venerdì 31 gennaio 2020

FAMMI UNA DOMANDA!


UN RITORNO TEMPESTIVO


Ammetto di apprezzare Neal Layton come illustratore e come divulgatore : ‘Grande storia universale’ del 2006, non solo è un capolavoro, ma è stato uno dei libri più innovativi della produzione scientifica per ragazzi.
Il suo incipit era un vero manifesto: ‘C'era una volta, tanto tempo fa, proprio NIENTE. Niente spazio, niente tempo, nessun pianeta, nessuna persona, non io, neppure voi, niente di niente, finché... e no! Non possiamo rivelarvi tutto ...’, accompagnato dal famoso pop up del big bang.
Ovvero, quella innovativa commistione di interattività, illustrazione e testo, peraltro ironico, che in quel caso costituiva, come in tutta l’opera dell’autore inglese, un tratto distintivo.
Il pop up del big bang che si apriva nelle mani della bambina, o bambino, esploratrice, catturava immediatamente l’attenzione, mentre il testo, di lì a poco, avrebbe introdotto il giovane lettore a incontrare concetti assai complessi.


Dunque, il ritorno di Layton, in ‘Un pianeta pieno di plastica’, pubblicato da Editoriale Scienza, non può che essere un gradito ritorno. Il titolo dichiara chiaramente le intenzioni, spiegare uno dei problemi ambientali più difficili da affrontare, la gestione dei rifiuti di plastica.
Intanto, come ogni buon libro di divulgazione, si parte dalla spiegazione delle caratteristiche di questo materiale, la cui storia è in realtà piuttosto breve, grosso modo centocinquanta anni. Il paradosso di questo materiale sta nella sua solidità: a differenza di tante altri, la plastica è quasi indistruttibile e impiega molti anni non a scomparire, ma a ridursi in frammenti piccolissimi, la micro plastica, che è un inquinante forse anche peggiore dell’oggetto originario.
Particolarmente drammatico l’effetto sugli ecosistemi marini: credo che poche immagini rendano il paradosso del nostro tempo come le gigantesche isole di rifiuti di plastica che si ritrovano in tutti gli oceani, trasportate dalle correnti.
C’è, alla fine, anche la parte propositiva, con l’enunciazione di alcuni ‘buoni’ comportamenti che possono ridurre significativamente l’impatto ambientale di questi prodotti, che hanno in realtà caratteristiche molto diverse.


Layton, come nel suo stile, affronta tutto questo con molta chiarezza e semplicità, con testi ridotti e immagini didascaliche, che spiegano ulteriormente, con la consueta ironia, l’argomento. Per la prima volta, almeno per quanto riguarda i testi tradotti in italiano, utilizza immagini che fondono fotografia e disegno, abbandonando le consuete animazioni. Un libro quindi più essenziale, orientato anche all’aspetto operativo, ma che non rinuncia al sorriso e allo scherzo, nonostante la serietà dell’argomento.
Può essere un utile strumento operativo in classe, così come può piacere a bambine e bambini a partire dai sei anni, per una prima seria introduzione alle tematiche ambientali. Consigliato, ovviamente, anche a tutti i genitori e insegnanti che vogliano modificare il proprio atteggiamento rispetto ai consumi, dando il buon esempio.

Eleonora

“Un pianeta pieno di plastica”, N. Layton, Editoriale Scienza 2010



mercoledì 29 gennaio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


FARE BELLA FIGURA

Cicero. Guida illustrata alle figure retoriche, Lucia Biancalana
Pièdimosca Edizioni 2019


ILLUSTRATI (dai 10 anni)

"Delle figure retoriche hai certo sentito parlare e il termine metafora non dovrebbe esserti del tutto estraneo. Se poi hai mai detto frasi come 'non ti dico che giornata' o 'è un secolo che non ci vediamo', ti è sicuramente chiaro ciò di cui stiamo parlando.
Dal momento che la retorica è un po' ovunque, si potrebbe pensare che siamo tutti dei grandi oratori. In realtà, c'è una piccola differenza che distingue i versi di un poeta dalla frase che esclamiamo al vicino di casa. Difatti, se parlare per figure retoriche è un'abitudine comune, il saperle riconoscere, interpretare e sfruttare consapevolmente rientra nell'arte oratoria."


'Si fanno più figure retoriche in un giorno al mercato in piazza che in molti giorni in assemblee accademiche.' César Cesneau Du Marsais

Fortunati sono quelli, me compresa, cui capita di frequentare assemblee accademiche in cui le figure retoriche, in particolare le metafore, sono l'aria.
Se in quelle suddette assemblee si parla di letteratura, magari anche illustrata, e magari per l'infanzia non è materialmente possibile lasciarle fuori.
Questo però nulla toglie al fatto quell'uomo 'illuminato' che era Cesneau De Marsais, dicesse una cosa vera: figura retorica e inconsapevolezza vanno a braccetto (metafora?). Canticchiare le anastrofi di Baglioni, oppure le reticenze di Patty Pravo o le enfasi di Mina nel sottolineare il se, fare tutto questo e non averne contezza, almeno non nell'immediato, è la condizione ideale in cui vivere. 


Tuttavia è utile, a posteriori, verificare che le parole sono portatrici di senso (caratteristica su cui troppo poco si riflette), e che non sono lì per caso e soprattutto che ci colpiscono di più, se messe in una sequenza determinata, da precisi criteri. Possibilmente inaspettata e immaginifica.
E qui viene il punto.


Il bello delle figure retoriche, a mio avviso, è che sono soprattutto figure. In questo senso metafore, metonimie, sineddochi, sinestesie, ossimori attingono a un immaginario visuale, in ogni caso sensibile, e come tale lo restituiscono : affari che vanno a gonfie vele, gente senza cervello, bicchieri bevuti, colori caldi e ghiaccio bollente per tutti.
Ed è per questo che di questo libro tascabile, come a suggerirne una vocazione di vedemecum, si è attratti soprattutto dalle immagini che hanno la capacità - seppure sacrificate nello stretto e in un b/n impastato - di mettere immediatamente a fuoco tutto quello che si scrive intorno, ovvero tutto l'apparato testuale che è di certo necessario, ma che odora di didattica, citazioni escluse.


Il divano fatto di cactus che arriva dalla immaginifica campagna di AXN Channel, Relax. If you can, oppure il piccolo omino, il Cicero sottostante in ciabatte da spiaggia e bermuda e giacca a vento con cappuccio di piume, sono un bel modo per fissare nella mente che cosa sia un ossimoro. E il verso noto di Catullo, Odi et amo, completa il quadro. E a proposito di quadri, forse anche l'Empire des lumières di Magritte può essere un ulteriore contributo, o è forse invece un paradosso?


O ancora la sinestesia che prende forma nell'immagine, anche questa ridisegnata della celebre opera di quel genio che è Meret Oppenheim, La colazione in pelliccia, che fa arricciare i denti al solo vederla e al poter immaginare se stessi a utilizzare quella tazza e quel cucchiaino per berci un cappuccino (caldo). Accompagnata dal piccolo Cicero, sempre a bordo foglio, mentre mangia pop corn davanti a un film in 3D.
Geniale.


La forchetta (così debitrice nei confronti di Munari) che è una mano che chiede, metafora per alludere alla richiesta di cibo, in occasione della campagna Unicef per il World Food Day del 2012, disegnata dall'agenzia Saatchi&Saatchi è accanto a una delle tante frasi celebri di Snoopy, che sono ormai patrimonio comune del nostro immaginario.
La bellezza di Cicero dunque dove sta? Nell'intelligenza e in un evidente pensiero divergente che è a monte di questo progetto editoriale.
Brava a Lucia Biancalana che ha saputo creare, nella sua tesi all'ISIA, begli intrecci e ha saputo comporre con sguardo originale materiale complesso. Il suo bagaglio di conoscenze è vario e ampio e lei ha saputo scegliere e mettere insieme cose lontane tra loro (e quindi ha creato 'un'anomalia' sulla pagina) il pop e l'aulico, Mina con la Venere di Willendorf (i maligni pensano non sia un caso), l'arte dei musei con la pubblicità televisiva (che spesso ne è piena, di arte; si pensi a chi canticchia Khachaturian, inconsapevolmente, mentre pulisce con lo sgrassatore universale...), nell'aver mischiato molto, nell'aver saputo spiccare bei salti in direzioni anche molto diverse tra loro. 
Nell'aver trasformato in segno ciò che è parola.


Milton Glaser applaudirebbe!
E bravo anche il collettivo Pièdimosca, microscopica realtà, fatta anch'essa da un gruppo di gagliarde menti, che ha deciso di pubblicarlo.
Bravi tutti nell'aver saputo risparmiare senza aver per questo mai perso di vista una certa qualità formale. E per averla saputa mostrare, quasi con orgoglio (fra le righe si legge tanta cura e passione), questa economia necessaria a chi ha ancora piedini da mosca.
Non si dice nulla di nuovo se si afferma che intelligenza, pensiero divergente, buone metafore, qualche sineddoche, un paio di eufemismi, una litote e tre onomatopee sono materia necessaria per poter dialogare alla pari e con un qualche costrutto con l'infanzia.

Carla


Noterella al margine.
Va da sé che una ulteriore funzione di questo libro da tasca sia quella di generare in chi lo sfoglia e lo legge la curiosità di andarsi a cercare, pagina dopo pagina, gli originali delle opere 'citate': è una bella esperienza. Provare per credere.

lunedì 27 gennaio 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


UNO SGUARDO SUL BARATRO


Se la storia di Max, è soprattutto una storia di finzione, basata su un evento storico, la ‘Storia di Sergio’ è una storia vera, dal principio alla fine. Una storia tragicamente vera.
E’ la storia di un bambino di ascendenza parzialmente ebraica, rastrellato insieme alla madre, alla nonna, alla zia e a due cuginette, a Trieste il 21 marzo del ‘44.
Tutta la famiglia, di cui conosciamo già Andra e Tati per un corto che ne racconta la storia e per il libro che ne è stato tratto, è deportata prima alla Risiera di San Saba, poi ad Auschwitz.
Il libro scritto da Alessandra Viola, basandosi sulla testimonianza di Andra e Tatiana Bucci, sopravvissute all’Olocausto, descrive la vita del campo, la separazione dei bambini in un capannone, in cui conducono una vita miserabile, ricevendo rarissime visite clandestine da parte delle loro madri.
Ma se questo di per sé può essere visto già come il peggiore dei destini, a Sergio, che ha quasi sette anni, capiterà di peggio.
Nel loro delirio suprematista, i nazisti pensano di utilizzare i bambini ebrei come cavie per esperimenti medici; e quale inganno più atroce per ottenerne la collaborazione, se non la promessa di riportarli alle loro madri? Ed ecco Sergio uscire dalla fila, insieme ad altri, nonostante Andra e Tati l’abbiamo scongiurato di non farlo. Si può credere alle peggiori menzogne, se ci consentono di coltivare una flebile speranza. E’ quello che fa questo bambinetto, convinto di incontrare nuovamente la madre e destinato a diventare una delle cavie del dottor Kurt Heissmeyer, che portava avanti esperimenti sulla tubercolosi nel famigerato campo di Neuengammer.
Il finale è tragico; l’imminente fine della guerra e la disfatta inducono i tedeschi a tentare di cancellare le tracce della loro ignominia. Cancellare le tracce umane, in primo luogo.
Il custode della scuola elementare, nei cui sotterranei si svolsero queste atrocità, conservò a lungo, nascosta, la documentazione di quanto era avvenuto. Un giornalista tedesco, entratone in possesso, raccolse anche altri elementi che permisero di rintracciare e processare alcuni dei responsabili, fra cui il dottor Heissmeyer.
Questa è la storia, che pare quasi inverosimile per quanto profondo è il baratro di disumanità che spalanca davanti agli occhi del lettore. Questa è la doverosa ricostruzione dei fatti, che raccoglie l’invito del fratello di Sergio, Mario, nato dopo la guerra, a non dimenticare, a rendere giustizia a queste vittime innocenti attraverso la testimonianza.
In generale, preferisco i testi che usino la finzione letteraria, la trasfigurazione attraverso il racconto, per raccontare la Storia, o anche la cronaca. Troppo grande il rischio della retorica, dell’approccio didascalico, dei giudizi morali troppo superficiali.
Ma c’è anche la necessità della testimonianza e, in quanto tale, questo libro rappresenta un raro punto di equilibrio fra documentazione storica e racconto. Di libri come questo c’è ancora bisogno, se hanno ancora voce i negazionisti, se l’antisemitismo ritrova voce in tante parti d’Europa.
‘Storia di Sergio’, pubblicato da Rizzoli in occasione della Giornata della Memoria, è un libro davvero difficile da affrontare, nonostante, in fondo, non si descriva più di tanto l’orrore dei campi di sterminio. Ma qualsiasi lettrice e lettore non può non cogliere l’immensità della tragedia, l’immensità del Male che in quegli anni imperava in Europa.
Consiglierei la lettura a ragazze e ragazzi maturi e informati, a partire dai tredici anni, che possano affrontare il libro con consapevolezza, sperando che ne possano trarre le adeguate valutazioni storiche, etiche, politiche.

Eleonora

“Storia di Sergio”, A. e T. Bucci con A. Viola, Rizzoli 2020


venerdì 24 gennaio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


DA PORTA A PORTA
 
I miei vicini, Einat Tsarfati (trad. Giusy Scarfone)
Il Castoro 2020


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Vivo in un palazzo di sette piani.
Su ogni piano c'è una porta diversa.
La prima porta ha molte serrature.
E' l'appartamento di una famiglia di ladri.
Collezionano i tesori dei faraoni.
Davanti alla seconda porta, ci sono sempre tantissime impronte fangose."


Quella bimbetta, inforca il portone di casa, sale le scale a piedi e, porta dopo porta, immagina gli abitanti che dette porte nascondono. I singoli dettagli attirano la sua attenzione e le accendono l'immaginazione: per cui tante serrature sono sintomo di abitanti ladri di opere d'arte preziose, tante impronte di fango denunciano il fatto che là dietro ci abiti un vecchio cacciatore con la sua tigre domestica. Una ruota potrebbe essere testimonianza di una famiglia di circensi. All'ultimo piano, dietro la settima porta appunto, c'è proprio casa sua con dentro il papà e la mamma, due genitori che lei trova piuttosto noiosi perché assolutamente normali, o no?

Il 2020, oltre a essere un anno bisestile e è un anno in cui, per ironia della sorte, sono sugli scaffali delle librerie numerose e variegate storie di 'vicinato', uno per tutti L'ascensore, pubblicato da Verba Volant.
Il tema non è esattamente nuovo: ricordo illustri precedenti scritti da Friot e illustrati da Magali Le Huche, oppure il coloratissimo Fino al cielo, di Tom Schamp oppure quello scritto e illustrato da Felicita Sala, o ancora il recente Tipi, scritto da Cristina Bellemo con le illustrazioni di Gioia Marchegiani.
Chissà perché? Forse l'idiosincrasia diffusa nei confronti degli altri, spinge gli autori di libri per l'infanzia a cercare di metterci 'una pezza'. Chissà?


Va detto che il topos narrativo è conosciuto, come anche è consolidato e apprezzato dai bambini lo schema additivo che dà ritmo regolare alla narrazione. Piano per piano si sale a conoscere, o a immaginare, chi abiti nei diversi appartamenti.
Su questo argomento, nel campo della narrativa, mi viene in mente il bel libro Una capra sul tetto, che è così tanto perfetto nella sua massima espansione, da poter essere assunto a canone di questo genere di libri 'condominiali'.
I miei vicini, in realtà, si ferma prima dell'interrelazione tra i diversi abitanti che invece la narrativa può esplorare con maggiori mezzi. Nello spazio di 32 pagine Einat Tsarfati, talento israeliano dell'illustrazione e della comunicazione visuale, con il suo segno pop, produce 'esclusivamente' un divertente spaccato del palazzo dove abita quella ragazzina. Il lettore la segue, piano dopo piano, porta dopo porta. La necessaria valvola di sfogo, la Tsarfati la trova altrove, ovvero nel gioco sottile tra esterno e interno, tra forma del reale e forma dell'immaginazione, laddove la prima è rappresentata dalla porta, diaframma tra il dentro e il fuori, e la seconda da uno scenario molto composito, a un passo dal caos e totalmente folle.


Quest'alternanza, che anche a livello visivo è molto ben scandita tra bianco e colore, tra vuoto di una rampa di scale e il troppo pieno degli interni, alternanza che è connessa a un sottile gioco di ironia e di sorpresa, è il divertimento maggiore nel libro.
Ma non è l'unico.
Interessante e divertente è infatti l'accumulo di oggetti che - a pagine alterne - identifica le case immaginate dalla bambina. Quell'affastellamento di oggetti non è altro che la rappresentazione visiva di come possa essere piena di idee e connessioni e sinapsi la testa di un bambino o, come in questo caso, di una bambina.


Il disegno delle pagine piene è un continuo richiamo anche agli adulti lettori che, tirati dentro, potranno divertirsi a fare anche loro una gara interiore di riconoscimenti di oggetti e utensili più o meno desueti, di opere d'arte, di citazioni che si spingono fino all'Alladine Sane di David Bowie, tanto per dirne uno.


E come se non bastasse, c'è anche un criceto MISSING da cercare!

Carla

mercoledì 22 gennaio 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


QUELLO CHE I BAMBINI NON DOVREBBERO CONOSCERE



Quello che Sophie Adriansen ci racconta in ‘Il giorno speciale di Max’ è un episodio realmente accaduto: si tratta del rastrellamento degli ebrei parigini il 16 luglio del 1942.
Il protagonista è Max, un ragazzino che proprio il 16 luglio deve compiere otto anni; ha appena ricevuto in dono un bel pesce rosso, perché è il più bravo della classe e si aspetta la festa, col clafoutis di ciliegie e i regali che i genitori e la sorella, nonostante la guerra, sono riusciti a preparargli.
Max porta una stella gialla cucita sulla camicia e non gli dispiacerebbe nemmeno, se non fosse per gli insulti che riceve dai compagni di scuola. E’ del tutto ignaro del significato delle discriminazioni cui è sottoposto, così come è impreparato a quella strana avventura che si chiama rastrellamento.
L’autrice ci mostra i diversi passaggi, che dal rastrellamento portano ai campi di concentramento, attraverso gli occhi ingenui di un bambino, che mai, nel corso del racconto, coglie appieno il significato di quello che sta accadendo. Lui è preoccupato per il suo pesce rosso, che ha lasciato a casa, quando l’ha dovuta abbandonare in tutta fretta.
La vita nei campi di raccolta è dura, bisogna fare la fila anche per andare in bagno; ed è durante una di queste file che Max viene attirato da un pesciolino argentato che si muove vicino al muro; a tirare il filo che fa muovere il pesciolino di carta è un uomo che, appena Max si avvicina incuriosito, lo prende e lo carica in una macchina dove ci sono degli sconosciuti. Un rapimento? No, un salvataggio. Max arriva in una casa di campagna, dove ci sono altri bambini; cambia nome, impara a nascondere la propria identità.
Qui, finalmente, avrà la sua festa, con il clafoutis di ciliegie e un nuovo pesciolino da allevare. Qui aspetterà, invano, di poter riabbracciare i genitori e la sorella.
Sophie Adriansen ha scritto questa storia partendo da un episodio raccontatole da una conoscente, che era riuscita a sfuggire al rastrellamento del Velodromo, il primo luogo in cui le persone sono state raccolte, insieme a i figli. E’ tutto vero: il 16 luglio del ‘42 13.152 ebrei, di cui 4.115 bambini, sono stati presi dalle loro case e rinchiusi nel Velodromo. Vengono poi portati in campi di concentramento in Francia e poi deportati in Germania. Di quei 13.152 ebrei sono sopravvissuti in un centinaio, nessun bambino.
E’ altrettanto vero che in Francia la resistenza aveva costruito una rete di famiglie che nascondevano famiglie ebree.
Dunque, anche in questa piccola storia, riconosciamo i sommersi e i salvati, i giusti e i carnefici e soprattutto gli indifferenti.
Tutto questo, successo in fondo pochi decenni fa, è potuto accadere anche perché in pochi si sono opposti a quello che è stato il più grande sterminio di massa nella storia recente.
La storia di Max ci racconta tutto questo con l’ingenuità di un bambino che non comprende, non può e non dovrebbe mai succedere che possa farlo, quello che accade, cosa gli sta capitando e ci restituisce, in questo modo, tutta l’inumanità che quel genocidio, e tutti gli altri, rappresenta.
Le bambine e i bambini non dovrebbero mai sapere cos’è un genocidio, la discriminazione, l’abuso, la costrizione in campi di detenzione o di concentramento.
Ma siamo circondati anche oggi da esempi di infanzia violata: i bambini nei campi profughi, sui barconi, nelle guerre, nei campi di detenzione a breve distanza da noi.
Anche noi siamo malati di indifferenza?

Eleonora

“Il giorno speciale di Max”, S. Adriansen, ill. di I. Zanellato, De Agostini 2020


lunedì 20 gennaio 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

L’INCANTO DELLA SERA


E’ quasi ora di dormire; la coniglietta, o coniglietto, in braccio alla sua mamma percorre la strada verso casa, già pronta ad affrontare il sonno. Mentre camminano, guarda con occhio vispo verso le finestre, vede il cuoco e il libraio chiudere bottega, alle finestre intravede chi parla, forse, con qualcuno lontano, chi si riposa leggendo un libro e chi fa festa. Sopraggiunge il papà che presiede al rito del sonno, mentre là fuori qualcuno ha preso l’ultimo treno per andare a casa.


Quello che racconta questo intenso albo di Akiko Miyakoshi, pubblicato da Salani, è un momento della giornata comune a tanti bambini e bambine: quello che precede il sonno, quel territorio di confine fra sonno e veglia in cui tutto si sfuma, ma non per questo è meno interessante. Le vite degli altri, le gioie, la nostalgia, i ricordi della giornata passata affiorano, scorrono davanti agli occhi assonnati della coniglietta, che fra poco entrerà nel mondo fantastico dei sogni. Tutti, proprio tutti la sera tornano a casa, quel nido caldo e accogliente che ci aspetta alla fine della giornata, quel luogo di cui tutti abbiamo bisogno.
Ogni pagina è come un’istantanea, un frammento di vita, colto nell’intimità delle case, dove ci si incontra, si prepara la cena, si riposa o si fa festa.


Lo sguardo della piccola protagonista è uno sguardo curioso, che vede in questi sprazzi di vite altrui l’annuncio del suo arrivo a casa, dove un papà affettuoso l’accompagnerà verso il mondo dei sogni.
‘La strada verso casa’ è un albo delicatissimo e intenso nel raccontare qualcosa di impalpabile come un’atmosfera, uno stato d’animo, realizzato con tecnica raffinata e infinita poesia.
L’illustrazione è realizzata a pastelli su carta a grammatura pesante, basata sulla gamma dei grigi e delle terre, con qualche sprazzo di colore laddove si intravedono le luci dietro le finestre; qualche vestito, lo spazzolino da denti rosso, la maglietta rosa della nostra coniglietta: questa la gamma cromatica che rende l’albo di grande rigore e misura, perfettamente equilibrato nel rendere quello che a parole non si può descrivere. E’ un’atmosfera notturna, in cui l’oscurità viene rischiarata dai lampioni, dalle luci provenienti dalle finestre che si affacciano sulla strada, e all’interno delle quali scorgiamo gli abbracci, le attività, le telefonate, i saluti, magari in un’ardita prospettiva aerea che inquadra dall’alto le scale di un condominio.


L’autrice giapponese ha ricevuto, per questo albo, la menzione speciale Bologna Ragazzi Award, in occasione della Bologna Children Book Fair nel 2016. Ma ha ricevuto numerosi altri premi internazionali. Un breve booktrailer relativo a un altro albo, di cui anni fa avevamo già parlato.
Ma al di là dell’indiscutibile e interessante capacità tecnica, credo che qui l’autrice giapponese abbia trovato un raro equilibrio, una capacità di fondere bellezza ed emozione, con una sequenza di istanti vivissimi nella percezione di una piccina fra le braccia della mamma.


Grande bellezza, e grande poesia.

Eleonora

“La strada verso casa”, A. Miyakoshi, Salani 2019


venerdì 17 gennaio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


DEI MASSIMI SISTEMI

La filosofia koala, Béatrice Rodriguez (trad. Eleonora Armaroli)
Terre di Mezzo, 2019


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Flip flap flip flap...
'Dov'è il tuo vestito?'
'L'ho tolto. Non è pratico per arrampicarsi sugli alberi. E poi, si poteva vedere sotto... non mi piace che si possa sbirciare sotto il vestito.'
'Ma così sei tutto nudo!'
'Sì, e allora?'
'E' come se ti guardassero sotto il vestito, no?'
'No, perché non ho nessun vestito'".

Era solo poco fa che l'uccellino mostrava a koala un baule pieno di vestiti diversi, aperto proprio sotto il suo albero. Koala ne sceglie uno rosa, lo indossa e poi, felice, improvvisa una danza. Poi sorgono i dubbi: un koala vestito non si è mai visto, argomenta koala con l'uccellino. E nonostante il suo amico lo rassicuri sul fatto che l'amicizia vera non passa per il giudizio, koala teme che gli altri possano prenderlo in giro...


Il koala e l'uccellino passano molto tempo assieme a discutere dei massimi e dei minimi sistemi. Ragionano sul senso della casa, sulla bellezza del niente e del tempo, sulla vita privata e pubblica, sul significato (anche etimologico) della compassione. E mentre i due amici e il camaleonte sono appollaiati su un ramo alto, il vecchio albero cede dalle radici e va giù. E' un vero e proprio lutto e come tale va elaborato. Dopo l'inverno, anche dopo quello interiore, arriva il tempo della primavera, con nuovi sogni, nuove passeggiate, nuove scoperte con inaspettate prospettive aeree.

A metà strada tra l'albo e il fumetto (ha lo spazio arioso di un albo e il ritmo battente di un fumetto), questo altro piacevolissimo libro di Béatrice Rodriguez (suoi sono Il ladro di polli e Una pesca straordinaria, rispettivamente 2011 e 2013 per Terre di mezzo) conferma lo sguardo ironico e mai banale di questa autrice.


Costruito essenzialmente sui dialoghi di due, anzi tre personaggi che ruotano intorno al tronco di un grande albero che un forte vento a un certo punto stende, La filosofia Koala è un concentrato di belle idee.
Bella è l'atmosfera rarefatta e il tempo rallentato, consono all'indole di almeno due dei protagonisti, il koala e il camaleonte. 


Bello è il ritmo: si concede l'alternanza di pagine bianche con il solo volo dell'uccellino al centro, a pagine piene con dialoghi fitti.
Bella è l'inquadratura, quasi una camera fissa, a mezz'aria del ramo intorno a cui tutto ruota, che implicitamente allude alla necessaria distanza dalla vita 'terrena' di cui i filosofi hanno bisogno per poter filosofare.
Bella è la delicatezza del disegno e del colore: un koala tondo e azzurro, un uccellino puntuto e arancione e un camaleonte il più del tempo verdolino che ragionano su uno sfondo di foresta infinita che trascolora dal verde all'azzurro.


Tuttavia primariamente belli sono i ragionamenti di quei tre. Ricordano per argomentazioni e per tono, i dialoghi dei libri che raccontano le storie dell'orso Björn (di nuovo Terre di mezzo), che a sua volta sembra portare in sé il medesimo spirito dei libri di Tellegen.
Li accomuna un universo rigorosamente animale che però dimostra di avere capacità di riflessione molto sviluppate, dietro le quali si potrebbe nascondere il pensiero filosofico che ci appartiene. Entro i loro ruoli predefiniti, che stimolano il dialogo e quindi il pensiero, uccellino, nonostante sia il più aereo, dimostra certo scetticismo e più sviluppato senso della realtà: paradossalmente è il più 'terreno' dei tre, Camaleonte è il 'corpo estraneo', che ha una funzione assimilabile a quella del grillo parlante, ovvero dà voce a una sorta di coscienza remota, ma condivisa.


Il garbo, la gentilezza, il rispetto reciproco tra gli interlocutori, nonostante i punti di vista differenti già solo questo potrebbe bastare per considerare questo libro un oggetto di interesse.
Ma c'è di più: capitolo dopo capitolo, Béatrice Rodriguez cesella nel testo mai scontate domande di senso e apre con leggerezza a possibili e inaspettate risposte. Ed è proprio da queste aperture che si possono spiccare bei salti e fare bei voletti.

Carla

mercoledì 15 gennaio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


PIETRA SERENA

La pietra blu, Jimmy Liao (trad. Silvia Torchio)
Camelozampa 2019


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"La pietra blu giace serena nel profondo della foresta. Ama il canto degli uccelli, la fragranza sfuggente dei fiori, la luce che filtra attraverso le foglie. Le piace questo luogo, crede che rimarrà qui per sempre.
Ma un incendio divampa nella foresta. Brucia per molti mesi, da est a ovest, da sud a nord.
Infine l'erba non cresce più. Resta solo una pietra nuda e nera che giace sul terreno arido, come una balena senza il suo oceano."

Per fortuna sono in arrivo le piogge che lentamente la ripuliscono da tutta quella fuliggine. E, di nuovo di un blu splendente, tutto sembra tornare come prima, ma una pietra legata a una gru le piomba sulla schiena, spaccandola in due. Una delle sue parti resta nella foresta, l'altra, imbrigliata con delle corde, viene portata via. Ed è proprio qui che comincia il suo lungo viaggio, durante il quale perde la sua forma originaria, rimpicciolisce di volta in volta, subendo tante diverse trasformazioni. 


Attraversa scenari per lei del tutto nuovi, dallo studio di uno scultore che la trasforma in un grande elefante grigio da esporre al museo, arriva a diventare un uccello-fontana, un pesce-testimone di un'attesa disattesa. Finisce anche in fondo al mare, diventa uno spicchio di luna e lapide in un cimitero, gattino da orfanotrofio fino al momento in cui è davvero minuscola e diventa piccolo cuore, al collo di una ragazza innamorata. Il suo peregrinare tra le cose belle e ma soprattutto brutte del mondo non le impedisce di provare costante il sentimento della nostalgia. Spesso si strugge ricordando la sua vita laggiù e non ha mai dimenticato la parte di sé da cui l'hanno strappata.


Ed è lì che sente di dover tornare, alla fine di tutto.

Se, davanti all'evidenza che questa storia sia un'occasione per ragionare delle proprie radici, e sulla forza di un richiamo interiore a tornare lì dove si è nati, tuttavia quello che mi colpisce di più e il lato metamorfico della storia.
Riguardo alla nostalgia, ho una perplessità di fondo che non riesco a risolvere.
Personalmente associo al termine nostalgia parole come struggimento, malinconia, rimpianto. E potrei spingermi anche verso parole come inquietudine che può diventare anche malessere, il male di essere (lontano da qualcuno, lontano da un luogo, lontano da un tempo).
E sebbene la pietra più volte vada in frantumi per la troppa sofferenza di essere stata portata via dalla sua foresta e dalla sua metà, tuttavia essa è spesso anche 'serena'. Ed ecco che la perplessità si genera nella congiunzione tra questo diffuso senso di nostalgia, e la serenità che accompagna spesso il suo giacere su un prato, in un barattolo, nel fango, nel bosco o incastonata in un muro.


Resta da capire da dove nasca questa serenità. Forse ha lo scopo di rendere meno gravoso il lungo girovagare della pietra? I testi di Liao sono il punto più fragile delle sue storie. in questo preciso caso, non sapendo come trovargli un senso definitivo a questa serenità, forse è più interessante andare a vedere l'altro grande tema che attraversa questo corposo libro di Jimmy Liao: ovvero il percorso di trasformazione cui viene suo malgrado sottoposta la pietra.
La prima volta che appare, occupa lo specchio delle due pagine ed è nera di fuoco, poi recupera il suo colore elettrico, un blu profondo che mantiene per poco perché da grande sasso diventa elefante grigio e poi uccello rosa. il suo trasformarsi in qualcosa d'altro riguarda la sua forma e il suo colore, ma come in tutte le metamorfosi un nocciolo di un sé originario rimane sempre. E anche la pietra blu non fa eccezione. Tutte le volte che la nostalgia la fa esplodere e andare in frantumi, lo sguardo del lettore riesce sempre a intravedere e riconoscere tra le sue schegge il suo inconfondibile colore.


La metamorfosi è un tema universale che nasce in uno con la vita stessa, e non è un caso che mito e fiaba se ne siano abbondantemente nutriti.
Jimmy Liao lo attraversa con delicatezza, dicendoci che per quanto una creatura possa cambiare essa sarà allo stesso tempo un elemento fatto di materia mutevole, ma anche di anima unica. Attraverso i continui cambiamenti della pietra, Jimmy Liao attraversa molti scenari differenti, un repertorio di umanità variegata e di luoghi che con la pietra necessariamente si confronta. Nessuno di loro e nessuno dei contesti che abita rimane indifferente alla sua presenza. La pietra stessa dimostra una grande tensione ad adattarsi.
Il lettore, in questo continuo cambio di scenari (in alcuni casi non così fluido come ci si aspetterebbe), inevitabilmente si appassiona e si lega a livello emotivo alla sorte della pietra. 


E se anche a un adulto forse può apparire da subito chiara la circolarità del percorso, i bambini invece, come in un gioco ipnotico, saranno catturati dalle routine del testo e dal continuo avvicendarsi di magnifiche immagini.


 Come in una bella pinacoteca.

Carla