mercoledì 29 settembre 2021

FAMMI UNA DOMANDA!

FILOSOFARE (1)
 

Un libro curioso, nato da una conferenza intitolata ‘Para que serve a cultura?’, pubblicato in Portogallo da Planeta Tangerina, approda nelle librerie italiane grazie a Topipittori: ‘A cosa serve?’, scritto da José Maria Vieira Mendes e illustrato da Madalena Matoso, gira intorno a una grande questione: l’utilità di una cosa la definisce?
Ovvero, conoscere la funzione di un oggetto ci aiuta a definirlo? Un pettine serve a pettinare i capelli, una chiave ad aprire le porte, talvolta è il nome stesso dell’oggetto che ne dichiara la funzione: temperamatite, apriscatole e così via.
Ma le cose non possono essere così semplici: ci sono oggetti che hanno usi diversi o, addirittura, possiamo pensare di usare un oggetto, nato per una funzione, in un modo assolutamente diverso.
C’è a questo punto un passaggio delicato: secondo l’autore, chiedere a cosa serve un oggetto ci aiuta ad avere certezza della sua esistenza; in modo un po’ aristotelico, facciamo appello alla ‘causa finale’ per mettere ordine nel mondo. Attraverso questa griglia interpretativa affermiamo che le cose esistono e che hanno una funzione.
Ma non tutto può essere ridotto a questo schema: ci sono un’infinità di oggetti, animali, persone che esistono a prescindere dalla loro utilità. Quindi a questo punto, come facciamo a sapere che qualcosa c’è, esiste, prescindendo dal suo uso?
 

Tutto il libro ruota intorno a una domanda, ‘a cosa serve?’, che spesso nei bambini e nelle bambine si sovrappone a ‘cosa è?’. L’autore segue il filo di questa sovrapposizione, mettendo man mano dei punti fermi, che consentono di porre la domanda successiva. Metodologicamente proprio quello che dovremmo fare quando ci affianchiamo ai più piccoli nell’esplorare la grande complessità del mondo, come se lo smontassimo pezzo a pezzo per vederne il funzionamento.
Rilevante anche il fatto che l’aver acquisito un punto fermo non sia la premessa a una certezza, ma a nuove domande, che rimescolano un po’ tutte le carte e che rimettono in moto il meccanismo del pensiero.
Meno strutturato di ‘Cosa diventeremo?’, ‘A cosa serve?’ mi sembra una guida perfetta per dare forma al pensiero dei bambini e delle bambine, ai primi passi nella scoperta del mondo, aiutati dalle illustrazioni di Madalena Matoso, che avevamo già incontrato in un altro grande libro di ‘divulgazione’: ‘Qui dentro’.
Colori vivacissimi, immagini che esplicitano il contenuto del testo, rendendolo ancora più chiaro, una composizione della pagina che colpisce l’immaginazione e fissa i punti chiave del discorso: tutto questo rende la lettura del libro agevole, stimolante, sorprendente, con il susseguirsi di domande, le cui risposte generano altre domande.
 

Un bell’esempio di filosofia con i bambini, e non per i bambini, adatto per la lettura condivisa a casa e a scuola, per lettrici e lettori a partire dai sei anni.
 
Eleonora


“A cosa serve?”, J.M. Vieira Mendes e M. Matoso, Topipittori 2021



lunedì 27 settembre 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

KIM E' SOLO: TRE PAROLE DI PI GRECO
 
Una piccola cosa senza importanza, Catherine Fradier 
(trad. Ilaria Piperno)
Uovonero 2021


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni)

"Quando la dottoressa Sourieau, Sunder e la nuova arrivata spariscono nella yurta, scivolo dentro anche io. Sotto la tenda ci sono poche persone, è il momento in cui gli ospiti fanno la doccia prima di cenare. Marie-Antoniette e Denise, due congolesi che lavorano al campo base, sistemano sui tavoli delle bottiglie d'acqua e focacce di manioca. Un odore di capretto arrosto ristagna sotto la tenda. L'immagine dei pezzi di carne marrone mi fa venire la nausea, ma la scaccio per concentrarmi sulla nuova arrivata, in disparte rispetto alla dottoressa Sourieau e Sunder che parlano a bassa voce."

È esattamente questo il momento in cui Sacha, il figlio Asperger della dottoressa, vede per la prima volta Destinée. Lei, come tutti i ragazzi ospiti del campo MONUSCO (la missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo), arriva ferita e come loro è una kudogo, una bambina-soldato della famigerata regione del Kivu.
Nonostante il loro primo incontro sia stato piuttosto burrascoso - perché entrambi, nello sfiorarsi, hanno cacciato un urlo e ci è scappato anche un morso a Sunder, il Casco Blu nepalese - i due, da questo momento in poi cominciano un lento ma costante percorso di avvicinamento reciproco che li porterà a sentirsi, pur nella grande diversità, fratelli inseparabili.
Sacha, tredici anni, segue sua madre medico in tutte le sue missioni umanitarie. Dal giorno, era un lunedì, in cui lei decise di toglierlo definitivamente dalla scuola dove stava per essere ucciso da un gruppo di bulli violenti, Sacha la accompagna ovunque, a patto che lei gli permetta di avere sempre con sé una piccola tenda - il suo Piccolo Rifugio - in cui rintanarsi per dormire o quando per lui sia necessario trovare il silenzio e la solitudine. A patto di non fagli mangiare mai nulla di marrone, a patto di fargli portare i suoi  46 Moleskine dove annota tutto quello che gli sembra interessante e dove sta scrivendo le sue Parole di Pi greco, una storia "in cui ogni parola contiene nel medesimo ordine  il numero di lettere corrispondente alle cifre nella serie dei decimali del pi greco."
Destinée, quindici anni, vuole a tutti i costi farla finita con la vita che ha fatto fino a ieri, ma è altrettanto determinata a riprendersi il suo piccolo bambino che i ribelli le hanno sottratto. Vuole ritrovarlo e con lui tornare al villaggio, dalla sua famiglia per dimostrare loro che lei con quella vita terribile ha chiuso.
Per fare questo architetta un buon piano in cui anche Sacha dovrebbe avere un piccolo ruolo, di 'specchietto per le allodole', nel momento del furto delle armi da parte della ragazza. Le cose prendono una piega inaspettata e a fuggire dal campo, a cavallo di una motocicletta, diretti verso la foresta dove si nascondono i ribelli ora sono in due.


Autrice di gialli, molto amata in Francia, Catherine Fradier è al suo primo libro per ragazzi, ma già sappiamo che a questo, scritto nel 2016, in patria se ne è aggiunto un secondo nel 2019. Ed è ancora un episodio delle Cronache lunari di un ragazzo bizzarro. Lo aspettiamo trepidanti, perché questo primo ci ha convinto.
Sebbene sia costruito intorno a una situazione piuttosto inverosimile, quella di un ragazzino Asperger paracadutato in un paese così difficile come il Congo, tuttavia la storia sta in piedi perfettamente. Da una parte c'è la complessità di una situazione 'esplosiva' come quella del Congo che abbiamo imparato a conoscere come autentica a nostre spese ancora poco tempo fa con il caso dell'agguato al convoglio che guidava l'ambasciatore Attanasio, e dall'altra c'è la storia personale di un ragazzino autistico.
Fin dalle prime pagine ci troviamo nel mezzo delle cose, così come accadono e così come le vedono gli occhi del piccolo Sacha e piano piano il suo modo di leggere la realtà diventa il nostro. In questo senso, le pagine dedicate all'osservazione delle formiche o quelle sui compleanni dalla nonna Tartine sono dei piccoli gioielli. Inevitabilmente ci affezioniamo e facciamo nostre le sue modalità di ragionamento, al punto che arriviamo quasi a prevedere le sue reazioni agli eventi ancora prima che accadano. Scopriamo solo con il passare del tempo il passato di questo ragazzino, quando ormai di lui conosciamo alla perfezione il presente. Ed è curioso che questo aspetto non prenda mai il sopravvento, come ci si potrebbe invece aspettare. Le modalità del pensiero di un autistico sono diventate - a questo punto - così naturali, che a tutti gli effetti costituiscono l'unica chiave interpretativa della vicenda. In sostanza, ne costituiscono le solide fondamenta, su cui la Fradier costruisce il lato avventuroso che - a ben vedere - è la materia che fino a oggi ha caratterizzato la sua scrittura, così tanto apprezzata Oltralpe.
Dal momento in cui l'azione prende il sopravvento su tutto il resto, il lettore non riesce più a staccarsi dal libro, a metterlo giù per una pausa. Con una tensione sempre crescente, con una sequenza di colpi di scena, con una partecipazione emotiva nei confronti dei due giovani protagonisti, si arriva alle ultime pagine letteralmente senza fiato.

Carla

venerdì 24 settembre 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

COMINCIARE DALLA FINE



Ci sono scelte editoriali che fatico a comprendere: l’editore Rizzoli, sempre molto attento alle tendenze e agli autori emergenti, di Anthony McGowan, prolifico autore inglese, ha scelto di pubblicare l’ultimo romanzo di una serie di quattro. ‘Il volo dell’allodola’, titolo originale ‘Lark’, ha vinto nel 2020 la prestigiosa Carnegie Medal ed è il compimento della serie di romanzi ‘The Truth of Things’, che vede protagonisti due fratelli, Nicky e Kenny.
Rizzoli promette di pubblicare i tre precedenti, ma il danno è fatto. ‘Il volo dell’allodola’ è un bel romanzo, breve e intenso, che muove emozioni forti ed è, nello stesso tempo, evidentemente, il compimento di un percorso narrativo compiuto nei romanzi precedenti. Lo si capisce dalla struttura del racconto, dal suo esito e dal finale che evidentemente riconnette dei fili che il lettore italiano non conosce.
Anche preso come romanzo a sé stante, in realtà, è comunque un bel romanzo, che coniuga il ritmo serrato del romanzo d’avventura con la descrizione del rapporto fra i due fratelli.
Nicky e Kenny sono molto legati, il secondo ha un lieve ritardo cognitivo che lo rende dipendente dalle attenzioni del fratello; hanno avuto una vita familiare difficile, il padre alcolista e la madre fuggita quando loro erano piccoli. Sono stati anni difficili, con gravi difficoltà economiche e una grande solitudine. Poi, nella loro vita è arrivata Jenny, la nuova compagna del padre, che è riuscita a dare un senso alla loro vita familiare.
In attesa dell’arrivo della madre, che viene a trovarli dopo molti anni, Kenny, Nicky e la cagnolina Tina decidono, su suggerimento del padre, di fare una gita nella brughiera, nello Yorkshire, dove vivono da sempre.
Dovrebbe essere una gita facile, alla ricerca delle allodole e del loro prodigioso canto. In realtà si trasforma presto in un incubo. Sorpresi dalla neve, senza vestiti e attrezzature adatte, i ragazzi cercano di raggiungere il paese più vicino, ma hanno una mappa approssimativa e incontrano ostacoli di tutti i tipi. Nel tentativo di riprendere il cellulare, che gli stava cadendo dalla mano semi assiderata, Nicky cade in una scarpata, vicino ad un torrente, e si frattura una gamba. Tocca a Kenny, allo sprovveduto Kenny, avviarsi in cerca di soccorsi.
Non posso dire di più della trama, ma si può immaginare da quanto detto finora che si rispettano tutti canoni delle storie d’avventura, con una scrittura asciutta che rende il ritmo del racconto ancora più serrato.
Il vero punto di forza sta però soprattutto nella delicata descrizione del rapporto fra i due fratelli, che utilizza i ricordi d’infanzia, i momenti felici e le privazioni che hanno cementato il loro rapporto. C’è molto realismo nel raccontare la vita e il linguaggio di due adolescenti, simili a tanti altri, ma diversi proprio per quelle difficoltà che la vita gli ha riservato. L’io narrante, Nicky, ci coinvolge nei suoi racconti, nei trucchi che usa per tranquillizzare il fratello, nei momenti oscuri e nelle prove di coraggio. E poi, il ritratto della cagnolina Tina è un prezioso cameo che sarà certamente apprezzato da chi ama i cani.
Dunque, una storia di emozioni forti, rivolta ad un pubblico di lettori e lettrici giovani, direi dai tredici anni in poi, ma coinvolgente anche per i lettori e le lettrici più grandi, a patto di non disdegnare qualche momento di commozione.

Eleonora


“Il volo dell’allodola”, A. McGowan, Rizzoli 2021





mercoledì 22 settembre 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN LIBRO PERFETTO

Un seme di carota, Ruth Krauss, Crockett Johnson (trad. Lisa Topi)
Topipittori 2021


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)
 
"Il bambino piantò un seme di carota.
La mamma gli disse: 'Non credo che germoglierà'.
Il papà gli disse: 'Non credo che germoglierà'.
E su fratello gli disse: 'Non germoglierà.'"
 
Intorno al cartellino con il disegno di una carota il bambino ogni giorno toglie le erbacce e annaffia il terreno, lì ha piantato il suo seme. Nulla germoglia e sua madre, suo padre e suo fratello continuano a dirgli che da lì non sarebbe spuntato mai nulla. Ma il bambino va avanti a curare il suo seme e il suo pezzettino di terra, finché un giorno qualcosa si muove, spuntano delle alte foglie e una carota. Proprio come lui l'aveva immaginata: grande, grandissima che ci è voluta la carriola per portarla via.
 
"Few stories are completely perfect" said the lion. "That's true" said Ellen, leaving the playroom.
Ecco uno dei tanti dialoghi tra la bambina Ellen e il suo leone di pezza (C. Johnson, Ellen's Lion, Harper 1959; The Lion's Own Story, Harper 1963) che Philip Nel cita nella sua introduzione al libro Crockett Johnson and Ruth Krauss - How a Unlikely Couple Found Love, Dodged the FBI, and Transformed Children's Literature (2012)
Prese così come sono, queste esatte parole possono introdurre anche ciò che si vuole dire qui.
Esistono dei libri che sono così luminosi e perfetti che dovrebbero essere presi a modello da intere generazioni di autori di letteratura illustrata. E anche da legioni di esperti, alla perenne ricerca del libro 'perfetto'.
L'interessante storia della genesi di questo libro la si può seguire, ancora una volta, nel libro di Nel. Come successe anche altre volte (A hole is to dig), Ruth Krauss lo immaginò come se fosse stato un dialogo tra lei e il suo vicino di casa cinquenne. 
 

Un testo di un centinaio di parole che Crockett Johnson, il marito, illustrò per costruire un prototipo da sottoporre alla Ursula Nordstrom. A lei piacque e il progetto andò avanti. Quello che successe a
The Carrot Seed tra il 1944, anno in cui firmarono il contratto con Harper, e il 1945, anno della pubblicazione si può riassumere in tre punti.
Il primo: la Nordstrom trovò la storia geniale e non propose nessun cambiamento al testo, lo stesso accadde con le illustrazioni, a parte un suggerimento sullo sguardo che il bambino doveva avere: lì la Nordstrom suggerì a Crockett Johnson di dare al bambino non uno sguardo sorpreso e dubbioso ma uno sguardo attraversato da una somma sicurezza interiore.
 

Johnson ci lavorò e il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Il secondo: l'ufficio marketing di Harper, fece un clamoroso errore di valutazione, pensando che sarebbe stato più utile accompagnare il libro con la dicitura illustrated by Crockett Johnson and written by his wife. Mettere in maggiore evidenza il nome di Crockett Johnson, lo stranoto fumettista di Barnaby, rispetto a quello della moglie, Ruth Krauss, quasi esordiente nel mondo della letteratura per l'infanzia, scatenò la furia dell'autrice che la considerò imbarazzante e offensiva perché implicitamente si affermava che il libro non era stato illustrato perché lo si riteneva un buon libro, ma perché la ragione affettiva aveva prevalso. La Nordstrom corresse il tiro dell'ufficio marketing e il problema si risolse, con una soluzione che è sotto gli occhi di tutti.
 

Il terzo: Johnson, prima che il libro andasse in stampa, esercitò la sua maniacale e proverbiale meticolosità e si assicurò che i colori fossero solo: marrone, rosso, verde e (forse) beige chiaro. Su quest'ultimo aveva lui stesso dei dubbi, così lo stampatore lo tolse e il risultato è sotto gli occhi di tutti.
 

Quello che successe dopo il 1945 ha molto a che fare con la perfezione cui si alludeva all'inizio e si può riassumere in altri tre punti.
Il primo: fu un immediato successo. Dalla critica fu subito definito come una perfetta 'parabola' che arrivava al cuore di grandi e piccoli, fu considerata perfetta la scelta dell'illustratore(!), fu portato a esempio di sintesi perfetta, tanto nelle cento parole di Ruth Krauss, quanto nella linea riassuntiva e pura di Crockett Johnson.
Il secondo: per la portata del messaggio, diventò un vero fenomeno editoriale, una bandiera. Una copia fu mandata alla Conferenza mondiale delle Nazioni a San Francisco dove 50 stati erano lì riuniti per redigere e firmare la carta e diventare l'Onu che tutti oggi conosciamo. Il presidente di una famosa casa ingegneristica ne spedì un centinaio di copie ai suoi dirigenti, che a loro volta ne spedirono altre ai loro colleghi e impiegati. La Chiesa cattolica, tra le letture consigliate, aggiunse The carrot seed, accompagnandolo con la frase: abbiate fede e vedrete i risultati.
Terzo: un vicino di casa di Ruth Krauss lo definì a swell book, con una morale inoppugnabile secondo la quale è meglio non fidarsi mai degli altri, neanche dei propri genitori.
 

A me che arrivo buona ultima su questo libro restano da fare solo due cose.
La prima: gioire che finalmente anche i bambini italiani possano avere questa meraviglia per le mani, una meraviglia piena di senso raccontata con parole e disegni di una chiarezza disarmante. Una storia che ruota intorno a un fatterello, ma che ha la potenza di un testo di filosofia morale. Sulle ragioni perché ci abbia messo quasi ottant'anni ad attraversare l'oceano, è meglio tacere. Gioisco della traduzione e della scelta del titolo che saggiamente slitta di poco rispetto all'originale, del fatto che nella copertina e nel frontespizio, come nella prima edizione americana, il nome di Ruth Krauss sia poco più grande di quello di Crockett Johnson.
La seconda: sostenere che i disegni e i testi possono essere considerati un canone, i primi per come sono distribuiti sulla pagina, per la loro estrema sintesi di segno e colore e nel contempo per la loro forte comunicabilità espressiva, piccoli dettagli nei gesti che si amplificano nel vissuto di ciascuno: quella mano interlocutoria della mamma, cui fa eco un testo possibilista, quella mano perentoria del fratello, cui fa eco un testo lapidario. 
 

Ecco.


Carla

lunedì 20 settembre 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

UNA CASA DI CENERE



Non è la prima ‘casa’ che accoglie bambini e bambine smarrite che incontriamo nel nostro percorso letterario: ‘La Casa di Cenere’, scritto da Angharad Walker, qui al suo esordio narrativo, ricorda le diverse case per ragazzi speciali, da Miss Peregrine alle storie degli ‘Avengers’, ma ancor di più ‘La casa degli anni scomparsi’ del genio Clive Barker. 
Anche la ‘Casa’ di cenere è, infatti avvolta nel mistero e rappresenta il rifugio sicuro per ragazzini e ragazzine dalle origini oscure.
Qui però, non ci sono presenze adulte rassicuranti, salvo quella del Direttore, che si palesa via telefono sempre più raramente. Uno dei due protagonisti, Sol, diminutivo di Solitudine, ci arriva quasi per caso, mandato lì da un medico, in seguito ad una diagnosi incerta. Appena arrivato incontra Indi, diminutivo di Indipendenza, un ragazzino che lo introduce alle regole della Casa.
Più di qualsiasi altra cosa, e qui siamo agli antipodi di Barker, è necessario vivere e agire in base ai diversi aspetti della Bontà, rappresentati dai nomi dei vari bambini.
Quindi, fra loro, gli abitanti di questa casa, le cui pareti sembrano fatte di cenere, devono mostrare amicizia, solidarietà, giustizia e così via.
Che ci sia qualcosa di storto in questo quadretto che comunque idilliaco non è, visto che ragazzini e ragazzine vivono sostanzialmente nella sporcizia, dormono nelle serre della casa e devono provvedere al proprio sostentamento, appare subito chiaro, fra domande senza risposta e dogmi implausibili di cui sono infarciti i discorsi dei ragazzini. Il lato oscuro, detto anche in senso letterale, emerge drammaticamente quando compare il Dottore, un presunto medico che impone a Sol un’operazione alla schiena, fonte dei suoi terribili dolori, da cui esce con le gambe paralizzate. Così, con lo scorrere delle pagine, scopriamo che il Dottore non è che una delle personalità del Direttore, il cui lato bonario e caritatevole ha finito per soccombere di fronte a quello sadico.
Sal vuole fuggire, Indi e gli altri ragazzi no; in una notte drammatica in cui il Dottore psicotico ha sguinzagliato i suoi orridi mastini, Sal e Indi riescono a fuggire, ma nessuno, nel mondo ‘reale’, crede alla loro storia e quindi nessuno tenta di salvare gli altri ragazzi; ma non tutto è perduto.
Il punto di partenza di questo romanzo della giovane autrice inglese non è particolarmente originale e rischia di sfigurare rispetto ad altre storie costruite con maggiore sapienza o baciate dalla popolarità (le due cose non coincidono affatto). Tuttavia non si può non riconoscere l’efficacia della costruzione d’ambiente, il mondo isolato della Casa di cenere, con le sue improbabilità fisiche e con la sua truppa di ragazzini malconci, ma molto determinati.
In storie come queste, a meno di non essere dei veri maestri del genere, non è tanto la raffinata costruzione psicologica dei personaggi ad essere determinante, quanto un’atmosfera che faccia crescere inquietudine nella lettrice e nel lettore, concentrati sul mistero dei Direttore scomparso e dei tentativi di fuga di Sol e Indi. Naturalmente, i ragazzini più ostili al nostro protagonista saranno proprio quelli che lo aiuteranno a scappare, devo dire con eccessiva prevedibilità.
Se in Barker la leva con cui il ‘male’ esercita la sua attrattiva è rappresentata dai desideri dei bambini, dal loro eterno sogno del ‘Paese dei Balocchi’, qui il collante che tiene insieme questo gruppo di ragazze e ragazzi è la solitudine: privati della loro memoria, inconsapevoli delle proprie origini, conoscono solamente l’universo claustrofobico della Casa, destinati, forse, a salvare il mondo, nel delirio del direttore benefattore, anche più inquietante della sua versione sadica.
Questo è un romanzo che scorre via facilmente, scritto con un discreto mestiere, che tiene incollato il lettore e la lettrice alla pagina, ammiccando di volta in volta al fantasy, all’horror, alle ambientazioni distopiche.
Lettura comunque interessante per lettrici e lettori, a partire dai dodici anni, che vogliano avvicinarsi alla letteratura di genere, senza eccessive inquietudini.

Eleonora


‘La casa di cenere’, A. Walker, Rizzoli 2021


venerdì 17 settembre 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

A ME STA BENE!
 
Le storie della storia del pinguino, Christine Nöstlinger
(trad. Anna Patrucco Becchi)
La nuova frontiera 2021


NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni)


"Le storie passano anche attraverso le persone che ascoltano. Ciò che per loro non è importante, viene tralasciato. Nel caso di Emanuel e di suo padre verrà tralasciato quasi tutto: le offerte di lavoro, il barboncino, l'aver freddo a Corfù e i caloriferi spenti. Rimarrà soltanto una cosa: c'è un pinguino che nessuno vuole!"


E siccome il padre di Emanuel sa che Emanuel ama i pinguini e siccome lui ama Emanuel... Non gli resta che sospirare e sperare che sia la prozia Alexa a dire che un pinguino in casa lei proprio non lo vuole. E siccome la prozia Alexa è una signora anziana che ama Emanuel e, in linea di massima, il quieto vivere, anche questa volta dirà la frase consueta: a me sta bene!
Così al pinguino, che l'assistente zoologo Schestak non può più tenere in istituto perché è stato licenziato, né tanto meno nella sua camera in subaffitto dalla signora Siebenbürger, perché lei è troppo freddolosa, non resta che andarsene in braccio a Emanuel verso la casa accanto, dove troverà il freddo e l'affetto necessari per crescere e diventare grande.


Gli ingredienti di base per una storia interessante ci sono tutti: una difficoltà di partenza, un animale esotico, un bambino un po' solo, una mamma che non c'è, un padre affettuoso, un'anziana un po' originale, un'antagonista all'acqua di rose e sullo sfondo un quartiere tranquillo, e una scuola qualsiasi.
Come accade spesso, a trasformare una storia interessante in qualcosa di più interviene il guizzo di chi quegli ingredienti li compone ad arte.
Christine Nöstlinger qui più che altrove è proprio sulla composizione che lavora, ovvero sulla struttura narrativa che diventa così essa stessa una protagonista a tutti gli effetti. Già solo le prime righe e poi le prime pagine sono un 'gancio' irresistibile: Una volta ci sarà un pinguino che non saprà di essere un pinguino. Accadrà tra due o tre anni. A seguire, la Nöstlinger snocciola i nove (in realtà sono sette) indizi che debbono contribuire a schiarire il quadro d'insieme e che rappresentano la mappa di come orientarsi nel corso della narrazione, senza doversi sorbire lunghe spiegazioni sul perché e percome.
Si inizia così, dritti dentro le cose che succedono, con un bel verbo al futuro, per accendere la curiosità del lettore: Accadrà un giorno di primavera, tiepido e sereno. Emanuel sarà con suo padre a fare colazione. La prozia Alexa ha già fatto colazione prima, perché lei si alza di buon'ora.
Per tutto il racconto, solo di rado si incontrano approfondimenti psicologici sui personaggi, li conosciamo molto meglio attraverso quello che dicono - per la verità non moltissimo - o quello che fanno. Oppure a loro viene dedicato un capitolo a sé che in qualche modo contribuisce a dare loro spessore e a trovare il senso nelle cose che accadono; tanto per citarne alcuni: Tutta la storia della prozia Alexa, oppure La storia di Emanuel e dei ricordi. A questi si aggiungono un paio di capitoletti 'funzionali' a chiarire l'arrivo della gatta molto grassa e molto vecchia: una sorta di esilarante cameo 'in crescendo' in un storia già bella buffa di suo. Tutto questo contribuisce a spezzare una eventuale monotonia di contesto e di ritmo del racconto, con consegeunte lieve e salutare spaesamento da parte di chi legge, al solo scopo di tenerlo allegro e vigile.
In tutto questo saltare di qua e di là, andare e venire dal futuro al passato anche remoto, entrare e uscire dalla storia con il fine di condividerne la struttura, non debbono sfuggire una sequenza di piccole perle di saggezza che la Nöstlinger dissemina lungo il cammino e che si distinguono dal resto perché il tono con cui vengono scritte, ma sarebbe più corretto usare dette, perché davvero sembra di sentire una voce bassa fuoricampo che pronuncia cose del tipo: ma quando le storie vengono raccontate passano per le persone che le raccontano... oppure la già citata Le storie passano anche attraverso le persone che ascoltano, oppure un lavoro ben fatto fa sorridere... oppure ancora le persone tristi non concludono niente. Si percepisce davvero come la voce di un amico che ti vuole svelare, e solo a te, qualcosa di importante. 
Confortevole sensazione.
Come se non bastasse, la Nöstlinger che per un centinaio di pagine ci ha tenuti legati a una storia che richiede una buona dose di 'sospensione dell'incredulità', decide di offrire ai suoi lettori ben tre finali differenti, ancora una volta creando un gancio relazionale forte fra chi scrive e chi legge, come a dire: "mi fido di te, per chiudere la storia, scegli quello che più ti convince!"
A onor del merito, sebbene tutto questo piacevole e intelligente lavorio per tenere attaccato alla pagina il proprio lettore sia frutto di un modo di scrivere che era di gran moda intorno agli anni Ottanta (Le storie della storia del pinguino risale al 1978), tuttavia la vicenda dell'arrivo del pinguino a casa dei Bierbauer è anche un pretesto per andare a guardare più in profondità un bel po' di cose sull'amore e le sue declinazioni. D'altronde è la Nöstlinger a scrivere, non uno qualsiasi. 
Evviva!
 
Carla


Noterella al margine: Di questo libro esiste un'edizione tedesca di Beltz&Gelberg con copertina di Axel Scheffler che già da sola...

 

mercoledì 15 settembre 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

OROLOGI E AUTOMI


Un nuovo interessante recupero di un testo non più reperibile: si tratta di un Pullman d’annata, con ‘L’orologio meccanico’, ‘The clockwork’, scritto nel lontano 1996, con una prima traduzione italiana del 2003, a opera di Mondadori, che ora Salani ripropone con la stessa traduzione di Maria Bastanzetti.
Il maestro del fantasy gioca qui con una storia che oscilla fra l’horror e la fiaba, che, per altro, hanno non pochi punti in comune.
La storia è suddivisa in tre parti: la prima e la terza descrivono l’azione, la seconda incastona nel racconto il significativo antefatto, che motiva lo svolgimento tragico degli eventi e costituisce la base per lo scioglimento del dramma nel lieto fine.
Se questo già costituisce una particolarità, perché costringe il lettore o lettrice a trovarsi da solo le risposte alle domande che sicuramente nascono nella prima parte, Pullman aggiunge, quasi pagina per pagina, dei riquadri in cui spiega, approfondisce, analizza dei passaggi contenuti nel testo, un continuo dentro e fuori dal racconto che chiarisce al lettore che stiamo leggendo una storia particolare.
Il cuore, bisogna dirlo, di questo mirabile racconto lungo è rappresentato dalla meccanica: la meccanica degli orologi, la meccanica degli automi, la meccanica del racconto.
Orologi e automi meccanici, espressione del meccanicismo sei-settecentesco, funzionano alla meraviglia grazie al movimento di leve, di molle e di ruote incastrate l’una nell’altra. Una volta avviato il meccanismo, esso procede autonomamente, esattamente come un racconto, in cui, date le premesse, lo svolgimento non può che procedere verso il necessario finale.
Ed è quello che succede qui: siamo in un villaggio, alla vigilia dell’esordio dell’apprendista orologiaio, che dovrà aggiungere una nuova figura meccanica alla serie già presente nella torre dell’orologio. Siamo nella taverna, il giovane apprendista, Karl, è disperato perché non ha ancora creato il suo automa; nella locanda arriva anche Fritz, che ogni sera regala una storia al proprio uditorio. Quella di questa sera però è talmente inquietante che Fritz non riesce a trovare un finale adeguato. La storia parla del principe Otto e del suo figlioletto Florian: in pieno inverno la carrozza che li trasportava irrompe nel palazzo nobiliare. Purtroppo il principe era deceduto, ma nonostante questo aveva continuato a spronare i cavalli; il piccolo Florian, invece, sembrava sano e salvo. Lo stupore per questo evento non può che accrescersi quando il medico di corte scopre che nel petto del principe Otto batteva un cuore meccanico. Il medico, incuriosito dallo stupefacente cuore meccanico, pensa di consultare il dottor Kalmenius, esperto costruttore di automi. E proprio mentre Fritz è a questo punto della storia, ecco arrivare nella locanda proprio lui, il misterioso Kalmenius. Tutti fuggono dalla locanda, salvo Karl, troppo preso dalla sua disperazione.
Kalmenius propone a Karl di fornirgli l’automa perfetto per il giorno dopo, un piccolo cavaliere con una spada affilatissima. La macchina perfetta, al suono di una certa parola, diventa un assassino feroce, che solo una melodia infantile può fermare.
Scendere a patti con il dottor Kalmenius assomiglia molto a un patto col diavolo, ma è una proposta troppo allettante per il giovane Karl perché lui riesca a rifiutare.
C’è dunque un antefatto e un successivo svolgimento da queste premesse: inevitabilmente un personaggio verrà punito in punta di lama, per la sua avidità e spregiudicatezza; le creature pure di cuore, e qui c’è anche un riferimento letterale, avranno il sopravvento.
La narrazione dunque, segue il suo inesorabile destino: le azioni di un personaggio non possono che decretarne il destino, che sia tragico o felice. L’arco narrativo di ciascun personaggio procede con la precisione di un orologio e il lettore o la lettrice non possono che constatarne l’inevitabilità.
Pullman costruisce una piccola storia perfetta, densissima di riferimenti filosofici e stilistici, invita il lettore e la lettrice a seguirlo in un giro di giostra in cui i personaggi entrano ed escono, recitando la loro parte alla perfezione.
Lettura impegnativa, consigliata caldamente, per ragazze e ragazzi, dagli undici anni in poi, che sappiano leggere fra le righe e cogliere tutta la ricchezza di una storia gotica per niente rassicurante.

Eleonora

"L'orologio meccanico", P. Pullman, Salani 2021



lunedì 13 settembre 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

QUANDO ZERALDA CUCINO' PER TOMI
 
L'orco di Zeralda, Tomi Ungerer (trad. Riccardo Cravero) 
Salani 2021


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)
 
"C'era una volta un orco solitario. Come quasi tutti gli orchi aveva i denti aguzzi, una barba ispida, un grande naso, un lungo coltello, la luna di traverso e un appetito smisurato."

Come tutti gli orchi, amava mangiare i bambini a colazione, prelevandoli giorno dopo giorno dal borgo vicino al suo castello. I genitori, però, li nascondevano in cantina, nelle cripte, e nei barili e anche se le scuole chiudevano e gli insegnanti restavano senza lavoro, almeno i bambini erano salvi. Questo però purtroppo influiva sulla dieta dell'orco che spesso e volentieri era obbligato a mangiare pappa d'orzo, cavolo tiepido e patate fredde. E la sua luna di traverso non passava.

In mezzo al bosco le cose andavano in modo diverso. Lì viveva Zeralda di 6 anni appena con il suo papà, contadino. Loro vivevano in pace perché dell'orco non sapevano nulla. Mentre suo padre lavorava nella fattoria, Zeralda passava tutto il suo tempo in cucina, tra i fornelli: cucinava magnificamente.
 

Il caso volle che i loro sentieri si incrociassero sulla strada verso il mercato dove Zeralda stava andando a vendere i prodotti della fattoria, che lui invece di sbuzzarla con il suo coltellaccio le ruzzolasse sui piedi, che lei amorevole lo curasse e gli preparasse il miglior pranzo della vita.
Va da sé che davanti al banchetto che Zeralda approntò lì per lì con ciò che aveva sul suo carretto, l'orco non capì più nulla.
Le loro esistenze così si unirono: lei cucinava per lui al castello, e lui, di nuovo pasciuto e con la luna dritta, eliminò dalla sua dieta i bambini presi dal borgo (che quindi dovettero tornare a scuola). Fecero lo stesso anche gli altri orchi e orchesse, tutti deliziati dai manicaretti che Zeralda metteva in tavola.
Il lieto fine è alle porte: lei crebbe, lui si sbarbò e si innamorarono l'uno dell'altra, si sposarono e misero al mondo un mucchio di figli.
Però siccome la genetica non è acqua, non è proprio certo certissimo che vissero sempre tutti felici e contenti...


Non dovrebbe essere necessario fare una grande festa per un libro che, se così si può dire, è lì da sempre: tutti lo hanno letto almeno una volta, tutti hanno apprezzato la storia e i magnifici disegni del Tomi Ungerer più ispirato e colorato, tutti hanno riso e amato questa storia di redenzione (!). Tuttavia esistono dei segnali che ci fanno essere contenti di rivederlo, nella nuova edizione Salani.
 

Il primo segnale piuttosto evidente è il formato. L'edizione Mondadori dentro la collana Junior che dal 1988 ha meritoriamente proseguito fino al 2004 con l'intento di fare di Ungerer un nome del catalogo da difendere dall'oblio, è però sempre stata punitiva nei confronti degli illustratori, Ungerer compreso. Ragione per la quale, per leggerlo ad alta voce davanti a dei bambini è consigliabile procurarsi le edizioni francese dell'Ecole des Loisirs o quella in lingua tedesca di Diogenes o ancora quella originale inglese di Harper che, con quel gran formato, in tutta evidenza, di Ungerer dimostrano di voler valorizzare anche il disegno sempre ricco di dettagli che altrimenti sfuggirebbero: la coda del gatto nero, la lucertola felice, la mamma morta di Zeralda e via andare.
Il secondo segnale che appare evidente è il cambio di titolo.
Ricostruiamo la vicenda dal principio. Quando lo pubblica per Harper in America, Tomi Ungerer è già a New York da una decina d'anni: è il 1967. Il titolo che lui dà alla sua storia non lascia dubbi: Zeralda's Ogre, non ci sono infingimenti. Quell'omone che tiene 'prigioniera' in un abbraccio e sotto tiro con lo sguardo e con un affilato coltello una bella bambina bionda che corrisponde l'occhiata sorridente è lì davanti a tutti, in copertina.
La scena è piuttosto esplicita e per nulla rassicurante: muscoloso, peloso, con un boccale nell'altra mano e un topo sul piatto che entrambi hanno davanti. 
E' uno dei tanti personaggi 'negativi' che invece Ungerer predilige per le sue storie (briganti, serpenti boa, avvoltoi, pipistrelli), e che vengono scelti proprio per dar loro finalmente una possibilità di riscatto 'letterario' agli occhi dell'umanità. Senza eccezione, si rivelano tutti di estremo altruismo e bontà e sicuramente alla fine della storia sono tutti 'redenti'.
 

All'epoca Ungerer era all'apice della sua carriera e poteva dimostrare un forte potere contrattuale nel pretendere in copertina un 'cattivone' e nel titolo la parola 'orco'. D'altronde Ungerer, finché ha avuto respiro, ha sempre lottato perché il lessico da lui scelto con tanta cura fosse rispettato, sia in lingua originale, sia nelle diverse traduzioni. Quindi se quello raffigurato è un orco perché non citarlo nel titolo? In francese, ma anche in tedesco e naturalmente anche in italiano, l'orco del titolo originale scelto da Ungerer sparisce (presumo a patto che improrogabilmente entro la terza riga della prima pagina compaia in tutta la sua crudezza e cattiveria, con il coltello sporco e due braccia esili che escono da una gabbia). E così è: le géant de Zeralda, Zeralda Riese, Il gigante di Zeralda.
Nel frattempo passano cinquantaquattro anni in cui molte cose accadono. Ungerer lascia l'America disgustato dai cambiamenti che ha visto e va in Canada ad allevare pecore, smette di scrivere per bambini (nel 1974 con Allumette), continua a lavorare ai suoi meravigliosi libri per adulti, torna in Europa, in Francia, dove lo accolgono come un eroe, gli dedicano ogni riconoscimento e onore possibile (compreso un museo a Strasburgo), ricomincia a scrivere per bambini (1997 con Flix), poi si ritira nella periferica Irlanda dove muore nel 2019.
 

E questi stessi cinquantaquattro anni servono a molti per capire un po' meglio la portata rivoluzionaria del suo modo di raccontare il mondo. La sua poetica così schietta, così pura, sta lentamente mettendo radici.
Cinquantaquattro anni per cominciare ad accettare la sua onestà assoluta, spesso considerata scomoda e ruvida, e il suo rispetto e amore per la verità e per il suo pubblico, beninteso, grandi e piccoli (l'attenzione a linguaggio e la potenza delle immagini dei suoi manifesti ne sono espressione). Eppure. Ancora nel 2020 qui da noi, quando è uscito Non stop, che è un assoluto capolavoro, un canto di speranza, molti adulti hanno storto il naso.
Però, a cinquantaquattro anni dalla sua prima pubblicazione con Harper, a farci gioire sono dei piccoli passi: il libro ha appena riconquistato il suo titolo originale (e unarinnovata e bella traduzione). Forse Salani pensa che il pubblico italiano adulto sia sulla buona strada per accettare di chiamare le cose con il loro nome e sia disposto a tollerare l'idea di regalare a un bambino, meglio ancora a una bambina, un libro che quell'orco armato di coltello non solo lo dichiara in copertina, ma gli dedica addirittura il titolo.
 

Tutto il resto è storia: un Medioevo raccontato con molta competenza; 
una serie di citazioni di quadri famosi; un lavoro sugli sguardi molto divertente, un'ironia nei doppi sensi che nella traduzione un po' si annacquano (obiettivamente Croque-fillette fa ridere solo un francese che è abituato al Croque-monsieur ed è intraducibile); una serie di dettagli che chiamano dentro i lettori grandi; un'attenzione per il lato sensuale della storia, non ultima l'idea di prestare la faccia, quella di Tomi in persona, al gigante 'innamorato'; e infine il suo colpo finale, un ultimo guizzo che potremmo definire in cauda venenum, e che riapre il finale, come è sempre meglio che sia in un buon libro!


Carla