QUANDO ZERALDA CUCINO' PER TOMI
L'orco di Zeralda, Tomi
Ungerer (trad. Riccardo Cravero)
Salani 2021
ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)
"C'era una volta un orco
solitario. Come quasi tutti gli orchi aveva i denti aguzzi, una barba
ispida, un grande naso, un lungo coltello, la luna di traverso e un
appetito smisurato."
Come tutti gli
orchi, amava mangiare i bambini a colazione, prelevandoli giorno dopo
giorno dal borgo vicino al suo castello. I genitori, però, li
nascondevano in cantina, nelle cripte, e nei barili e anche se le
scuole chiudevano e gli insegnanti restavano senza lavoro, almeno i
bambini erano salvi. Questo però purtroppo influiva sulla dieta
dell'orco che spesso e volentieri era obbligato a mangiare pappa
d'orzo, cavolo tiepido e patate fredde. E la sua luna di traverso
non passava.
In mezzo al bosco
le cose andavano in modo diverso. Lì viveva Zeralda di 6 anni appena
con il suo papà, contadino. Loro vivevano in pace perché dell'orco
non sapevano nulla. Mentre suo padre lavorava nella fattoria, Zeralda
passava tutto il suo tempo in cucina, tra i fornelli: cucinava
magnificamente.
Il caso volle che i
loro sentieri si incrociassero sulla strada verso il mercato dove
Zeralda stava andando a vendere i prodotti della fattoria, che lui
invece di sbuzzarla con il suo coltellaccio le ruzzolasse sui piedi,
che lei amorevole lo curasse e gli preparasse il miglior pranzo della
vita.
Va da sé che
davanti al banchetto che Zeralda approntò lì per lì con ciò che
aveva sul suo carretto, l'orco non capì più nulla.
Le loro esistenze
così si unirono: lei cucinava per lui al castello, e lui, di nuovo
pasciuto e con la luna dritta, eliminò dalla sua dieta i bambini
presi dal borgo (che quindi dovettero tornare a scuola). Fecero lo
stesso anche gli altri orchi e orchesse, tutti deliziati dai
manicaretti che Zeralda metteva in tavola.
Il lieto fine è
alle porte: lei crebbe, lui si sbarbò e si innamorarono l'uno
dell'altra, si sposarono e misero al mondo un mucchio di figli.
Però siccome la
genetica non è acqua, non è proprio certo certissimo che vissero
sempre tutti felici e contenti...
Non dovrebbe essere
necessario fare una grande festa per un libro che, se così si può
dire, è lì da sempre: tutti lo hanno letto almeno una volta, tutti
hanno apprezzato la storia e i magnifici disegni del Tomi Ungerer più
ispirato e colorato, tutti hanno riso e amato questa storia di
redenzione (!). Tuttavia esistono dei segnali che ci fanno essere
contenti di rivederlo, nella nuova edizione Salani.
Il primo segnale
piuttosto evidente è il formato. L'edizione Mondadori dentro la
collana Junior che dal 1988 ha meritoriamente proseguito fino al 2004
con l'intento di fare di Ungerer un nome del catalogo da difendere
dall'oblio, è però sempre stata punitiva nei confronti degli
illustratori, Ungerer compreso. Ragione per la quale, per leggerlo ad
alta voce davanti a dei bambini è consigliabile procurarsi le
edizioni francese dell'Ecole des Loisirs o quella in lingua tedesca
di Diogenes o ancora quella originale inglese di Harper che, con quel
gran formato, in tutta evidenza, di Ungerer dimostrano di voler
valorizzare anche il disegno sempre ricco di dettagli che altrimenti
sfuggirebbero: la coda del gatto nero, la lucertola felice, la mamma
morta di Zeralda e via andare.
Il secondo segnale
che appare evidente è il cambio di titolo.
Ricostruiamo la
vicenda dal principio. Quando lo pubblica per Harper in America, Tomi
Ungerer è già a New York da una decina d'anni: è il 1967. Il
titolo che lui dà alla sua storia non lascia dubbi: Zeralda's Ogre,
non ci sono infingimenti. Quell'omone che tiene 'prigioniera' in un
abbraccio e sotto tiro con lo sguardo e con un affilato coltello una
bella bambina bionda che corrisponde l'occhiata sorridente è lì
davanti a tutti, in copertina.
La scena è
piuttosto esplicita e per nulla rassicurante: muscoloso, peloso, con
un boccale nell'altra mano e un topo sul piatto che entrambi hanno
davanti.
E' uno dei tanti
personaggi 'negativi' che invece Ungerer predilige per le sue storie
(briganti, serpenti boa, avvoltoi, pipistrelli), e che vengono scelti
proprio per dar loro finalmente una possibilità di riscatto
'letterario' agli occhi dell'umanità. Senza eccezione, si rivelano
tutti di estremo altruismo e bontà e sicuramente alla fine della
storia sono tutti 'redenti'.
All'epoca Ungerer
era all'apice della sua carriera e poteva dimostrare un forte potere
contrattuale nel pretendere in copertina un 'cattivone' e nel titolo
la parola 'orco'. D'altronde Ungerer, finché ha avuto respiro, ha
sempre lottato perché il lessico da lui scelto con tanta cura fosse
rispettato, sia in lingua originale, sia nelle diverse traduzioni.
Quindi se quello raffigurato è un orco perché non citarlo nel
titolo? In francese, ma anche in tedesco e naturalmente anche in
italiano, l'orco del titolo originale scelto da Ungerer sparisce
(presumo a patto che improrogabilmente entro la terza riga della
prima pagina compaia in tutta la sua crudezza e cattiveria, con il coltello sporco e due braccia esili che escono da una gabbia). E così
è: le géant de Zeralda, Zeralda Riese, Il gigante di Zeralda.
Nel frattempo
passano cinquantaquattro anni in cui molte cose accadono. Ungerer
lascia l'America disgustato dai cambiamenti che ha visto e va in
Canada ad allevare pecore, smette di scrivere per bambini (nel 1974
con Allumette), continua a lavorare ai suoi meravigliosi libri per
adulti, torna in Europa, in Francia, dove lo accolgono come un eroe,
gli dedicano ogni riconoscimento e onore possibile (compreso un museo
a Strasburgo), ricomincia a scrivere per bambini (1997 con Flix), poi
si ritira nella periferica Irlanda dove muore nel 2019.
E questi stessi
cinquantaquattro anni servono a molti per capire un po' meglio la
portata rivoluzionaria del suo modo di raccontare il mondo. La sua
poetica così schietta, così pura, sta lentamente mettendo radici.
Cinquantaquattro
anni per cominciare ad accettare la sua onestà assoluta, spesso
considerata scomoda e ruvida, e il suo rispetto e amore per la verità
e per il suo pubblico, beninteso, grandi e piccoli (l'attenzione a
linguaggio e la potenza delle immagini dei suoi manifesti ne sono
espressione). Eppure. Ancora nel 2020 qui da noi, quando è uscito Non stop, che è un assoluto capolavoro, un canto di speranza, molti
adulti hanno storto il naso.
Però, a
cinquantaquattro anni dalla sua prima pubblicazione con Harper, a
farci gioire sono dei piccoli passi: il libro ha appena riconquistato
il suo titolo originale (e unarinnovata e bella traduzione). Forse Salani pensa che il pubblico italiano
adulto sia sulla buona strada per accettare di chiamare le cose con
il loro nome e sia disposto a tollerare l'idea di regalare a un
bambino, meglio ancora a una bambina, un libro che quell'orco armato
di coltello non solo lo dichiara in copertina, ma gli dedica
addirittura il titolo.
Tutto il resto è
storia: un Medioevo raccontato con molta competenza;
una serie di
citazioni di quadri famosi; un lavoro sugli sguardi molto divertente, un'ironia nei doppi sensi che nella
traduzione un po' si annacquano (obiettivamente Croque-fillette fa
ridere solo un francese che è abituato al Croque-monsieur ed è intraducibile); una
serie di dettagli che chiamano dentro i lettori grandi; un'attenzione
per il lato sensuale della storia, non ultima l'idea di prestare la faccia, quella di Tomi in persona, al gigante 'innamorato'; e infine il suo
colpo finale, un ultimo guizzo che potremmo definire in cauda
venenum, e che riapre il finale, come è sempre meglio che sia in
un buon libro!
Carla
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