FARE BELLA FIGURA
Cicero. Guida
illustrata alle figure retoriche, Lucia Biancalana
Pièdimosca Edizioni 2019
ILLUSTRATI (dai 10
anni)
"Delle figure
retoriche hai certo sentito parlare e il termine metafora non
dovrebbe esserti del tutto estraneo. Se poi hai mai detto frasi come
'non ti dico che giornata' o 'è un secolo che non ci vediamo', ti è
sicuramente chiaro ciò di cui stiamo parlando.
Dal momento che la
retorica è un po' ovunque, si potrebbe pensare che siamo tutti dei
grandi oratori. In realtà, c'è una piccola differenza che distingue
i versi di un poeta dalla frase che esclamiamo al vicino di casa.
Difatti, se parlare per figure retoriche è un'abitudine comune, il
saperle riconoscere, interpretare e sfruttare consapevolmente rientra
nell'arte oratoria."
'Si fanno più
figure retoriche in un giorno al mercato in piazza che in molti
giorni in assemblee accademiche.' César Cesneau Du Marsais
Fortunati sono quelli,
me compresa, cui capita di frequentare assemblee accademiche in cui
le figure retoriche, in particolare le metafore, sono l'aria.
Se in quelle suddette
assemblee si parla di letteratura, magari anche illustrata, e magari
per l'infanzia non è materialmente possibile lasciarle fuori.
Questo però nulla
toglie al fatto quell'uomo 'illuminato' che era Cesneau De Marsais,
dicesse una cosa vera: figura retorica e inconsapevolezza vanno a
braccetto (metafora?). Canticchiare le anastrofi di Baglioni, oppure
le reticenze di Patty Pravo o le enfasi di Mina nel sottolineare il
se, fare tutto questo
e non averne contezza, almeno non nell'immediato, è la
condizione ideale in cui vivere.
Tuttavia è utile, a
posteriori, verificare che le parole sono portatrici di senso
(caratteristica su cui troppo poco si riflette), e che non sono lì
per caso e soprattutto che ci colpiscono di più, se messe in una
sequenza determinata, da precisi criteri. Possibilmente inaspettata e
immaginifica.
E qui viene il punto.
Il bello delle figure
retoriche, a mio avviso, è che sono soprattutto figure. In questo
senso metafore, metonimie, sineddochi, sinestesie, ossimori attingono
a un immaginario visuale, in ogni caso sensibile, e come tale lo
restituiscono : affari che vanno a gonfie vele, gente senza cervello,
bicchieri bevuti, colori caldi e ghiaccio bollente per tutti.
Ed è per questo che di
questo libro tascabile, come a suggerirne una vocazione di vedemecum,
si è attratti soprattutto dalle immagini che hanno la capacità -
seppure sacrificate nello stretto e in un b/n impastato - di mettere
immediatamente a fuoco tutto quello che si scrive intorno, ovvero
tutto l'apparato testuale che è di certo necessario, ma che odora di
didattica, citazioni escluse.
Il divano fatto di
cactus che arriva dalla immaginifica campagna di AXN Channel, Relax.
If you can, oppure il
piccolo omino, il Cicero sottostante in ciabatte da spiaggia e
bermuda e giacca a vento con cappuccio di piume, sono un bel modo per
fissare nella mente che cosa sia un ossimoro. E il verso noto di
Catullo, Odi et amo, completa il quadro. E a proposito di quadri,
forse anche l'Empire des lumières di Magritte può essere un
ulteriore contributo, o è forse invece un paradosso?
O ancora la sinestesia
che prende forma nell'immagine, anche questa ridisegnata della
celebre opera di quel genio che è Meret Oppenheim, La colazione
in pelliccia, che fa arricciare i denti al solo vederla e al
poter immaginare se stessi a utilizzare quella tazza e quel
cucchiaino per berci un cappuccino (caldo). Accompagnata dal piccolo
Cicero, sempre a bordo foglio, mentre mangia pop corn davanti a un
film in 3D.
Geniale.
La forchetta (così
debitrice nei confronti di Munari) che è una mano che chiede,
metafora per alludere alla richiesta di cibo, in occasione della
campagna Unicef per il World Food Day
del 2012, disegnata dall'agenzia Saatchi&Saatchi è accanto a una
delle tante frasi celebri di Snoopy, che sono ormai patrimonio comune
del nostro immaginario.
La
bellezza di Cicero
dunque dove sta? Nell'intelligenza e in un evidente pensiero
divergente che è a monte di questo progetto editoriale.
Brava
a Lucia Biancalana che ha saputo creare, nella sua tesi all'ISIA,
begli intrecci e ha saputo comporre con sguardo originale materiale
complesso. Il suo bagaglio di conoscenze è vario e ampio e lei ha
saputo scegliere e mettere insieme cose lontane tra loro (e quindi ha
creato 'un'anomalia' sulla pagina) il pop e l'aulico, Mina con la
Venere di Willendorf (i maligni pensano non sia un caso), l'arte dei
musei con la pubblicità televisiva (che spesso ne è piena, di
arte; si pensi a chi canticchia Khachaturian, inconsapevolmente,
mentre pulisce con lo sgrassatore universale...), nell'aver mischiato
molto, nell'aver saputo spiccare bei salti in direzioni anche molto
diverse tra loro.
Nell'aver trasformato in segno ciò che è parola.
Milton
Glaser applaudirebbe!
E
bravo anche il collettivo Pièdimosca, microscopica realtà, fatta
anch'essa da un gruppo di gagliarde menti, che ha deciso di
pubblicarlo.
Bravi
tutti nell'aver saputo risparmiare senza aver per questo mai perso di
vista una certa qualità formale. E per averla saputa mostrare, quasi
con orgoglio (fra le righe si legge tanta cura e passione), questa
economia necessaria a chi ha ancora piedini da mosca.
Non
si dice nulla di nuovo se si afferma che intelligenza, pensiero
divergente, buone metafore, qualche sineddoche, un paio di eufemismi,
una litote e tre onomatopee sono materia necessaria per poter
dialogare alla pari e con un qualche costrutto con l'infanzia.
Carla
Noterella al margine.
Va da sé che una
ulteriore funzione di questo libro da tasca sia quella di generare in
chi lo sfoglia e lo legge la curiosità di andarsi a cercare, pagina
dopo pagina, gli originali delle opere 'citate': è una bella
esperienza. Provare per credere.
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