venerdì 29 maggio 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


IL DOLORE DI UN ADDIO


‘River boy’, romanzo di Tim Bowler scritto nel 1997, ha avuto un grande successo in Gran Bretagna e ha ottenuto la prestigiosa Carnegie Medal; è stato più volte ristampato ed è proprio alla ristampa più recente del 2019, con la prefazione di David Almond, che oggi la Mondadori si rifà per riproporre questo testo nella collana ‘Contemporanea’, dopo una più modesta edizione nel 2000 nella collana ‘Junior+11’. Si tratta quindi del doveroso recupero di un testo di grande successo.
Ma veniamo alla trama: la protagonista è Jess, appassionata nuotatrice, e noi la conosciamo mentre si sta recando in vacanza con la famiglia nei luoghi dell’infanzia del nonno; si sistemano in un cottage vicino a un fiume impetuoso che scorre per la vallata. Il nonno è voluto tornare lì per finire il suo ultimo dipinto, e solo alla fine del romanzo si capirà perché. Il nonno è visibilmente malato e sembra quasi che l’unica cosa a tenerlo in vita sia solo quel dipinto che rappresenta proprio il fiume dove Jess si tuffa, attratta e impaurita nello stesso tempo.
Jess è molto legata al nonno ed è disposta a fare qualsiasi cosa per vederlo guarire, o comunque stare meglio; col passare dei giorni si rende conto che in realtà il nonno è gravemente malato e l’unica cosa che può fare per lui è aiutarlo a completare il quadro. Nello stesso tempo, nel corso delle sue nuotate nel fiume, avverte una presenza misteriosa, che alla fine si palesa come un ragazzo, dalla folta chioma scura, vestito solo con dei pantaloncini neri.
L’atmosfera che si crea è misteriosa, incupita dalle condizioni di salute del nonno; Jess è ossessionata dal ragazzo del fiume; alla fine riesce a parlargli e lui la coinvolge in una folle impresa, tuffarsi dalle sorgenti del fiume per percorrerlo tutto, nuotando, fino al mare.
Jess scopre, grazie a un vecchio amico, che anche il nonno, da ragazzino, prima di lasciare quei luoghi, era ossessionato da questo desiderio.
Credo che a questo punto sia chiaro a tutti chi sia il ‘ragazzo del fiume’ e che cosa rappresenti realmente il quadro che sta dipingendo il nonno.
Come in molti romanzi di Almond, anche qui l’elemento fantastico o sovrannaturale svolge una funzione rivelatrice di qualcosa che sta avvenendo fra i personaggi del racconto: in questo caso si tratta di un commiato, fra un nonno e una nipote legatissimi fra loro, che non può avvenire serenamente senza che la nipote porti a compimento quella parte della vita del nonno che è stata ‘amputata’ da un repentino cambiamento. Il nonno non è riuscito a compiere quel gesto eroico cui legava la propria identità ed è solo attraverso la nipote che quella cesura si compone, rendendo possibile l’addio alla vita.
Nello stesso tempo, per Jess, diventare le braccia e le mani del nonno, mettere il proprio corpo a sua disposizione è un atto di amore e di conoscenza, di vera comprensione.
Il mistero che il romanzo attraversa è quello della fine della vita, nel senso proprio di chi arriva al termine dei propri giorni sentendo l’urgenza di chiudere un cerchio, di compiere ciò che va compiuto. Il tema del lutto è certo presente, con il doloroso percorso di Jess nella consapevolezza dell’inevitabile; ma è in qualche modo funzionale a una riflessione su quel bilancio della propria vita che inevitabilmente si compie quando si è vicini ad abbandonarla. E’ anche un’intensa descrizione del rapporto fra nonno e nipote, che, come capita spesso, relega i personaggi della generazione di mezzo al ruolo di comparse.
Non so quanti ragazzi e ragazze coglieranno appieno il senso di questo romanzo, sviati magari dal mistero del ragazzo del fiume, per poi trovare una facile soluzione nelle ultime pagine del libro. Andando oltre questa lettura più ‘superficiale’, diventa inevitabile interrogarsi su cosa sia davvero importante quando ci si trova a fare un bilancio della propria vita, nel momento in cui si è in procinto di lasciarla.
Il romanzo consente una lettura a più livelli ed è un ottimo spunto per riflessioni importanti; lo consiglierei a partire dai tredici anni.

Eleonora

“Il ragazzo del fiume”, T. Bowler, Mondadori 2020


Noterella al margine: la fascia d’età di riferimento, indicata dall’editore, è 11 anni, mentre in altri siti si indicano età superiori.

mercoledì 27 maggio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


FAVOLACCIA

Fuori di galera, Sofia Gallo, Pino Pace
Marcos y Marcos 2020


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni)

"Insomma: niente regali, niente cane, niente vacanze in inverno. E nemmeno in estate se è per questo.
In compenso pare che guadagnerò un padre: io il 3 gennaio compio gli anni, lui esce di galera, dopo dieci anni. Una coincidenza? un segno del destino? una fortuna? oppure l'inizio della fine?"

Ilde ha appena ritirato dalla postina una busta verde, una lettera raccomandata, in cui si comunica alla madre la scarcerazione di Angelo, il padre che lei non ha quasi mai visto. Per buona condotta, esce dopo dieci anni per essere stato condannato per rapina a mano armata e omicidio preterintenzionale.
La vita già piuttosto monotona di questa ragazzina, un po' solitaria, piena di desideri che non si realizzano mai, sta per avere un bello scossone.
Alla soglia del suo quindicesimo compleanno, l'ennesimo senza regali, Ilde è nella sua casa torinese di due camere con Manuela, sua madre, e Rita, la madre di Angelo. Questa raccomandata mette in subbuglio tutte e tre, per ragioni molto diverse. Mi amerà ancora? si chiede Manuela; Sarà finalmente cambiato? spera Rita e Ilde, naturalmente, ne ha mille di domande in testa.
Sta per incontrare, sotto la pioggia davanti al carcere di Alba, uno sconosciuto, che però è anche suo padre.
La vita sottotono di questa ragazzina che anche durante le vacanze di Natale passa i suoi pomeriggi nel bar dei nonni materni a chiacchierar di libri con il signor Gianni, ad arrabbiarsi per i messaggi della sua unica amica Martina da Sanremo, a sognare il primo amore con Giovanni, sta per cambiare un bel po'.
Dopo una notte passata solo con Manuela a parlare del futuro che li aspetta, Angelo le sottrae la figlia, la carica in macchina, e si dirige verso il mare della Liguria. Lontano da tutti, solo con Ilde vuole passare due giorni speciali prima di riprendere probabilmente il largo.
Non è esattamente la vacanza che questa ragazzina sognava, tuttavia si rivela un viaggio fondamentale, anche se molto duro.
Necessario per arrivare a capire in che direzione andare.

Misurarsi con il mondo degli adulti è quello che occupa gran parte del tempo di Ilde. A parte Martina e, sullo sfondo, Giovanni e Lorenzo, le sue giornate sono abitate quasi solo da adulti. Alcuni più presenti di altri, e tra questi la squadra dei tre nonni che come spesso accade costituiscono per lei una piccola costellazione di affetti stabili. A loro si aggiunge il vecchio professore, Gianni, che si prende cura delle sue letture, tra un amaro e l'altro.
Madre e padre sono il suo problema. 
A tal punto che la stessa Ilde fatica a chiamarli mamma e papà e opta per un più onesto Manuela e Angelo.
Da un lato c'è una madre ondivaga, che anche affettivamente non dimostra grande solidità, che tuttavia ha il merito di farsi in quattro per mantenere questa strana famiglia tutta al femminile. Usa delle premure nei confronti della figlia come potrebbe farlo uno schiacciasassi. Sebbene tutto questo sia dettato dalla ragion di stato, ovvero da una condizione di povertà sempre latente, ciò nonostante non è un personaggio condivisibile o positivo.
L'ennesimo adulto fragile in un libro per ragazzi.
La seconda questione riguarda il grande assente, Angelo. Quello che sua nonna definisce un padre a fette. La sua assenza è stata così lunga e pesante per Ilde che lei stessa più volte non è capace di riconoscergli il ruolo. Di fatto, lui, almeno fino a oggi, si è illuminato solo di riflesso, nei ricordi di sua madre e di sua nonna. Attraverso l'immaginario della madre - Ilde non ha avuto modo di costruirsene uno proprio - diventa, giocoforza, un mito da tirare fuori nelle grandi occasioni. Salvo poi ricadere nella polvere durante i momenti più bui di solitudine di una quasi quindicenne 'diversamente fortunata'.
Dal momento in cui Angelo le compare davanti, l'assenza, quindi l'alternanza tra mito e polvere, sparisce per lasciare posto a una presenza che di fatto si rivela un percorso molto accidentato di conoscenza reciproca.
Concepito come un fine settimana di vacanza si trasforma in un week end da brivido, al limite dell'inverosimile, architettato secondo le modalità consuete di un ex rapinatore, galeotto e forse assassino. Che incidentalmente è anche un papà.
Attraverso incontri con malavitosi, furti, fughe, scazzottate, padre e figlia misurano il loro affetto reciproco e in qualche modo ci riescono e si conoscono. 
A parte qualche debolezza di troppo nelle parti del racconto dedicate alle relazioni di Ilde con i suoi coetanei, i due elementi di interesse che emergono da Fuori di galera sono condivisi da tanta altra letteratura e, in questo periodo, casualmente, da due film che si somigliano.
Da un lato, sono storie in cui si riconferma che gli adulti spesso e volentieri non sappiano fare il loro mestiere. Si dimostrano fragili, disorientati, egoisti, depressi, in ogni caso si sottraggono alle responsabilità del loro ruolo genitoriale.
Dall'altro lato - di necessità - si vedono figli farsi carico di responsabilità che non dovrebbero competergli, prendere decisioni forti, suggerire ai grandi percorsi virtuosi. Come, per esempio, fa Ilde con Angelo a fine corsa.
E questi ragazzini e ragazzine sono in prima linea, e penso a Favolacce e a Magari, con una compostezza e una lucidità e soprattutto una forza che mette in crisi l'intera categoria degli adulti. 
Forse non aveva tutti i torti Ilde a chiedersi se non fosse davvero l'inizio della fine.

Carla

lunedì 25 maggio 2020

FAMMI UNA DOMANDA!


PALME AL POLO NORD


E’ arrivato da poco, ma si è subito fatto notare: ‘Palme al Polo Nord. Perché il clima sta cambiando?’. E’ un corposo tomo dalla copertina cartonata, con le pagine fitte fitte di informazioni.
Lo ha pubblicato, con il consueto intuito, Editoriale Scienza, ed è opera di Marc ter Horst; devo dire che mi ha incuriosito non poco il suo curriculum, che parla di una formazione umanistica presto riconvertita al difficile lavoro del divulgatore scientifico, soprattutto per ragazzi. Credo che in questo si evidenzi come la buona divulgazione sia fatta da una grande capacità di gestione dei testi, e quindi di capacità di comunicazione su argomenti anche di grande complessità, e nello stesso tempo di un notevole retroterra di consulenze specialistiche, che tengono lontano i tanto temuti errori. E qui di specialisti, che hanno rivisto il testo, ce ne sono diversi.
Con questo bel biglietto da visita, il libro di questo autore olandese, esordiente in Italia, si presenta come un serio, approfondito viaggio nella complessa tematica del cambiamento climatico.
Diviso in dieci capitoli, illustrati da Wendy Panders, il libro tratteggia sinteticamente una storia del clima, che è un necessario punto di partenza per capire cosa sta avvenendo ora. Senza diventare pedante, l’autore racconta come il clima sia mutato anche drasticamente nel corso delle ere e che quindi non necessariamente un mutamento anche radicale implichi la fine del pianeta. Ma della vita che lo popola attualmente forse sì.
Se dunque, visto in termini di tempi geologici, il mutamento climatico non rappresenta una novità per la Terra, la sua accelerazione nel corso dell’ultimo secolo rischia di mettere in seria discussione i nostri standard di vita attraverso una serie di cambiamenti che riguardano la temperatura, il livello dei mari, le condizioni ambientali, le estinzioni di specie animali e vegetali.


Con grande onestà, Marc ter Horst mette in luce i diversi punti di vista, le obiezioni, spesso di natura economica e politica, alle teorie sul riscaldamento globale; e mette in luce anche il grande bivio che ci aspetta: attrezzarsi ad affrontare i cambiamenti climatici, con il loro portato più o meno catastrofico, o cercare di attaccare le cause di questi processi? Il primo atteggiamento è sostanzialmente tecnologico e cerca di trovare soluzioni pragmatiche, per esempio al moltiplicarsi di eventi meteorologici intensi; l’altro approccio è politico, ma soprattutto culturale, perché mette in discussione il modello di sviluppo oggi dominante.
Nell’ultima parte vengono date anche delle indicazioni pratiche su quegli aspetti della vita quotidiana che ciascuno di noi può modificare in vista di uno stile di vita nuovo.
L’argomento è dunque di grande interesse e di sicura attualità; viene trattato con termini chiari, spiegazioni comprensibili, ma approfondite, con un accenno di ironia che mitiga la seriosità del testo. E’ un libro per ragazze e ragazzi di almeno dodici anni, ma è anche un ottimo libro di divulgazione per adulti, in cui si possono trovare argomenti e spiegazioni precise e documentate.
E’ un testo corposo, impegnativo, che richiede magari qualche spiegazione supplementare da parte di genitori o insegnanti; può essere anche il punto di partenza per un percorso didattico.
Non deve spaventare la mole o il linguaggio scientifico, perché la brevità dei capitoli e lo stile un po’ ironico e un po’ paradossale rendono comunque la lettura piacevole, se non appassionante.
Siamo un po’ tutti su un pezzo di banchisa alla deriva, come l’orso della foto contraffatta che ha fatto il giro del mondo; perché ragazzi e ragazze non dovrebbero desiderare di saperne di più, per farsi una propria idea e decidere del proprio futuro?

Eleonora

“Palme al Polo Nord. Perché il clima sta cambiando?”, M. ter Horst, W. Panders, Editoriale Scienza 2020



venerdì 22 maggio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

RESISTENZA ATTIVA

È ora di alzarsi!, Michaël Escoffier, Nathalie Dion 
(trad. Francesca Ros) 
Il leone verde, 2020



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"'Sveglia! È ora di alzarsi!''Non ci riesco, ho gli occhi appiccicati.'Che peccato,c’erano così tante cose da vedere oggi! Volevo mostrarti il sole che sorge,i fiori che si aprono, le formiche che si mettono in marcia...
'Non ci riesco, ho la testa come un macigno.'"

Dal suo letto, il bambino resiste.


Alle sollecitazioni della madre, la quale a ogni suo diniego, alza il tiro, aumenta la posta in gioco. A parte vedere il sole che sorge e i fiori che si aprono e le formiche, le cose che si possono fare sono molteplici e sempre più interessanti: frittelle a colazione, nascondino, passeggiata insieme fino a scuola. E più tardi, magari cantare, ballare e urlare sotto la pioggia e poi saltare nelle pozzanghere. Soffiare sui denti di leone o disegnare gli arcobaleni e ancora dondolarsi a testa in giù dagli alberi. Per non parlare delle cose di cui si potrebbe parlare: dirci quanto bene ci vogliamo, studiare assieme balene e dinosauri. Si potrebbe anche bisticciare, ridere, leggere e farsi il solletico. E a fine giornata potremmo contare le stelle...
Mentre la madre sciorina questa lunga e vertiginosa lista di cose da fare, qualcosa in quel letto sta capitando: gli occhi appiccicosi, la testa come un macigno, le gambe rigide come legno e poi molli come batuffoli di cotone lentamente stanno dando cenni di movimento. Con un piccolo aiuto forse quel bambino riuscirà a non dover rinunciare a tutto questo. Salvo poi...

Piccolo, ben fatto e arriva dal Canada. 


Un topos non esattamente nuovo o rivoluzionario - tirar giù dal letto un bimbetto che non ne vuol sapere - eppure costruito con cura e intelligenza, sovrapponendo diversi strati di materia che lo rendono, a suo modo, complesso e articolato e nello stesso tempo di immediata comprensione.
D'altronde, di rado Michaël Escoffier sbaglia il tiro.
Se lo si scompone si vede subito che lo strato più superficiale è dato da una trama immediatamente percepibile e riconoscibile da grandi e piccoli che si costruisce su un conflitto in alcune case addirittura quotidiano: alzati! no!, ovvero la conferma e la smentita del ritmo circadiano. Con colpo di scena finale, alla Escoffier!
Gli altri strati sono interscambiabili e qui messi in elenco senza un ordine gerarchico che ne determini maggiore o minore importanza. Il fatto importante è che ce ne siano così tanti in un oggetto apparentemente così semplice.


Secondo strato: il ritmo, che si presenta regolare esatto e ripetuto. Circostanza quest'ultima graditissima agli ascoltatori più piccoli, che entrano immediatamente nel gioco dell'attesa di una riproposizione, il ripetersi di un frame già conosciuto, ma nello stesso tempo nuovo. Per intenderci, lo schema e il ritmo su cui è costruita la fiaba dei Tre porcellini. Qui non c'è il lupo, ma una madre che più volte torna all'attacco con le medesime modalità. 
Terzo strato: la vertigine della lista. Lavorare sugli elenchi è, in ambito narrativo, una calamita a cui è difficile fare resistenza. Ha la stessa funzione incantatoria di una spirale disegnata che viene fatta girare davanti agli occhi per ipnotizzare. A tale proposito, un consiglio non richiesto è quello di leggere il saggio La vertigine della lista di Umberto Eco.
Quarto strato: il lessico. Un 'lessico famigliare' fatto di parole semplici, ma evocative. Qui non si deve tacere la capacità di Francesca Ros che va applaudita, se non altro per quel verbo bisticciare, così perfetto e raro. A lei va anche il merito di aver saputo mantenere anche in italiano il dialogo alto e leggero allo stesso tempo.


Quinto strato: il senso del tempo che passa. Silenziosamente Escoffier attraversa l'arco di un giorno, e Dion dietro, semplicemente alludendo a una implicita scansione: dal sorgere del sole al contare le stelle. A questo aggiunge una trasversalità meteorologica, ovvero quella giornata è attraversata da una pioggia, cui spetta il merito di far apparire ancora più allettante la proposta di scendere da quel letto.
Sesto strato: il passaggio repentino da un registro all'altro. Da quello avventuroso -dalla scoperta, all'esplorazione al gioco- a quello affettivo -fatto di abbracci e intimità casalinghe.
Settimo strato: il senso ultimo della storia, ovvero nella vita e negli affetti spesso ci si trova di fronte a piccole battaglie, che possono essere vinte con strategia, ma soprattutto usando la forza della parola. Meglio se è l'ultima!
Ottavo strato: il dialogo stretto tra testo e immagine. In perfetta armonia, si capiscono al volo. Spesso è il disegno a gouache di Nathalie Dion che crea significato laddove il testo tace per non rischiare di cadere nella retorica e nella sdolcinatura. In questo senso la madre è quasi sempre vista in porzione, solo una volta il suo viso coperto dai capelli fa la sua apparizione. Le mani, sineddotiche, sono invece onnipresenti. Brava e intelligente.


Nono strato: dire senza parlare. Dal disegno si apprende che esiste una voce fuori campo, quella della madre, e un assoluto protagonista in scena, il bambino. Con la cura che caratterizza questo libro, la sua voce è scritta con un lettering ad hoc.
Dal disegno si apprende, molto di più che non attraverso le parole, che la pigrizia sta cedendo il passo alla voglia di alzarsi. Da una faccia sotto il lenzuolo di partenza, lento esce un occhio, quindi un torace, poi un piede, quindi dalla posizione supina si passa a quella seduti con testa ciondoloni e poi e poi e poi...

Carla




mercoledì 20 maggio 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

DIQUA’-DILA’


Una nuova collana, pubblicata da poco da Franco Cosimo Panini, arricchisce le proposte per i più piccoli: si chiama DiQua-DiLà ed è opera della francese Martine Perrin, che riprende un format già presente nei suoi lavori, la pagina intagliata che, aprendosi, svela una forma coerente con quello che si era intravisto. 


I lavori dell’artista francese sono stati tradotti dalle Edizioni Nord-Sud quasi già dieci anni fa con il titolo di collana Gira e Rigira. Più recentemente, il suo progetto editoriale si è articolato in proposte diverse, acquisite a questo punto dalla Franco Cosimo Panini; ricordiamo ad esempio, ‘Nel bosco’, oppure il più recente ‘Dov’è il lupo?’. In particolare in quest’ultimo, un cerca-trova graficamente raffinato, vengono messi insieme diversi tipi di animazione e di giochi visivi, in realtà non sempre di immediata comprensione per i bambini piccoli cui il libro è rivolto.


Questo esempio mostra come anche nel libro gioco si possano trovare sperimentazioni grafiche davvero interessanti, come, per fare un esempio, nel caso di Norman Messenger.
DiQua-DiLà è una collana che non utilizza i consueti argomenti, utilizzati per questa fascia d’età, anzi si propone di raccontare ai più piccoli civiltà lontane, come quella cinese o dei nativi americani.


La struttura è semplice ed è basata su un indovinello che pagina per pagina spinge ad andare avanti per trovare la risposta; ogni indovinello comprende due doppie pagine, la prima a destra presenta un intaglio che richiama un oggetto o un animale contenuto nel testo; questo chiede al piccolo lettore e alla piccola lettrice di indovinare cosa è nascosto sotto e che è proprio l’oggetto dell’indovinello; girando la pagina si scioglie l’enigma, svelando chi o cosa compie un’azione. La pagina con l’intaglio non perde di significato, perché girata e appoggiata sulla precedente pagina di sinistra riprende la sua forma con decori differenti.

 
L’indovinello è in rima e questo aiuta a trasformare la lettura in un gioco di scoperte.
Come si vede, il meccanismo è ben consolidato e molto semplice, mentre il testo un po’ più elaborato, con termini non sempre di uso quotidiano, seleziona un lettore ideale dai tre anni in poi, anche se le pagine cartonate rendono il libro resistente agli strapazzi e all’uso giocoso da parte anche dei più piccoli. E’ d’altra parte interessante il tentativo di ampliare gli argomenti messi a disposizione dei più piccoli, tralasciando animali e mezzi di trasporto per occuparsi di luoghi e popoli lontani.
La Perrin si conferma come un’illustratrice dal solido gusto grafico, che qui si concede delle belle invenzioni, con grande padronanza del mezzo tecnico dell’intaglio del cartone; è una tecnica che arricchisce e rende ancora più facile il meccanismo del cucù, con le immagini che saltano fuori da una pagina all’altra, modificandosi. In questo caso è ancor più evidente il gioco con l’aspetto grafico che utilizza la decorazione geometrica per passare dall’animato all’inanimato e viceversa. Il segno grafico molto netto, i colori sgargianti rendono questi piccoli libri godibilissimi, allenando l’occhio di bambine e bambini a cogliere quello che nelle immagini è nascosto.

Eleonora

“Dov’è il lupo?”, M. Perrin, Franco Cosimo Panini 2019
“DiQua-DiLà nell’America degli Indiani”, M. Perrin, Franco Cosimo Panini 2020
“DiQua-DiLà in Cina”, M. Perrin, Franco Cosimo Panini 2020


lunedì 18 maggio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


UNA VALIGIA STRACOLMA DI OGGETTI

Lenticchia. Dall'altra parte del mondo
Claudia Mencaroni, Luisa Montalto
Verbavolant 2020



ILLUSTRATI PER MEDI (dai 6 anni)

"Lenticchia è una bambina grande di quattro anni, alta così e larga cosà.
Quando Lenticchia è felice spalanca la bocca, strizza forte gli occhi e vola come un uccellino. Vola per la felicità. Lenticchia vive dall'altra parte del mondo."


Nonostante viva dall'altra parte, non è una bambina a testa in giù. La testa ce l'ha ben su e piena di domande: la principale che le frulla in testa riguarda proprio l'altra parte del mondo. Chiede a suo padre e a sua madre di raccontarglielo, ma nessuno dei due trova le parole giuste, le parole adatte. Non le resta che mettersi in valigia e partire.
Dall'altra parte del mondo sembra essere tutto un po' meglio: alberi più accoglienti, case più piccole, fiori sui davanzali, colori più accesi, acqua e monumenti antichi a ogni angolo e gente che si parla dalle finestre. E c'è anche il mare. Oh. Il mare, che le riempie gli occhi. Quello piccolo in cui si può anche nuotare. Ai suoi genitori, che al ritorno le chiedono come sia il mondo di là, lei mostra la sua valigia stracolma di oggetti, e racconta felice.


Di nuovo insieme, dopo Seb e la conchiglia, Claudia Mencaroni, Luisa Montalto e Verbavolant.
Tra loro alcune, poche, cose cambiano, alcune cose restano.
Come se fossero una cifra.
Tra le cose cambiate c'è il formato: da libro da parati ora è un albo più tradizionale, all'italiana, ovvero orizzontale. Il formato più congeniale al movimento e all'acqua. Che in questo libro abbonda.
Tra le cose cambiate c'è l'equilibrio tra testo e immagine. Il dialogo tra loro è forte come anche in Seb, ma in Lenticchia sembra quasi che a condurre il gioco non siano più le parole, ma il disegno.
Anche se in Seb e la conchiglia, per ovvie ragioni, il disegno occupava le grandi superfici, tuttavia il loro ruolo era per lo meno paritario nella narrazione.
Qui, no. Il disegno continua a prendersi grandi spazi, pagine intere con bandelle a sorprendere il lettore, ma lo fa spingendo la parola a diventare quasi un sussurro: Oh. Il mare, e a metterla in un angolo, comunque sempre poetica.
Un disegno che si è fatto più potente della parola.
Un po' come a dire che le parole sono sulla pagina a raccontare una storia che hanno sentito dai disegni.
E qual è questa storia? Cercando di mantenere il più possibile 'vergine' lo sguardo su Lenticchia si potrebbe dire che è la storia di una bimbetta che ha capito un paio di cose importanti della vita: la prima è che al mondo ci sono posti tra loro molto diversi. Uno è vissuto principalmente in un 'interno', attraverso le finestre, mentre l'altro è ben più estroverso, tutto raccontato en plein air

 
La seconda cosa che Lenticchia capisce ha a che fare con gli oggetti. Quella bambina sa con chiarezza che gli oggetti sono portatori di storie. Hanno un loro significato che va al di là dell'oggetto in sé. Un sasso non è solo un sasso, ma il segnetto per giocare a campana, un legnetto non è solo un legnetto, ma è quel preciso legnetto trovato su quella precisa spiaggia in quel preciso giorno. Una moneta è quella moneta, una torcia è quella torcia, una girandola è quella girandola.
Ecco tutto questo lo racconta il disegno e le parole tacciono.
Dunque l'equilibrio è cambiato.
Se si abbandona la prospettiva 'vergine' dello sguardo e si ascolta la genesi di questo libro, così come la raccontano le protagoniste, tutto questo che lo sguardo vergine aveva intuito, sembra trovare conferma.
Spigolando, si apprende infatti che Lentichia è la figlia di Luisa Montalto, Anna a cui il libro è dedicato, che, nata a Singapore, dove Silvia ha vissuto per cinque anni, chiedeva ai suoi genitori del mondo di qua, di Roma.
Una domanda grande, per una bambina grande.


La Montalto, come la maggioranza degli illustratori, dice di non avere dimestichezza con le parole, lei quando ha da raccontare disegna, e quindi chiede a Claudia Mencaroni di trovare una risposta narrativa alla questione dell'altra parte del mondo, dei luoghi a cui lei si sente di appartenere, della memoria che ne ha.
Per spiegarlo con un libro a sé e a sua figlia. E magari anche a qualche altro bambino o bambina...
La voce di Claudia racconta quindi - generosamente - un storia che non è sua, ovvero non solo sua.
Al principio si alludeva alle cose che cambiano, e si parlava di equilibri o rapporti di forza tra testo e immagine, tra storia a parole e storie a disegni, si voleva dire proprio questo: nel libro il disegno racconta di più delle parole.
Ma per tornare alle cose che restano, di Claudia Mencaroni rimane la capacità che era stata notata in Seb e la conchiglia, ovvero la sua sensibilità nel 'disegnare' un bambino con pochi tratti. Così come allora, anche adesso Lenticchia è nelle nostre orecchie, nella sua essenza di bambina grande di quattro anni, già dopo poche frasi.


Si riconferma la sua capacità di toccare punte alte, per esempio, nel dare corpo in una sola frase, piccola e perfetta, alla potenza delle sensazioni che si provano per la prima volta davanti al mare. Tuttavia, rispetto a Seb, ogni tanto per me si percepisce qualcosa che scorre meno liberamente: parole che un po' si inceppano in soluzioni che costano fatica, che suonano obbligate da un pensiero 'esterno' che preme per entrare.
E Buongiorno e buonanotte.

Carla


domenica 17 maggio 2020


IL TESTO SACRO, ovvero ALSO SPRACH GIULIA


Lunedì è il compleanno di Bernardo - Auguri, Bernardo! - così Germana, come ogni anno da che ci conosciamo, mi chiede la ricetta del Puntazzo. Il "Puntazzo", Ginostra, o Dolce al cioccolato di Loredana, è ricetta che arriva da un librino autoscritto, autoillustrato e autoprodotto da Giulia e sua madre, che contiene le sue ricette di famiglia, ovvero quelle che negli anni hanno collezionato assieme. Il titolo L'unione fa la torta. 23 Sandra and Giulia's reci-pies fa subito intuire il profilo internazionale delle autrici, quello di Giulia lo è sicuramente.
Liso, pieno di schizzi e macchie nelle pagine più frequentate, è un libro che conserviamo con affetto ed è irrinunciabile a casa nostra. Un testo sacro.


Il Puntazzo, che prende il nome da un ristorante a Ginostra, questa domenica è affare di Germana che lo prepara per Bernardo.
Io, già che mi sono trovata, ho scelto una pagina senza macchie con una ricetta che esordisce così:
Crostata di noci di zia Teresa. Natale!
Perfetta, da fare in un 17 maggio balengo di un 2020 balengo.

Ingredienti
250 gr circa di frulla (queste le mie dosi perché sulla frulla non ascolto nessuno: 125 farina 00+75 burro+50 zucchero+1 pizzico di sale+un rosso d'uovo)
200 gr di noci sgusciate
200 gr di zucchero
1/2 bicchiere di panna


Fate la frulla (anche qui il metodo è il mio personale) mettendo farina, lo zucchero il sale in un robot da cucina con la lama, date due colpi perché si mischino, aggiungete i dadi di burro e fullate di nuovo finché non ottenete sabbietta, quindi mettete il rosso e frullate finché non ottenete la palla di frulla).
Stendete la pasta sulla teglia unta e infarinata, come fareste per una crostata, e mettete in frigo.
Tritate le noci a mano in modo da evitare lo sfarinamento.
Accendete il forno a 180°.
Fate un caramello a secco, ovvero in un pentolino mettete un cucchiaio di zucchero e fate sciogliere a fuoco basso, poi aggiungete un cucchiaio di zucchero per volta e, sempre girando con un cucchiaio di legno, fatelo sciogliere fino ad arrivare a mettere tutti i 200 grammi. A questo punto, fuori dal fuoco, aggiungete con grande attenzione la panna che sfrigolerà moltissimo e farà indurire il caramello. Rimettete sul fuoco e continuate a girare finché lo zucchero non si sarà sciolto nuovamente.
Aggiungete il trito di noci e girate perché di amalgami. Togliete dal fuoco e versate sul guscio di frulla.
Infornate e cuocete finché la frulla non raggiunge il vostro grado prediletto di cottura.
Va servita in piccoli quadrati. Also sprach Giulia!
Per i puristi di Zarathustra, colonna sonora

Carla 

venerdì 15 maggio 2020

FAMMI UNA DOMANDA!


LA BIBLIOTECA DEI SAPERI


Finalmente un libro interamente dedicato ai libri di divulgazione, con accenni alla loro storia recente e con una panoramica delle tendenze contemporanee. Grazia Gotti, insegnante, libraia della conosciutissima ‘Giannino Stoppani’ e consulente del Bologna Children's Book Fair, scrive per i tipi di Lapis ‘La Biblioteca dei saperi’, nato dalla convergenza delle diverse esperienze professionali dell’autrice.


La parte secondo me più interessante è la prima, dove vengono analizzati alcuni autori d’epoca, come Marie Reidemeister Neurath, inventrice, nel primo dopoguerra, della cosiddetta infografica, Herbert Spencer Zim, autore di una collana di divulgazione che la Fabbri tradusse in italiano; Ruth Bartlett ed Erik Nitsche.


In questa galleria di autori che ci stupiscono per la bellezza e la ricchezza dei loro libri, compaiono anche gli italiani Piero Ventura e Gian Paolo Ceserani, il cui insegnamento mi sembra sia stato ripreso da La Biblioteca, editrice piccolissima, che ha avuto una certa fama nel decennio passato.


A questa prima carrellata, ne segue un’altra che individua le principali case editrici, e relative collane, che hanno segnato la divulgazione negli anni ‘80 e ‘90: la francese Gallimard, le cui collane furono tradotte da E.Elle, la Dorling Kindersley, tradotta da De Agostini, a rappresentare il filone della divulgazione di lingua anglosassone, qui relegato solo al periodo della fine dello scorso millennio, mentre rappresenta tuttora un filone importantissimo, soprattutto della divulgazione scientifica. E poi la gloriosa Editoriale Scienza, che annovera nel proprio catalogo titoli importanti, sia di produzione diretta, che tradotti.
La terza carrellata riguarda le ‘editorie emergenti’, cioè di quei paesi da cui sono arrivate le proposte più innovative degli ultimi anni: la Polonia della coppia Mizielinska e Mizielinski, il Portogallo di Planeta Tangerina, l’Ucraina di Romanyshyn e Lesiv, e il regno Unito con il Professor Astro Gatto.
Come è evidente, la selezione è attenta in modo particolare all’aspetto formale, ma anche utilizzando questo principale criterio dimentica, per esempio, gli autori polacchi de ‘il Regno degli alberi’, che pure hanno proposto libri di assoluto rilievo.
La quarta carrellata riguarda gli autori: il francese Guillaume Duprat, autore de ‘Il libro delle Terre immaginate’, ‘Universi’ e altri, la britannica Nicola Davies, fra le autrici più prolifiche e rilevanti del panorama contemporaneo, e gli italiani Telmo Pievani e Gianumberto Accinelli.

Seguono accenni ad altre discipline: le riduzioni letterarie di Aristarco, o i libri di ‘filosofia’ per bambini, dove primeggia il discutibile Galimberti e manca quel capolavoro che è ‘Cosa diventeremo?’, per finire con i libri che parlano delle problematiche sociali contemporanee.
Nel voler parlare di tanto, ovviamente non si rende giustizia a molti, è inevitabile. Mancano, forse perché non apprezzate, le nuove tendenze nella divulgazione per piccolissimi, sposate da Il Castoro ed Editoriale Scienza; e questo è un esempio. C’è solo un accenno a Jenni Desmond, che rappresenta un interessante mix di divulgazione ‘narrativa’. E’ poco indagata la divulgazione anglosassone, che rappresenta la fetta più importante della produzione mondiale.
C’è dunque un interessante, colto approccio al ‘come’ viene raccontato il mondo, nei suoi diversi aspetti. E’ più limitata l’analisi del cosa, dei linguaggi e dei concetti utilizzati, delle tendenze in chiave di discipline ora esplorate: dalle teorie evoluzioniste, che fino all’anno scorso non erano state oggetto di libri specificamente dedicati, all’area tecnologica, al coding, che pure rappresenteranno una nuova frontiera di conoscenza.
Andrebbero analizzati anche i linguaggi, non solo quelli visivi, la capacità di rendere comprensibili concetti complessi, astratti. E qualche esempio, nel corso degli anni, è stato evidenziato su questo blog.
Non ci si chiede per quale motivo non ci sia sperimentazione, anzi possiamo dire che c’è pochissima produzione, nell’ambito della divulgazione storica, con l’unica eccezione della preistoria e della storia antica. Davvero i lettori e le lettrici si disinteressano totalmente al passato?
E poi il punto dolente, che riguarda ancora l’ambito del contenuto conoscitivo dei testi: gli errori. Errori di traduzione, errori di contenuto che evidenziano una scarsa cura del prodotto editoriale anche da parte di editori importanti, con l’eccezione, luminosa, di Editoriale Scienza e L’Ippocampo, che dedicano una cura meticolosa all’editing.
Con questi limiti, peraltro inevitabili, nel voler affrontare sinteticamente un argomento così vasto, il libro di Grazia Gotti è un libro prezioso, che colma una clamorosa lacuna nell’indagine sui testi per ragazzi e costituisce un importante spunto per ulteriori approfondimenti.
Lettura quasi obbligata per libraie e librai, insegnanti e divulgatori e per tutti i curiosi del mondo dell’editoria per ragazzi.

Eleonora

“La Biblioteca dei Saperi”, G. Gotti, Lapis 2020

mercoledì 13 maggio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


GISÈLE È GRANDE E TORNA A CASA

La bambina di vetro, Beatrice Alemagna
Topipittori 2020

ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)

"Un giorno, in un villaggio vicino a Bilbao e a Firenze, nacque un bambino di vetro. Anzi, una bambina.
Era così carina con i suoi grandi occhi, così perfetta con le sue piccole mani, così pura e luminosa... ma così trasparente!
Brillava, scintillava, si confondeva con gli oggetti, cambiava colore al tramonto e sotto il sole si trasformava in mille riflessi."


Tutti facevano lunghe code per vederla e le domande sul suo essere così insolita si accavallavano, ma la fragilità non preoccupava né Gisèle né i suoi genitori. La sua trasparenza, tuttavia, rendeva visibile tutto ciò che le passava per la testa. E questo non era molto piacevole. 


Da piccola, ogni sua minima paura veniva intercettata e subito rassicurata. Ma crescendo, il fatto che tutti potessero leggerle il pensiero, bello o brutto che fosse, non era ciò che lei desiderava per sé. Inoltre, le malinconie avevano il potere di incrinarla, e non solo nell'anima, ma anche nel corpo fragile di vetro. E come se non bastasse tutti avevano qualcosa da ridire sui suoi personalissimi e privati pensieri.
Gisèle non ne poteva più: così fece la valigia, salutò i suoi genitori e partì.


Dovunque andasse, però, era sempre lo stesso.
Finché un giorno, smise di scappare da se stessa e dal giudizio degli altri, fece dietro front e tornò a casa.

Gisèle, cosa che capita davvero di rado per i personaggi dei libri, l'abbiamo vista crescere. E ora è addirittura maggiorenne.
È nata diciotto anni fa in Francia, come bambina di vetro dentro un libro francese, Gisèle de verre
All'epoca, l'Italia non si era dimostrata accogliente ne confronti di Beatrice Alemagna che, quindi, pubblicava i suoi primi bei libri esclusivamente con case editrici d'Oltralpe. Questo, con Seuil.
All'epoca, era nato da una suggestione rodariana, circostanza che quest'anno non casualmente trova rinnovato vigore, visto il centenario.
Giacomo di Cristallo, quello che oggi la Alemagna definisce un fratello di Gisèle è il protagonista di una delle Favole al telefono.
Con Gisèle condivide la trasparenza, ma poco altro. 
Giacomo, al contrario di Gisèle, è un catalizzatore, la gente gli voleva bene per la sua lealtà e vicino a lui tutti diventavano gentili. Rodari prosegue seguendo la sua vena più politica, e racconta che, salito al potere un feroce dittatore, il popolo conosce miseria e ingiustizia. Nessuno ha il coraggio di opporsi, pena la morte, a parte Giacomo, i cui pensieri sono trasparenti. Lui non può tacere e i suoi pensieri ribollono di sdegno e condanna. Il dittatore lo fa rinchiudere, sperando così di nascondere agli occhi del mondo la verità, ma - e qui arriva la fantastica rodariana - la prigione e le mura che la circondano diventano anch'esse trasparenti. Al dittatore non resta che coprire i suoi occhi dalla luminosità che emana Giacomo. E qui la morale rodariana: la verità è più forte e luminosa di qualsiasi cosa. Non la si può tenere nascosta per sempre.
Le due Gisèle, quella francese e quella italiana, pur condividendo la radice rodariana, sono ben diverse tra loro.


La prima e più grande differenza con la prima Gisèle, quella francese, è nella fuga senza ritorno di quella persona con il dono della trasparenza.
L'essere trasparente, la rende diversa e come tale pericolosa. Tout le monde l'évita. La rende scomoda: Tu ne peux pas te retenir de penser cela? L'unica soluzione che Gisèle trova è quella di andare via, da casa e da tutti quei luoghi dove non si sente accettata. E, scriveva nel 2002 l'Alemagna, ancora oggi continua a viaggiare, sorridente perché - e qui ritorna puntuale la morale rodariana - la verità fa paura e le persone preferiscono non vederla.
Colpo di coda finale, in perfetto stile rodariano: una frase messa in bocca a un buon alter ego di Gisèle: tanto peggio per loro! (Tant pis pour eux!).
Oggi Beatrice Alemagna, nel ripensare a una versione corretta (lei stessa parla di errori di gioventù fatti nel libro francese) cambia un po' di disegni. 
In primo luogo la copertina, utilizzando il disegno su acetato dell'edizione francese, perché considera la prima versione poco immediata. 


Per quel che vale, a me continua a sembrare bellissima quella testona che lascia trasparire l'erba di un prato, nell'edizione Seuil.
Dà proporzioni diverse alla bambina che per tristezza o rabbia si trova il corpo di vetro incrinato. La lacrima versata alla partenza diventa davvero un cristallo, ma soprattutto sparisce, nell'ultima pagina, il Pinocchio conclusivo che aveva il merito di incarnare visivamente l'infanzia che sa dire marameo a tutti: Tant pis pour eux!.
Ed eccoci al finale, appunto.
Anche nel testo 2020 qualcosa cambia. In omaggio a una 'filologia' rodariana più ortodossa, spiega l'Alemagna, Gisèle non fugge, ma inverte la rotta e torna a casa. Non si tratta dunque di una storia che esalta il valore della verità, come accade in Giacomo di cristallo, ma di una storia sul coraggio e quindi la libertà di essere se stessi.
Eppure, la morale politico/sociale rodariana sulla verità a me pare di vederla ancora lì. 


Chi è sparito, invece, è quel canzonatorio e libero gesto che chiudeva il libro francese, Tanto peggio per voi!, con Pinocchio, quel bambino di legno, alter ego di quella bambina di vetro, che prima si intravede e poi spunta, girato l'ultimo foglio di acetato.
Quello sì che a me pareva confermare, senza essere dichiarativo, ma allusivo e beffardo, il valore ultimo della lezione di Rodari, al di là di ogni retorica, sul diritto dei bambini di essere bambini (e per sillogismo a essere di vetro se si è di vetro e bugiardi se si è bugiardi).
Al posto di una delle icone più ribelli d'infanzia ora c'è una pagina bianca in cui, dopo una precisa dichiarazione di intenti da parte della bambina di vetro, tutto viene reso 'trasparente', proprio in nome di quella libertà di pensiero che ognuno deve trovare in sé.
Due righe per chiudere. Beatrice Alemagna sa essere gigantesca. E questo è un fatto. Se dal punto di vista del disegno/segno non ha mai smesso di crescere e migliorarsi, tuttavia mi pare che in libri come il "giovanile" Gisèle de verre, o Un leone a Parigi, o I cinque malfatti o ancora Cicciapelliccia sia stata capace di raggiungere belle vette. Lì a dimostrare una spontaneità e una libertà e una forza (queste davvero giovanili) che nascono da una capacità di arrivare al nodo della questione senza sentire il bisogno di scioglierlo.


 Tant pis pour eux!

Carla