venerdì 28 settembre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


LA MORTE È QUESTIONE VITALE

Il grande regalo di Tasso, Susan Varley (trad. Sara Marconi)
Il Castoro, 2018



ILLUSTRATI PER PICCOLI

"Tasso era così vecchio che sapeva che presto sarebbe morto. Tasso non aveva paura della morte. Morire voleva dire solamente abbandonare il corpo e, dato che il suo corpo non funzionava più così bene come una volta, la cosa non lo preoccupava troppo."


Più di qualcuno però si sta preoccupando: tutti gli amici di Tasso davanti alla sua porta aspettano che lui esca a salutare, come ogni mattina. Quel giorno però la porta non si apre ed è la Volpe a dare la triste notizia, Tasso è morto, e a leggere la lettera che lui ha lasciato per tutti loro e che, con tono sereno, annuncia di aver imboccato la Lunga Galleria.
La tristezza stringe loro il cuore, in particolare quello di Talpa è pieno di solitudine e smarrimento. Arriva l'inverno e ognuno per sé nel tepore di casa tenta di non essere triste. Senza grande successo. Fino al momento del disgelo quando tutti si rivedono e cominciano a parlare di lui e delle cose che Tasso ha insegnato loro: ritagliare i festoni, pattinare sul ghiaccio, o farsi il nodo alla cravatta o fare un'ottima frolla per i biscotti. Ricordo dopo ricordo, arriva il disgelo, anche nei loro cuori, e quando pensano a lui non spuntano più le lacrime ma dei sorrisi nel ricordarlo e nel constatare quanto importanti siano stati i regali che lui ha fatto a ciascuno di loro.
E anche il giovane e inconsolabile Talpa prova a suo modo a dirgli grazie, a bassa voce. E non resta inascoltato.


Basta guardare il cielo. È in quella direzione che Talpa punta il suo naso morbido ed è infatti in quella direzione spesso si dirigono gli occhi e i pensieri quando vogliamo 'parlare' con chi non c'è più. E tutto questo non ha niente a che fare con il paradiso, quanto piuttosto con l'orizzonte e la lontananza.
Tasso è morto e la questione è vitale. E lo è talmente che è finita su un libro per bambini, un bel libro per bambini.
La caratteristica più che consueta che tiene insieme i già pochi libri (per la quasi totalità d'importazione) che sull'argomento dibattono, è la retorica.
Si contano sulla punta delle dita i libri sulla morte che per esempio la chiamino con il suo nome, morte, senza tema di essere rimessi sugli scaffali delle librerie e non comprati (perché tristi). E ancora meno sono quelli che dicono che si sta male da 'morire' quando qualcuno muore. E ancora meno sono quelli che descrivono con la lucidità dovuta i passaggi doverosi della mente e del cuore per elaborare il lutto.


Di tutto questo mi pare ci sia dovizia in questo libro, che per fama mondiale e per anzianità (1984), può considerarsi un classico.
Un classico sembra esserlo anche a guardare come è costruito: a destra grandi tavole incorniciate a piena pagina, mentre a sinistra un testo che si prende i suoi tempi e i suoi spazi ed è sormontato da un piccolo disegno scontornato. Perfetto sarebbe stato con una carta uso mano che ne avesse' impastato' un po' i toni. Ma pazienza.
Classico e molto 'britannico', il tipo di segno della Varley: tanto tratteggio a china e acquerello. Bellissime alcune inquadrature: una su tutte quella Volpe che se ne va camminando pensierosa nella neve con le zampe (?) dietro la schiena.


Classico è ancora l'uso di antropomorfizzare tutti gli abitanti del bosco che sfoggiano cravatte regimental, crinoline, maniche e pantaloni a sbuffo e un extravagante giubbotto jeans che a qualcosa allude di certo. Beatrix Potter rules.
Un ulteriore merito del libro sta nell'asciuttezza dei passaggi narrativi che la bella traduzione di Sara Marconi rispetta e qualifica grazie a un coraggioso ripetersi di congiuntivi sistemati a dovere.
È dunque un bel libro sulla morte che la lega all'idea di regalo, ovvero a un concetto positivo. Il regalo che Tasso fa a ciascuno di loro sta nel suo intento di accendere passioni e coltivare attitudini. 


È certo che parlare e ragionare di morte in termini accademici risulta complicato, molto meglio farlo attingendo al vissuto di ciascuno. E così ogni amico di Tasso cerca un proprio personale legame con lui che lo tenga stretto a sé nella memoria. Una delle funzioni di non dimenticare è proprio questa: tenere unito il presente al passato. L'altro passaggio è il parlarne assieme, perché parlandone la morte fa molta meno paura (se lo capissero una buona volta gli adulti che i libri tristi li rimettono a scaffale...).
L'esperienza personale in tal senso lo conferma. Per mesi non ho fatto altro che raccontare, e quindi in qualche modo evocare, mio padre agli altri. Per mia madre invece ho attraversato gli oggetti che le appartenevano. In entrambi i casi, dopo un po' è sceso un sano silenzio e, come Talpa, ho avviato con entrambi un dialogo a due. Che, guardando il cielo, continua, all'occorrenza. 


Ben vengano libri tanto onesti.

Carla

mercoledì 26 settembre 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

L’ODORE DEL FERRO


Non è proprio recentissimo, ma forse proprio per questo mi piace ripescarlo fra le belle uscite editoriali di quest’anno: sto parlando di ‘La prima cosa fu l’odore del ferro’, racconto scritto e illustrato da Sonia Maria Luce Possentini, che Rrose Selavy pubblica con una introduzione di Maurizio Landini.
Racconta i tre anni che l’autrice ha passato lavorando in una fonderia nell’Emilia fra pianura e Appennino; esperienza che non ci si aspetterebbe nella biografia di una delle più brave e premiate illustratrici italiane. Ma per necessità e per curiosità, ha dovuto imparare la dura realtà della fabbrica, i suoi ritmi totalizzanti, entrare e uscire col buio; gli odori, quello del ferro su tutto, che si stampa sulla pelle e impregna ogni oggetto della fabbrica; la solidarietà e la distanza dagli altri operai, tutti maschi, la vita comune e l’alterità.


Tre anni sono lunghi, se son fatti di buio e di fatica, di odori persistenti e di ritmi sempre uguali, senza comprendere se quella è proprio la strada giusta.
La nonna, la persona che maggiormente la comprende, le dice che bisogna saper fare tutto e imparare da ogni esperienza, essere pronti ai casi della vita e lo dice a ragion veduta, lei che ha visto due guerre, momenti buoni e momenti tragici. Imparare a fare tutto, anche quello che non piace, anche quello che non appartiene al futuro, come suggeriscono i sogni e le fantasie che strenuamente resistono.


Poi arriva il messaggero di speranza, un cane nero che gironzola intorno alla fabbrica e che con Sonia instaura subito un rapporto di complicità: lui che si accuccia vicino agli scarponi da lavoro, che si fa abbracciare e alla fine indica la via di una nuova vita.
Cosa mi ha colpito di questo libro: in primo luogo, il racconto onesto, in presa diretta, del lavoro di fabbrica, del lavoro manuale, della sua fatica, dei suoi odori, della sua etica; poche cose uniscono più del lavoro, del lavorare insieme, il condividere ogni giorno la pesantezza materiale e quella del comando, la gerarchia spersonalizzante. E vediamo ogni giorno l’effetto del disperdersi di questa etica del lavoro, del difendersi tutti insieme e del lavorare onestamente.
In secondo luogo, ho trovato efficace la rappresentazione di una scelta di vita non facile: la vita in una fabbrica dal lavoro durissimo non è cosa da ragazze e misurarsi con questo non è poca cosa; misurare le proprie capacità, la propria resistenza, la distanza e la vicinanza con gli altri operai. Cosa si è disposti a fare per sopravvivere, quali prove si è in grado di affrontare senza dimenticare i propri sogni, per quanto ancora vaghi.

 
C’è poi la presenza di questo cane nero, che diventa suo malgrado il grimaldello per cambiare vita, voltare le spalle per sempre al mondo della fabbrica e cominciare una nuova avventura. Bella la sintonia fra i due, entrambi sottoposti al comando, entrambi desiderosi di fuga. In fondo, sono poche le parole dedicate a questo incontro, ma rendono alla perfezione il parlarsi senza parole, il condividere il richiamo del profumo del vento e del guardare lontano.
Questo racconto è materiale incandescente, proprio perché parla di vita vera, di un’esperienza forte ed è reso da immagini in cui domina il grigio, un grigio sporco, con pochi tratti di bruno, che evoca l’ambiente della fabbrica e il suo odore. Immagini nello stile della Possentini, che alludono e descrivono, creano atmosfere che più di tante parole restituiscono l’idea di fatica e di sporco, di sudore e stanchezza, fino al colore, chiaro, che si intravede sul finale.
Proprio perché è un racconto onesto, capace di rara sintesi e del tutto alieno alla retorica, non è pensato per i bambini e le bambine; ma lo userei per raccontare loro, e ai ragazzi e alle ragazze più grandi, un’esperienza di vita che ha molto da insegnare sul lavoro e le sue leggi, sul comando, che significa dover obbedire a una logica e un ritmo estranei. 
C’è un grande bisogno di aderire anche alla realtà e alla sua durezza.


Eleonora

“La prima cosa fu l’odore del ferro”, S.M.L. Possentini, Rrose Selavy 2018


lunedì 24 settembre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


BAMBINI INTENDITORI

Un silenzio perfetto, Antonella Capetti, Giovanna Zoboli, Melissa Castrillon
Topipittori 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Una mattina il grillo non si alzò. Tutto era come sempre: il sole era nel cielo, l'erba nel prato, l'acqua nel fiume. Ma quella mattina il grillo non si alzò. All'inizio gli altri animali lo lasciarono in pace: solo la libellula a mezzogiorno si affacciò fra le foglie, chiedendogli per quale motivo fosse ancora a dormire."


Il grillo si sta comportando in modo anomalo. Neanche il giorno dopo si alza e così anche quello successivo. Agli animali del prato la circostanza non pare normale. Forse il grillo ha la febbre. Le uniche due parole che proferisce in tutta la giornata sono: non credo. Non crede di avere la febbre. Non lo sa neanche lui che cosa gli prende. Per il terzo giorno consecutivo rimane chiuso in casa, a letto. Il vecchio coleottero senza ali è il solo che passando gli fa un sorriso senza dire nulla. È il quarto giorno, continua a restarsene a casa ma le pressioni degli altri alla sua porta si fanno sentire. Non rispondendo, spera che prima o poi si stanchino. Ed è questo che accade. Tutti se ne vanno e arriva finalmente il silenzio: l'unica compagnia che desidera. 
 

E con lui comincia un dialogo fatto di sguardi, sorrisi, un dialogo silenzioso che dura tre giorni e che ha il potere di infondere nel torace del grillo, a sinistra, un senso di pace. Nessuno arriva alla sua tana, il silenzio è lì accanto al grillo per un altro giorno ancora, fino al momento in cui c'è bisogno di lui altrove. E silenzioso come all'arrivo, se ne va. Quella pace che è ora nel torace del grillo però non lo lascia e con essa si possono affrontare di nuovo anche gli altri, il chiasso degli altri.

Cosa avrebbero da dire i bambini sul silenzio? E sulla pace nel torace, a sinistra? Il silenzio, con la pace che si tira dietro, è una roba che tocca corde profonde, ma che poco viene incoraggiata e che, se associata all'infanzia, sembra addirittura preoccupante: ' hai la febbre? ti senti male?'
Eppure il silenzio è necessario come l'aria. E come l'aria ci riguarda tutti. Bambini compresi.
Il carattere universale della questione alza il tiro e necessariamente il tono della conversazione. Infatti fin dalla prima pagina, il registro è quello della favola -l'universale è fatto salvo- della favola filosofica alla quale ci ha educato Tellegen nelle sue Lettere dal bosco.
L'entrata immediata al centro esatto dell'argomento, come fa lui che è in grado di generare domande o riflessioni su temi universali in meno di mezza pagina di testo, sembra essere il modello di Capetti e Zoboli.
Il vetro non è cristallo e Tellegen è Tellegen. La sua coerenza interna, in assenza totale di qualsiasi cedimento di senso anche nella dimensione dell'assurdo, è trasparente e leggera come il cristallo, in assenza di impurità e di pesantezza.
Non è facilmente raggiungibile, ma aspirarvi è meritorio. Sebbene ci sia una bella idea che lo attraversa, e nonostante i diversi esempi di felice scrittura, in Un silenzio perfetto alcune impurità ci sono.
La prima, e forse la più evidente, sta nella relazione tra un testo che magnificamente cerca di mantenersi 'neutro' rispetto alla condizione anomala del grillo, e che invece la Castrillon interpreta nel disegno come sofferenza: in quella testina china e in quello sguardo sempre triste e mogio del grillo.


A questo si possono aggiungere piccoli grovigli di senso nei ragionamenti di grillo nella sua teiera a proposito del capire e non capire.
Centrato invece è questo tono tellegeniano dell'incipit e del finale, nonché della personificazione volutamente ambigua, liquida, del silenzio, cui Melissa Castrillon offre una più coerente soluzione espressiva. 


Bella la ridondanza, talvolta ironica, del lessico per raccontarlo, bella la definizione di 'occhiolino'. La scrittura è decisamente ispirata e in filigrana si percepisce una ponderata ricerca che tende al nitore.
L'argomento in sé e il desiderio di non banalizzare lo impongono, d'altronde.
Curioso, torna il nitore già notato in Che bello!
Ora resta solo da capire fino a che punto un libro così viaggi a quota bambino.
Bisogna mettersi lì e leggerglielo per vedere che cosa succede.
Antonella Capetti però è una maestra, una brava maestra, e avrà ben valutato questo aspetto. Magari la scintilla iniziale si è sviluppata proprio tra i muri della sua classe. Magari.
C'è dunque da augurarsi che silenzio e pace siano roba vera non solo per i grandi, ma anche per i piccoli e che i bambini empatizzino, come lo scarabeo, con quel grillo lì e sorridano anche solo 'con un sorriso piccolo, appena appena, per intenditori'.

Carla


venerdì 21 settembre 2018

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)



FAMIGLIA, FAMIGLIE


Curiosamente, mentre il mondo politico rispolvera un armamentario ideologico medievale, l’editoria per ragazzi e ragazze si mostra ben più sensibile agli irrefrenabili cambiamenti sociali.
Ed ecco due libri, presi solo ad esempio di una produzione abbastanza varia, che affrontano il tema della famiglia e dei suoi cambiamenti.
Il primo, ‘ In famiglia!...e altri parenti’, di Alexandra Maxeiner e Anke Kuhl, è pubblicato dall’editore Settenove, che traduce un testo tedesco di otto anni fa. L’incipit è una dichiarazione d’intenti: ‘ogni famiglia è speciale’, ovvero non cerchiamo ‘il’ modello di famiglia poiché le famiglie sono tante e diverse. Si comincia dall’etologia e dalla storia, raccontando il vantaggio di vivere insieme. E poi si tratteggiano i cambiamenti, in realtà rapidissimi, intervenuti nel giro di un secolo, a partire dalla classica famiglia patriarcale, in cui vivevano insieme più generazioni. Oggi le famiglie e le relazioni parentali sono molto cambiate e prevedono una grande varietà di casi: bambini che vivono con un solo genitore o con due genitori dello stesso sesso; figli e figlie di genitori separati, che magari a loro volta si risposano e fanno altri figli, e che vivono in due case.


Genitori biologici e genitori adottivi, relazioni affettive forti come quelle biologiche e così declinando, cercando di mostrare ai bambini la grande varietà di situazioni.
Certo, a un certo punto, gira un po’ la testa a seguire il vorticoso intrecciarsi di relazioni che possono coesistere, per esempio, in una famiglia allargata, come mostra bene l’immagine di copertina. Però la struttura del libro, incentrata su immagini chiare e didascalie molto sintetiche, aiuta a orientarsi anche il lettore o la lettrice più distratta. Il tutto accompagnato da un’adeguata dose di ironia che aiuta a sorridere, pensando al labirinto affettivo in cui si muovono alcuni bambini.



L’altro libro che propongo, ‘L’abbiccì della famiglia’ è delle edizioni Usborne ed è molto simile nella struttura: parte da una prima doppia pagina che mostra una grande varietà di gruppi familiari, per poi addentrarsi nel dettaglio delle diversità. Con un impianto più direttamente didattico, c’è una grande attenzione a definire le parole che si utilizzano per descrivere le famiglie e le relazioni parentali. Se dunque cambiano le famiglie e la loro composizione, sono variabili anche le abitazioni, gli stili di vita, le lingue che si parlano.
Anche qui abbiamo famiglie allargate, fratelli e fratellastri, genitori naturali e affidatari e così continuando.


In sintesi, il tema di questa grande varietà è ben presente nell’editoria per ragazzi, trattato con ironia, come nel caso del primo libro, o con un maggior intento didattico, come nel secondo libro. Con una maggiore attenzione alle relazioni affettive o inserendo, come nel caso del libro Usborne, anche la tematica dell’interculturalità. Genitori e insegnanti hanno strumenti eccellenti a disposizione per aiutare bambini e bambine, soprattutto dai sei ai dieci anni, a comprendere un mondo molto diverso da quello vissuto dai genitori stessi o dai nonni. Come sempre il problema non è nella testa dei bambini, che hanno una duttilità e un capacità di adattamento sorprendenti, ma sta nella testa degli adulti, alcuni dei quali prediligono dividere, classificare, ridurre a norma quello che non può essere in nessun modo semplificato.
Purtroppo, periodicamente, emergono posizioni politiche e culturali, in personaggi che ricoprono ruoli di responsabilità, indegne di un paese civile e moderno.
Non me ne farò mai una ragione.

Eleonora

“In famiglia! Tutto sul figlio della nuova compagna del fratello della ex-moglie del padre...e altri parenti”, A. Maxeiner e A. Kuhl, Settenove 2018
“L’Abbiccì della famiglia”, Edizioni Usborne 2018


mercoledì 19 settembre 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


FAR SCOMPARIRE LE GRINZE

Una per i Murphy, Lynda Mullaly Hunt (trad. Sante Bandirali)
Uovonero 2018


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni)

"Questa donna mi fa paura. Sono stata picchiata e abbandonata. Sono stata inseguita dalle guardie di sicurezza e dai gestori dei casinò. Avvicinata da individui loschi nelle strade di Las Vegas. Ma nessuno mi ha mai fatto paura come questa signora Murphy. Ho la sensazione che riesca a vedere le cose che tengo nascoste. "

Carley ha passato l'ennesimo guaio per colpa del disastro sociale e affettivo che la circonda: è finita all'ospedale piena di lividi e sua madre è in coma. Nessun parente che possa prendersi cura di lei, quindi la famiglia va cercata altrove. Una famiglia affidataria, quella dei Murphy, composta da due genitori e tre ragazzini e lei, quasi come un meteorite, ci piomba in mezzo: nessuna intenzione di farne parte. Una grande rabbia covata dentro, mista al rancore e alla nostalgia di sua madre e della sua vita sgangherata di prima accentuano in Carley il rifiuto delle gentilezze e delle attenzioni - dell'affetto - della signora Murphy. L'unico canale di relazione che questa ragazzina in 'salita' lascia a aperto è con i piccolini di casa, Michael Eric e Adam. Con il resto della famiglia, una famiglia apparentemente da manuale, le cose si rivelano molto più difficoltose.
La lontananza siderale tra la sua vita di prima e quella che i Murphy incarnano e che cercano di condividere con lei la destabilizza. Non riesce a credere al loro affetto e si dimostra a suo agio solo quando si sente esclusa, perché quello sembra essere l'unico codice di comunicazione che conosce.
Nonostante le sue ruvidezze, nonostante le sue bugie e i suoi silenzi e gli errori c'è chi crede in lei. La signora Murphy per prima, e poi Toni, la sua tagliente compagna di scuola. Lentamente ma inesorabilmente loro due sono un punto di partenza, un bandolo, cui attaccarsi; la matassa di sofferenza che tiene stretto il cuore di Carley comincia a dipanarsi. Abbassando le sue difese, imparando a fidarsi degli altri e ad averli cari, questa ragazzina si riappropria della sua forza - che le permette anche di ritrovare la serenità verso la madre - e comincia a fare la cosa giusta: regala se stessa agli altri.

È il 2016 quando in Italia esce il suo secondo libro, Un pesce sull'albero che miete successi e premi un po' ovunque. E ora Uovonero pubblica a ritroso il suo primo libro che è anche più bello del primo (ovvero del secondo).
Ci sono alcune affinità che li tengono insieme: la prima è il soggetto. Due ragazzine -Ally là e Carley qui- che, per motivi molto diversi, hanno vite complicate (entrambe armate di un forte senso dell'ironia, nonostante tutto) e due adulti - il professor Daniels lì e la signora Murphy qua - che se ne prendono cura e li aiutano nel 'guado'.
Anche l'obiettivo finale di entrambi i romanzi, la sostanza della storia, è il medesimo: dimostrare che avere stima di sé nella vita aiuta. Tuttavia, se in Un pesce sull'albero la Mullaly Hunt lo scrive con un po' troppa enfasi retorica, qui semplicemente ed efficacemente lo 'dipinge' su un pezzo di legno, fatto come un cartello stradale del senso unico, che pende sul letto che Carley ha 'in prestito' da Michael Eric: DIVENTA L'EROE DI QUALCUNO. (Prima regola del bravo scrittore: show, don't tell!!)
Questa è la differenza che rende Una per i Murphy un libro ancora più interessante.
La vicenda è tutta raccontata attraverso cose che accadono, frasi che si sentono, attraverso le sfumature, le debolezze, le ombre dei personaggi. Questo modo di raccontare fa sì che essi necessariamente assumano spessore letterario, diventino corpi, e come tali riconoscibili, e dentro cui, da lettori, accomodarsi per abitarli.
L'intreccio delle relazioni interpersonali, così ben costruito, è testimone di quanto complessa sia la vita, di quanto sia difficile scegliere il percorso per attraversarla, di quanto sia importante saper leggere la realtà in una prospettiva molteplice, di quanto sia impegnativo essere parte di una squadra, una famiglia.
In un crescendo costante, la famiglia Murphy esce in tutta la sua bellezza che non è però fatta di stereotipi pubblicitari, ma di relazioni affettive costruite anche con fatica e compromessi. Fino alle ultime battute del libro i ragionamenti di Carley e di Julie - le due assolute protagoniste della storia - prendono spessore e senso profondo.
Quello che Julie si è prefissa fin dal principio, far scomparire le grinze nella vita di Carley, così come fa quotidianamente con i membri della sua famiglia, senza chiedere nulla in cambio, diventa chiaro anche per Carley: la felicità passa solo di lì.

Carla

lunedì 17 settembre 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


UNA GUERRA NELLA GUERRA


Avi, pseudonimo del pluripremiato scrittore americano Edward Irving Wortis, è conosciuto in Italia soprattutto per romanzi d’avventura come ‘Le avventure di Charlotte Doyle’, romanzi scritti con grande mestiere e inventiva.
In ‘La folle guerra dei bottoni’, pubblicato ora nella collana Feltrinelli up, cambia completamente registro, almeno rispetto a quanto già pubblicato in Italia. Si tratta, infatti, di un durissimo romanzo a sfondo storico, ambientato in un villaggio polacco durante la Prima Guerra Mondiale, che ha però al suo centro la vicenda di un gruppo di ragazzini e la loro folle lotta per la supremazia.
In breve, la trama: nel villaggio polacco stazionano militari russi, fino a quando non arriva l’esercito tedesco, preceduto da un bombardamento aereo. I russi si ritirano al di là della foresta vicina al villaggio. In questo lasso di tempo un gruppo di ragazzini, i cui esponenti principali sono Patryk, l’io narrante, e Jurek, dalla forte personalità e dalle grandi ambizioni. Un loro passatempo è gareggiare e fare prove di coraggio. Nasce l’idea di una nuova gara, il cui vincitore sarà proclamato re: rubare bottoni dalle uniformi dei soldati. Se all’inizio questo può apparire facile, con l’arrivo della guerra vera, l’occupazione tedesca e poi la battaglia finale fra russi e tedeschi, la sfida diventa sempre più pericolosa e carica di conseguenze anche tragiche.
Della tragedia questo romanzo richiama la struttura, laddove già nell’incipit sono enunciati i drammi che seguiranno e il lettore e la lettrice son lì, a ogni giro di pagina, a chiedersi quando e come si concretizzerà quello che non può non accadere.
Questo detto con una sintesi strettissima, perché mi preme raccontare i diversi approcci che il romanzo consente.
Il primo, forse il più immediato, è la descrizione della guerra, di una guerra di posizione in cui i civili sono spettatori e vittime nello stesso tempo, con il capovolgersi dei fronti, l’alternarsi di fasi di relativa tranquillità fino alla distruzione totale. Le vicende, i movimenti degli eserciti, le loro caratteristiche sono raccontati attraverso gli occhi del protagonista, il dodicenne Patrik, che in vita sua non si è mai allontanato dal villaggio e conosce ben poche cose del mondo. Lui, come gli altri abitanti, sa poco del perché di quel conflitto, sa solo che oggi a comandare sono i russi, domani saranno i tedeschi e poi i russi con i francesi e poi ci sarà solo la fuga. A differenza de ‘L’ultima alba di guerra’, il punto di vista resta fisso sui ragazzini, che assistono, e loro malgrado ne sono coinvolti, alle vicende militari.
Il secondo aspetto, forse più spiazzante, è proprio quello del gruppo di bambini o poco più, presi in una loro guerra, che non ha niente di spensierato e di giocoso. E’, in piccolo, una lotta per la supremazia fra Patrik, più ragionevole e maturo, e Jurek, figura inquietante, ma nello stesso tempo infantile. I ragazzi sono impauriti dalla sfida lanciata da Jurek, che viene ogni volta rilanciata dandosi obbiettivi via via più pericolosi, ma non riescono a sottrarvisi. Lo stesso Patryk in realtà accetta i continui rilanci, sperando di vincere e mettere fine alla contesa. Sembra che nessuno si renda conto veramente di quello che stanno provocando, una catena di eventi drammatici in cui si mescolano tradimenti, paura, coraggio, morte e salvezza. E’ centrale la fotografia di quel momento dell’adolescenza in cui la sfida alla morte acceca il raziocinio e induce ad alzare l’asticella sempre più in alto; non a caso è una narrazione tutta al maschile, in cui sono tratteggiati i diversi approcci al diventare grandi: il super-eroismo, la ragionevolezza, l’acquiescenza alla forza del capo.
Il terzo aspetto riguarda la figura di Jurek, eroe negativo, ma nello stesso tempo ragazzino fragile, preso da un delirio di onnipotenza che richiama ben più tragiche figure storiche. Jurek non si ferma davanti a nulla perché dal suo punto di vista vincere è più importante di sopravvivere; e vincere è raggiungere la supremazia su uno sparuto gruppetto di ragazzini spaventati.
L’esercizio del potere in quanto tale diventa una molla sufficiente a mettere a repentaglio la propria e l’altrui vita.
Come si vede, c’è molta materia di discussione, racchiusa in meno di duecento pagine che scorrono via in una narrazione avvincente, che inchioda alla pagina.
Da quello che ho detto si evince che questo romanzo è adatto per lettori e lettrici già maturi e consiglierei vivamente la lettura a partire dai tredici anni.

Eleonora

“La folle guerra dei bottoni”, Avi, Feltrinelli 2018


venerdì 14 settembre 2018

OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)


I MAGNIFICI CINQUE
The Tunnel, Anthony Browne
Julia Mac Rae Books 1989 (Walker Books 1992)


ILLUSTRATI

"Once upon a time there lived a sister and a brother who were not at all alike.
In every way they were different. The sister stayed inside on her own, reading and dreaming. The brother played outside with his friends, laughing and shouting, throwing and kicking, roughing and tumbling."

Sono diversi in tutto e sempre, anche di notte. Mentre lui dorme saporitamente lei rimane sveglia a sentire i rumori del buio. Qualche volta lui sgattaiola nella camera di lei per farle paura, perché sa che la poverina ha fifa del buio.


Due fatti così, per di più fratelli, a metterli insieme è guerra fissa. Finché un giorno la madre li obbliga a uscire e a fare qualcosa insieme e -soprattutto- a essere gentili l'un con l'altra. Camminano per strada, lei con il suo libro in mano, lui con il pallone al piede. Lui è il più grande e quindi decide: per far due tiri si ferma in un angolo più tranquillo, accanto a un mucchio di spazzatura. Lei si siede e legge, ma è spaventata da quel posto, lui si annoia da solo con il pallone. Non gli resta che esplorare i dintorni. Ed ecco che sul fondo di un muretto coperto di erba si apre la bocca di un tunnel.
Andiamo a vedere cosa c'è al di là! No, è pericoloso, non dovremmo farlo!


Il tunnel costituisce per antonomasia l'icona del passaggio. Un passaggio non solo in senso fisico, ma anche e soprattutto un passaggio iniziatico verso un altrove o verso una condizione diversa. E anche questo libro magnifico non fa eccezione: il tunnel è un luogo fisico angusto e buio da attraversare con un misto di curiosità e di paura. Curioso Jack, timorosa Rose. È lo stesso Anthony Browne a scrivere che quei due, così diversi, rappresentano le facce di una stessa medaglia; sono le due espressioni opposte di un unico sentire.
Nello stesso tempo, quel medesimo tunnel è elemento di raccordo tra un prima e un dopo. Di norma ciò che accade, attraversato il corridoio buio, ha a che fare poco con la realtà, lasciata all'entrata, ma moltissimo con l'immaginazione, il mistero. Addirittura con la magia; in questo senso non è un vezzo che l'incipit del libro sia preso a prestito dalle fiabe: once upon a time...
Davanti al Tunnel di Browne è impossibile non pensare alla porta seminascosta tra le foglie in un altro libro nodale The Garden of Abdul Gasazi scritto e illustrato da Chris Van Allsburg con dieci anni di anticipo rispetto a The Tunnel.
Per ragioni diverse, proprio in questi giorni i miei ragionamenti si stanno concentrando su questo tema: il passaggio, l'attraversamento di una immaginaria linea di confine che tiene separata la realtà da 'il resto'. E fino a questo momento mi pare che siano tutte degne di interesse le declinazioni che gli autori, a partire dal tunnel di Carroll all'armadio di Lewis, al giardino segreto di Burnett, fino a quello di Sendak che a Max chiede di varcare la soglia delle pareti di camera sua, hanno dato sull'argomento.
Nel medesimo tempo e nella medesima testa, la mia, si sta cercando di organizzare una quadra su Anthony Browne, in vista del Festival Tuttestorie a Cagliari, dove di lui si discuterà.
In sequenza ecco alcuni i nodi di interesse.


Il primo e il più significativo: le trasformazioni. Anthony Browne in molte occasioni ha dichiarato di essere sempre molto affascinato dalla trasformazione degli oggetti sotto gli occhi di un osservatore. In questo libro, che non è il più emblematico in tal senso, la trasformazione avviene massimamente, passato il tunnel, nel bosco che attraversa Rose. Senza voler contare la trasformazione che subisce Jack e la stessa Rose che da paurosa si trasforma in eroina. Il finale stesso si incardina su una metamorfosi.
La trasformazione in atto ha a che fare con il secondo nodo, ovvero con l'ambiguità di senso, o per meglio dire, di lettura.
A prescindere da ciò che avviene nel testo, è soprattutto nel disegno che la forma, trasformandosi, modificando i suoi contorni, assume un profilo che allo sguardo si rivela ambiguo. Questo genera nel lettore un interesse rinnovato (Milton Glaser, su questo ha incardinato la sua opera) e un'attenzione attiva. In The Tunnel gli alberi celano all'interno della loro silhouette figure di animali e parti del corpo umano, occhi occhieggianti e citazioni nonché molti altri profili di cui l'occhio in all'erta va in cerca. Trasformazione e ambiguità traggono origine da una passione innata di Browne: il gioco delle forme. Lo faceva da piccolo e non ha mai più smesso di girarci attorno: partire da un profilo di un oggetto e quindi trasformarlo per farlo diventare qualcos'altro. Può funzionare per similitudine oppure per addizione, ma il risultato non cambia. 


Che il gioco sia il registro prediletto di Browne lo testimoniano molti libri. A quello delle forme si deve aggiungere la ricerca delle differenze o delle analogie: immagini che differiscono tra loro solo per qualche dettaglio. Spesso, come per esempio in The Tunnel, si tratta di immagini che aprono o chiudono il libro, si pensi per esempio al gioco che fa con i risguardi.
Questi ultimi peraltro introducono il quarto argomento, ovvero la simbologia.
Rose ha dietro le spalle una carta da parati un po' vezzosa, come i ricami sul suo pullover, mentre Jack ha un duro muretto di mattoni (tema molto ricorrente nei suoi disegni). Oppure si pensi ai nomi dei protagonisti e alla loro allusività. Allusivo è il tessuto fitto di piccoli dettagli che come obiettivo ha quello di creare un'eco, una ridondanza su aspetti specifici. 


Per pura curiosità si contino i 'richiami' alla fiaba di Cappuccetto rosso.
Ed è qui che si arriva al quinto nodo: la relazione con i classici. In The Tunnel il riferimento, o addirittura l'omaggio a Carroll è sotto gli occhi di tutti, ma è con Cappuccetto rosso in particolare e con le fiabe in generale che Browne si sta confrontando, volutamente tacendolo nel testo. 


Riassumendo per punti, per chi abbia avuto la tenacia di leggere fino a qui e voglia verificare anche su altri libri di Browne la presenza dei 'magnifici' cinque, eccoli in sequenza
1) le trasformazioni
2) l'ambiguità
3) il gioco delle forme e il gioco di cercare le differenze
4) raccontar per simboli
5) il confronto con i classici

Altrimenti se ne riparla assieme a Tuttestorie....

Carla



mercoledì 12 settembre 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)



UNA CANZONE PORTATA DAL VENTO


Uscito da poco, ‘La canzone di Federico e Bianchina’ porta sui banchi delle librerie un albo illustrato insolito, frutto della collaborazione fra Bianca Pitzorno e Sonia Maria Luce Possentini.
La scrittrice ci racconta, fra introduzione e postfazione, come abbia per caso scoperto dei documenti nell’Archivio di Genova che l’hanno fatta ‘inciampare’ nella storia di due bambini, Federico e Bianchina. Il primo, figlio di Eleonora d’Arborea e di Brancha Doria, esponente di un ramo cadetto dell’importante famiglia genovese, arrivava in città dalla Sardegna, circondato dalla fama dei genitori. Bianchina era figlia del Doge Nicolò del Guarco. Era il 1382.
Eleonora, donna potente e di grande intelligenza, progetta un matrimonio che possa sostenerla nella città e propone al Doge un accordo per cui lei verserà un imponente prestito, senza interessi, in cambio della mano della piccola Bianchina.


Tutto sembra andare per il meglio, ma Eleonora e la sua famiglia sono costretti a rientrare nell’indomita isola, dove lo zio di Federico, ucciso a seguito di una congiura, aveva lasciato vacante la carica di Giudice d’Arborea, e il bambino era l’erede diretto. Il mondo di corte, i suoi intrighi, le sue violenze, rendono breve la vita del ragazzino, ponendo fine alla promessa di matrimonio.
Questa la ‘materia grezza’ di una storia che probabilmente somiglia a tante altre in un’epoca che di congiure, tradimenti, uccisioni coi metodi più efferati era piena. Bianca Pitzorno prova a farci vedere questo mondo, pieno anche di avventure e di stupore, con gli occhi dei bambini coinvolti nella vicenda.
Federico e Bianchina sono per lei in primo luogo bambini, che sognano mari lontani, che immaginano il loro futuro in una città piena di vento e di speranze. Forse immaginano anche il loro futuro insieme, o forse no; in ogni caso, il loro matrimonio resta un sogno infantile, una storia raccontata dal finale triste.


L’autrice, che conosce così bene questa vicenda, la vuole raccontare ai bambini e alle bambine in forma di ballata, una poesia circolare che passa dalla finestra di Bianchina alle corse di Federico, portata dal vento impetuoso che si insinua nelle strade di Genova.
La storia di ricchi e potenti, intenti a tessere trame di future alleanze, diventa la storia di due bambini come tanti, il cui destino comune viene interrotto dalla violenza.
L’aspetto onirico, di un’infanzia ancora lontana dalle trame di corte, è sottolineato dalle tavole della Possentini, che ci restituisce un’immagine sognata di infanzia: Federico che insegue il vento e sogna viaggi in paesi lontani, Bianchina che si assopisce nel suo letto. E Genova nel vento. Immagini e parole insieme ci regalano l’idea di una città in cui il maestrale canta, volando nelle strade, sbattendo i panni stesi ad asciugare, portando con sé i sogni dei bambini.


Questo è un albo che vive di suggestioni e di immaginazione, che suggerisce, più che raccontare, di immagini che fermano l’attimo, il gesto, lo sfondo di un sogno irrealizzabile, mostrando come anche la Storia possa diventare poesia.

Eleonora

“La canzone di Federico e Bianchina”, B. Pitzorno, S.M.L. Possentini, Mondaori 2018