lunedì 13 settembre 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

QUANDO ZERALDA CUCINO' PER TOMI
 
L'orco di Zeralda, Tomi Ungerer (trad. Riccardo Cravero) 
Salani 2021


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)
 
"C'era una volta un orco solitario. Come quasi tutti gli orchi aveva i denti aguzzi, una barba ispida, un grande naso, un lungo coltello, la luna di traverso e un appetito smisurato."

Come tutti gli orchi, amava mangiare i bambini a colazione, prelevandoli giorno dopo giorno dal borgo vicino al suo castello. I genitori, però, li nascondevano in cantina, nelle cripte, e nei barili e anche se le scuole chiudevano e gli insegnanti restavano senza lavoro, almeno i bambini erano salvi. Questo però purtroppo influiva sulla dieta dell'orco che spesso e volentieri era obbligato a mangiare pappa d'orzo, cavolo tiepido e patate fredde. E la sua luna di traverso non passava.

In mezzo al bosco le cose andavano in modo diverso. Lì viveva Zeralda di 6 anni appena con il suo papà, contadino. Loro vivevano in pace perché dell'orco non sapevano nulla. Mentre suo padre lavorava nella fattoria, Zeralda passava tutto il suo tempo in cucina, tra i fornelli: cucinava magnificamente.
 

Il caso volle che i loro sentieri si incrociassero sulla strada verso il mercato dove Zeralda stava andando a vendere i prodotti della fattoria, che lui invece di sbuzzarla con il suo coltellaccio le ruzzolasse sui piedi, che lei amorevole lo curasse e gli preparasse il miglior pranzo della vita.
Va da sé che davanti al banchetto che Zeralda approntò lì per lì con ciò che aveva sul suo carretto, l'orco non capì più nulla.
Le loro esistenze così si unirono: lei cucinava per lui al castello, e lui, di nuovo pasciuto e con la luna dritta, eliminò dalla sua dieta i bambini presi dal borgo (che quindi dovettero tornare a scuola). Fecero lo stesso anche gli altri orchi e orchesse, tutti deliziati dai manicaretti che Zeralda metteva in tavola.
Il lieto fine è alle porte: lei crebbe, lui si sbarbò e si innamorarono l'uno dell'altra, si sposarono e misero al mondo un mucchio di figli.
Però siccome la genetica non è acqua, non è proprio certo certissimo che vissero sempre tutti felici e contenti...


Non dovrebbe essere necessario fare una grande festa per un libro che, se così si può dire, è lì da sempre: tutti lo hanno letto almeno una volta, tutti hanno apprezzato la storia e i magnifici disegni del Tomi Ungerer più ispirato e colorato, tutti hanno riso e amato questa storia di redenzione (!). Tuttavia esistono dei segnali che ci fanno essere contenti di rivederlo, nella nuova edizione Salani.
 

Il primo segnale piuttosto evidente è il formato. L'edizione Mondadori dentro la collana Junior che dal 1988 ha meritoriamente proseguito fino al 2004 con l'intento di fare di Ungerer un nome del catalogo da difendere dall'oblio, è però sempre stata punitiva nei confronti degli illustratori, Ungerer compreso. Ragione per la quale, per leggerlo ad alta voce davanti a dei bambini è consigliabile procurarsi le edizioni francese dell'Ecole des Loisirs o quella in lingua tedesca di Diogenes o ancora quella originale inglese di Harper che, con quel gran formato, in tutta evidenza, di Ungerer dimostrano di voler valorizzare anche il disegno sempre ricco di dettagli che altrimenti sfuggirebbero: la coda del gatto nero, la lucertola felice, la mamma morta di Zeralda e via andare.
Il secondo segnale che appare evidente è il cambio di titolo.
Ricostruiamo la vicenda dal principio. Quando lo pubblica per Harper in America, Tomi Ungerer è già a New York da una decina d'anni: è il 1967. Il titolo che lui dà alla sua storia non lascia dubbi: Zeralda's Ogre, non ci sono infingimenti. Quell'omone che tiene 'prigioniera' in un abbraccio e sotto tiro con lo sguardo e con un affilato coltello una bella bambina bionda che corrisponde l'occhiata sorridente è lì davanti a tutti, in copertina.
La scena è piuttosto esplicita e per nulla rassicurante: muscoloso, peloso, con un boccale nell'altra mano e un topo sul piatto che entrambi hanno davanti. 
E' uno dei tanti personaggi 'negativi' che invece Ungerer predilige per le sue storie (briganti, serpenti boa, avvoltoi, pipistrelli), e che vengono scelti proprio per dar loro finalmente una possibilità di riscatto 'letterario' agli occhi dell'umanità. Senza eccezione, si rivelano tutti di estremo altruismo e bontà e sicuramente alla fine della storia sono tutti 'redenti'.
 

All'epoca Ungerer era all'apice della sua carriera e poteva dimostrare un forte potere contrattuale nel pretendere in copertina un 'cattivone' e nel titolo la parola 'orco'. D'altronde Ungerer, finché ha avuto respiro, ha sempre lottato perché il lessico da lui scelto con tanta cura fosse rispettato, sia in lingua originale, sia nelle diverse traduzioni. Quindi se quello raffigurato è un orco perché non citarlo nel titolo? In francese, ma anche in tedesco e naturalmente anche in italiano, l'orco del titolo originale scelto da Ungerer sparisce (presumo a patto che improrogabilmente entro la terza riga della prima pagina compaia in tutta la sua crudezza e cattiveria, con il coltello sporco e due braccia esili che escono da una gabbia). E così è: le géant de Zeralda, Zeralda Riese, Il gigante di Zeralda.
Nel frattempo passano cinquantaquattro anni in cui molte cose accadono. Ungerer lascia l'America disgustato dai cambiamenti che ha visto e va in Canada ad allevare pecore, smette di scrivere per bambini (nel 1974 con Allumette), continua a lavorare ai suoi meravigliosi libri per adulti, torna in Europa, in Francia, dove lo accolgono come un eroe, gli dedicano ogni riconoscimento e onore possibile (compreso un museo a Strasburgo), ricomincia a scrivere per bambini (1997 con Flix), poi si ritira nella periferica Irlanda dove muore nel 2019.
 

E questi stessi cinquantaquattro anni servono a molti per capire un po' meglio la portata rivoluzionaria del suo modo di raccontare il mondo. La sua poetica così schietta, così pura, sta lentamente mettendo radici.
Cinquantaquattro anni per cominciare ad accettare la sua onestà assoluta, spesso considerata scomoda e ruvida, e il suo rispetto e amore per la verità e per il suo pubblico, beninteso, grandi e piccoli (l'attenzione a linguaggio e la potenza delle immagini dei suoi manifesti ne sono espressione). Eppure. Ancora nel 2020 qui da noi, quando è uscito Non stop, che è un assoluto capolavoro, un canto di speranza, molti adulti hanno storto il naso.
Però, a cinquantaquattro anni dalla sua prima pubblicazione con Harper, a farci gioire sono dei piccoli passi: il libro ha appena riconquistato il suo titolo originale (e unarinnovata e bella traduzione). Forse Salani pensa che il pubblico italiano adulto sia sulla buona strada per accettare di chiamare le cose con il loro nome e sia disposto a tollerare l'idea di regalare a un bambino, meglio ancora a una bambina, un libro che quell'orco armato di coltello non solo lo dichiara in copertina, ma gli dedica addirittura il titolo.
 

Tutto il resto è storia: un Medioevo raccontato con molta competenza; 
una serie di citazioni di quadri famosi; un lavoro sugli sguardi molto divertente, un'ironia nei doppi sensi che nella traduzione un po' si annacquano (obiettivamente Croque-fillette fa ridere solo un francese che è abituato al Croque-monsieur ed è intraducibile); una serie di dettagli che chiamano dentro i lettori grandi; un'attenzione per il lato sensuale della storia, non ultima l'idea di prestare la faccia, quella di Tomi in persona, al gigante 'innamorato'; e infine il suo colpo finale, un ultimo guizzo che potremmo definire in cauda venenum, e che riapre il finale, come è sempre meglio che sia in un buon libro!


Carla

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