venerdì 26 febbraio 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

 ANOMALYA


Il viaggio nel tempo è un tema affascinante che non ha solo ispirato una parte delle letteratura fantascientifica e fantastica, del cinema e della nostra immaginazione, ma ha anche aperto la strada alla riflessione sui paradossi che questa idea comporta: il viaggio nel tempo può modificare il futuro? E se sì, non può anche negare se stesso? C’è stata una serie di film dal grandissimo successo basata proprio sulle aporie generate dell’andare avanti e indietro sulla linea del tempo.
Su questo tema si cimenta anche Guido Sgardoli, che firma, per i tipi della Giunti, il romanzo ‘Anomalya’, ambientato nel 2070.
L’antefatto vede i due protagonisti, Jacques, detto Jaki, e Claire, sull’isola bretone di Bréhat, il primo come irrequieto ragazzo del luogo, la seconda come turista estiva. Entrambi sono giovanissimi e noi li incontriamo mentre sull’isola, nel 2020, sta per avvenire una tragedia: scompare un ragazzino, Sebastien, bullizzato dalla banda di Jaki. Più tardi viene ritrovato morto in una grotta, per una prova di coraggio finita tragicamente.
Ritroviamo gli stessi personaggi cinquant’anni dopo: Claire, seguendo le orme del padre, è diventata un’importante scienziata; Jaki, dopo una vita alquanto sregolata, è un conducente di taxi. E’ proprio questa l’occasione del loro incontro e dopo qualche chiacchiera sui tempi passati, a Claire viene in mente di portare l’amico, o presunto tale, nel luogo dove sta svolgendo un grandioso e segretissimo esperimento sotto la Torre Eiffel. Complice una interminabile tempesta, si è creato nel sottosuolo, custodito dai cyborg, un passaggio spazio-temporale. Jacques vi si getta impulsivamente, con l’idea, non del tutto razionale, che forse può dare un corso diverso agli eventi passati. E si ritrova proprio in quel tragico anno, il 2020, all’inizio con la consapevolezza di sé sessantenne, quindi ben diverso dal ragazzino violento e arrogante che era; ma pian piano il ricordo del futuro si affievolisce e Jaki ritorna se stesso; la stessa cosa avviene anche a Claire, che segue l’amico per riportarlo indietro. Anche lei si ritrova in quell’anno e anche lei perde pian piano la consapevolezza del suo gesto.
Dunque ora sono entrambi nel 2020, sono loro, ma nello stesso tempo sono diversi, le loro vite si incontrano e costruiscono una nuova trama narrativa, dagli esiti differenti.
Dunque, si può cambiare il futuro? La risposta, che potrebbe sembrare semplice, in realtà non lo è, perché ad agire il cambiamento non è un atto di volontà consapevole dei protagonisti, quanto una somma di impercettibili variazioni nel succedersi degli eventi, nei sentimenti dei personaggi, nelle scelte di vita che tutto riguardano, ma non la sorte di Sebastien. Pochi scarti che, messi in sequenza, costruiscono un’altra storia con un esito del tutto differente.
Si sentono gli echi del film ‘Sliding doors’, di porte che si aprono e chiudono, portando con sé delle opzioni di vita; o come nel capolavoro di Paul Auster, ‘4 3 2 1’, in cui si osservano le vite possibili di Archie Ferguson.
Un romanzo intrigante, a più livelli di lettura, accompagnato dalla consueta descrizione d’ambiente documentatissima, precisa, ma nello stesso tempo affascinante.
Personalmente mi sarebbe piaciuto uno sguardo più attento sul futuro, cui si accenna per lo sviluppo tecnologico e per i guasti ambientali. Ma va bene anche così, con le domande, piuttosto impegnative, che l’autore lascia in sospeso perché siano colte da ragazzi e ragazze che amino, oltre l’avventura, anche la filosofia.
Lettura consigliata a partire dai dodici anni.
 
Eleonora


“Anomalya”, G. Sgardoli, Giunti 2020



mercoledì 24 febbraio 2021

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

VARCARE LA SOGLIA


Era il 14 settembre 2018 quando del libro inglese The tunnel si scriveva diffusamente.
Il libro non era ancora stato pubblicato in Italia e quindi tutti i riferimenti erano all'edizione originale del 1989 e poi a quella di Walker del 1992.
Ora The Tunnel è diventato Il tunnel: è stato pubblicato anche in Italia quindi si può festeggiare e tornare sul libro.
Forse è più utile concentrarsi su un confronto fatto all'epoca, che, per ragioni di economia di spazio, allora non aveva avuto modo di espandersi. E siccome il tempo passa, a quel confronto se ne potrebbe aggiungere anche un altro.
 

Il primo. Si tratta di un libro nodale per quel che riguarda la concezione del picturebook: The Garden of Abdul Gasazi, di Chris Van Allsburg, che anticipa di un decennio quello di Browne. Un libro e un autore che dovrebbero essere presi, così come andrebbe fatto per Browne, a canone da tutti coloro che si cimentano con la creazione di questi oggetti. Il confronto si concretizza su un particolare narrativo che ha una fortissima valenza simbolica: l'atto di varcare una soglia e di trovarsi di fronte a un mondo diverso, inaspettato.
Tanto Van Allsburg quanto Browne, va detto, su questa questione hanno ragionato più volte nel corso della loro carriera.
Ma in questi due libri i loro ragionamenti vengono espressi con una chiarezza adamantina. Sono davvero due libri chiave.
Con ciò non si cerca di dimostrare che sia una loro originale invenzione, visto che in letteratura gli esempi sono innumerevoli, a partire dalla caduta nel precipizio di Alice o il suo attraversare lo specchio (altro tema che Browne declina a suo modo nel suo primo libro Through the magic mirror), tuttavia, il farlo attraverso un preciso gesto fisico, ovvero l'attraversamento di un passaggio angusto poco accessibile, sia esso un cancello indurito dalla ruggine, un tunnel, un uscio pieno di ragnatele, un cespuglio spinoso, assume una valenza ulteriore e una dichiarazione di intenti ancora più perentoria.
Va da sé che su questa strada si sono posti, successivamente, molti altri autori e autrici di calibro. Ne hanno capito il senso e l'enorme portata e così è apparsa nella letteratura illustrata una schiera di personaggi che si sono chinati, fatti piccoli per poter attraversare cancelli, passaggi stretti oppure hanno aperto con estrema cautela porte che nella storia avevano la precisa funzione di segnare un confine.
 

Solo per dare una manciata di punti di riferimento penso per esempio a cosa si trova davanti la Leslie di Kitty Crowther nel suo L'enfant racine del 2003 quando si mette carponi e si infila nel tunnel, che chiamerei dentro come secondo confronto, o il bimbo silenzioso Ji Hyeon Lee nel libro La porta (2018) o i due ragazzini di Julie Fogliano e Lane Smith nella Casa che un tempo del 2019 o anche un po' l'Arianna che Felicita Sala mette in ginocchio per attraversare l'intrico di rovi (Il posto segreto, Susanna Mattiangeli, Lupoguido 2019).
Torniamo ai tunnel e ai viali ombrosi.
 

Al gesto di percorrerli. La caratteristica che tiene insieme i passaggi immaginati e illustrati da Van Allsburg, Browne e Crowther sta nel fatto che sono passaggi ombrosi e scuri. Incombenti e perturbanti.

 

Il tunnel era buio e umido, e viscido, e spaventoso.

Il piccolo Alan, sulle tracce del cane Fritz che sta portando a passeggio e che gli scappa, percorre un ombrosissimo viale alberato e sa perfettamente di essere dove non dovrebbe. Un bel cartello vieta in modo assoluto e ultimativo l'accesso ai cani nel giardino privato del mago Abdul Gasazi. 

 
Ma il cane si inoltra e Alan è costretto a seguirlo, un po' come la piccola Rose di Browne è obbligata ad andare in cerca del fratello Jack, anche lui infilatosi in un tunnel. Anche la Leslie di Crowther sta seguendo qualcuno, una volpe che vorrebbe cacciare. Ma Leslie, al contrario, è del tutto ignara di quello che le sta per accadere, mettendosi a carponi, per seguire le tracce della sua preda. Non sa che il cerchio di funghi che Kitty puntuale disegna all'entrata della galleria segnala la presenza di un varco a un mondo differente dal suo...


Alan di Van Allsburg e Rose di Browne condividono la consapevolezza di fare una cosa 'pericolosa', hanno in qualche modo sentore che andare avanti potrebbe fare la differenza, ovvero passare da una condizione conosciuta e tutto sommato sicura a una totalmente ignota e quindi incerta, misteriosa, inesplicabile.
L'attraversamento di un tunnel ha implicazioni direi ancestrali, primigenie e non credo di doverlo qui chiarire ulteriormente. Altrettanto simbolico è il fatto che questo passaggio avvenga nell'oscurità, abbia una sua calcolabile durata nel tempo, e come conclusione abbia un chiarore sul fondo.
Il gesto di attraversare una soglia, in questo preciso contesto, ma anche nel mito e nella leggenda, ha come ineludibile conseguenza narrativa di segnare un passaggio da uno stato a un altro, da un mondo a un altro.
 
 
Alan finisce in un giardino proibito che apparentemente non ha nulla di anomalo, apparentemente. Nessuna traccia del cane. Leslie sbuca in un contesto notturno, ma a guidarla è il suono del pianto di un bambino radice... e al principio niente di ciò che illumina con la sua lanterna le sembra anomalo. Le sembra. Nessuna traccia della volpe. E in ultimo anche Rose alla fine del tunnel trova un bosco silenzioso. Nessuna traccia del fratello, tuttavia. 
 


In tutti e tre i casi i protagonisti sono avvolti nella natura rigogliosa e potente: alberi, fiori, un giardino. Circostanza questa che nel libro di Browne ha una serie di ridondanze, veri e propri echi in molti dettagli: dalla carta da parati, alla copertina del libro di Rose, il rampicante che circonda l'accesso (citazione quasi puntuale da Van Allsburg).
Ma, per l'appunto, anche in Van Allsburg e Crowther i richiami si fanno percepire. Il gusto sarà scovarli.
In tutti e tre i casi i protagonisti devono ancora fare un po' di strada prima di arrivare alla 'radura' luminosa.
Ed è in questa seconda frazione del percorso, fatto al di là, che si materializza la conferma di essere in un altrove. Nella storia di Van Allsburg tutto continua a muoversi in una apparente normalità, a parte la latente tensione di essere in un luogo interdetto. Lo scatto nella precisa direzione surreale lo si avverte quando il bambino incontra il padrone di casa, un mago in pensione. Da qui in poi, per Alan ma soprattutto per il lettore, tutto quello che gli occhi vedono smette di essere una certezza, per diventare potenzialmente gioco di illusione. Nel libro di Anthony Browne questo passaggio viene preso in carico, con molta più evidenza rispetto a Van Allsburg, dall'illustrazione: gli alberi del bosco subiscono una lenta metamorfosi che dà corpo all'incubo che la piccola Rose avrebbe tanto voluto evitare. I tronchi si popolano di mille personaggi di fiabe, la lettura consueta dalla bambina. Ma questa è anche la firma di Browne che è sempre stato attirato dalla trasformazione di un profilo disegnato, dall'illusione ottica. Fin da quando disegnava tavole di anatomia...
 

Nella storia della Crowther l'obiettivo si sposta leggermente, perché l'incontro con la creaturina ctonia venuta su dalle viscere della terra - altro interessante filone che affonda nel mito - è dirimente. Ciò nonostante, il contesto in cui agisce Leslie è un mondo dichiaratamente di fate e folletti (chissà la Rose di Browne come sarebbe stata contenta di conoscerle e parlare loro) che con grande chiarezza le dicono di averle permesso di entrare, ma con altrettanta fermezza le proibiscono di poterci tornare, una volta ripresa la strada per l'al di qua. A questo punto la sua storia prende una direzione un po' diversa da quella di Alan e di Rose. E lasciamola andare...
Ma per quanto riguarda gli altri due, volendo correre verso il finale, si potrebbe notare uno scarto ulteriore: da un lato Van Allsburg fino all'ultima tavola continua nel suo gioco illusorio, per poi farci letteralmente saltare sulla sedia, lasciandoci con un grande punto di domanda stampato in faccia. Si rimane lì a chiedersi cosa abbia veramente messo in scena, cosa ci abbia voluto mostrare e far credere, quel mago illusionista. 
 

Browne, invece, preferisce creare una sorta di tacito accordo, un'intesa profonda, fra i due fratelli in cui anche il lettore è in qualche modo coinvolto da un gioco preciso di sguardi. Nel sorriso sornione di Rose che vediamo e in quello di Jack di spalle c'è tutto quello che è accaduto fin lì e nel loro silenzio eloquente alla domanda della madre che li vede finalmente calmi e silenziosi, c'è spirito di appartenenza alla stessa categoria umana (la medesima dei lettori), c'è una magnifica connivenza.
 

E noi siamo con loro, perché per quanto immaginifico possa essere stato quel passaggio, quel percorso, noi eravamo lì con quella bambina dal montgomery rosso, con il regolamentare cappuccio.
Ma questa è già un'altra storia.


Carla
 
Il tunnel,  Anthony Browne (trad. Sara Saorin), Camelozampa 2021
The Garden of Abdul Gasazi, Chris Van Allsburg, Houghton&Mifflin 1979
L'enfant racine, Kitty Crowther, Pastel 2003


lunedì 22 febbraio 2021

FAMMI UNA DOMANDA!

GUIDA NATURALISTICA AL QUOTIDIANO

Il tempo sospeso imposto dalla pandemia ha in vari modi modificato le abitudini e i ritmi abituali di molti bambini e bambine: meno attività, meno tempo fuori casa, meno spazi dedicati al gioco collettivo; ma non per questo i ragazzi hanno imparato ad apprezzare il tempo dell’attesa, che potrebbe essere scambiato come un tempo noioso, in cui ‘non succede niente’.
E’ stato da poco pubblicato da Giunti un libro che ha l’ambizione di spiegare ai più piccoli che molte cose in natura, per realizzarsi, hanno bisogno di tempo.
‘Piano piano… Osservare la natura per vivere senza fretta’, questo è il titolo, è stato scritto da Rachel Williams con le illustrazioni di Freya Hartas e raccoglie cinquanta storie, prese dal mondo naturale, che declinano in modo diverso l’idea del passare del tempo.
Alcune più intuitivamente evidenti, come la metamorfosi di una farfalla, altre francamente un po’ più forzate. Se appare evidente che un pulcino dentro l’uovo non può certo forzare le tappe della propria crescita, risulta un po’ meno evidente come un tramonto possa di per sé richiamare un concetto di lentezza, a meno di non identificare questo con uno stato di meditazione.
Sicuramente efficaci gli esempi delle formiche tessitrici e del loro duro lavoro per costruire il loro particolare formicaio; del viaggio dei salmoni dal mare al fiume in cui depongono le uova; del serpente che cambia pelle e così continuando.
Molto presenti gli esempi di predazione, che spaziano dalle imprese di un ragno, agli agguati di una libellula, alla caccia di un barbagianni. E’ infatti indiscutibile che una dote dei predatori è sicuramente la pazienza, la capacità di aspettare il momento giusto per sorprendere la preda.
 

Nello stesso modo, viene anche descritta la vita ordinata di un’ape, nonostante i molteplici compiti cui deve fare fronte, o le laboriose abluzioni che consentono a un passero di tenere pulite le proprie penne.
Le illustrazioni di Freya Hartas supportano il testo molto ridotto con tavole che occupano quasi tutta la pagina e che descrivono con minuziosi particolari quanto sinteticamente detto nel testo. Un impianto nell’insieme efficace, anche se un po’ didascalico, che consente di trasmettere, al di là delle descrizioni, un invito rivolto a bambine e bambini ad assaporare il passare del tempo, per lento che possa apparire.
L’autrice, nelle note finali, fa riferimento esplicito alla meditazione e questo spiega alcuni passaggi non immediatamente evidenti. Meditando o meno, è importante che si utilizzi questo tempo sospeso, in cui sembra che tutti non vedano l’ora di tornare alla normalità, per acquisire una nuova consapevolezza sull’uso del tempo, sui ritmi forsennati, sull’assenza di tempo per ‘pensare’.
 

Ottime intenzioni, non sempre realizzate nel modo migliore, ma utili per far capire che non tutto, del tempo di prima, va riproposto così com’era.
La lettura di questo libro illustrato ha senso soprattutto così, facendo emergere un chiaro punto di vista sui nostri tempi, attraverso le mirabolanti imprese di piante ed animali.
Lettura consigliata a bambine e bambini riflessivi, a partire dagli otto anni.
 
Eleonora


“Piano piano...Osservare la natura per vivere senza fretta”, R. Williams e F. Hartas, Giunti 2021




 

venerdì 19 febbraio 2021

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

LA FINESTRA SUL BRIVIDO


Nonostante sia stato definito l'Edgar Allan Poe del XX secolo, o l'Alfred Hitchcock della parola scritta, lui avrebbe voluto diventare un autore di romanzi mainstream, come Francis Scott Fitzgerald. Non ci riuscì e, pur diventando di fatto l'inventore di un preciso genere letterario - il noir - e pur essendo il migliore scrittore di storie di suspense di ogni tempo, Cornell Woolrich visse sempre con questo rammarico nel cuore.
I suoi moltissimi racconti e i suoi undici romanzi colpiscono il lettore con lo stesso impatto, la stessa eco di terrore, angoscia e solitudine e disperazione che si prova nel vedere uno dei film tenebrosi di Hitchcock.
Fu uno scrittore di enorme successo, ciò nonostante condusse una delle vite più misere di sempre: passò oltre 25 anni di fatto recluso in un hotel newyorkese, Il Marseilles di Broadway. Con la decadenza dell'albergo decadde anche lui con sua madre, che dal 1932 fino al giorno della sua morte, non abbandonò neanche per un giorno.
Nel 1943 in una lettera scritta a A.L. Furman, il curatore dell'antologia Mistery Companion, dichiara:
"Sono nato a New York nel 1906, ho frequentato la Columbia, il primo romanzo pubblicato è stato nel 1926 e nella mia vita non ho fatto altro che lo scrittore. Scrivevo già prima di laurearmi. Questo dimostra che non mi è successo poi molto. E questo rende la mia vita tra le meno intense o ricche di eventi da raccontare. Un giorno è uguale all'altro."
Da queste poche righe ne risultano due fatti incontrovertibili: in primo luogo Woolrich era un gran bugiardo, era infatti nato nel 1903 e non si laureò mai, e secondo fu un uomo estremamente solo e privo del tutto di stima per se stesso. Altrove descrisse la sua vita al Marseilles come quella di un insetto chiuso in un bicchiere capovolto: per quanto possa cercare di arrampicarsi sui lati del vetro, tanto ricadrà al suolo, prigioniero.
La sua infanzia, in Messico, un po' complicata a inseguire le attenzioni di un padre piuttosto distratto, la sua adolescenza, di nuovo a New York, con un nonno affettuoso, ma una madre possessiva, resero Woolrich un autore molto particolare e soprattutto un ottimo narratore di infanzie. Nella scrittura, nell'immaginario, costruì tutto quello che la vita sembrava avergli sottratto.
E ha inannelato una serie di perle letterarie tenute insieme da un unico filo: il brivido.
Chiuso nella sua camera d'albergo, senza mai rileggere o rivedere ciò che aveva scritto, lavorò come un matto: dal 1932 al 1948 dalla sua Remington portatile uscirono undici romanzi e più di duecento racconti. Dal 1948 in poi, anno della morte del padre, scrisse molto meno (non doveva dimostragli più la sua bravura) e soprattutto rielaborò e ricompose i materiali accumulati negli anni precedenti. Talvolta, anche spacciandoli per originali, a conferma di quel suo piccolo vizio di mentire.
Il cinema, Hollywood in particolare, si interessò a lui, ma lui anche in questo contesto non dimostrò grande interesse, anzi quasi un sottile astio. Furono proverbiali le sue lamentele perché non fu invitato da Alfred Hitchcock alla prima de La finestra sul cortile, presa dal suo racconto It had to be Murder del 1942.
Hitchcock, in particolare, si dimostrò il più affine di tutti alla poetica di Woolrich e con lui condivise l'insana passione per le storie di suspense.
Verrebbe da chiedersi se, nel girare Psyco, non abbia voluto in qualche modo mettere su pellicola, in grande sintonia con lo stile del suo alter ego, la complicata storia umana di Cornell Woolrich. Chissà.
Se dai suoi romanzi furono tratti molti film autoriali, primi fra tutti i due di Truffaut, invece, dagli anni Cinquanta, furono i suoi racconti, scritti compulsivamente per rivistucole di quart'ordine, a diventare soggetti per il cinema di genere. Lo stesso The boy cried murder del 1947, poi intitolato Fire Escape conta tre diverse versioni cinematografiche (1949, 1966, 1984).
Ora Fire escape, è diventato Scala antincendio. Da solo, o in un cofanetto che si intitola Bambini nella notte e lo vede affiancato a L'occhio di vetro (Through the dead man's eye, 1939), uscito nel 2019, rappresenta una finestra sulla letteratura noir, da cui anche i più giovani possono sbirciare nella letteratura pensata per i grandi.
 
 
Tanto L'occhio di vetro, quanto l'ancora più agghiacciante Scala antincendio sono racconti che hanno per protagonisti due ragazzini dodicenni.
Il protagonista del primo, Frankie, è il figlio di un detective della Omicidi che sta rischiando di essere retrocesso e di diventare un semplice poliziotto in divisa. Frankie decide di aiutarlo, cercando di offrirgli un 'caso scottante' da risolvere, per risollevare le sorti della sua carriera. Coincidenza vuole che in una sequenza di baratti tra ragazzini, nelle mani di Frankie arrivi un occhio di vetro in ottime condizioni. Si convince, non a torto, che quell'occhio di vetro che è stato trovato nel risvolto di un paio di pantaloni portati in lavanderia, sia appartenuto a una persona che è stata uccisa. Un occhio di vetro non è una cosa che si lascia in giro, il legittimo proprietario lo avrebbe cercato, reclamato indietro... Se non lo ha fatto è perché è morto.
 

Prima con un amico, poi da solo, Frankie decide di mettersi sulle tracce di quell'uomo piuttosto sospetto che ha ritarato quei pantaloni in lavanderia. Con il favore delle tenebre, pedina l'uomo, vede dove abita. Pensa di non essere stato visto, ma purtroppo per lui quell'uomo, dalla finestra del suo appartamento, lo vede mentre passeggia avanti e indietro sotto il suo portone. Ora Frankie è nei guai.
Una finestra è importante anche in Scala antincendio. Ed è il punto di osservazione di un delitto. Il protagonista della storia è Buddy, fervida immaginazione e inventore di grandi storie che ai genitori millanta come vere, ragione per cui non viene ormai più creduto, ma invece punito e suonato. In una bollente notte di luglio, Buddy decide di cercare sulla scala antincendio un po' di refrigerio per dormire. Esce dalla finestra della sua stanza dell'appartamento al quinto piano. 

Sale al sesto e mentre è lì sdraiato si accorge che la finestra che ha davanti non è chiusa del tutto e attraverso la tenda può vedere e sentire ciò che accade all'interno: un uomo e una donna litigano, all'improvviso irrompe un secondo uomo, evidentemente in relazione con la donna, e strangola il primo. La coppia decide di disfarsi del cadavere, così sentono le orecchie di Buddy, tagliandolo a pezzi con una lama di rasoio da barba. A quel punto il ragazzino non ce la fa più e decide di fuggire, ovvero di tornare nella sua stanza, ma purtroppo nello scendere a carponi si porta via inavvertitamente con i piedi la coperta, che la coppia aveva steso sul parapetto della scala antincendio. Quindi non è solo Buddy a spostarsi, ma anche la coperta... strano pensa la donna - quando se ne accorge e la vede al piano di sotto - in una notte completamente senza vento...
E qui comincia la grande corsa contro il tempo di Buddy, che dai suoi genitori non viene creduto, anzi chiuso a chiave nella sua stanza... non viene creduto neanche dai poliziotti del suo distretto che riesce a raggiungere fuggendo dalla stessa finestra. Ma in compenso è la madre stessa, inconsapevolmente, a denunciarlo alla donna del piano di sopra che è l'unica a credergli. Adesso lei ha la matematica certezza che nel mondo circola un testimone oculare di quel delitto. Ora anche Buddy, come Frankie, è davvero nei guai.
Fermarsi sull'orlo del precipizio, quello che in gergo è detto il kliffhanger, ovvero l'interruzione brusca di un racconto in corrispondenza di un momento di forte suspense, si rende qui doveroso nel rispetto di chi queste due belle storie avrà la bontà e l'ardire di leggerle.
La grande forza della scrittura di Woolrich sta nel ritmo, già all'epoca fu lo stesso Raymond Chandler a notarlo. I suoi racconti si possono definire turn pager, impossibile staccarsi dalla lettura fino al momento in cui si legge la parola fine. Abile costruttore di suspense, crea meccanismi perfetti in cui il lettore viene messo al corrente di fatti e circostanze che al contrario il protagonista ignora, in parte o del tutto. Il fiato si mozza nell'impossibilità di metterlo in guardia. La suspense si genera altresì quando è lo stesso lettore a trovarsi completamente all'oscuro degli eventi. Ciò genera una identificazione fortissima con il protagonista e il cervello del lettore si mette immediatamente a cercare come un matto per trovare il prima possibile una via di scampo per il protagonista. E quando la trova finalmente il suo cervello produce la meravigliosa dopamina che lo rilassa e lo mette di nuovo comodo sul divano.
E la vita vera di chi legge si separa da di finzione che è sulla pagina.
Woolrich maneggia questi meccanismi narrativi molto bene e non è un caso che spesso i protagonisti delle sue storie siano ragazzini, per convenzione i personaggi meno avvezzi a sapersi togliere dai guai.
Eppure Woolrich, in controtendenza, riconosce loro una dignità tutta diversa, una capacità di mettersi in gioco per altruismo, come nel caso di Frankie, o per puro amore della verità, come fa Buddy. I ragazzini di Woolrich fanno vite diverse e separate da quelle degli adulti e spesso e volentieri si trovano su posizioni di scontro. I grandi, a parte rare eccezioni, sono agli occhi di Woolrich pieni di sicurezze effimere e, alla resa dei conti, dei vigliacchi. La sua difficile infanzia glielo ha dimostrato in qualche modo.
Sullo sfondo di queste due storie, per esempio, ci sono adulti stanchi, strinati dal lavoro e dalle difficoltà della vita, oppure adulti senza scrupoli e assassini, oppure adulti distratti e falsamente sicuri del proprio ruolo.
Questa separatezza tra adulti e bambini, che all'epoca di Woolrich era la norma, è forse una delle ragioni per cui tanto L'occhio di vetro, quanto Scala antincendio sono entrati a far parte della serie di racconti di autori classici curata da Fabian Negrin, le Pulci nell'orecchio.
Si fanno compagnia con i bambini in cerca di risposte, sopravvissuti al disfacimento del pianeta, di Così semplice di Zenna Henderson. Condividono la solitudine e il senso di tradimento del piccolo Rudyard, di Bee bee pecora nera, spedito in Inghilterra dai genitori per studiare, o del povero Van'ka di Cechov. 
Buddy condivide la capacità di immaginazione con il bambino di Saroyan che in testa ha un nido di uccelli (Lo zio del barbiere e della tigre che gli mangiò la testa). La totale incomunicabilità di Buddy in famiglia è la stessa che provano i due fratellini che allevano il cane Rex, così come li racconta Lawrence. Lo sguardo attonito di fronte al disvelamento della crudeltà umana che è davanti agli occhi di Frankie e Buddy è la stessa che Matilde Serao dipinge sugli occhi di Canituccia. La caparbia ricerca della verità di quei due bambini americani è la medesima del bambino tedesco di Heirich Böll che scopre l'inganno della bilancia, ancora un imbroglio degli adulti.
 
 
Fabian Negrin li ha scelti e messi in fila, questi bambini e bambine, per dare loro un posto d'onore agli occhi del mondo. A tutti loro ha dedicato la copertina 'silenziosa' e lo ha fatto ogni volta declinando la propria arte espressiva dal trompe-l'oeil della tigre 'armena' alla colata di colore sul volto, che allude alla pittura di Richter, del bambino sopravvissuto al Tempo Dilaniato.
 
 
Dalla precisione fiamminga di Canituccia alla malinconica ironia della testa di pecora nera che mangia un sandwich d'erba, per Rudyard.
 

Fino allo slancio istintivo, potente, irrefrenabile, bestiale, nel salto di due bambini e di un cane. Fieri di esistere.
 
 
Carla
 
C. Woolrich,  Scala antincendio, illustrazioni Fabian Negrin 
(trad. Mauro Boncompagni), Orecchio acerbo 2021
C. Woolrich, L'occhio di vetro, illustrazioni Fabian Negrin
(trad. Mauro Boncompagni), Orecchio acerbo 2019

Noterella al margine. Per chi fosse incuriosito...


mercoledì 17 febbraio 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

HOOPDRIVER


Come l’ultimo romanzo di Morosinotto, ‘La più grande’, anche ‘Hoopdriver. Duecento miglia di libertà’ è nato come pubblicazione a puntate su Wattpad, durante la prima fase della pandemia; è l’ultimo romanzo di Pierdomenico Baccalario, pubblicato da poco da Mondadori, ed è moltissime cose: intanto, il primo romanzo che leggo che abbia come sfondo il mondo mutato dal coronavirus; è un grande omaggio all’Inghilterra, cui è legata una parte della sua vita; è una minuziosa colonna sonora della storia del rock; è il mito della fuga, in sella a una bicicletta speciale. E’ un romanzo di formazione, ma anche la ricostruzione della memoria di un adulto e dei suoi miti.
In breve, la storia: il protagonista, che ci racconta la vicenda in prima persona, è un tredicenne inquieto, Billy Hoopdriver, che vive a Liverpool con il padre; le cose fra loro non vanno tanto bene, da quando ha perso il lavoro e ha cominciato a bere. Non aiuta il fatto che la scuola sia chiusa. Quindi, perché non mettere in atto il piano più folle? Fuggire con la bici costruita pezzo a pezzo e raggiungere il nonno, che vive a sud, in una cittadina del Galles. Billy ha studiato il piano nel dettaglio, immaginando di seguire sentieri poco conosciuti per non attirare l’attenzione della polizia.
Ed eccolo quindi partire all’alba, non senza aver chiesto a suo amico di portare i pasti al padre.
Come tutti i viaggi alla ventura, anche questo è pieno di incontri, che talvolta si ammantano di magia: la ragazzina Annabelle e il primo vero bacio, non troppo fortunato; l’ingegnere con l’uncino di ferro al posto della mano, le tre sorelle che lasciano una torta dietro una cascata. Ma anche poliziotti prepotenti e pecore ingombranti. Lungo la strada, Billy incontra anche Shackleton, un cane rimasto intrappolato in un villino, mentre i suoi padroni sono morti, magari proprio per quel virus minaccioso che ha invaso le vite di tutti. Man mano che procede il viaggio, si arricchisce la colonna sonora che accompagna le pedalate o gli incontri imprevisti; ma non sono solo citazioni di canzoni: il nonno, infatti, in gioventù ha frequentato il mondo del rock, tanto da incidere un disco, di cui non c’è più traccia. Il viaggio di Billy serve a mantenere una promessa, una promessa importante, il cui compimento sarà ben ricompensato.
Il viaggio è un grande tema, legato spesso alla crescita e alla scoperta di sé; qui è anche la scoperta di un territorio, evidentemente molto amato, di cui si enumerano le piante, gli alberi, gli uccelli, gli insetti: dare un nome alle cose è dargli dignità e vita, è riconoscerne l’importanza, è vederle davvero per la prima volta. Da qui anche l’importanza della lingua, l’attenzione alla precisione dei dettagli, l’uso di immagini e metafore che danno vita anche al più banale dei suoni, al più comune animale.
Baccalario in questo riesce a mantenere un registro fra il realistico e il fantastico, a trasmettere alla lettrice e al lettore la magia della scoperta del mondo. Il viaggio di Billy è anche un omaggio alla vita del nonno e di chi ha vissuto la straordinaria stagione degli anni Sessanta e Settanta, con i miti, gli eccessi, le rivoluzioni che quegli anni hanno portato.
Billy è un personaggio ben disegnato, un ragazzino che si porta sulle spalle il peso delle assenze degli adulti: la madre mai conosciuta, il padre travolto dai propri problemi, il nonno lontano. Eppure ha imparato a cavarsela, ha imparato a gestire i momenti difficili con l’esercizio della enumerazione, degli elenchi mentali che acquietano le sue ansie.
A caldo, mi viene da dire che questa è la prova migliore di Baccalario, un romanzo che i ragazzi leggeranno come un’avventura appassionante, ma che sarà apprezzato anche da chi, come me, può girarsi a guardare gli anni passati e riconoscersi qua e là nel ritratto di un’epoca.
Solamente, non so quanto i giovani di oggi possano riconoscersi in quella musica, con quello che ha rappresentato, e se l’autore sapesse da quale musica è costituita la loro compilation, probabilmente resterebbe deluso.
A completamento del racconto, le immagini di Chiara Irene Conte, il cui nesso si svela pian piano, raccontando la storia di nonno e nipote.
Bella prova d’autore, lettura caldamente consigliata a ragazze ragazzi a partire dai dodici anni.
 
Eleonora


“Hoopdriver. Duecento miglia di libertà”, P. Baccalario, Mondadori 2021



lunedì 15 febbraio 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

RARI SONO QUEI LIBRI ...
 
L'ospite, Nadia Al Omari, Richolly Rosazza
Kite 2020

ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)
 
Non appena aprii la porta mi trovai davanti uno strano essere.
Mi spaventai moltissimo, ma lui con disarmante disinvoltura si avvicinò e mi chiese di entrare. Gli risposi che non poteva.
Non avevo tempo da perdere.
Mi disse che non aveva nessuno con cui stare, nessun posto dove andare e che sarebbe rimasto con me. Io non ero di quell’idea, ma lui cominiciò a seguirmi.


Prima del suo arrivo, tutto era diverso. Le sue giornate scorrevano con grande regolarità: la mattina fuori a giocare con gli amici, a sera il ritorno a casa dove lo accoglieva un comodo letto per dormire. Un tran-tran che era una meraviglia. Fino al giorno in cui, davanti alla porta della sua casa nell'albero, non si presenta un esserino con codino e orecchie scese che comincia a tampinarlo ovunque. Prima con discrezione e a pochi passi di distanza, poi sempre più accosto, tanto che gli sguardi della gente lo spingono all'imbarazzo. Sebbene al nuovo arrivato non sia concesso di entrare in casa, ovvero di varcare la soglia ultima del suo spazio 'privato', tuttavia accade che ogni notte una sbircitina fuori per vedere come va, lui la dia. E, durante il giorno, la continua vicinanza con lo sconosciuto lo tiene sempre più distante dalla vita e dagli amici di prima.
Esacerbato da questa presenza quotidiana, prende una decisione che gli scompiglierà, letteralmente, vita e casa.
Come sempre accade, le novità arrivano e non si possono cambiare, mentre quello che si può cambiare è il gioco...
Senza per questo rinunciare al divertimento.


La questione - nella sua complessità - è vecchia come il mondo. Cosa che fa pensare che la risposta non sia né facile né immediata e, a ben vedere, neanche unica. 
 

E proprio in nome di questa complessità, giustamente, si cerca in ogni occasione possibile di mettere l'argomento davanti agli occhi dei più piccoli, sperando con questo di orientarne lo sguardo verso una direzione il più corretta possibile.
Una di queste occasioni ce la offre la letteratura e, visto che ci si rivolge all'infanzia, la letteratura in questione è quella illustrata.
Purtroppo, però, proprio perché questa non è una questione da poco e anzi negli ultimi tempi si è fatta urgente, improrogabile direi, si sono moltiplicati i libri che affrontano l'argomento. Sfortunatamente, però, la stragrande maggioranza di questi è impastata di retorica e offre facili soluzioni, ricette a buon mercato.
Sono libri ben lontani dall'essere strumenti per la riflessione autonoma e personale. Sono tutte quelle storie che a priori stabiliscono un unico ragionamento da seguire, offrono un'unica risposta, già preconfezionata. E chiudono lì. La loro missione è compiuta. E così anche le coscienze si possono pacificare. Rappresentano una scorciatoia, un percorso in discesa, per tutte quelle persone che, per quel fatto di coscienza a posto, se ne servono per alleggerire al massimo il loro compito di adulti educatori. Ma tant'è.
Rari sono quei libri che invece si pongono in modo maturo, intelligente, e sanno restituire la complessità della questione e, nel contempo, sono in grado di solleticare il pensiero del giovane lettore. 
 

Tra questi rari, L'ospite. Rari, fortunatamente, non unici.
Sulla declinazione del tema dell'arrivo inaspettato (e non voluto) di qualcun altro, infatti viene in mente, per esempio, Non sono tua madre (2017), una delle più belle storie di Marianne Dubuc in cui si dimostra come sia possibile porre la questione, maneggiarla con grande leggerezza e ironia e quindi renderla stimolante agli occhi di chi la legge, senza perdere neanche un cincino della sua complessità.
Non è possibile sapere se sia successo veramente, tuttavia potrebbe essere accaduto che Nadia Al Omari, magari con i suoi bambini quel libro lo abbia letto e condiviso, e poi lo abbia fatto proprio, ovvero lo abbia interiorizzato così in profondità da essere capace di farcene percepire nel suo L'ospite, pur nella totale originalità del racconto, ancora un'eco lontana.
 

Nella storia di Nadia Al Omari il personaggio principale dimostra la stessa ritrosia al cambiamento, la stessa necessità di non veder violato il proprio spazio personale, lo stesso nascente istinto di cura (meraviglioso che in entrambi i casi i protagonisti siano maschi!) dello scoiattolo Otto uscito dalla mente della Dubuc. Nel personaggio che arriva si nota la stessa fermezza nella pretesa di attenzione e, nel finale, è sotto gli occhi di tutti un'analoga 'alleanza' di progetto tra padrone di casa e nuovo arrivato.
Guardando anche Legami (Kite, 2019) nel paragone con un altro libro della Dubuc, Il leone e l'uccellino (2013), verrebbe da dire che il 'cosa' e il 'come' raccontare il mondo, lo sguardo di queste due autrici, una in Canada, l'altra a Lecco, siano in buona sintonia tra loro.
Al di là di tutto, somiglianze  differenze, entrambe dimostrano di avere in comune questo bel modo di concepire le storie, lontano da stereotipi, ricette o risposte semplici e univoche. Condividono l'ironia e soprattutto l'onestà intellettuale di raccontare le cose come stanno veramente quando qualcuno cerca di entrare nella nostra vita. Senza preavviso e senza permesso.
 
 
A Nadia Al Omari mi sento di ascrivere anche un ulteriore merito: la sua capacità di concepire testi che lasciano un enorme spazio a chi li deve illustrare. In questo, come anche in altri titoli tra cui anche il Legami di prima, spetta all'immaginario di Richolly Rosazza portare un grande contributo alla riuscita della storia.
Alludo per esempio alla decisione di ambientare L'ospite in un contesto che solo in parte si percepisca come reale. Se da un lato sono riconoscibili creature animali, principalmente pesci e uccelli, essi sono anche qualcos'altro. In una felice compresenza di piume e orecchie lunghe, antropomorfizzati il giusto, con sguardi sempre molto eloquenti, tutti i personaggi sono magnifici ibridi, come ibridi sono anche gli oggetti 'di scena', spesso piccoli colpi di genio.
 

D'altronde se l'entrare in contatto con gli altri necessariamente ci cambia almeno in parte, l'effetto di essere un po' ibridi ne dovrebbe essere la diretta risultante. 
 

Libro raro, e quindi prezioso.


Carla