lunedì 30 ottobre 2023

FAMMI UNA DOMANDA!


TENTACOLI SORPRENDENTI


Ci sono animali che entrano raramente nelle narrazioni e nella divulgazione per bambini; fra questi indubbiamente rientrano i cefalopodi, classe di molluschi marini, dalla struttura caratteristica e dalle dimensioni molto variabili.
Di calamari, seppie e polpi si occupa il volume da poco pubblicato da Nomos, intitolato ‘Tentacoli. Piccolo catalogo di polpi, seppie e calamari’, firmato da Marco Colombo e Francesco Tomasinelli, con le illustrazioni di Giulia De Amicis; la revisione scientifica è di Andrea Impera.
La prefazione è di Craig Foster, autore del bellissimo documentario ‘My Octopus Teacher’ (‘Il mio amico in fondo al mare’); se non lo aveste visto, ne consiglio caldamente la visione, per la capacità di modificare il nostro punto di vista su questi straordinari animali.
Le caratteristiche comuni ai cefalopodi sono rappresentate dalla struttura del corpo, costituita da braccia, o tentacoli, attaccate direttamente alla testa, mentre il corpo prende il nome di mantello; da mimetismo, che consente loro di cambiare colore con grande facilità; dalla singolare intelligenza, cui sono dedicati alcuni studi anche recenti, che hanno evidenziato delle capacità cognitive come l’imitazione, il riconoscimento individuale di soggetti umani, l’attitudine al gioco, l’utilizzo di strumenti. Leggendari alcuni tentativi di evasione dagli acquari, così come i dispetti rivolti al personale dei laboratori, in base a simpatie ed antipatie.


Tanta abilità consente a questi animali di sopravvivere in un ambiente in cui sono contemporaneamente prede e predatori e quindi è loro richiesto grande capacità di adattamento e di fuga.
Particolarmente penalizzante il sistema riproduttivo, che nei polpi determina la morte della madre alla fine dell’accudimento delle uova, cui si dedica integralmente, rinunciando a nutrirsi.
Quanto detto fin qui rende evidente la particolarità di questi molluschi, che si impongono alla nostra attenzione soprattutto per le sorprendenti capacità cognitive: il libro riesce a trasmettere proprio il senso di stupore nei confronti di questi animali, da cui non ci aspetteremmo la complessità di comportamenti che invece mostrano.
Stupore che viene trasmesso anche nella seconda parte del libro, dedicata agli approfondimenti, costituiti da focus dedicati alle diverse specie di seppie, calamari e polpi, diversi per dimensioni e forme, le più singolari. Le illustrazioni di Giulia De Amicis rendono bene questa varietà di creature piccolissime o gigantesche, caratterizzate da forme e colori straordinari.
Infine, ci sono le schede tecniche che di ciascun animale indicano dimensioni, distribuzione, habitat.
Il libro termina, come nei migliori libri di divulgazione, con la bibliografia costituita da pubblicazioni, siti web e video, e con il necessario glossario.


Può un libro così specificamente dedicato a un ristretto gruppo di animali attrarre i giovani lettori e lettrici, appassionati di animali? Penso proprio di sì: penso che, fortunatamente, a fianco di libri più tradizionali, che puntato sul facile effetto prodotto, ad esempio, dai grandi predatori, nell’editoria votata alla divulgazione si stiano facendo strada argomenti più sofisticati, che puntano all’esplorazione del meno conosciuto, i territori ancora ignoti o quasi, dove molti punti fermi, o presunti tali, vengono messi in discussione.
Libri come questo si segnalano non solo per l’originalità del contenuto, ma anche per il rigore dei testi, per la precisione dei riferimenti, per le possibilità di approfondimento, contribuendo a determinare uno sguardo nuovo sul mondo naturale, privo di preconcetti e luoghi comuni.
Sicuramente adatto a lettrici e lettori a partire dai dieci anni che amino il mare e i suoi abitanti e siano animati da inguaribile curiosità.

Eleonora

“Tentacoli. Piccolo catalogo di polpi, seppie e calamari”, di M. Colombo e F. Tomasinelli, ill. di G. De Amicis, Nomos 2023



 

domenica 29 ottobre 2023


DAMPFNUDELN
Essersi simpatiche a pelle 

Ci sono persone che si sono simpatiche a pelle.
A me capita. Sempre più di rado, ma ancora. 
E in queste circostanze di solito vanno in pezzi tutti i preliminari di una più discreta e prudente conoscenza e si gioca a essere amiche fraterne da sempre. 
Ognuna, in cuor suo, lo sa, ma è bello fare finta che possa essere così. 
Ecco, questo è quello che è accaduto: dal parlare di libri e di corsi di formazione da fare e da non fare, siamo precipitate in una sfera che è molto più intima: la cucina. 
E come se non bastasse, la cucina tedesca. Ancora più nell'intimo... 
Ricetta di dolce bavarese o palatino (ancora si litiga sull'origine). 
Nudeln non allude alla pasta ma sembra una storpiatura del termine knodel. 


Sia come sia, parte la curiosità, quindi la ricerca di una buona ricetta. 
Quella che trovo è in tedesco (per chi volesse praticare un po' la lingua), la potete ascoltare e vedere qui: 


Contiene due parole chiave: einfach e oma che me la rendono subito la prediletta. 
Per chi non pratica la lingua qui di seguito la traduzione italiana.

INGREDIENTI 

Per l'impasto: 
500 gr. farina 
100 gr burro 
60 gr di zucchero 
un pizzico di sale 
250 ml di latte 
2 rossi d'uovo 
21/25 gr di lievito di birra 

per la cottura: 
300 ml latte 
50 gr burro 
un cucchiaio di zucchero 
un pizzico di sale 


Impastate nell'impastatrice farina, zucchero, sale e spezzettate il lievito mentre sul fuoco fate scaldare il latte con il burro. Occhio che non deve scaldarsi troppo, ma abbastanza per far sciogliere il burro. Aggiungetelo lentamente al resto insieme ai due rossi d'uovo. 
Fate andare l'impastatrice per almeno cinque minuti in modo che il composto diventi elastico e non più appiccicoso (se lo lavorerete a mano vale lo stesso principio). 
Fatene una bella palla e lasciatela al calduccio per 45 minuti. 
Poi suddividetela in 5 parti se avete una padella da 30 di diametro, altrimenti se più piccola, in 8 parti e cuocetele in due volte. Fatene delle palline e lasciatele riposare altri 30 minuti. 
Poi procedete alla cottura, ossia mettete il latte con il burro, lo zucchero e il sale nella padella e quando è caldo adagiatevi un po' a distanza le 5 o 4+4 palline. 
Coprite con un coperchio e tra padella e coperchio  mettete un canovaccio. 
VIETATO APRIRE prima del tempo, perché si sgonfierebbero per punizione! 
Fate cuocere per 30 minuti a fuoco bassissimo. 
Quindi spegnete e aspettate 5 minuti. 
Poi, la bella sorpresa. 



I bavaresi e i palatini, gli austriaci e gli altoatesini ci mettono sopra la crema di vaniglia, oppure la farciscono con composta o con altre leccornie. 
Io in casa avevo dell'ottimo sciroppo d'acero. 


Canada e Baviera si sono simpatiche a pelle... 

Carla

venerdì 27 ottobre 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

ESSERE QUALCUN ALTRO

Testa di ferro, Jean-Claude van Rijckeghem (trad. Olga Amagliani) 
Camelozampa 2023 



NARRATIVA PER GRANDI (dai 13 anni) 

"Un quarto d'ora dopo, strizzo l'ultima camicia e la butto a Pier. Ho le mani bianche per l'acqua gelida. 'Andiamo a quell'incontro di pugilato' dico. 
Pier mi guarda impietrito dallo stupore. Poi ripiega la camicia di nostro padre senza più badarmi, come fa sempre quando ho un piano meraviglioso che lui non approva, il sapientone... Posa la camicia di papà sul mucchio e afferra una delle maniglia del cesto. 
'Dai, solleva'. mi ordina. 
Io prendo l'altra maniglia e insieme solleviamo il cesto che, con i panni bagnati, è diventato ancora più pesante." 

Gand, primi dell'Ottocento. Fratello e sorella che vogliono andare in direzioni diverse: Stans diciottenne, a un incontro di pugilato clandestino;  Pier, di qualche anno più giovane, vuole tornare a casa. 
Loro due sono come il sole e la luna. Lei volitiva, lui ligio. Lei intraprendente, lui prudente. Lei indomita, lui sottomesso. 
Qui trasportano insieme della biancheria: una buona immagine per raccontare la storia intrecciata e indissolubile di due fratelli, tenuti insieme da un fardello, che qui sono panni, ma nella storia è invece una famiglia. Che nessuno dei due può mollare. 
A casa ad aspettarli per l'appunto il resto dei parenti: un padre frustrato nelle sue velleità da inventore, caduto in disgrazia a causa di una sua invenzione fallita. La madre che ha finito la sua scorta di amore verso il marito e verso i due figli maggiori, e quel poco che ancora possiede lo offre al piccolino di casa, l'ultimo nato, Mondje di appena cinque anni. A questi si aggiungono sullo sfondo: la quarta sorella, Rozeken, la vecchia nonna Blom, sdentata e decrepita e un ronzino bianco altrettanto vecchio e malconcio, Achille. 
Sullo sfondo le campagne napoleoniche tra Francia, Austria e Prussia. 
Constance, detta Stans, è quella che suo padre definisce con felice sintesi: la prima frittella, quella che viene sempre peggio delle altre. Tuttavia, nonostante le sue intemperanze, essendo la figlia maggiore, ed essendo femmina spetta a lei immolarsi per risollevare le sorti di una famiglia che sta colando a picco. Suo malgrado, diventa la giovane moglie dell'usuraio, in cerca di prole, che tiene in scacco suo padre sempre a corto di denaro, per mandare avanti la famiglia, per far studiare alla scuola latina il figlio maschio, per le sue invenzioni. 
La vita e il destino che le si prospetta non è quello che lei sogna per sé, così fuggendo una notte, con gli abiti del marito, si arruola al posto del figlio del fornaio. 
E così ha inizio la sua straordinaria avventura da 'maschio' che la porterà a essere un fante della quattordicesima armata napoleonica, coraggioso, valoroso, apprezzato dai suoi compagni e dal suo superiore (anche quando si scopre la sua vera identità) e talvolta anche fortunato, visto che il suo soprannome 'testa di ferro' se lo guadagna in un duello, da cui esce ferita ma determinata a non mollare. Mai, o quasi. 

Scritto a due voci, in una alternanza pressoché regolare tra il racconto di Pier e quello di Stans, si tratta di un romanzone contemporaneo che per mole, per contesto ha evidenti quanto voluti rimandi alla migliore letteratura ottocentesca. Da Dickens a Brönte. 
Il romanzo ottocentesco è un modello, ma Testa di ferro va anche in esplorazione in luoghi diversi che con l'oggi hanno molto a che fare  - non che Dickens e Brönte non siano importanti per il pensiero contemporaneo, s'intende. 
La causa scatenante intorno a cui ruota l'intera storia, narrata in poco meno che 450 pagine, è la scelta della protagonista, Stans, di essere qualcun altro: un maschio, un soldato. 
La questione si fa piuttosto interessante per diversi motivi. In primo luogo risulta evidente che nella società di allora, ma forse anche in quella di adesso, essere maschio significa - almeno sulla carta - poter godere di maggiori opportunità ed eventualmente di goderne prima di una femmina. 
In secondo luogo, parrebbe che essere maschio, possa salvarti da un destino che altri scelgono per te. 
Però però però, le cose non sono così semplici. 
Infatti a ben vedere, se da un lato Stans in tal modo si è assicurata la consapevolezza di aver autodeterminato il proprio destino, dall'altra c'è qualcun altro che invece è in balia di altri e al suo destino sognato deve rinunciare. E, ironia della sorte, sono i due maschi di casa a trovarsi in questo frangente: da una parte il padre fallito e dall'altra Pier che alla sua tanto amata scuola latina non ci metterà più piede. 
Dal che se ne deduce che in questa storia è soprattutto il coraggio a fare la differenza. Bel nocciolo di senso intorno a cui rosicchiare... 
Intorno a detto nocciolo della questione, c'è tanta polpa, costituita, diciamo così, dagli aspetti accessori dell'essere maschio, pur essendo una ragazza (ma anche viceversa). Questo, presumo, rappresenterà per i lettori e le lettrici un altro elemento di riflessione, che in questo preciso momento ha un suo forte appeal. In questo senso, Testa di ferro, pur sembrando un romanzo di formazione e anche un po' di avventura e un tantino anche storico, diventa anche un buon libro per cavalcare l'onda. 
E in chiusura due o tre ragionamenti sulla scrittura. Una prima cosa che salta all'occhio è ciò a cui si alludeva al principio: l'alternanza del punto di vista, quello di Pier e quello di Stans rispetto ai medesimi eventi, magari raccontati con un lieve scarto temporale l'uno dall'altro. 
A parte il fatto, tecnicamente parlando, che in questo modo il racconto si movimenta di più, rendendo più lieve la lettura del tomone. 
A parte questo, si diceva, è parecchio interessante anche solo a livello teorico, prendere atto del fatto che il punto di vista, la prospettiva di sguardo, determini lo spessore dei protagonisti e delle singole comparse che abitano la storia. Questo continuo movimento di due 'camere' che riprendono da prospettive differenti di fatto lo stesso oggetto rende tutto molto profondo e soprattutto 'cinematografico'. Circostanza questa che fa sì che sia ancora più scorrevole una scrittura già bella esercitata al turning page
Tutt'altro che ingenuo, Jean-Claude van Rijckeghem costruisce una solida struttura narrativa, un solido contesto storico, in cui personaggi più che credibili agiscono, e per accontentare gli amanti del genere, trova anche il modo di scrivere sul finale una dozzina di pagine, che tutti i più attenti lettori non hanno potuto far a meno di notarne la dissonanza: il registro cambia per diventare quello di reportage senza filtri di un sanguinoso teatro di guerra. 
Carne da cannone. 

Carla

mercoledì 25 ottobre 2023

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

FRA MADRE E FIGLIA


Raccontare il rapporto fra una ragazzina, preadolescente, e sua madre può essere complicato e diventare lo sfondo di un dramma generazionale, fatto di reciproche incomprensioni, silenzi, litigate. Il romanzo ‘Una mamma svitata’, dell’islandese Gunnar Helgason, pubblicato da Uovonero con la traduzione a cura di Silvia Cosimini, prende tutta un’altra direzione, fra l’ironico e il comico.
La protagonista è Stella, una quasi tredicenne alle prese con una madre dai comportamenti un po’ sopra le righe: tutti sanno come i ragazzi e le ragazze si vergognino dei propri genitori anche quando sono assolutamente sobri e qui, la mamma di Stella, riesce a essere decisamente appariscente.
È una cantante lirica, che si prepara ogni giorno per la sua partecipazione alla Carmen, cantando a squarciagola, ma non è questo a far imbestialire Stella: il punto di svolta nel loro rapporto arriva quando la mamma dichiara ai quattro venti, con grande orgoglio, che la ragazzina ha avuto la sua prima mestruazione. L’affronto è intollerabile e Stella decide di trasformare sua madre, con ogni mezzo, in una persona normale.
I suoi stratagemmi sono destinati al fallimento, né i suoi fratelli Siggi, il più piccolo, e il sedicenne Palli sembrano aver voglia di seguirla nell’impresa; intanto, anche le sue amiche sembrano abbandonarla. Guðbjörg, Fatima e Judita sembrano volerla ignorare, soprattutto dopo l’esibizione della madre all’interno di un centro commerciale.
I giorni passano e si avvicina la data del compleanno: ci sono momenti in cui Stella apprezza la madre e altri in cui non vorrebbe nemmeno conoscerla; il timore più grande è di passare il compleanno da sola, senza il regalo della rigida nonna snob. Unica certezza, l’amicizia con Bær, un coetaneo che si muove in carrozzella.
Si susseguono situazioni esilaranti, con la mamma scatenata che decide di costruire la sua vasca idromassaggio in giardino, condiviso con Hannes, puntiglioso e attaccabrighe. Non contenta della vasca, la mamma decide di costruire una casa sull’albero che presto diventa, per mancanza di materiali, un sedile di automobile montato sui rami di un albero.
Stella è sempre più divisa fra l’ammirazione e la vergogna per le imprese materne; ma il colmo arriva quando la mamma si spoglia a tavola per costringere Palli a indossare una maglietta.
Tutto sembra perduto, ma il finale è pieno di sorprese, che non posso proprio svelare.
Il romanzo di Helgason, che ha ricevuto nel 2015, anno della sua pubblicazione , l’Icelandic Literature Prize, centra alcune questioni importanti: intanto il desiderio di ‘normalità’, espresso dai ragazzini e ragazzine nei confronti dei genitori; il desiderio di non essere giudicati ‘strani’ dai pari, di assimilarsi ai loro codici di comportamento. Poi, l’ambivalenza dei sentimenti nei confronti degli adulti, ammirazione, sconcerto, rabbia, come se convivessero, nella testa dei preadolescenti, il bambino e l’adolescente, il bisogno di appartenenza a un gruppo e il retaggio dell’infanzia. E, naturalmente, il tema delle diversità, che possono essere fisiche o comportamentali: la ‘evve’ di Palli, l’esuberanza della madre, le bizze del vicino Hannes, la diversa abilità di Bær; anche Stella è a suo modo speciale e il lettore e la lettrice attenti possono farsene un’idea man mano che il romanzo procede.
Non ultimo, mi sembra salutare, per gli adulti di scarsa memoria, far emergere lo sguardo impietoso dei più giovani nei confronti di genitori e parenti, uno sguardo che non fa sconti su debolezze, vezzi, difetti.
In questa storia spumeggiante, divertente, senza un pizzico di cattiveria si possono ritrovare in tanti e tante, dai dodici anni in poi; consiglio caldamente la lettura a chi prende la vita familiare con rabbia, perché trovi fra queste pagine il senso di un sorriso.

Eleonora

Una mamma svitata”, G. Helgason, trad a cura di S. Cosimini, Uovonero 2023




lunedì 23 ottobre 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UNA STORIA 'SOVRANA'

In fuga con la flebo, Josephine Mark
(trad. Melani Traini) 
Valentina Edizioni, 2023 




FUMETTO  (dai 7 anni) 

" 'Prima con quel coso della flebo mi hai salvato la vita. Perciò ora io devo salvare la vita a te.' 
'Cosa?!' 
'Niente domande. Codice dei Lupi.' 'Non abbiamo molte regole, ma questa è SACRA!' 
'Ma problema: io devo darmela a zampe. Non è un posto per lupi, come di certo avrai notato. 
Ma TU sei chiaramente incapace di cavartela da solo con tutta questa roba. Che hai lì in mano?'" 

Breve antefatto: ospedale nel bosco. Un coniglio è attaccato alla flebo e sta aspettando che la rana infermiera gli somministri la terapia. Dietro un paravento c'è un altro paziente, molto poco paziente che spara in orbita l'infermiera quando cerca di medicarlo. Il paziente poco paziente è un lupo che quando gli viene somministrato come piccolo premio un pasticcino, cerca qualcosa di più commestibile di un muffin. Aperta la tenda che li separa, vede il coniglio che farebbe al caso suo se non emanasse un odore sgradevolissimo: di medicinale! 
Il fatto che tutto avvenga in un bosco implica che ci siano dei cacciatori in transito ed è appunto uno di essi che mira al lupo per ucciderlo. Ma il proiettile viene per l'appunto deviato dal bastone della flebo del coniglio... 


Lupo con la vita salva e in debito con il coniglio che effettivamente con tutti quei tubicini e con quella lunghissima terapia non si orienta poi troppo bene. 
Qui comincia la loro strada insieme, in una continua alternanza tra rocambolesche avventure e terapie da seguire, in una caparbia ricerca di un po' di pace e tranquillità e verso una sempre maggiore indipendenza dagli effetti collaterali, come per esempio l'epistassi o un cane mordace. 
Un esilarante percorso dalla solitudine all'affetto, dalla malattia alla guarigione. 
IMPERDIBILE. 

Io di fumetto non so nulla. Quindi nulla dirò in proposito. Ma di storie e di flebo di chemio qualcosina la potrei dire. Un po' di anni passati a leggere storie nelle poche stanze di oncologia pediatrica al BG con l'unico intento di portare le loro teste pelate fuori dai soliti pensieri, hanno fatto risuonare un campanellino sopito da un bel po' di tempo e in qualche modo anche il desiderio di farlo tintinnare di nuovo. 
Inciampata, è proprio il caso di dirlo, in questo libro di Valentina Edizioni, l'ho letto d'un fiato e la conclusione che ne ho tratto è la seguente: ecco, tutte così dovrebbero essere le buone storie. 
Questa sì che la si può annoverare, per usare la definizione di Armin Greder, tra le storie sovrane. 
Storie che hanno un bel nocciolo al loro interno. Un nocciolo che abbia in sé onestà e urgenza. Una storia che sappia raccontare lo spessore, la complessità della vita. Una storia che sappia raccontare diversi punti di vista. Una storia che sappia raccontare senza spiegare, ma semplicemente facendo vedere. Una storia che non abbia la pretesa di risolvere nulla, ma semmai quella più saggia di saper guardare dentro le cose. Una storia che, proprio perché onesta, sappia creare autentica emozione. 


E che faccia tutto questo con la necessaria leggerezza, ossia attraverso quella sottrazione di peso che per esempio di ottiene spesso e volentieri con l'ironia o attraverso la metafora. 
Lupo e coniglio leggerissimi nella loro struttura, così come leggerissimo è il loro linguaggio (a tal proposito un encomio andrebbe fatto a chi lo ha così tradotto con tanta levità). 
Alla faccia di tutti quei libri che si appesantiscono e si arrovellano per cercare di 'curare' la malattia e la paura che essa porta con sé con storie cucite intorno alla retorica, quella sì davvero insopportabilmente pesante, del tema. 
 La questione malattia, e più nello specifico, tumore, è una bella gatta da pelare (ops!) Nessun dubbio in merito. Quindi è un fatto che sia difficile parlarne, trovare il tono giusto per metterla nero su bianco. Presumo che sia più semplice farlo con una certa cognizione di causa, fatto che implica che a scriverla sia qualcuno che ci è passato in mezzo o ci è passato accanto e l'ha vista quindi molto da vicino. Josephine Mark, lei ci è passata in mezzo. E ha molto ben chiaro cosa le frullava nella testa in quel periodo. Stava male e dentro sentiva due voci molto precise: una piena di paura e una invece che la spronava ad andare avanti senza tema: ecco rispettivamente coniglio e lupo. 
E tutto il resto è venuto da sé con una certa naturalezza. 


Ecco, la naturalezza. 
Ricordo quanto fosse apprezzato tra quei bambini pelati questa naturalezza nel prenderli un po' in giro, nel trattarli con assoluta normalità, nel non farli vincere sempre a carte, nello scuoterli un po', con il sorriso per farli respirare aria fresca, fuori dall'asfittico alone di commiserazione e misericordia (dal dolore e la fifa di madri e padri) che permeava la loro quotidianità. 
Preferivano di gran lunga le infermiere scherzose, ma ferme, e amavano circondarsi di persone che li facessero soprattutto ridere e li trattassero come persone normali. Ma nello stesso tempo si accorgevano, in assoluto silenzio, di ogni gesto di cura che si faceva nei loro confronti: dalla scelta del libro da leggere assieme, dal fatto di salutarli promettendo loro - con grande lealtà - di tornare il tal giorno alla tal ora. E poi di farlo.
Si accorgevano, o forse anche no, che nel protocollo di cura c'era anche una grande empatia che rendeva superflue molte parole. Via la retorica che avrebbe reso tutto inutilmente pesante. 


Ecco, il lupo è esattamente questo: un compagno di strada leale. Un amico. 
Uno che quando c'è da correre, corre, e quando c'è da voler bene, vuole bene. Sa essere affettuoso, premuroso, utile, sa correggere il tiro quando diventa necessario, sa essere duro, sa alzare la voce, sa prendere il timone e navigare, sa ridere e scherzare. E lo fa senza mai esplicitare nulla a parole. 
Mente Coniglio perde pelo, sangue dal naso e svomitazza qui e là, dorme sodo, mentre Coniglio si sente meglio e riprende vigore, il lupo, lui fa, disfa, si arrabbia, si calma, si preoccupa, corre, rallenta, se lo carica in groppa, si interroga, sceglie, decide e fa tutto, per quasi duecento pagine, senza mai far cadere neanche una goccia di retorica sulla situazione e sul rapporto con il suo amico pelato... 
Mai, ma proprio mai. 
Libro necessario. 

Carla

venerdì 20 ottobre 2023

FAMMI UNA DOMANDA!



LUPI PER PASSIONE


Il fascino dei lupi è fuori discussione, così come la loro presenza nel nostro immaginario; ma, proprio il lato simbolico, immaginifico che rivestono implica molti fraintendimenti e disinformazione sul loro reale comportamento.
Niente di meglio, per riportare le cose alla loro giusta dimensione, che far raccontare i lupi a chi li conosce veramente bene e combatte per proteggerli.
A raccontarceli, nel bel libro ‘Lupi. Storie vere’, pubblicato recentemente da L’Ippocampo, è Michał Figura, naturalista polacco specializzato nel monitoraggio della situazione di lupi e linci selvatici. I questo libro sono raccontate le ricerche svolte insieme ai biologi Sabina Novak e Robert Mysłajek.
Questo fa sì che il racconto abbia un taglio di assoluto rigore scientifico, ma, nello stesso tempo, grazie ai contributi ai testi e alle immagini di Alexandra Mizielinska e Daniel Mizielinski, abbia anche il fascino di un racconto avventuroso ed emozionante.
Il linguaggio scelto è quello del fumetto, in cui le minuziose tavole dei due autori polacchi ospitano i testi, sempre precisi, ma sintetici.


La struttura del libro prevede l’esposizione delle storie di otto lupi, o famiglie di lupi, in diverse parti dei parchi naturali polacchi. Ciascuna storia diventa l’occasione per parlare del comportamento di questi splendidi animali, sfatando numerosi luoghi comuni che li riguardano; delle tecniche utilizzate per rintracciarli; degli strumenti usati per monitorarli, dai radiocollari alle foto trappole. Viene esposta una vasta casistica, dall’animale che ha subito un incidente al cucciolo ritrovato, per seguirne gli sviluppi e mostrare quanto sia duro e difficile il lavoro di chi si dedica alla salvaguardia degli animali selvatici.
Da questi racconti, che in parte si potrebbero sovrapporre a quelli di chi svolge lo stesso lavoro in Italia, emergono secondo me due due aspetti: da una parte la consapevolezza che la salvaguardia della natura richiede persone dotate di altissima professionalità, ma anche animate da una passione così grande da far dimenticare i sacrifici, la fatica e la frustrazione di un lavoro difficile e poco riconosciuto. Dall’altra, si vede con chiarezza quanto una filosofia di rispetto e conoscenza della natura sia ancora minoritaria rispetto a chi vorrebbe continuare nel distruttivo sfruttamento di ogni forma vivente; sfruttamento o distruzione, come nel caso dei lupi, ma anche degli orsi. Facile fare spot pubblicitari che parlano di natura incontaminata, altra cosa è saperla preservare. Poi c’è l’indistruttibile lobby dei cacciatori, che vorrebbe eliminare qualsiasi limite all’attività venatoria. E poi, c’è chi vive di sensazionalismo e inventa false notizie per ottenere popolarità sui social.


Per fortuna, in questa nebbia di cattive intenzioni, c’è chi si muove per fare luce e lo fa con grande professionalità.
Questo libro va esattamente in questa direzione: precisione dei contenuti, ma anche delle immagini, alcune delle quali tratte direttamente dalle immagini delle foto trappole; documentazione minuziosa, anche nell’esposizione delle fonti scientifiche; ma anche una grande passione che traspare nella preoccupazione, nella cura, nell’attenzione rivolta al benessere degli animali.


Le immagini prodotte dagli artisti polacchi Mizielinski e Mizielinska sono come sempre attente al dettaglio, minuziose, suggestive, la cornice perfetta per un racconto di questo tipo.
A mio avviso questo è un libro che può piacere a molti: a bambine e bambini dai dieci anni in poi, ma anche ai più grandi che siano appassionati ai temi della salvaguardia della natura e che qui possono trovare un approccio che unisce il fascino dell’avventura all’amore per la natura.
Lo consiglio caldamente a tutti i giovani naturalisti che cerchino serietà e attendibilità, questo libro è davvero un esempio di quanto al divulgazione possa dare ai giovani lettori.

Eleonora


“Lupi. Storie vere”, M. Figura, A, Mizielinska, D. Mizielinski, L’Ippocampo 2023



mercoledì 18 ottobre 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA MATRICE E L'AMATRICE

Calvianiana. Per un verso o per l'altro, Teresa Porcella, Andrea Calisi 
Telos 2023 


POESIA 

"Mi piace mescolare le carte dei tarocchi 
Perché sbocciano storie usando solo gli occhi 
perché per ogni bivio ci sono mille sbocchi 
perché a sorti fauste s'alternano malocchi 
perché anche la morte, a volte, la impapocchi 

Mi piace mescolare le carte dei tarocchi" 

Una geometria perfetta nella costruzione. Una geometria che gli corrisponde. Ossia che è specchio della sua scrittura e della sua poetica. Una geometria che Porcella nasconde per esempio nei versi che si fanno eco e si specchiano fra loro. Oppure nei piccoli scarti di senso che variano anche solo per un apostrofo.


Quattro stagioni. In ciascuna di queste trovano posto tre titoli di opere di Italo Calvino. 


Dodici titoli a cui corrispondono i cinque riferimenti alle Lezioni americane, cui si aggiungono altri sei o sette titoli per altrettante lezioni potenziali: comicità, musicalità, in-finitezza, chiarezza, cominciare e finire. 
Resta da dimostrare se dietro la Densità che Teresa Porcella connette con Il sentiero dei nidi di ragno si possa leggere la sesta lezione, quella mai scritta da Calvino, ma che porta il titolo emblematico di Consistency. In tal caso l'amor di simmetria si appagherebbe. 
Ma anche se un filo resta solo, appeso lì, può avere la sua ragion d'essere. 
Magari ci torniamo se parleremo della in-finitezza.


A ciascun titolo citato corrisponde una poesia che di quella storia scritta da Calvino evoca il senso, forse anche un po' la trama. Insomma, accade un po' come in natura: da un seme nasce qualcosa, una creatura che porta in sé un piacevole miscuglio tra i DNA dei suoi artefici: e Calvino e Porcella. 
Questo è quello che succede tra le parole del libro, ma qualcosa d'altro succede sulle pagine. Andrea Calisi evoca il proprio immaginario calviniano. Quale illustratore non ne ha uno, magari tenuto in un cassetto? E questo succede, va detto, in alcuni casi davvero in modo felice. Molto felice. 
Credo che per tutto il 2023 l'editoria, in modo più o meno strumentale, abbia pensato fosse necessario rendere omaggio a Italo Calvino. 
Giusto. Se non altro per ribadire due fatti acclarati. Il primo: le sue storie ci hanno riempito la testa di pensieri e di gioia e bellezza. Il secondo: l'essere sparito così all'orizzonte, un po' come Cosimo, ci ha riempito di rabbia, dolore vero e silenzio. 
Quindi in questo centenario, saggi, nuove edizioni di, riflessioni su, conferenze e convegni intorno. E libri, tanti nuovi libri che intorno a Calvino ronzano e ragionano. 
Giusto. Si suppone che la molla che ha mosso Teresa Porcella a concepire un libro così originale e tutto sommato così personale sia proprio il bisogno di trovare un modo per tenerlo con sé, in sé. Bisogno che ognuno di noi cova nei confronti di chi è caro ed è lontano. E Calvino lo è, caro.
In questo senso l'idea del preludio poetico, in postfazione, non è che io la trovi così convincente. Perché dover trovare dei precisi destinatari, studenti e insegnanti, oltre agli appassionati di poesia e di buone storie? L'idea di preludio, perché? Invertirei la direzione: i versi di Porcella stanno su da soli, ma il loro senso profondo lo stanano, come segugi, sulle tracce di Calvino. 
Insomma va fatta salva la matrice e l'amatrice: in questa precisa sequenza e non viceversa. 

Se una notte d'inverno un Viaggiatore
diventasse uno Scrittore-Narratore
e poi anche un Lettore-Investigatore
che incontra un'amabile Lettrice
(che ci sia ognun lo dice,
dove sia nessun lo sa)
ecco che allora, di ogni storia ipotizzata,
noi avremmo la matrice e l'amatrice.

Per spiegare il mio pensiero tornerei all'in-finitezza. Ossia all'idea che ogni scrittore di valore, Calvino in primis, è a suo modo infinito, perché lascia dietro di sé dei fili penduli. Le sue opere diventano giocoforza l'unico appiglio che noi lettori abbiamo per non perderli. E se, come nel caso di Italo, la fuga è repentina, questi fili penduli diventano simulacro di qualcosa di ancora inespresso, di infinitezza, ma nel suo caso di in-finitezza. 


Questo fa Teresa Porcella: recupera fili penduli e li intreccia a sé e il risultato non è un retino per acchiappare lettori novelli di Calvino.  
Calviniana dunque a me pare dovrebbe essere due cose principalmente: un omaggio, e in tal senso gratuito e pieno di affetto, di Porcella a Calvino. E lo è. Moltissimamente. E in secondo luogo dovrebbe essere una piacevole lettura per tutti coloro, grandi e piccoli, che Calvino lo hanno attraversato e percorso in lungo e in largo: lo hanno letto, lo conoscono e lo tengono con sé. Solo così mi pare si renda merito e al genio di Calvino e a quello di Teresa Porcella che lo racconta in versi. E lo attraversa, non lo spiega: lo evoca. 
Solo così di questo libro se ne possono apprezzare le moltissime pieghe piene di senso, solo così i disegni di Calisi assumono profondità di sguardo. Solo così.
E mi pare già moltissimo. 

Carla

lunedì 16 ottobre 2023

FAMMI UNA DOMANDA!


LA VITA AVVENTUROSA DELLE OPERE D’ARTE


Un modo sicuramente originale per avvicinare i ragazzi e le ragazze alla storia dell’arte è quello di sottolinearne il lato avventuroso, se non criminale.
Lo fa la storica dell’arte Barbara Conti in ‘L’arte...che avventura!’, pubblicato da Nomos con le illustrazioni di Cristina Trapanese. La casistica che incontriamo nei quattordici episodi riportati nel libro è molto varia: si va dai furti e rapine compiuti sia dai pirati, nel caso del Giudizio Universale di Memling, che da professionisti, o da incauti sprovveduti, come nel caso della Gioconda; ci sono poi i furti ‘di Stato’, operati cioè o da governi occupanti, come nel caso di Napoleone e, molto più recentemente dai nazisti; oppure si tratta di acquisti più o meno fraudolenti che hanno consentito, per esempio, l’acquisizione dei marmi del Partenone da parte del British Museum. Fra questi ci sono anche i quattro cavalli che, ora in copia, svettano su Piazza san Marco, a Venezia, e che furono sottratti a Costantinopoli durante il saccheggio operato dai veneziani guidati dal doge Enrico Dandolo.
Dunque una casistica molto varia, che racchiude casualità, rapine, contese internazionali e vicende personali dei singoli artisti. Di ciascun episodio Cristina Trapanese suggerisce la sua interpretazione visiva, sintetica ed efficace; accurata anche l’impaginazione e la grafica, che rende ancor più fluida la lettura.


Di questi episodi vorrei ricordarne un paio. Il primo riguarda il Ritratto di Donna Franca Florio, eseguito da Giovanni Boldini, pittore molto noto per i suoi ritratti femminili; iniziato nel 1901, non piacque al marito Don Ignazio, che lo ritenne troppo audace; stroncato anche alla Biennale di Venezia del 1903, il dipinto segue il suo autore a Parigi, dove verrà più volte rimaneggiato negli anni fra il 1910 e il 1918, allungando o accorciando il vestito, modificando la posa, mostrando una audace scollatura o coprendola. Il dipinto viene concluso nel 1924, ma a quel punto i Florio sono in rovina e non possono più comprarla. Ne seguono una serie di aste, che portano Donna Franca prima in America, poi di nuovo in Italia, dove, per una nuova asta il ritratto entra a far parte della collezione privata della famiglia siciliana dei marchesi Berlingieri, con l’accordo della sua esposizione pubblica. Una vita molto avventurosa per un dipinto, che a che fare con la moda, le consuetudini, l’incipiente modernità, le fortune e sfortune del committente e anche con l’incapacità delle autorità preposte ad impedirne l’acquisizione da parte di privati.
L’incapacità di valutare l’importanza di questa o quella opera d’arte è una delle costanti di queste storie, che riguardano, ad esempio, Matisse e van Gogh.
Un’altra storia interessante riguarda proprio van Gogh e il suo Ritratto del Dottor Gachet, dipinto nella primavera del 1890; pochi giorni dopo aver completato l’opera, il grande artista si tolse la vita. Da quel momento, il ritratto passa di mano ben tredici volte, passando per le mani dei nazisti, di un banchiere tedesco e poi di un facoltoso ebreo che riesce a mettersi in salvo in America, insieme alla tela. Ma il finale è ancora più sorprendente: il Ritratto finisce nelle mani di un facoltoso giapponese, Ryoei Saito, che dichiara che avrebbe distrutto il dipinto prima di morire, per evitare le tasse di successione esorbitanti ai figli. Fatto sta che dalla morte di Saito, nel 1996, nessuno ha più visto la tela. Un’altra storia di arte incompresa, di facoltosi collezionisti e di Stati del tutto assenti nel tutelare quello che dovrebbe essere un patrimonio universale.


Sarebbe bello se i giovani lettori e le giovani lettrici, dai dieci anni in poi, che leggessero queste belle storie avventurose, non si appassionassero solo alle vicende rocambolesche di questo o quel capolavoro, ma maturassero anche la convinzione che l’arte è di tutti e come tale va difesa e tutelata, anche quando non se ne comprende appieno il significato.
Consiglio la lettura di questo libro interessante e originale a tutti quelli che apprezzino un punto di vista particolare sull’Arte e che vogliano sapere un po’ di più non solo di artisti, ma anche di ladri, eserciti invasori, collezionisti, tombaroli, banchieri e così discorrendo.

Eleonora

“L’Arte...che avventura!”, B. Conti, ill. C. Trapanese, Nomos edizioni 2023