lunedì 30 ottobre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


QUANDO LA VESPA PERSE IL SUO VITINO

Minimalario, Pinto & Chinto (trad. Elena Rolla)
Kalandraka 2017


NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni)

"C'era un cervo che aveva perso un corno in un combattimento. Al suo posto mise un attaccapanni, fissato con il nastro adesivo. Tempo dopo, un boscaiolo trovò il corno nel bosco. Se lo portò a casa e lo usò come attaccapanni."


Ma c'era anche un cavallo che specchiandosi nel mare e vedendo un cavalluccio marino notò, non privo di acume che, nell'acqua di mare ci si vede più piccoli che nell'acqua di fiume. Ma c'era anche un corvo vittima delle sue paure e un coccodrillo che sapeva per certo cosa non avrebbe voluto essere da grande e un passerotto che sapeva far bene le moltiplicazioni. E poi c'era un riccio che, essendo figlio unico, per giocare a pallone si appallottolava e giocava a palla da solo. Ma ci sono anche ottime pecore nere che, da anziane, possono diventare bianche, e cancellare con un colpo di spugna un passato scapestrato. Ci sono pure mosche nella minestra, vespe nei dolci e chiocciole lucciole e armadilli che vanno spesso dal medico. E poi c'è lui, un maiale davvero geniale che, invitato a un ballo in maschera, non avendo i soldi per comprarsi il vestito, con il fango si dipinge una riga marrone sulla schiena e va al ballo vestito da salvadanaio.



Sono centoquattordici storie per centoquattordici animali diversi (e grazie a Minimalario imparo che porcospino è sinonimo di istrice e non di riccio). Storiette, poco più corte di quelle di Malerba e poco più lunghe di quelle di Scialoja, che si sono date come limite invalcabile la dozzina di righe di testo.
Tutte puntano a un esito comune: una risata divertita.
In un regime di felice quanto estrema sintesi, che tanto pesca nella favola, i modi per ottenerla, questa risata, spaziano dall'ironia al nonsense, si servono di giochi di parole, fin dal titolo, ricorrono all'assurdo, al paradosso. Ed è questo, l'assurdo, ovvero il ribaltamento di ogni logica, il registro che mi pare più apprezzabile e quello più consonante con il modo di leggere il mondo da parte dei ragazzini. Penso che se non l'avesse scritta Carlos Lópes, in arte Chinto, la potrebbe aver pensata un ragazzino o una ragazzina di otto anni la storia della lucertola che, stanca di essere inseguita dai predatori, decide di non farsi ricrescere la coda. La coda però, in totale autonomia, decide di farsi ricrescere la lucertola. Per la gioia di un altro predatore, si può immaginare.
Accanto all'assurdo e al paradosso, si gioca con il buon senso esasperandolo fino a farlo diventare dabbenaggine, quindi comico. Penso a quel visone che davanti al cacciatore trema così tanto di paura che il cacciatore pensa che se trema così un visone deve avere molto freddo e quindi ne ricava che quello non è l'animale con la pelliccia adatta per scaldare un uomo. E lo risparmia.
La risata talvolta vira nell'amaro, come a ribadire il fatto che è meglio  non farsi mai cogliere impreparati.


Accanto ai testi così felici di Chinto, si dispone il segno inconfondibile del compagno di giochi di sempre, David Pintor, in arte Pinto. Collaudatissima coppia di vignettisti da più di vent'anni Pinto&Chinto si intendono alla perfezione e anche in questo Minimalario (ma anche prima in Racconti per bambini che si addormentano subito, Kalandraka 2013), dove il testo ha inevitabilmente il ruolo principale, David Pintor si insinua e costruisce musi espressivi, come quello del leone di copertina, ossessionato dalla calvizie, veste gli animali che girano spesso in giacca e cravatta o con un pullover a dolcevita e calzano spesso stivaletti, fino all'abito da sera del grillo che cantava bene. 


Per quei rari casi in cui il disegno dell'animale in questione nulla sposta ne esistono innumerevoli in cui il suo tratto leggero, sottile e quasi incerto, riesce a cogliere la sua essenza più profonda  e il suo essere in un contesto narrativo: penso per esempio al magnifico insetto stecco, o al baco da seta e al suo quasi impercettibile corpo stanco sotto le coltri, o all'indolente ramarro in t-shirt e sombrero o, ancora, all'asino pigro e sonnecchiante sull'amaca, con le espadrillas e la tazza di caffè sulla pancia. 


Se dovessi immaginare una categoria elettiva di animali per Pintor, però, direi gli insetti. Effimeri, sono perfetti per il suo segno sempre un po' più lungo del normale, affusolato: con elitre e antenne che alludono a stati d'animo precisi, come nel caso della lucciola spenta o del pidocchio in passeggiata con il bastone e il giornale in mano. Sono sottigliezze, dettagli minuti, che si colgono quasi inconsapevolmente ma che lasciano un segno nello sguardo. 
A parte il talento nel conferire ai suoi disegni una luce 'piena di luce', di David Pintor si deve apprezzare la capacità di essere un minimalista del disegno, un autore che sa cogliere -in quell'unica occasione che si concede- il senso del comico, dell' ironico, dell'assurdo, del paradossale ma necessariamente anche l'anima più profonda del personaggio. E lo fa attraverso impercettibili segni ed elementi: una sciarpa al vento è segno di sicurezza, tre sottili tentacoli di medusa sono l'espressione della sua irreparabile solitudine.


In un mondo sempre così sovrabbondante e ridondante, è rivoluzionario chi sa andare controcorrente. E i due amici galiziani ci vanno.

Carla

Noterella al margine. Due righe per dire che veste grafica, formato, impaginazione contribuiscono a renderlo un bel libro e che il racconto breve, anzi brevissimo, sarà una gioia per i lettori anche più pigri. 

venerdì 27 ottobre 2017

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


UMANI, MA SOLO IN PARTE


Viene dalla Norvegia il romanzo proposto da Il Castoro, William Wenton e il Ladro di Luridium. Si tratta di un romanzo, scritto con grande mestiere da Bobbie Peers, di pura avventura, con un forte debito con la fantascienza 'storica' , ma con chiari riferimenti anche ad Harry Potter e al suo boccino d'oro.
Provo a raccontare in breve la trama: abbiamo come protagonista un ragazzino talentuoso, e il suo specifico talento consiste nel decifrare i codici più ardui; William, questo è il suo nome, si trova al centro di un complotto ordito da un oscuro personaggio. Costui è alla ricerca di un metallo particolare, un metallo pensante, detto luridium, comparso per la prima volta molti decenni prima, al tempo dei primi scavi per la metropolitana di Londra.
Il nonno del protagonista è coinvolto in questo complotto; ma il nonno è scomparso molti anni prima, quando William e suo padre sono stati vittime di un grave incidente. Da allora, la famiglia di questo ragazzino prodigio vive sotto falso nome, fino al momento in cui William è costretto a fuggire e a nascondersi nel centro di ricerca fondato dal nonno. Qui, è almeno momentaneamente al riparo dalle mira del potente, vecchissimo e cattivo Abraham. Questo centro è una sorta di parco dei divertimenti della robotica applicata e pullula di ibridi fra componenti cibernetiche e viventi. Ma qui, più che un futuro prossimo inquietante e credibile, troviamo una carrellata di piante carnivore meccaniche, di donne delle pulizie che si sdoppiano per diventare autisti, di porte parlanti e così via, dando via libera all'immaginario infantile sull'argomento. Nel continuo scambio di ruoli dei personaggi principali, si susseguono i colpi di scena fino al finale ambientato nelle gallerie della metropolitana londinese, nei cui meandri si nascondono oscuri segreti, porte misteriose che si aprono decifrando codici, vecchi carri armati e sommergibili della seconda guerra mondiale.
Impossibile dire di più della trama; importante sottolineare, però, quanto questo romanzo, dal ritmo serrato che precipita il lettore verso il finale, è un salutare libro di avventura, di azione ben congegnata, di giusti colpi di scena, che solo al pubblico adulto possono apparire un po' prevedibili.
Di libri così, pensati per essere letti d'un fiato, c'è grande richiesta ed un offerta, dall'altro lato, che si concentra sul fantasy o sulle storie 'a tema'. E invece farsi le ossa, metaforicamente, su testi come questo, funziona e funziona bene.
Trama e personaggi sono coerenti con un lettore ancora non smaliziato dai dieci anni in poi, che non credo coglierà i riferimenti all'immaginario fantascientifico del secolo scorso, ma coglierà facilmente quelli al personaggio più popolare nella letteratura dedicata ai ragazzi di questi ultimi anni, Harry Potter. Non stupisce il successo avuto all'estero, che speriamo si ripeta anche qui.

Eleonora

“William Wenton e il Ladro di Luridium”, B. Peers, Il Castoro 2017



martedì 24 ottobre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


QUESTIONS, SPECIAL PROVINCE OF CHILDREN

La nave cervo, Dashka Slater, The Fan brothers 
(trad. Masolino D'Amico)
Gallucci 2017


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)

"Il giorno in cui arrivò la nave con le corna Marcus cominciò a interrogarsi sul vasto mondo. Aveva tante domande. Perché certe canzoni ti fanno felice e altre ti mettono tristezza? Perché gli alberi non parlano mai? Fino a dove arriva il sole quando sprofonda in mare? Ma le altre volpi tacevano, quando faceva queste domande. 'Che c'entra con lo spezzatino di pollo?' rispondevano piuttosto."


La nave cervo attracca e da essa scendono tre cervi, smarriti per mare. Sono in cerca di un equipaggio migliore, "temo che come marinai i cervi non valgano un gran che" spiegò Lydia. Marcus si offre e con lui anche uno stormo di piccioni capitanato da Victor. È un po' nelle cose che volpi e piccioni non siano poi tanto meglio dei cervi al timone, tuttavia la tempesta in un modo o nell'altro viene superata, ma il risultato finale è uno stormo di piccioni che, non tollerando la fatica, gioca a dama tutto il tempo, tre cervi con il mal di mare e una volpe che continua, nonostante tutto ad aver fame, a farsi domande e per questo a guardarsi intorno. Complice un libro di ricette e qualche carta nautica, l'equipaggio si rinfranca e la navigazione prosegue. Pirati, labirinti di scogli aguzzi, nulla ferma la nave cervo diretta all'Isola degli alberi succulenti. Sbarcati, i cervi brucano, i piccioni raccontano i gabbiani e Marcus cerca altre volpi con le risposte alle sue domande sempre crescenti. Niente volpi. Niente risposte dunque? Non sarà che le domande sono la naturale spinta che fa muovere il mondo e che quindi va bene così?
Parrebbe di sì, visto che la nave cervo è di nuovo pronta a riprendere il mare.


La curiosità come motore dell'umanità.
Non è esattamente la scoperta dell'acqua calda ma è sempre e comunque un bene creare occasioni per far ragionamenti con i più piccoli su questa questione.
La nave cervo è un'occasione 'succulenta'.
Essere curiosi, ed esserlo sempre, farsi domande e farsele sempre, è cosa buona e giusta? Sì, lo è. E non credo di doverlo argomentare qui, almeno in termini teorici.
Mi basta solo sottolineare due 'cosette' che vado sostenendo da parecchio.
La prima. Uno dei criteri oggettivi per capire la qualità di un libro è valutarne la sua capacità di sollevare questioni, di porre domande. Di solito tale capacità si sposa con la complessità di pensiero che lo ha generato.
E quindi ben vengano i libri con tante domande.
La seconda. Un libro che pone domande credo sia preferibile non offra altrettante risposte, ma si concentri piuttosto sul percorso per arrivare a una eventuale soluzione.
In estrema sintesi credo sia più interessante e corretto sotto il profilo 'pedagogico' un libro che lasci spazio alle risposte individuali che possono essere ennesime, quanti sono i suoi lettori e le sue lettrici. Per questa ragione privilegerei, e in passato l'ho fatto, libri che sostengano che il cercare talvolta sia più stimolante del trovare che il chiedersi sia più eccitante del rispondersi.
E quindi ben vengano i libri con poche risposte.
Alle due cosette ne aggiungerei una terza, tutt'altro che periferica.
Un ulteriore criterio obiettivo che applico per valutare la qualità di un libro è verificarne la potenza della narrazione, testuale o visiva che sia. Quando la storia si dimostra così forte in sé, direi autoportante, tanto da sostenere al suo interno questioni importanti su cui riflettere, una volta chiuso il libro, allora so di avere per le mani un buon libro.
A me pare che la nave cervo risponda ai tre criteri.


La stessa Dashka Slater in poche righe sintetizza quanto per lei sia importante la curiosità. Per professione e per attitudine, scrive, anche da adulta non ha mai perduto il suo senso per la ricerca, per la scoperta. Sa lei e sappiamo noi per certo che l'infanzia fa della curiosità la necessaria e imprescindibile mappa per scoprire sé e il mondo (Questions, of course, are the special province of children), ma sa anche che gli adulti che continuano ad avere uno sguardo curioso nei confronti della vita sono molto meno numerosi. Come se, crescendo, diventasse più importante la risposta piuttosto che la domanda. È un fatto che la discussione si ferma con le risposte, ma nasce e fa strada con le domande. La deduzione è a un passo.
Tornerei sul terzo criterio: la qualità della narrazione perché in questo libro ce n'è davvero molta e alta.
La storia della Slater, nata da una immagine apparsale in testa un mattino (pressappoco analoga alla copertina del libro), ha generato questa storia insolita e quella copertina così piena di mistero continua a lavorare bene perché accende curiosità in chi la vede. Così, senza accorgersene, si finisce nelle mani dei fratelli Fan, due strepitosi illustratori che dominano per equilibrio e ritmo, per sapienza tecnica, per cura e ricercatezza di ogni dettaglio, per capacità di essere al contempo immaginifici e realistici, per sottilissima ironia, per sensibilità di registro. 


Non pare ci sia nulla che sia meno che convincente nelle tavole di questo libro.
E poi c'è lui: un'assoluta eccellenza dello scrivere e del tradurre. Masolino D'Amico, ancora una volta contribuisce in modo notevole alla qualità di un'opera. 


La sensibilità nella scelta del titolo e del nome Marcus per la volpe che in originale era Marco, oppure il suo spaziare nelle pieghe di un vocabolario ampio, pieno e vivace - succulenti gli alberi, ardua la traversata, gli scogli aguzzi, il mangiare vegetariano, le nuvole che si assottigliano, le corna che si ammainano, le volpi che fanno fiasco e quel verbo alla fine: un congiuntivo imperfetto in forma perifrastica attiva...chapeau!

Carla

lunedì 23 ottobre 2017

FAMMI UNA DOMANDA!


LA GEOMETRICA PERFEZIONE


Quando ho visto per la prima volta Il mondo degli Animali Selvatici nell'emisfero boreale, ho pensato subito di avere di fronte un libro di divulgazione diverso dagli altri, non tanto per l'impostazione, che ripercorre moduli già noti, ma per lo stile illustrativo dell'autore, Dieter Braun.
Solitamente le illustrazioni, che rappresentano il cuore dei repertori zoologici, sono di due tipologie: o sono fotografiche, e su queste ritornerò presto, o sono caratterizzate da un disegno estremamente dettagliato e realistico, come d'altra parte vuole la tradizione del disegno naturalistico; con le debite rilevanti eccezioni. D'altra parte, è bene ricordare che le illustrazioni non hanno solamente, soprattutto nei libri per bambini e ragazzi, un ruolo esplicativo, ma anche emozionale e, ovviamente, estetico. 


Pensiamo all'abbondanza di pose tenere dei cuccioli nei libri per i più piccoli, o, al contrario, alla rassegna di zanne e artigli in quelli per i più grandi. La rappresentazione della realtà non è mai neutra e quello che si decide di mostrare e il modo in cui lo si fa può fare la differenza.
Dieter Braun, nelle sue illustrazioni, non è mai tentato dal naturalismo estremo o dallo stile 'antichizzato', che rimanda ai bestiari e agli erbari del Settecento; mantiene uno stile squisitamente grafico, che descrive l'essenza dell'immagine animale con un sovrapporsi di geometrie, di semicerchi e angoli acuti che incredibilmente riproducono con assoluta fedeltà l'idea che abbiamo di quella creatura. Di estrema eleganza formale, le sue immagini, sia che rappresentino l'animale fermo, cristallizzato in un fermo-immagine, sia che ne voglia cogliere un accenno di movimento, sono come rarefatte, con uno sfondo neutro e pochi elementi di contorno. 


In questo volume, come recita il titolo, vengono rappresentati gli animali dell'emisfero boreale, il nostro, con grande abbondanza di tonalità calde, dal marrone all'ocra al grigio, con le dovute eccezioni: sono rappresentati anche gli animali marini, con il loro blu, e quelli polari, dove è d'obbligo giocare al bianco-su-bianco, con effetti sorprendenti.
Di tutti gli animali viene indicato il nome comune e quello scientifico; quelli più significativi sono accompagnati da una breve scheda che ne illustra le principali caratteristiche. A chi può essere regalato un libro così concepito e realizzato? Non deve ingannare la brevità dei testi, per apprezzarlo davvero ci vogliono occhi allenati a riconoscere la bellezza, l'eleganza, l'equilibrio delle immagini. Ma questo non vuol dire che sia un libro per pochi; può, al contrario, essere un libro dall'uso molteplice, in cui la curiosità di partenza, che accomuna bambine e bambini di tutte le età, può estendersi anche al lato estetico, diventare fonte d'ispirazione e di stimolo.


Su questa capacità delle immagini di cogliere l'essenza dell'animale rappresentato tornerò anche a proposito della fotografia, presente nelle uscite di questo finale di stagione. Quale sia il mezzo illustrativo che possa rendere meglio il carattere di un soggetto, all'interno di testi dall'evidente scopo divulgativo, è un interessante oggetto di riflessione, se e quanto si comunichi, insieme all'informazione, anche una percezione psicologica, etica, che modifica l'atteggiamento di chi guarda nei confronti dell'oggetto. Quello che viene raccontato non è mai neutro, una fredda esposizione di dati, è anche un'idea del mondo, della sua bellezza, della sua fragilità.

Eleonora

“Il mondo degli Animali Selvatici nell'emisfero boreale”, D. Braun, White Star kids 2017

venerdì 20 ottobre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


QUANDO TORNANO LE BALENE
 
La balena della tempesta in inverno, Benji Davies 
(trad. Anselmo Roveda)
Giralangolo EDT, 2017


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Ma Nico non aveva dimenticato la sua amica.
Ogni tanto credeva di intravedere, in lontananza tra le onde,
la coda della balena.
Ma era sempre qualcos'altro."

La situazione non è cambiata molto. A parte che sta sopraggiungendo l'inverno: neve e ghiaccio fanno la loro comparsa, Nico continua a vivere con il suo papà che fa il pescatore. Continua ad avere sei gatti. Continua a soffrire di solitudine a cui ora si aggiunge la malinconia per la partenza della sua amica balena, che, riconquistata la libertà grazie a Nico e a suo padre, si è inabissata quella notte. E mai più tornata.
A Nico la sua compagnia avrebbe fatto molto piacere. Quel piccolino non smette di sperare che lei ricompaia all'orizzonte, soprattutto adesso che suo padre lo ha lasciato nuovamente con la sola compagnia dei suoi sei gatti per fare un'ultima battuta di pesca prima che i ghiacci sigillino le acque del mare.


Quel giorno nevica tanto, nevica troppo. Questo va giù il sole Nico, alla finestra in attesa del padre, non lo vede tornare e si preoccupa. Lo va a cercare, ma tutto quel bianco intorno lo disorienta e il bambino si perde. In lontananza, una sagoma grigia riaccende nel bambino la speranza di trovare il suo papà. Quella sagoma è effettivamente il peschereccio del padre, ma a bordo non c'è nessuno. Dov'è il papà di Nico?

Le balene grigie migrano in grandi gruppi al sud ogni anno per poi tornare nelle acque fredde del nord a ogni primavera. Questo occorre saperlo per gustarsi appieno questa seconda parte del racconto che vede nuovamente Nico alle prese con la sua solitudine. Lo avevamo lasciato bambino nel suo illudersi di tenere una balena in casa all'insaputa del suo papà e lo ritroviamo che combatte contro la paura che al padre sia capitato qualcosa di brutto. Sembra cresciuto, e ora il senso di responsabilità gli pesa sulle spalle.


Continua a essere un bambino che ispira nei lettori un forte senso di tenerezza per la situazione in cui si trova. E dall'altra parte anche il padre continua imperterrito a cercare di fare il mestiere del pescatore per portare a casa quanto serve. I gatti continuano a fare i gatti: testimoni silenziosi. La grande novità sta nel ritorno inaspettato della balena, quella cucciola che si spiaggiò dopo la tempesta, ora si riaffaccia, accompagnata dall'intero branco. E salva la situazione. Quasi come a voler saldare un debito di riconoscenza.
I secondi libri sono sempre sotto attenta osservazione, in particolare da coloro che hanno molto amato i primi. Chi li legge è inevitabilmente in cerca di conferme o smentite.
Infatti non tutto, in questa seconda puntata, mi pare riconfermato.
Si ritrova la cura per il contesto, il villaggio sul mare, i sei gatti disseminati per la casa, la casa stessa e il pugno di personaggi che la popolano.
Si ritrova la capacità di dare spessore a un diffuso senso di solitudine di questo bambino.
Si ritrova un disegno felice con prospettive movimentate: il mare da sott'acqua, per esempio.


Si ritrova la luminosità di un inverno pieno di neve e il buio della banchisa di una notte di perlustrazione.
Si ritrova una certa coerenza con l'autentico comportamento di quegli animali tra estate e inverno. Fatto di cui molto compiacersi.
E cosa invece non trovo più?
Mi pare manchino le cose non dette, ovvero quei silenzi della narrazione che possono essere integrati dall'illustrazione in una relazione di 'muto scambio' tra parole e immagini. In questa seconda avventura invernale del piccolo Nico le parole dicono molto, a volte troppo e in tal modo diventano rassicuranti didascalie di ciò che lo sguardo può cogliere. 


Dov'è il quid che fa del linguaggio dell'albo un qualcosa di unico?
Se ripenso a quella pagina di La balena della tempesta in cui Nico, messa la balena su un carretto giocattolo, cerca a fatica di trascinarla verso di sé e il testo che accompagna questa scena si limita a dire "'Devo fare presto!' pensò", o ancora la pagina in cui la balena emerge di un soffio dalla vasca da bagno a cui è appoggiato di schiena Nico nell'atto di chiacchierare con lei con biscotti e tazzona di cioccolata a fianco e il testo recita: "Nico fece di tutto per far sentire la balena a casa. Le raccontò della vita sull'isola. La balena era un'ottima ascoltatrice."
Ecco, di pagine così ho avvertito la nostalgia.

Carla

mercoledì 18 ottobre 2017

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


LE PAROLE DELL'INFANZIA

Kuijer è ormai un autore noto, eppure riesce a sorprendere sempre. L'editore Camelozampa, con grande intelligenza, ha recuperato la prima serie scritta dall'autore olandese, vincitore dell'Astrid Lindgren Memorial Award nel 2012, protagonista un'altra splendida bambina, Madelief.
Il primo titolo di questa serie è Madelief. Lanciare le bambole. E' un testo del 1975 e, nonostante gli anni e il gusto 'retrò', ha tutta la freschezza, la sensibilità e l'intelligenza che l'autore inietta nelle sue storie, come quelle, già note al pubblico italiano, di Polleke, scritte in realtà alla fine degli anni Novanta.
Leggere questo testo, stampato meritoriamente con un font per la lettura facilitata, è davvero respirare a pieni polmoni in una storia che non ha, per fortuna, scopi educativi, ma racconta con immediatezza la vita quotidiana di una bambina, all'inizio delle elementari, e dei suoi amici, la piccola Roos e Jan-Willem. Madelief è figlia di una mamma single, molto impegnata nel lavoro; passa molti pomeriggi insieme ai suoi amici, inventandosi giochi, scorribande, grandi imprese. Dal carattere forte, qualche volta anche prepotente, è sempre pronta a difendere i suoi amici dai bulletti del quartiere.


Quello che secondo me è straordinario e che rappresenta bene quello che si dice essere una scrittura ad 'altezza bambino', è la descrizione del mondo infantile, le domande radicali ed imprevedibili di fronte al mondo circostante e le risposte, che i bambini si danno, strampalate eppur dotate di una logica ferrea. Esattamente come pensano i bambini, non ancora piegati al buonsenso e alla necessità di verosimiglianza. Esilarante il capitolo che racconta il dialogo fra la bambina e la mamma sul tema di quel che vuol dire 'essere una signora', che non ha nulla a che vedere con quello che comunemente si potrebbe argomentare. Oppure il capitolo che descrive la prima volta in cui Jan-Willem va a fare la spesa da solo. In poche parole, il mondo bambino, con tutte la sua buffa inesperienza e ingenuità, raccontato con delicata ironia e profonda comprensione, dando dignità e voce ai piccoli.
E' proprio un'idea di infanzia che emerge da questa storia, nemmeno troppo breve e adatta sicuramente a partire dai sette anni: un'infanzia libera dai condizionamenti e dalle paure. Nessun cattivo vero si aggira in queste storie, solo adulti manchevoli, stanchi, incattiviti dalla solitudine, ma il più delle volte partecipi della vita dei figli. Mentre le bambine e i bambini sono portatori, come dovrebbe essere, di una libertà un po' anarchica, irriverente, non piegata alle mode e al dover essere.
Grazie alla efficace traduzione di Valentina Freschi, che ha curato anche quella della serie di Polleke, e alle immagini, originali per l'edizione italiana, di Marta Baroni, abbiamo un libro dalla facile fruibilità, con una scrittura scorrevole e piana, con capitoli brevi e frasi corte, alla portata dei primi lettori. Questo ritmo così veloce è come se ci restituisse tante istantanee, tanti scorci di vita, raccontata con efficace semplicità. Mi sento di consigliare caldamente questo libro, come regalo sotto l'albero o come lettura a scuola.


La scrittura di Kuijer ci propone l'immagine di un mondo più sereno e fiducioso, aperto al futuro e rispettoso del mondo dell'infanzia. Mi piacerebbe chiedergli se vede il mondo in questo modo ancora oggi.

Eleonora

“Madelief. Lanciare le bambole”, G. Kuijer, Camelozampa 2017


lunedì 16 ottobre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


IL BUIO OLTRE LA SIEPE

Thornhill, Pam Smy (trad. Sante Bandirali)
Uovonero 2017



NARRATIVA ILLUSTRATA PER GRANDI (dagli 11 anni)

"So che mentre scrivo queste cose al sicuro nella mia stanza, quando tutta la casa dorme in silenzio, lei tornerà quassù e il grattare, il graffiare, lo sbatacchiare, il bussare sulla mia porta ricominceranno. E so che resterò qui distesa facendomi piccola e tremando."

La data di questa pagina di diario di Mary, nell'orfanotrofio di Thornhill, è 30 aprile 1982. Da due mesi o poco meno nell'orfanotrofio è rientrata - in quella famiglia non l'hanno voluta - lei. Mary e lei per ironia della sorte si assomigliano, bionde con gli occhi chiari, ma Mary è silenziosa, mutismo selettivo, e vive le sue giornate isolata nella sua camera all'ultimo piano circondata dai meravigliosi pupazzi che costruisce per riempirsi le giornate piene di vuoto, mentre lei passa il suo tempo a comandare e a spargere carisma su un gruppetto di fedelissime coetanee. 
Mary e lei condividono tuttavia un destino all'interno di quel luogo tetro, dal nome tetro. Una al di qua e una al di là della porta: una terrorizza l'altra, la tiene in costante scacco, facendole scherzi atroci, mettendole contro l'intera comunità, atterrendola con agghiaccianti visite notturne... 
Talvolta c'è davvero un solo sottile diaframma di legno a tenerle separate. Due mondi di sofferenza che si toccano, che si respingono, che si cercano e si fuggono, due mondi in cui anche i pochi adulti di Thornhill non sanno penetrare.
Intrecciata alla storia piena di terrore della piccola orfana Mary, c'è quella di Ella, piena di inquietudine. Anche lei orfana, da poco si è trasferita con il padre in una nuova casa proprio di fronte al lugubre edificio di Thornhill, ormai vuoto e disabitato da anni.
Tra la storia di Mary e quella di Ella passano circa 35 anni, ma nonostante questo sembra che le loro solitudini si debbano incontrare. Tracce di una vita passata, quella di Mary, frammenti di oggetti che le sono appartenuti, affiorano qui e là e finiscono nelle mani di Ella che decide di andare al di là di quel filo spinato che nasconde il vecchio edificio cadente.
Segue le tracce lasciate da un'ombra.


Bang, che libro! Più di 500 pagine di un libro nero, nerissimo. Due storie distinte dal tempo che le tiene necessariamente lontane e che tuttavia possono intrecciarsi fin dalle prime pagine: la prima, quella di Mary, raccontata a parole, la seconda quella di Ella, raccontata per immagini.
Un paio di punti di contatto: la solitudine data dalla orfanezza di entrambe, e il luogo: Thornhill e le case che lo circondano.
Racchiusi da un filo spinato che sembra avvolgere, fin dai risguardi ma anche in senso metaforico, le due esistenze, i luoghi sono forse uno dei protagonisti chiave di questo romanzo di esordio di Pam Smy, importante figura dell'illustrazione anglosassone. Fin dalla copertina, in un lago di nero, appare una casa in una notte di luna piena che ne rende affilati (complice il leggero rilievo) i profili. Solo una finestra è illuminata e l'ombra di qualcuno guarda fuori.


Per l'appunto. In un loro continuo e ostinato dialogo tra dentro e fuori, i luoghi in Thornhill contribuiscono fortemente a dare spessore all'inquietudine che attraversa la narrazione: nella storia di Mary le porte sono davvero elementi chiave del racconto e in concreto rappresentano diaframmi di protezione o prigionia della sua fragilità nei confronti di lei. Analogamente le esplorazioni che Ella fa nel giardino incolto e che si spingono fin nell'edificio che, grazie a una chiave ritrovata, si apre svelando la camera di Mary, abitata dai suoi fantocci.

 
I pupazzi. Anch'essi costituiscono un elemento fondamentale intorno a cui Pam Smy costruisce il racconto. E, parimenti, sono anch'essi icona quasi imprescindibile dei buoni racconti del brivido.


Ad evidenza, la Smy sa il fatto suo anche in ambito narrativo. Tocca le corde giuste dell'immaginario collettivo e attraverso elementi concreti costruisce un pathos palpabile e dà spessore a una carrellata (ad eccezione forse delle figure degli adulti, tagliate un po' troppo grossolanamente) di personaggi da manuale. Mai, nemmeno per un momento Mary, lei o Ella (quest'ultima solo disegnata) perdono di credibilità e le loro dinamiche di relazione, che fornirebbero il fianco allo stereotipo e alla didascalia, sono sempre all'altezza di un romanzo di qualità. Sa essere spietata e dura nel raccontare gli scherzi e le trappole costruite per Mary, sa raccontare la fragilità che nasce dal bisogno dell'altro attraverso i toni intimi di un diario. Nel racconto per immagini, è abile nell'inserire indizi che permettano al giovane lettore di contestualizzare e di cogliere legami tra il presente e il passato, dissemina le tavole di dettagli che attraggono lo sguardo e che sono rivelatori di nessi altrimenti difficilmente ricostruibili.
E a parte tutto questo, due meriti ulteriori mi sento di ascriverle. Da un lato, una solida conoscenza della letteratura, anche e soprattutto classica (Il giardino segreto citato più volte), di questo genere. Svariate volte mi è parso di cogliere richiami più o meno espliciti ad altri romanzi, dalla Ruota degli elfi di Janet Taylor Lisle alla Casa delle vacanze di Clive Barker, solo per citarne due.
Dall'altro, il suo coraggio di confrontarsi con un modello narrativo ineguagliabile, quello di Selznick. Se nel tipo di immagine la diversità è immediatamente palpabile, nella tessitura tra testo e immagine il confronto non è così immediato. Anche in questo caso però Palm Smy decide per una via autonoma: laddove Selznick utilizzava i due registri lungo un unico vettore cronologico, la Smy se ne serve creando tra loro uno iato cronologico -quelle due pagine nere che ogni volta separano disegno da testo sono proprio una bella idea - che tuttavia lentamente ma inesorabilmente converge in un punto finale che, neanche sotto tortura, svelerò.


Carla



venerdì 13 ottobre 2017

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


CRESCENDO LETTORI

Opinione comune vuole che, a fronte di una vera e propria fioritura nel settore degli albi illustrati, poco di nuovo ci sia nelle collane di narrativa, palestra per apprendisti lettori.
In effetti è proprio con questa tipologia di libri che spesso bambine e bambini si cimentano nella lettura autonoma. Dalla prima elementare alla quarta, poiché in quinta si cominciano ad assaggiare storie più lunghe e complesse, i giovani lettori si confrontano con una produzione editoriale vasta, finora dominata dal topo Stilton e dai suoi parenti stretti, con una proliferazione di collane e sottocollane, con il marchio del Battello a vapore.
Questa situazione, nel corso degli ultimi dieci anni, è profondamente cambiata: da un lato le collane più commerciali hanno acquisito un ruolo minore, mentre le collane storiche della Piemme faticano sempre di più a mantenere il ruolo di capofila; nello stesso tempo alcuni editori, come la Mondadori e la Einaudi ragazzi, hanno avviato un complessivo restyling delle proprie collane, altri, soprattutto della piccola e media editoria, hanno portato avanti proposte innovative. Ricordo, a titolo di esempio, la serie di Hank Zizper, pubblicata da Uovonero, oppure le prime letture proposte da Sinnos.


Qui mi vorrei soffermare su alcune proposte recenti dedicate ai primi lettori. La prima che vi sottopongo è Grande & Buffo. Il consiglio del coniglio, scritto da Julian Gough con le illustrazioni di Jim Field, pubblicato da Gallucci. Pensata per i lettori fra la seconda e la terza elementare, è una storia esilarante, in cui si confrontano un'orsa, davvero troppo buona, e un coniglio, davvero troppo scorretto. La presenza di un lupo decisamente affamato, che non ama le cene che sfuggono a 100 all'ora, costringe il coniglio a confessare le sue malefatte e a cambiare decisamente rotta. Stile brillante, ritmo forsennato, più o meno come quello di un coniglio che scappa, ha quel giusto pizzico di cattiveria che coinvolge il lettore o la lettrice, anch'essi imperfetti e contraddittori nelle amicizie. Perfetta la sintonia con le immagini che accentuano la polarizzazione dei personaggi. Per ora, sono usciti due titoli e mi auguro davvero che ne escano altri.


Un altro personaggio molto amato dai giovani lettori è Dory fantasmagorica, la pestifera bambina creata dalla penna e dalla matita di Abby Hanlon; qui l'editore è Terre di mezzo, che ha giustamente individuato un personaggio che aveva e ha tutte le carte in regola per entrare nelle simpatie dei lettori in realtà un po' più grandi, fra gli 8 e i 9 anni. Dory è una bimba di sei anni, che non ha nessuna voglia di crescere e di lasciare la sua migliore amica (immaginaria), Mary, con cui vive indescrivibili avventure. Snobbata dai fratelli più grandi, riesce comunque a sconvolgerne la vita con le sue imprese che, nell'essere immaginarie, si traducono in un concretissimo caos domestico. Su Dory sono usciti, finora, tre libri, che speriamo non esauriscano la serie, apprezzata dai giovani lettori e lettrici grazie al semplice ed efficacissimo passaparola.


Un'altra serie molto gradita dai bambini e dalle bambine della libreria è quella della collana, proposta dall'editore Lapis, chiamata Quelli della Rodari: ogni volume è dedicato a un personaggio di una classe micidiale della scuola Rodari e ogni volume è scritto da un autore diverso, da Baccalario a Gatti, a Sarah Rossi e così via. Il segreto del successo sta nella chiave umoristica, direi anche grottesca, con cui si raccontano le vicende di ciascuno, e nelle caratterizzazione dei personaggi: dalla saputella, artefice di teorie improbabili, al ragazzino fissato con i supereroi e così continuando; facile, per i bambini, identificarsi con questi personaggi. La serie ha visto finora sei storie.
Bisogna dire che Lapis da tempo ha investito sulle collane delle prime letture, colmando in parte il vuoto lasciato dai grandi editori. Non sto qui a enumerarle, quello che mi preme sottolineare è che in questa fascia d'età, in cui si comincia a costruire il rapporto diretto, personale fra il bambino lettore e l'oggetto libro, è indispensabile che ci sia un'offerta varia e capace di rispondere a esigenze diverse. Non possiamo aspettarci carrellate di capolavori, come il mitico e intramontabile Trattamento Ridarelli; possiamo richiedere testi di 'onesto artigianato', in cui sia rispettata la lingua, non ci siano solo storie rassicuranti ed edificanti, atte a risolvere i problemi educativi degli adulti, che siano anche un po' 'difficili', con qualche parola nuova e costruzioni lessicali non banali. Storie che parlino a bambine e bambini all'altezza dei loro occhi, del loro mondo, dei piccoli drammi o commedie di cui la loro vita è piena.

Eleonora

“Grande & Buffo. Il consiglio del coniglio”, J. Gough e J. Field, Gallucci 2017
“Dory Fantasmagorica”, A. Hanlon, Terre di mezzo 2016
“Akiko Assò”, A. Gatti, Lapis 2017