venerdì 30 novembre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


L'ETA' DEL GRANDE TAMPONAMENTO

L'età della ragione, Didier Lévy, Thomas Baas 
(trad. Maria Pia Secciani)
Edizioni Clichy, 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Martedì
Georges guarda le sue macchinine. Quando uno diventa grande, pensa Georges, forse non ha più voglia di giocare con le macchinine. Forse vuole solo riordinare la sua stanza e imparare il dizionario a memoria.
Geoerges fa rotolare le macchinine sul pavimento, adesso c'è una bella pila ai piedi del suo armadio. Georges lancia una decappottabile contro le macchinine accatastate. Poi furgoni, semirimorchi, bulldozer, carri armati...
Proprio 7 anni, l'età del grande tamponamento."

E siamo solo a martedì. Mancano ancora 6 giorni alla data del suo settimo compleanno, quando Georges entrerà nell'età della ragione. Per lui è una grande incognita: lui è il primo nella classe a compierli. Avere informazioni dai genitori non sembra essere la strategia vincente: è passato troppo tempo dai loro 7 anni. 


Mercoledì tenta la crema anti età per riguadagnare i magnifici 5 anni. Venerdì Georges ragiona sulla vita prenatale e teme che quel periodo possa influire sulla data effettiva del compleanno. Sabato tenta di immaginare se stesso da vecchio, pieno di rughe, come Geronimo. Domenica è il giorno fatidico. Davanti allo specchio con il certificato di nascita che attesta l'orario di venuta al mondo : 15.33 trepida ne minuti immediatamente precedenti e in quelli immediatamente successivi. 34, 35, 36. Nessuna metamorfosi. Un sospiro di sollievo e un briciolo di delusione giusto un attimo prima che la festa di compleanno abbia inizio.
Sono passate 4 ore e Georges, mentre gli invitati ballano, guarda i regali: macchinine, un copricapo da indiano (dovrà aspettare un bel po' prima di diventare Geronimo), un orologio, una macchina fotografica e un dizionario...
Nella vita però non si può mai stare tranquilli, perché già solo il martedì successivo, come dice Olive la sua fidanzata, ad attenderlo c'è l'età dell'incoscienza. Sembra una bella prospettiva.

Mestiere duro e pieno di incognite, il crescere.
Con il ritmo cadenzato di un conto alla rovescia e la regolarità di un metronomo, giorno dopo giorno Georges si avvicina inquieto alla data fatidica. Si suppone che sia stata Olivia a mettergli in testa questa questione dell'età della ragione, anche se a 7 anni ogni bambino comincia a prendere le misure con il tempo che passa e con il 'diventare grandi'. 
A questa presa di coscienza contribuiscono goffamente gli adulti stessi che, non si sa perché, hanno una gran fretta di dimenticare e far dimenticare ai piccoli l'età della spensieratezza. Ma tant'è. 
A 7 anni si trotterella lungo il fiume che separa l'età del grande tamponamento dall'età del dizionario. Mezz'ora di qua e mezz'ora di là.
Sei grande per portare pazienza con tuo fratello più piccolo che ti ha appena preso un giocattolo, ma sei piccolo per andare da solo all'edicola all'angolo a comprarti un giornalino. Sei grande per ciucciarti un minuto il dito per ritrovare un po' di pace, ma sei piccolo per rilassarti con una partita a biliardo (finta). 
Georges è proprio lì in mezzo al guado che trotterella e si guarda intorno.


Il tempo è la sua grande domanda. A 7 anni la percezione che esso scorra è lì e se proprio non se ne può fare a meno, che almeno da vecchi si diventi Geronimo, anche se interiormente la speranza è quella di invertire il senso marcia e andare all'indietro di almeno un paio d'anni.
Bravo Didier Lévy a raccontare questo ondivagare, caracollare del piccolo Georges a un passo dall'evento che più di ogni altro sancisce il trascorrere del tempo: il compleanno. 
Bravo a registrare la trepidazione, bravo a 'ritornare' sulle riflessioni di quel bambino, alludendovi con un sapiente elenco di regali ricevuti. 
E bravo anche per il tono, ben tradotto, del monologo interiore, così pieno di marce in avanti e marce indietro, nella scansione regolare dei giorni di una settimana. E a proposito di tono, è bello anche il registro che usa Thomas Baas. A partire dalla copertina che molto dice dell'incertezza nel procedere: un bambino che si affaccia da una porta socchiusa, in attesa degli eventi. Il colore che diventa strumento di focalizzazione. 


I luoghi della storia sono solo tracciati in bianco e nero, mentre i due colori guida riempiono Georges, il centro dell'attenzione, e via via sfumano nel contesto, nelle cose che raccolgono i suoi interessi. Non dichiarata, questa soluzione conduce inevitabilmente lo sguardo a cogliere tre diversi livelli di relazione e di importanza. 
Bella idea.

Carla

mercoledì 28 novembre 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


I FANTASMI DI SNOW CASTLE


La parola che meglio può definire il nuovo romanzo di Sonya Hartnett, ‘I figli del Re’, pubblicato da Rizzoli, è ‘complessità’. Complessità della trama, che vede due narrazioni parallele, una al presente, un presente ambientato nel 1940 in Inghilterra, e l’altra, che si incastra nella prima sotto forma di racconto leggendario, ambientato negli stessi luoghi ma cinque secoli prima. Complessità dei personaggi, che accogliamo all’inizio con una certa impressione di vacuità e che acquistano una forte caratterizzazione nel corso della narrazione. Complessità del tema, che sottende il racconto vero e proprio: la guerra, il coraggio, il diventare grandi. E, ancora una volta, l’abbandono dell’infanzia, segnato da un evento traumatico.
Andiamo con ordine; intanto la trama, che parte da una Londra impaurita, in attesa dei primi bombardamenti; qui vive la famiglia, facoltosa e importante, di Cecily e Jeremy. Partono insieme alla madre e ad una piccola sfollata, destinazione la tenuta dello zio Peregrine, nel lontano Nord. In questa tenuta ci sono anche le rovine di un antico castello, Snow Castle.
Jeremy, un quattordicenne intriso della retorica del ceto cui appartiene, freme per partecipare in qualche modo allo sforzo bellico, mentre la sorella più piccola è impegnata a dimostrare la sua importanza a scapito della piccola sfollata May, il cui padre è morto in Francia, sul campo. Heloise, da brava signora dell’alta società, pensa di avere tutto sotto controllo e di gestire la vita dei figli ancora ‘bambini’.
Su tutti veglia lo zio Peregrine, con un grande lutto alle spalle e una gamba poliomielitica che gli ha impedito di partecipare alla guerra. Le giornate trascorrono relativamente tranquille, mentre le bambine scorrazzano in libertà, seguite dal terranova dello zio. Nel corso di queste incursioni, le due bambine perlustrano le rovine di Snow Castle, imbattendosi in due ragazzi dall’aspetto inconsueto.
Negli stessi giorni lo zio Peregrine comincia a raccontare la storia delle rovine, storia che ha a che vedere con l’affermazione della casata Tudor nella lotta per la corona d’Inghilterra. Si parla di omicidi, tradimenti e soprattutto della segregazione di due ragazzi, di cui il più grande legittimo erede al trono di Inghilterra. La vicenda mi sembra corrispondere all’ascesa al trono di Riccardo III nel 1483. La vicenda in realtà si svolse a Londra e il giovane erede al trono insieme al fratello furono reclusi nella Torre di Londra. Una storia truce, piena di crudeltà e che vide la lunga prigionia e poi la morte di due innocenti.
I due ragazzi incontrati da Cecily e May sono dunque due fantasmi imprigionati nel loro destino?
Nel frattempo Jeremy fugge, per dimostrare a se stesso e al mondo di essere in grado di affrontare la sua prova di coraggio. Il suo obbiettivo è raggiungere Londra, ormai oggetto di quotidiani bombardamenti nemici.
Qui diventa necessario soffermarsi sui personaggi, che mutano improvvisamente ruolo al momento della scomparsa di Jeremy: Heloise, da gran dama altezzosa e distante si trasforma in una madre come tante altre, che, nel difendere la vita del figlio, esprime il suo disprezzo per la guerra e per chi la vuole a tutti i costi, mettendo in dubbio l’etica che dovrebbe giustificarla. Cecily è accecata dalla paura e scaglia le sue ire su May, che si dimostra la più forte, la più fiera figura di resistente. Infine Jeremy stesso, travolto dalla sua idea romantica di eroe, che torna dalla sua avventura londinese vittorioso e sconfitto nello stesso tempo. Cecily e Jeremy scoprono la realtà del loro padre mitizzato come un eroe, in realtà un normale banale borghese che utilizza i suoi privilegi. Vedere i genitori per quello che sono è uno degli aspetti del diventare grandi, lasciandosi alle spalle il mondo infantile fatto di eroi e regine. Così come vedere direttamente la furia distruttrice della guerra ne demolisce il fascino romantico.
Ho cercato di ragionare sulla funzione che nella narrazione è svolta dal racconto di Snow Castle, i cui evanescenti abitatori svaniscono alla fine del libro. Questi incontri, fra le due bambine e i due fratelli, al limite fra immaginazione e realtà, servono soprattutto ad introdurre un racconto che è una descrizione amara del potere, di ciò che le persone fanno in nome di esso e delle conseguenze che ne derivano. C’è molto da discutere in questo romanzo: una descrizione molto dura della borghesia, dei privilegiati che si dibattono in dilemmi etici quando gli altri combattono e muoiono; ma nello stesso tempo un’idea disincantata della crescita, che alla fine non è altro che allinearsi alle idee degli altri e corrispondere al futuro che altri hanno immaginato; e la figura un po’ troppo frivola e superficiale di Cecily, che a dodici anni riveste il ruolo di ‘bambina’ viziata.
E’ quindi una lettura che richiede impegno e attenzione e che consiglierei a partire dai tredici anni.

Eleonora

“I figli del Re”, S. Hartnett, Rizzoli 2018



martedì 27 novembre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


ULTIMO VENNE IL VERME

Come il camaleonte salvò l'Arca di Noè
Yael Molchadsky, Orit Bergman (trad. Shulim Vogelmann)
La Giuntina 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Nell’arca di Noè c’è grande affollamento ed eccitazione:
gli asini ragliano, le rane gracidano, i leoni ruggiscono
e la pioggia ticchetta sul tetto – tic, tac, tic, tac, tic, tac.
Noè non capisce il linguaggio degli animali, ma sa ascoltare:
sono affamati, è arrivato il momento di dargli da mangiare.
Scende in dispensa nella pancia dell’arca per preparare,
insieme a sua moglie Naamà e ai figli, il pasto per ogni animale."

Con grande attenzione e competenza Noè prepara qualcosa da rodere per i roditori, qualcosa da predare per i predatori, qualcosa di molle per i molluschi, e sua moglie Naamà va all'alba a nutrire il gallo e Noè a notte fonda nutre pipistrelli, lupi, istrici, orsi e civette.
Gli unici che non mangiano, o meglio che non mangiano ciò che Noè somministra loro, sono i due camaleonti: radici, semi, noci e foglie vengono ignorati. 


I due ragazzi di Noè, Sem e Cam, sono curiosi delle abitudini di queste due bestioline. Notano il cambiamento di colore che forse corrisponde a un mutamento di gusto...Notano la gobba, come quella dei cammelli, ma anche la pappagorgia, come i pellicani, magari sono già piene di cibo? Intanto i due camaleonti continuano a non mangiare ma Noè sa che il gusto non si discute e quindi non dispera. Il loro dimagrimento però alla lunga lo impensierisce come pure gli dà pensiero l'allarme lanciato dalla moglie che scopre vermi a bordo che stanno mangiando le scorte di frutta e verdura.
La soluzione è a un tiro di schioppo, anzi no, a un tiro di lingua.
Messa in salvo una coppia di vermi 'eletti', i restanti diventano terreno di caccia per i due camaleonti. 


La sopravvivenza sull'arca, vermi a parte, è in salvo.

L'arca di Noè è una meravigliosa storia che ha generato un bel po' di belle idee che poi sono diventate bei libri per bambini.  
Tutti quegli animali, il viaggio avventuroso per mare, la convivenza forzata sono questioni piuttosto stuzzicanti...
Alcuni libri si limitano a raccontare la vicenda, altri ne indagano aspetti e declinazioni particolari: il migliore è L'arca parte alle otto, con i tre pinguini che non rinunciano a salire a bordo, nascondendo il terzo in valigia, a seguire Perché il cane ha il naso bagnato?: un altro caso di salvazione nella salvazione. E ancora Quando Noè cadde dall'arca, con le rime di Nicola Cinquetti, e ultimo, rigorosamente silenzioso, il beneaugurante C'è posto per tutti di Massimo Caccia.
A questa personale collezione ideale di storie che hanno a che fare, a vario titolo, con l'arca ora si aggiunge questo titolo che, ben più degli altri, radica nella tradizione del racconto originale. Eppure, come gli altri citati, declina in modo molto originale la storia biblica. E con gli altri condivide un tono decisamente 'ironico'. Ed è proprio l'ironia l'elemento che spicca già dalle prime frasi del testo e dai primi disegni.


La sezione dell'arca così come la concepisce Orit Bergman, vista nella frenetiche attività, con gli animali, in coppia, messi in ordine per non sprecare spazio (Massimo Caccia rules), e quella certa aria di tensione che si coglie negli sguardi di predatori e predati, o ancora il brulicante vai e vieni degli 'addetti ai lavori', primo fra tutti Noè con la sua inseparabile bisaccia rossa. Vivace il registro della Bergman, così movimentata e colorata, e ancora più vivace il testo che Shulim Vogelmann restituisce in una traduzione esilarante.
Con precisione elenca i versi degli animali e li mette in sequenza con quella pedanteria di cui i bambini sono assoluti maestri. Altrettanta puntualità si ritrova nella scelta dei menu e negli orari di foraggiamento. 


I bambini e le bambine saranno ben contenti nel sentirli snocciolare uno dopo l'altro con tanta esattezza.
Resta solo un unico dubbio che ha a che fare con la deontologia professionale di Noè. Dio è stato molto chiaro: solo una coppia per ogni animale abitante della terra. Dunque i vermi che generano l'allarme dato da Naamà sono i figli della coppia salvata da Noè, oppure sono larve 'clandestine'? E se così è, perché allora Noè non ne aveva salvato due esemplari fin dal principio e perché lo fa solo dopo, eleggendone due tra tanti? E ancora: con quale criterio sceglie i due fortunati?
Il tema della scelta, la questione della punizione...
Domande che sarebbe bello mettere in condivisione con i bambini per ragionarne con loro. Senza contare le questioni che sono a monte di tutta questa storia del diluvio. 


Come spesso accade nelle scelte editoriali di Giuntina, le questioni che pongono i loro libri superano il confine strettamente religioso di partenza e guardano oltre, navigando in acque libere.

Carla

lunedì 26 novembre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


IL BAMBINO CHE TUTTO PUÒ

La mia magia, Gaia Guasti, Simona Mulazzani
Camelozampa 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"La mattina il sole sorge per scaldarmi.
La mucca fa il mio latte.
Il fornaio cuoce il pane per me.
Le mie nuvole corrono in cielo.
Il gatto mi fa le fusa.
Chiamo. Una voce risponde."

Ha due grandi occhi scuri, i capelli biondo-rossicci, di giorno indossa una maglietta a righe e di notte un pigiama a pois: è un bambino-creatore del mondo, dei mondi. Fa colazione con pane e marmellata. Quando chiama c'è sempre qualcuno che arriva: ha una mamma che gli legge, un gatto con cui giocare. Quando fa tramontare il sole e venire la notte, la sua casa si addormenta e il bambino che tutto può, chiude gli occhi, non prima di aver acceso stelle e luna, e poi finalmente anche lui prende sonno. 


E con lui che dorme anche il mondo intorno svanisce per rinascere l'indomani, quando i suoi occhi si apriranno di nuovo.

Pensare grande, non vedere limiti, creare tutto, concepire il mondo e farlo obbediente sono tutte attitudini dell'infante: altro che privo di parola (in-fari)! Un bambino è un piccolo dio onnipotente in grado di fare e disfare nello spazio di un istante.
Questo è il pensiero che Gaia Guasti dedica all'infanzia. 
Un'attestazione, una presa d'atto, che le cose stanno così tra i piccoli.
Uno (in verità, due) dei migliori libri che raccontano l'infanzia sono stati scritti e illustrati da Nikolaus Heidelbach e in Italia pubblicati con scarso seguito da Donzelli rispettivamente con i titoli: Cosa fanno i bambini? e Cosa fanno le bambine? Nel suo catalogo di bambini e bambine, Heidelbach disegna la bambina che vuole fare carriera negli abiti di una papessa, mentre si guarda allo specchio, con un paralume in testa e una tovaglia per mantello; mentre il bambino che fa uno scambio, ai bordi di una sabbiera in cui gioca un bebè, sta vendendo l'anima del fratellino al diavolo, passandogli il ciuccio del piccolo.
Onnipotenti entrambi.


Nell'albo di Gaia Guasti il registro è meno tagliente e 'scomodo', ma altrettanto correttamente si descrive una condizione che l'umanità attraversa: l'infanzia, l'età d'oro in cui tutto è possibile.
Se la 'scomodità' in Heidelbach è tutta per gli adulti che colgono immediatamente l'irriducibilità dell'infanzia a un canone di 'civilizzazione' o di educazione, o di contenimento in La mia magia tutto è virato attraverso un filtro di 'tenerezza' nello sguardo dell'adulto. Condiscendente, entra in scena, nei panni di una madre, a rispondere ai bisogni, a esserci quando interpellata. 
Da Heidelbach, invece, i grandi non hanno accesso sulla pagina, salvo l'eccezione dei due genitori mostri meccanici con cui il bambino condivide la cena. Da qui forse deriva lo scarso successo delle vendite...
Al contrario, in La mia magia, sebbene la Guasti, nella stringatezza del testo, non senta il bisogno di dare aspetto a una figura affettiva nei confronti del bambino onnipotente - si limita a un 'Chiamo. Una voce risponde' - ci pensa Simona Mulazzani a contestualizzare il senso e a rassicurare lettori piccoli e grandi, che va tutto bene. 


Il panettiere ha fatto il pane, la torta è nel forno, abbondante cibo è sulla tavola, gli animali sono devoti e qualcuno anche al guinzaglio, i giocattoli giacciono numerosi sparsi sul pavimento e un morbido letto con coperta a losanghe - la stessa che avvolge i risguardi - è testimone muta e accogliente per il sonno di gatti, bambini e persino della luna.
In conclusione si potrebbe riassumere così: grazie alla potenza che si scatena in qualsiasi dialogo, in un albo illustrato esso nasce tra testo e disegno, da una parte Gaia Guasti osserva e riporta il senso di onnipotenza di un bambino, in un racconto in prima persona, ritmato e asciutto; dall'altro Simona Mulazzani, si infila, colmando i silenzi lasciati dal testo, declinandolo in una chiave tenera e rassicurante. Tutto così diventa più morbido, più rotondo e avvolgente. 


Per questo, non è difficile immaginare una lettura intima tra un grande e un piccolo, con ogni probabilità prima del sonno notturno al sicuro e al caldo nel proprio letto, tra i propri giochi, nella propria camera, nella propria casa. 


Per quanti sforzi possa fare, però, non riesco a non pensare che sebbene tutti i bambini del mondo naturalmente tendano all'onnipotenza, non a tutti essa è concessa, sebbene tutti i bambini del mondo dovrebbero addormentarsi al sicuro, non a tutti è concesso.
Ecco.

Carla

venerdì 23 novembre 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


SOMMERSI


Dopo ‘Il sogno del Nautilus’, ritorna David Almond come autore di albi illustrati, anche questa volta pubblicato da Orecchio Acerbo e, credo non casualmente, ritorna anche in ‘La diga’, uscito da poco, il tema dell’acqua che tutto sommerge e nasconde.
Dunque, in entrambi i casi si rappresenta un mondo sommerso: nel primo caso, un inquietante mondo futuro, dove le città, i monumenti creati dagli uomini si sono trasformati nello scenario incantato in cui si muovono le creature marine, ormai padrone del mondo. Qui, invece c’è un episodio concretissimo, la costruzione di una diga negli anni ‘80 nel Northumberland, regione del nord est dell’Inghilterra, ai confini con la Scozia.
Come sempre in questi casi, una parte del territorio è destinato a essere sommerso. Almond racconta di un uomo e di sua figlia che fanno un’ultima passeggiata nelle terre destinate a scomparire: prati, alberi e case. Soprattutto case, oramai abbandonate e lasciate al loro destino. Prima che l’acqua le nasconda allo sguardo, padre e figlia le visitano una dopo l’altra, lei suonando il violino, lui cantando e ballando. E’ un omaggio a chi è vissuto lì e ha cantato e ballato negli anni passati; un omaggio ad uno spicchio di mondo che rischia l’oblio. Per Almond opporsi all’oblio è tener viva la tradizione, la musica, lo stare insieme riconoscendosi uno nell’altra.


Quello che verrà dopo non è un paesaggio desolato, al contrario è un bel lago circondato da prati e altra vita è cresciuta nel nuovo ambiente. Non c’è dunque nemmeno l’accenno a una visione nostalgica rivolta al passato del mondo di prima; c’è piuttosto la volontà di mantenere viva una tradizione e di rendere omaggio a chi, nel tempo, gli ha dato corpo e voce. Niente a che vedere con la visione apocalittica de ‘Il sogno del Nautilus’; qui il rammarico per ciò che si è inevitabilmente perduto, e che viene rappresentato dalle case prima piene di vita e ora vuote, è compensato dalla consapevolezza che la memoria non scompare con gli edifici, ma resta viva nelle persone e nei loro ricordi.
Levi Pinfold, autore di ‘Cane nero’ e di ‘La stagione dei frutti magici’, si riconferma illustratore validissimo, capace contemporaneamente di realismo e di trasfigurazione. Qui sceglie di seguire la storia mantenendo una tonalità costante, una gamma cromatica limitata che va dal bruno all’ocra, con pochi inserti di un verde pallido e di un azzurro del cielo che solo alla fine si illumina. Si va da grandi tavole a pagine in cui si sommano piccoli ritratti, che riportano alla luce vite disperse, persone che lì hanno abitato e che non ci sono più. Dettagli, immagini come enumerazioni di cose, animali, alberi che verranno ricoperti dall’acqua, una sorta di catalogo della memoria, mentre le immagini a tutto campo rappresentano il presente, la vita vissuta ora, la sua proiezione nel futuro.


Sicuramente privo dei toni poco rassicuranti dell’albo precedente, ‘La diga’ è una piccola storia di un posto lontano, ma è anche un discorso sulla memoria, sui cambiamenti che costringono a cesure radicali, sulle tradizioni e sulla musica, come espressione autentica di una comunità.
E’ una lettura a più livelli, che apre molti discorsi e che consiglio a partire dai sette anni.


Eleonora

“La diga”, D. Almond e L. Pinfold, Orecchio Acerbo 2018



mercoledì 21 novembre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


RARO COME UNA BRAMEA

Aiaccio, Biagio Russo, Daniela Pareschi
Lavieri 2018


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)


"Aiaccio, questo il suo nome d'arte, non era più giovanissimo. Non era nato per far ridere. Aveva iniziato come giocoliere, quindi funambolo, poi trapezista. Non era un semplice acrobata, ma un angelo a cui mancavano solo le ali. Con la rete o senza rete. Era davvero bravo. Anzi di più."

Il suo vero nome era Angel. Adesso invece, Aiaccio il pagliaccio. Manca poco alla fine del suo numero in pista, sotto il tendone del circo Aladin. Uno schiaffo del vento, un tappeto messo male e Aiaccio finisce a terra: tutto il pubblico, a vederlo steso a gambe e braccia divaricate da una ventata atterrare con il faccione sulla cacca dell'elefante Menelik, ride così tanto da far gonfiare il tetto spiovente.


Che cosa aveva trasformato il bravissimo acrobata Angel in un pagliaccio goffo per le scarpe grandi? Un incontro. Era arrivata in un giorno di giugno ed era bella, scura e gitana. Gli aveva messo il volto nell'incavo del collo e non lo aveva più tolto fino al momento del bacio. Quella mattina all'alba, Gipsy aveva volteggiato al trapezio più alto, leggera come una rara bramea. Angel, sulla pista, la ammirava. E poi la vide precipitare. 


Angel va in mille pezzi e quando finalmente ritrova la forza di rimettere assieme le parti della sua vita, di Gipsy non sa più nulla. Con lei se ne è andata la leggerezza del volo e la felicità. Angel dimentica il trapezio e finisce in pista con il naso rosso di spugna: un pagliaccio triste. Il tempo passa. Spettacolo dopo spettacolo il pagliaccio Aiaccio fa ridere il pubblico. E oggi, con quella caduta, ancora di più. Solo una persona non si unisce al coro di risa. E ora è lì, a terra, a pulirgli il viso rugoso imbrattato di cacca di Menelik e a offrirgli un braccio per rialzarsi. Quando i loro sguardi si incrociano, il cuore stanco di Aiaccio parte a martello. Li hanno visti allontanarsi e sparire per non tornare più.
C'è chi dice che questa storia non sia vera, ma sarebbe una sciocchezza non crederci.

È la storia di una caduta di creature bellissime e fragili. Una caduta che ha una sua nemesi.


È anche una storia di circo che racconta se stesso, un mondo a parte in cui a gioia e meraviglia si alternano malinconia e solitudine. Dal più piccolo circo familiare itinerante che si sposta a dorso di asinello per la Francia del sud al grande spettacolo del Cirque du soleil, il circo è un luogo altro, un tempo e uno spazio sospesi. E anche il circo Aladin non fa eccezione.
Se così è, nascoste sotto la superficie di una bella e struggente storia d'amore nata in un carrozzone, in questo libro è possibile cogliere anche altre verità sotterranee, espresse attraverso la lingua universale della metafora. Esse emergono lentamente e attraverso parole e immagini: il cuore diventa catino che si riempie di acqua, ma anche batte a martello come una campana; la panchina è lo sgangherato luogo di incontro e di partenza di solitudini per antonomasia; la bramea è icona di fragile e raro e la mangusta di istinto selvatico. L'elefante, alla testa degli altri animali del circo, muti testimoni, incarna la consapevolezza di chi sa di sapere. E ancora il volo, con la sua fase aerea e la sua caduta e la sua ripartenza, è archetipo per eccellenza dell'esistenza. 


Massimamente le ali, quelle che Daniela Pareschi disegna ovunque, sono contemporaneamente simbolo di leggerezza, ma anche malinconico resto di una vita trascorsa, nel costume di scena di Aiaccio.
Usare la metafora per raccontare storie è cosa buona e giusta, ma non è cosa semplice che tutti sanno praticare. Quello che si verifica qui però è qualcosa di ulteriore: che ha a che fare con la rarità della bellezza.


Almeno tre sono le cose belle: la lingua parlata, la lingua illustrata, e il loro dialogo armonico. Biagio Russo ha il coraggio di alzare il tiro e di attingere a un vocabolario oscuro ai più piccoli ed evocativo per i più grandi. Forse è consapevole del fatto che non sempre tutto deve essere spiegato e che le parole possono essere terreno di scoperta e poi di conquista, pagina dopo pagina, libro dopo libro. Daniela Pareschi costruisce le sue architetture leggere dentro cui il lettore si infila a guardare. Tende che si alzano, ombre che si muovono, che creano suggestioni molto forti. Gioca sapientemente con il testo, amplificando le metafore, dando loro forma concreta. Gioca sulle scale dimensionali così come su prospettive e inquadrature sempre diverse, in un'ottica vicina a quella cinematografica. La testa del clown a terra ne è un eloquente esempio.


La terza bellezza sta nel dialogo tra testo e immagini. Laddove il primo tace, si insinua il secondo e comincia a raccontare, ma lo fa - ed è qui la rarità - con lo stesso tono di voce: quello poetico.

Carla

lunedì 19 novembre 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


COSA SI NASCONDE IN UN LIBRO


Arrivato da poco in libreria, il nuovo romanzo di Pierdomenico Baccalario, ‘Le volpi del deserto’, si è imposto subito come una delle proposte più originali nella narrativa per ragazzi, in questo affannoso finale d’anno.
E’ a tutti gli effetti un romanzo di avventura, con alcuni ingredienti ‘classici’: spie, complotti, sospetti, agguati, colpi di scena. E questo lo rende sicuramente apprezzabile anche da lettrici e lettori che prediligono ritmi concitati e azione in quantità. Ma questo romanzo è molto di più.
Intanto è strutturato su un meccanismo narrativo ben oliato, che scorre senza intoppi nonostante le digressioni e i cambiamenti di prospettiva. E poi l’originalità dello spunto di partenza, un complotto internazionale, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, che vede coinvolti Antoine de Saint-Exupery e il generale Rommel, sì, proprio il comandante tedesco soprannominato ‘Volpe del deserto’. Non ultimo, il riferimento esplicito, direi il tributo ad alcuni classici della letteratura per ragazzi, con il grande patrimonio di storie e di personaggi che questa contiene.
Partiamo dalla trama: il protagonista è un ragazzino francese, con una gamba più corta e un amico immaginario sui generis, il fratello gemello, morto al momento della nascita. Morice, questo è il suo nome, si trasferisce con la famiglia da Marsiglia in un paesino della Corsica, dove il padre ha acquistato un albergo in disuso.
Proprio questo albergo è il centro di un intrigo, in cui Morice si infila a capofitto. Il precedente proprietario si è suicidato e intorno ai suoi diari cresce l’interesse di persone le più disparate. Fra queste una coppia, fratello e sorella, tedesca, quanto mai inquietanti. Poco prima dell’arrivo in città di Morice e famiglia, è avvenuta una sparizione misteriosa, un altro abitante del luogo è scomparso senza lasciare traccia. Audrey è una ragazzina del luogo, molto intraprendente e coraggiosa, e convince Morice a cercare il corpo del disperso. Da qui inizia un percorso intricato di segreti, codici cifrati, conventicole di vario tipo. E l’aver trasformato ‘Il Piccolo Principe’ in un codice cifrato è una delle invenzioni più originali del romanzo.
In un’atmosfera sempre più concitata, Morice ricostruire i pezzi di un puzzle che ha al suo centro una congiura contro Hitler, che aveva comandato una ingente spedizione di oro a Mussolini. Di questo oro vuole impadronirsi Martin Bormann, alto gerarca nazista, che ordisce il suo complotto insieme ai due personaggi da poco usciti di scena, che si rivelano essere ex nazisti; a questo si contrappone il controspionaggio americano, che ingaggia Saint Exupery col suo leggendario velivolo; lo scrittore francese stringe un patto con Rommel per fermare i cospiratori. Ma che fine abbia fatto il sommergibile che trasportava l’oro, nessuno è in grado di dirlo. E sono in molti, ovviamente, a cercarlo.
Questa, per sommi capi è la trama; da quello che ho scritto si può capire quanto sia intricata, densa di riferimenti storici veri, su cui si innesta l’invenzione di questo paesino corso in cui i destini dell’Italia e della Germania, durante la guerra, si sono compiuti.
Tutto lo svolgimento della narrazione, i diversi personaggi, dalle sorelle di Morice ai cospiratori corsi, sono trattati con accuratezza, così come il linguaggio è vivace, mai banale.
In poche parole una costruzione ben equilibrata in cui tutto sembra andare al suo posto.
Ma c’è un altro aspetto da sottolineare: mi sembra che Baccalario descriva e racconti quel passaggio di vita che corrisponde all’abbandono dell’infanzia, quando l’avventura si fa reale e si paga un prezzo per le proprie scorribande. Così come è raccontato ne ‘Il piccolo Regno’, anche qui crescere significa anche lasciarsi qualcosa alle spalle. Tema importante, coinvolgente per molti ragazze e ragazzi.
Infine due parole sulla copertina, uno degli ultimi lavori, penso, di Gianni De Conno, che ancora una volta ci regala un’immagine trasognata e malinconica di grande efficacia.
Sono certa che lettrici e lettori, a partire dai dodici anni, apprezzeranno questo romanzo originale e appassionante.

Eleonora

“Le volpi del deserto”, P. Baccalario, G. De Conno, Mondadori 2018