, con il sussidio dello stato e il magro stipendio di barista, Jonathan a malapena riesce a pagare l'affitto della loro casa e il cibo (spesso vanno a 'panini'). Ma tutto ciò che è un extra o, peggio, un imprevisto, come per esempio la malattia di Sebastian, il coniglio di Davy, mette in crisi il loro precario sistema di autosussistenza.
Quindi i gioielli di zia Irene, sarebbero proprio un bel colpo di fortuna, che metterebbe i tre fratelli nelle condizioni finalmente di fare una vita un po' più adatta alla loro età. E magari anche di salvare il loro coniglio.
Grazie a una serie di felici intuizioni di Holly, con il supporto di una squadra di 'aiutanti' adulti un po' sui generis, comincia così la loro avventurosa, quanto macchinosa ricerca di questo 'tesoro' che li porterà fino su una piccola isola scozzese, nell'arcipelago delle Orcadi.


La cosa che colpisce di più in questo buon romanzo è l'abilità della Nicholls di essere credibile, pur nell'apparente assurdità dell'intera vicenda.
Il piacere che spesso la buona letteratura genera nei propri lettori, ovvero la c.d. sospensione dell'incredulità: lo so che non è vero ma ci voglio credere, qui è diffuso e capillare.
In primo luogo, la situazione di partenza: tre fratelli che vivono da soli, sotto la tutela del maggiore, è già un bell'avvio, narrativamente parlando. Di fatto, nella vita di questi ragazzini ora non c'è nessun adulto di riferimento: padri andati o morti, madre fatta fuori da un cancro, nonni affettuosi, ma anziani e in una casa di riposo, zia Grace anaffettiva e basata in Australia, cugina Jo troppo occupata, zio Evan gretto e meschino, al limite della perfidia: di certo il peggiore. Se tutto questo può sembrare effettivamente un buon inizio per un romanzo di fine Ottocento, nel 2021 potrebbe sembrare inverosimile, e anche un po' stucchevole. E invece questo non succede. Perché nella voce narrante, quella di Holly, c'è talmente tanta verità che il lettore, pagina dopo pagina, le va dietro. E basta. I singoli personaggi che, attraverso gli occhi di Holly, anche il lettore vede riga dopo riga, assumono spessore e credibilità nel loro essere la risultante di un complesso intreccio tra bene e male, tra difetti e pregi, tra debolezze e forza. Esattamente come accade nella realtà: qui nessuno è buonissimo o cattivissimo, ma tutti si muovono in quella zona intermedia che appartiene alla finitezza umana. Holly sa vedere i difetti, le manie, le fragilità, i limiti, ma anche le aspirazioni, le sensibilità e in generale i sogni di ciascuno.
Attraverso il suo racconto, ci si rende conto che anche l'inverosimiglianza che un diciottenne possa avere legalmente la gestione dei propri fratelli minori, può stare in piedi (non a caso è la stessa Nicholls a presentare, sotto forma di ringraziamento, le sue pezze d'appoggio sulla questione).
Lo stesso si può dire per il surreale scenario umano del Maker Space: i tre fratelli frequentano uno di questi luoghi di condivisione tecnologica che nella realtà esistono (anche ai loro frequentatori è tributato un sentito ringraziamento) e sono 'abitati' da nerd 'socievoli', ovvero che hanno, al contrario del nerd duro e puro, uno spiccato senso di comunità e mettono i loro sapere al servizio degli altri. Qui, fondamentali per la soluzione della questione.
Ovviamente sono verissime anche le isolette delle Orcadi.
Un po' meno verosimile invece risulta la questione delle valigette disseminate per il mondo dalla zia Irene, contenenti pezzi di eredità da recuperare. Ma anche qui lo sforzo di crederci arriva sulla scia di tutto il resto e quindi lo si può prendere per buono. D'altronde è più volte detto che la zia Irene era molto originale.
A conclusione forse vale la pena tornare indietro e fare un'ultima considerazione su quanto detto prima, ovvero sull'autenticità di quello sguardo, di quella voce di tredicenne in cerca di felicità. In lei c'è un pragmatismo e una ferma volontà di superare i problemi che mi sento di riconoscere come proprio dei più piccoli: poche chiacchiere, mettiamoci in moto! Per capire a cosa si vuole alludere, basterebbe metterlo a confronto con la prudenza velata di pessimismo del fratello maggiore, e l'inconsapevolezza in cui abita ancora il piccolino di casa.
Nessuna deroga alla retorica, al contrario divertenti siparietti nel reparto biancheria di un grande magazzino, o al capezzale di una afasica moribonda. 
E brava la Nicholls che riconosce che questa bella mistura di fragilità e forza è il marchio di fabbrica di chi non ha ancora passato il guado dall'infanzia all'essere adulto.
 
Carla



venerdì 11 giugno 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

BAMBINE ‘CATTIVE’ E MOSTRI

C’è un rapporto speciale fra bambine e mostri, a partire da ‘Mostro peloso’, il capolavoro di Bichonnier e Pef; o nel meraviglioso, irriverente ‘Lo Yark’, di Gapaillard e Santini. In particolare c’è un potere nascosto nelle bambine ‘irregolari’, che emerge soprattutto nei duelli con i mostri più cattivi; a questa regola non scritta non sfugge nemmeno ‘Bethany e la Bestia’, scritto da Jack Meggitt-Phillips e illustrato da Isabelle Follath.
All’inizio della storia si pone il connubio fra Ebenezer Tweezer e la Bestia, che nasconde al quindicesimo piano della sua casa. Ebenezer ha centoundici anni e l’aspetto di un ragazzo di vent’anni, grazie al diabolico patto stipulato, centinaia di anni prima, con la Bestia, entità repellente e vorace che lo ricambia dei suoi sordidi servigi con un siero di eterna giovinezza.
La Bestia, come tutte le Bestie che si rispettino, ha una fame insaziabile, placata dai più stravaganti bocconcini, oggetti, animali domestici e animali rari.
Ebenezer nei fatti è un procacciatore di prelibatezze, che scompaiono velocemente nella enorme bocca del mostro; in cambio, oltre al siero miracoloso, ottiene soldi a palate, oggetti d’arte, mobili e accessori della casa, tutto rigorosamente vomitato dalla puzzolente bocca del mostro.
A lui va decisamente bene così, non si è mai preoccupato più di tanto della sorte delle vittime, con la sola eccezione della volta in cui ha dovuto sacrificare il gatto di casa.
Ma arriva il momento delle scelte quando la Bestia gli chiede perentoriamente di portargli un bambino paffutello. Ebenezer all’inizio si pone solo il problema di come procurarsi un pargolo: va allo zoo, facendosi cacciare, poi in un orfanotrofio, gestito dall’immancabile orribile direttrice. Qui alla fine sceglie Bethany, un’orfana dal carattere insopportabile. Pensa così di non avere scrupoli a presentarla alla Bestia, che però gli impone di metterla all’ingrasso. I giorni passati insieme, fra litigate, scherzi diabolici e visite alla Bestia, fanno maturare a Ebenezer, nel frattempo divenuto vecchio, la decisione di disobbedire, per la prima volta, al mostro che l’ha tenuto in vita fino a quel momento e che in quel momento lo ricatta proprio con il siero.
Per fortuna c’è Bethany, con la sua furbizia e il suo coraggio, che affronta la Bestia e la batte sfruttando proprio la sua ingordigia.
Tutto finisce bene? Forse, perché il finale lascia aperta la possibilità di nuove avventure di questi nemici mortali, mentre Ebenezer riacquista la giovinezza e una piccola, si fa per dire, scorta di siero.
Se la Bestia incarna il prototipo del cattivo, mostro vorace e insaziabile, gli altri personaggi non sono proprio anime candide: Ebenezer ha fin lì assecondato le crudeli richieste della Bestia, in cambio dell’eterna giovinezza; Bethany è una bambina aggressiva, maleducata, amante delle più improbabili schifezze alimentari. Eppure dall’incontro fra questi due ‘cattivi’ deriva un cambiamento che coinvolge entrambi, li trasforma prima in alleati, poi in amici, con buona pace di una Bestia sempre più inferocita.
 
 
Si tratta di una trama non nuova, ma trattata con grande ironia, uno stile frizzante che accompagna il lettore e la lettrice in un crescendo di situazioni paradossali.
Si sorride molto, soprattutto delle imprese di Bethany, si ha qualche raro moto di disgusto per le nefandezze della Bestia, si chiude il libro con la certezza che la storia non finisce lì.
Anche la Bestia, così presa da se stessa da non vedere l’atroce inganno finale, un po’ fa sorridere, ma non raggiunge i livelli di simpatia dello Yark, mostro insuperabile nella sua determinazione a mangiare bambini buoni.
Lettura scorrevole e divertente per bambine e bambini a partire dai nove anni, ma adatta anche alla lettura condivisa con lettori più inesperti.
 
Eleonora
 
“Bethany e la Bestia”, J. Meggitt-Phillips, ill. di I. Follath, Rizzoli 2021