domenica 31 dicembre 2017

ECCEZION FATTA!

I NOSTRI FUOCHI D'ARTIFICIO 
CHE SPARIAMO NELL'ETERE 
PER FARE LUCE
PER FARE RUMORE 
PER FARE MERAVIGLIA 
E PER FARE FESTA
 
Il meglio di... un anno di libri, un anno di ragionamenti,   un anno di recensioni su Lettura candita Per ogni libro, il nostro perché
(BUM!) 

Gennaio 2017



 perché
"La vicenda è appassionante, lettori e lettrici sono portati a fare il tifo per questo ragazzino così fragile e pauroso, costretto però ad affrontare le sue peggiori paure per salvare il fratellino. Steve è un anti-eroe, è un ragazzino che ancora non ha lasciato l'infanzia, con tutto il suo 'pensiero magico', ma nello stesso tempo sa prendere decisioni, affrontare pericoli, anche suo malgrado. Chi legge resta nel dubbio: i sogni di Steve sono davvero il territorio in cui si incontrano mondi diversi, o sono solo le sue elaborazioni fantastiche di una situazione insostenibile.."





perché 
"Gioca Morpurgo con la doppia identità del suo padre naturale, così come fa anche Felicita Sala, tra la figura e la sua ombra. E questo crea una intrinseca ironia che dal titolo in poi 'sdrammatizza' sulla serietà del tema, ovvero quello di non aver mai conosciuto il proprio padre e, più in generale, di dover fare i conti con il proprio passato.
Nessuno può, o deve, sapere quali siano i fili di verità di questa storia, ma sono sotto gli occhi tutti i punti in cui il racconto tocca vertici di tensione emotiva che lo rendono una storia struggente e, a mio parere, di grande autenticità..."
 
 Febbraio 2017
 
 
perché  
"Quella di Lobo è una storia forte, che mette sotto il naso della giovane lettrice e del giovane lettore la violenza con cui si è caratterizzata la 'civilizzazione' dell'America e giustamente viene sottolineato, soprattutto nelle immagini che accompagnano il testo, come questa violenza e questa prevaricazione si sia rivolta in primo luogo contro i nativi americani.
Non si può non essere dalla parte di Lobo, animale intelligente e leale, contrapposto a un'umanità dedita all'inganno..."
 


Perché 
"Parecchie sono le cose da notare. Prima fra tutte, il silenzio delle parole che raccontano un dialogo affettuoso fatto di piccoli gesti significativi: il venirsi incontro di un piccolo con un grande. Una mano che si tende, una risata all'unisono, un braccio sulla spalle.
Ulteriore particolare che colpisce è lo stile del disegno: grafico, sintetico, che gode ne prendersi alcune libertà, nei tagli, nel moltiplicarsi del motivo della grande goccia o nella visione zenitale del tavolo da lavoro ingombro di tanti strumenti..."



Marzo 2017

 “Perché non fiorisci?”, K. Macurova, Nord-Sud edizioni 2017



perché
"Una storia molto semplice e molto divertente, in cui da subito i bambini e le bambine comprendono l'ingenuità di un personaggio e la furbizia degli altri. Ma in questo quadro, che sta alla base di moltissime storie, non c'è traccia di cattiveria, anzi, alla fine in un certo senso l'orsetto trova quello che stava cercando, anche se il risultato è diverso da quello che si aspettava..."
 
perché  
"La provincia americana, raccontata superbamente da una delle penne più felici e più premiate del panorama statunitense, è lo sfondo di questa storia intrecciata di tre bambine che, a modo loro, cercano di trovare una loro personale e meritata felicità. Lo stile di Kate Di Camillo si riconosce per la sua fluidità, la schiettezza, l'ironia e un'ineguagliata leggerezza e grazia. La sua poetica si riconosce ancora una volta nella sua determinata volontà di affrontare temi spinosi, quali la frequente inadeguatezza e la negligenza del mondo degli adulti..."
 
 Aprile 2017
 
 
 
perché  
"Non poteva che essere concepita così questa storia, con un testo che è un elogio dell'anarchia della vita, della confusione che la presenza di un altro, un diverso da sé, inevitabilmente comporta; le immagini sono l'adeguato contraltare, la vita ordinata, graziosa, un tantino fru fru della protagonista. I suoi cappelli adornati con grazia, i fiori freschi posti nel vaso in salotto, l'arredamento così squisitamente femminile..."
 
perché  
"a grappolo, si snocciolano una serie di esilaranti siparietti tra il coccodrillo e l'uomo vestito di rosso. Il primo riguarda la non remota possibilità che l'uomo sia stato truffato, il secondo si centra sull'ampolla con l'acqua di fiume che diventa la prova regina del fatto che il fiume venduto non è più quello attuale, il terzo è una succinta lezione di fisica dei solidi e anche dei liquidi, il quarto ha il merito di essere un piacevole divertissement linguistico e il quinto assume un vago sentore di sermone ambientalista ed ecologico.
E poi arriva lui, quel 'rugliare' che non ti aspetti e che ti incolla definitivamente al libro e alla storia che contiene: "E poi i coccodrilli rugliarono e diedero un colpo di coda sull'acqua..." Rugliare è il verbo perfetto..."
 
[continua]
 

 

venerdì 22 dicembre 2017

ECCEZION FATTA!


BABBO NATALE È UNO DI NOI! (ne ho le prove)



Io non so se i grandi che leggeranno questo anomalo post almeno per qualche giorno all'anno percepiscono una insolita quanto magica comunanza di intenti con Babbo Natale.
A me capita. E capita di desiderare non tanto i suoi abiti, o la sua risata chioccia, quanto piuttosto gli elfi, piccoli aiutanti infaticabili. Ma sono soprattuttto le renne quelle che mi mancano nel traffico della città...
Desiderare di esserlo e non riuscirci fa la differenza ed è dimostrazione che babbo natale, lui è un'altra cosa!!
E se così è, fino a qualche giorno fa sono stata ferma nel credere, allineandomi con i più piccoli, che Babbo Natale fosse una figura mitica. E come tale non avesse nulla di umano.
Ma poi ho trovato un libro che, con la precisione di un libro di scienza, mi dimostra che Babbo Natale è uno di noi.


Il libro, pubblicato da Clichy è Una giornata con babbo natale, di Soledad Bravi, che considero autrice di massima fiducia.
Per prima cosa, il nome babbo natale è scritto minuscolo, come a voler sottolineare che lui è uno qualunque.
Sfogliandolo, apprendiamo che ha una sveglia digitale che lo fa alzare ogni mattina e che, come tutti noi, fa colazione con pane e marmellata, si lava bene le ascelle, cantando sotto la doccia. 



Si lava i denti, si pettina (anche il barbone). Si mette mutande a righe e calzettoni a pois, quindi camicia (senza neanche sbottonarla!!) pantaloni, cappotto (!), stivali e cappello d'ordinanza e va dalle renne, le coccola (senza di loro, sarebbe davvero nei guai) 



e quindi comincia la sua UNICA giornata di lavoro con i regali sulla slitta, portati dagli elfi. Ed è a questo punto che si ha la prova provata che babbo natale è uno di noi: con gli elfi si fa un s-elfie.

Abbiate tutti un po' di gioia intorno, che siate babbo natale o meno....



Il blog entra in pausa 
e va a coccolare le proprie renne

mercoledì 20 dicembre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


 ATTENTI AL PASSERO

Guarda fuori, Silvia Borando
Minibombo 2017


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni)

Nevica. Solo un albero spoglio nella notte. L'unica luce è quella di una finestra. Ad essa sono affacciati, ben protetti dal vetro, una bambina dalle trecce rosse e un bambino dai capelli blu. 


Sorridono e poi indicano qualcosa sulla destra nell'arco della loro visuale. Ma non della nostra che stiamo leggendo.
Ed ecco di nuovo il cielo della notte, di nuovo la neve che cade, l'albero spoglio, ma una nuova presenza appare sulla pagina innevata: un uccellino grigio con le ali rosse.
Immobile è lui che ha attirato l'attenzione dei due bambini chiusi in casa. 


Adesso è di nuovo la finestra a essere inquadrata. I due bambini indicano qualcosa che è al di là dei vetri, sulla sinistra. Qualcosa che genera in loro un sorriso.
Di nuovo il cielo notturno, la neve, l'albero spoglio e l'uccellino, ma una nuova presenza appare sulla pagina innevata: tre conigli rosa.
Sono loro che hanno attirato l'attenzione dei due bambini chiusi in casa.
Adesso è di nuovo la finestra a essere inquadrata. I due bambini indicano qualcosa che è al di là dei vetri, davanti a loro. Qualcosa che genera in loro un certo stupore lievemente preoccupato.
Di nuovo il cielo notturno, la neve, l'albero spoglio e l'uccellino, i tre conigli, ma una nuova presenza appare sulla pagina innevata: un gatto che guarda con desiderio l'uccellino.
Il gioco si ripete, perché è di nuovo la finestra a essere inquadrata. Dietro i vetri i bambini sono molto preoccupati...


Con un tratto consueto, semplice, con colori piatti, il nuovo libro di Minibombo gioca, come spesso accade.
Questa volta gioca con il dentro e con il fuori che si alternano con la precisione del pendolo. Prima un fuori buio e nevoso, abitato da animali tra loro non esattamente pacifici, cui segue un dentro luminoso, caldo e abitato da bambinetti espressivi.
La mimica facciale è la seconda chiave del libro. Attraverso gesti minimi, sguardi espressivi, noi lettori siamo messi a parte dello stato d'animo di bambino e bambina. Intuiamo che stiamo assistendo a qualcosa di bello quando li vediamo sorridere; a qualcosa di pericoloso quando li vediamo a bocca spalancata; a qualcosa di rassicurante quando li vediamo esultare. 

Quando però li vediamo sparire, e la finestra è vuota, intuiamo che qualcosa di tremendo deve essere accaduto. Ed infatti così sembrerebbe....o era tutto uno scherzo? Una burla per occupargli il posto al calduccio e lasciar loro all'addiaccio con un palmo di naso.
Ben costruito, perché giocato in assoluto silenzio attraverso un codice di comunicazione insolito: lo sguardo.


Penso a capolavori come Questo non è il mio cappello di Jon Klassen che è raccontato tutto attraverso gli sguardi del grande tonno. La sua potenza ironica nasce nella discrasia tra testo e immagine. Bella idea.
Qui siamo davanti a qualcosa di analogo, anche se costruito più in economia.
Alcune soluzioni mi hanno fatto molto ridere e mi hanno fatto ben sperare che Silvia Borando abbia ritrovato la sua vena più tagliente, quella di Apri la gabbia! per intenderci: la mia preferita.

Carla

Noterella al margine. Massimamente divertente l'uccellino che, nella sua fissità, denuncia di essere un fantoccio, quindi parte di un piano strategico dei protagonisti animali che hanno in progetto di impossessarsi di uno spazio al chiuso a loro di norma interdetto. Per non parlare del coniglio sputato.

lunedì 18 dicembre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


SERVE BEN POCO ALL'ERBA...

Haiku Poesie per quattro stagioni più una, Silvia Geroldi, Serena Viola
Lapis 2017




POESIA

"Salto le foglie
ma solo quelle gialle.
Cioè quasi tutte. [...]

Raccolgo fiori
e li farò seccare.
Belli per sempre. [...]

Sogno battaglie.
È piena di promesse
la prima neve. [...]

Uova azzurrine.
Dentro il mio rosmarino
quattro prìncipi."


Bambini e bambine, un certo numero di cani, un ragno che è fuori, varie farfalle, il sole, la luna, diversi uccellini, molti alberi, rane, carpe e papaveri: sono loro che abitano le pagine di questo libro.
Talvolta le attraversano a gran velocità, come per esempio i cuccioli che giocano con un bastone e una palla o la bambina che salta le foglie o che capriola sul tappetto di casa, sognando sia un prato.


In altri casi sulla pagina si spande l'acqua di un lago di carpe o di rane assenti, oppure è inondata dal mare o dal volo di farfalle spaventate da un taglia erba.
Il più delle volte però il bianco fa da sfondo al rosso dei papaveri, al viola delle viole, al grigio dell'asfalto, al blu di un lago, al verde dei cespugli. Che sono soprattutto grandi macchie di colore.
Quaranta haiku che raccontano lo scorrere del tempo, delle quattro stagioni e della quinta: l'infanzia, la stagione del gioco.


L'haiku, come quasi tutto ciò che ha radici in Giappone, è un oggetto di precisione. Una opera d'arte bonsai, dove la bellezza è racchiusa in una forma minuscola.
Esatto, votato a un preciso ordine interno, l'haiku è un'espressione artistica fatta di delicatezza e attenzione.
Sommamente semplice nella forma e profondo nel contenuto.
Un meccanismo perfetto, ideato per raccontare - in estrema sintesi - le suggestioni del tempo e della natura. O per meglio dire, della relazione tra i due. L'haiku, nei tre versi che lo compongono e nella scansione ritmata di cinque, sette e di nuovo cinque sillabe (in realtà si tratta di more), nasce in Giappone nel XVII secolo con lo scopo di raccontare in un lampo, in sole tre righe, suggestioni, vibrazioni dell'anima. Di un'anima immersa nella natura, compartecipe.


L'elemento che mi pare più intrigante in un haiku, uno dei suoi caratteri peculiari, è quello di contenere in sé, nonostante la concisione che lo distingue, la possibilità di uno scarto di prospettiva.
Per chiarire cosa si intende, spesso appare citato uno degli haiku più noti, quello di Mizuta Samahide, che dice:
Il tetto si è bruciato:
ora
posso vedere la luna.
E proprio riguardo a questo meraviglioso scarto, repentino cambio di prospettiva nel leggere la realtà,mi pare che il libro di Silvia Geroldi e di Serena Viola, contenga elementi di interesse.
Va detto che non tutti gli haiku di questo libro la assecondano, questa 'deviazione' inaspettata, tuttavia quando essa accade al lettore risulta più semplice e naturale spiccare il proprio volo immaginativo.
In questa prospettiva,gli haiku che aprono questa pagina possono essere esemplificativi.


E se ancora vogliamo ragionare di scarto, possiamo notarne un secondo, altrettanto interessante. Quello che esiste tra testo e immagine.
Laddove il testo -suppongo- è il frutto di un lento lavoro di limatura, di perfezionamento, di ponderazione e riflessione, in sostanza è l'esito di un'operazione di cesello della lingua espressiva, il disegno invece è quanto di più immediato, spontaneo, attivo, estemporaneo si possa immaginare.
Parole scelte e misurate, disposte con calma secondo un ordine preciso che si alternano a gesti pittorici forti, improvvisi, agitati, mai definitivi.
Alle asciutte tre righe rispondono macchie di colore dato a larghe pennellate materiche, segni a matita frettolosi e imprecisi.


A una parola che si esprime con parsimonia risponde un disegno abbondante, pirotecnico.
Eppure questi due codici che tra loro sono divisi da un evidente scarto sono quanto di più armonico si possa immaginare.
Perché accade?
Da un lato c'è la convergenza di testo e immagine verso un ritmo che deve essere fulmineo, ma dall'altro credo che la ragione principale sia nel nocciolo più profondo che ogni buon haiku racchiude in sé: in quelle tre righe si assiste al disvelamento di un mondo tutto nuovo.
Non è forse questo uno degli eventi più vivaci e folgoranti cui la nostra mente possa assistere? Evviva i 'fuochi d'artificio' di Serena Viola.


Carla

Noterella al margine. Per rispetto della precisione giapponese e delle menti dei lettori, sarebbe stato bello che nell'introduzione Silvia Geroldi avesse spiegato meglio il canone metrico della sillabazione di un haiku. Da me, perduta, che contavo con le ditina le sillabe, è arrivata in soccorso Chiara Stancati con la sua sinalefe.

domenica 17 dicembre 2017


IL REGALO NEL REGALO

(dal canarino all'elefante)*



Budino di limone

Ci sono molte cose che nascono per caso...e hanno il gusto del regalo.
E a proposito di regali: fare regali al mio vecchio amico Paolo non è sempre facile: ha già molto e quel che non ha ancora, se lo regala da sé, in men che non si dica.
Su una categoria merceologica però ci sono varchi ancora aperti, in cui chi ha desiderio di fargli un regalo può trovare spazio: il cibo.
I carciofini, il pane e, di recente, le scorze di limone candite.
I limoni devono essere quelli amalfitani, non trattati.
Non qui e non ora la ricetta delle scorze, quanto piuttosto una ricetta per utilizzare il succo di quei bei limoni, nudi....

Ingredienti
600 ml di latte
4 cucchiai di maizena
4 cucchiai di acqua fredda
130 gr di zucchero
il succo di due limoni
qualche scorza di limone non trattato

Prendete il latte e portatelo a ebollizione con lo zucchero e le scorze del limone
In un bicchiere sciogliete la maizena con l'acqua fredda.
Spremete i due limoni e filtrate molto bene il succo.
Quando il latte è in ebollizione aggiungete la maizena e girate con una frusta perché non si creino grumi. Togliete dal fuoco e continuate a girare per un po'. Quando è stiepidito aggiungete il succo di limone e mescolate.
Ultimo passaggio: versate attraverso il passino l'intero composto in capienti tazze o ciotole e mettete in frigorifero per almeno tre ore.
Il budino che ne risulterà è rinfrescante, digestivo, perfetto per il dopocena mio e del prof. 

 
Ma anche a merenda.

Carla 

*Crushiform, Colorama, L'ippocampo Ragazzi, 2017



venerdì 15 dicembre 2017

ECCEZION FATTA!


 DI RAGAZZE E DI SCIENZA


In una fiera rinnovata e affollata, si è svolta una piccola tavola rotonda che riguardava il tema, negli ultimi tempi ricorrente, della divulgazione nell'editoria per ragazzi.
Presenti, insieme a me, Claudia Bianchi, Vichi de Marchi, Teresa Porcella e Nadia Terranova.
Ci sono stati alcuni punti su cui si è innescato il dibattito, che provo a sintetizzare così:
  1. L'editoria per ragazzi ha perso attenzione nei confronti della divulgazione scientifica?
  2. Si è davvero innalzato il livello della produzione editoriale e quali sono le sperimentazioni più interessanti?
  3. Esiste una specificità nel rapporto fra scienza e ragazze? Esistono realmente differenze di genere in questo ambito?
Quanto al primo punto, credo sia necessario fare chiarezza. E' un dato di fatto che, rispetto agli anni 80/90, alcune collane siano scomparse, senza essere sostituite da nulla di equivalente: sono scomparse le trattazioni enciclopediche, le grandi collane a volumi monografici, i grandi repertori fotografici, nonché collane minori di editori d'avanguardia come E.Elle. Si è perso soprattutto qualsiasi progetto che avesse una visione d'insieme, mentre alcuni grandi editori si sono accontentati di ristampare all'infinito, con poche modifiche, testi ormai superati; questo spiega perché al momento ci siano così grandi lacune nella trattazione divulgativa. E' come se tutti gli editori si concentrassero sugli argomenti di maggiore fruibilità commerciale, con le debite notevoli eccezioni, a cominciare dall'eroica, e premiata, Editoriale Scienza.
Questo non significa che non ci siano innovazione e sperimentazioni validissime, ma solo che la produzione è a macchia di leopardo, con picchi di elevata qualità e scarsa inventiva per quella produzione 'media' di cui c'è un grandissimo bisogno.

Il punto due. Bisogna fare una premessa: le curiosità dei bambini e delle bambine non hanno limiti, siamo noi adulti spesso a decidere se un argomento 'non è adatto'. Col crescere, gli interessi si definiscono meglio, ma questo non significa che il campo della ricerca potenziale sia limitato. La possibilità di sperimentazione in campo editoriale potrebbe essere enorme, mentre buona parte dell'innovazione riguarda l'uso dell'illustrazione, la funzione delle immagini disegnate; molto apprezzato, ma legato a una fascia d'età limitata, lo sconfinamento verso la narrazione e l'albo illustrato, mentre la pregevole produzione a livello biografico non può sostituire una trattazione più organica in campo storico. Va anche sottolineato che talvolta, proprio in alcuni editori d'avanguardia, siano presenti sciatterie ed errori che sarebbero facilmente evitabili con una maggior cura editoriale. Come lo spieghiamo? L'intelligenza di bambini e bambine andrebbe maggiormente rispettata.

Il punto tre. Allargherei il discorso verso una 'questione sociale' che tendiamo a ignorare. Se date un'occhiata al rapporto 2018 di Save the Children sull'infanzia in Italia, in relazione all'istituzione scolastica, non potete non constatare che si allarga l'area di povertà, soprattutto nel Meridione; nell'indagine Pisa del 2015 si riscontra che un alunno su 4, parliamo di ragazzi di 15 anni, non ha sufficienti competenze matematiche. Sempre secondo questo rapporto un quindicenne su due, appartenente agli strati di popolazione più poveri, non ha sufficienti competenze linguistiche, con un gap enorme rispetto a ragazzi cresciuti in ambiente benestante. E la scuola fatica a contrastare queste differenze.
Questa premessa è necessaria se si vuole inquadrare lo specifico delle bambine e la scienza: dopo venti anni 'regressivi' non possiamo che pagare lo scotto di un parziale arretramento, a livello generale, quindi non nelle famiglie informate, colte e con disponibilità economiche, sul tema delle differenze di genere. C'è, quindi, un sovrapporsi di difficoltà, che riguardano sia il ritardo culturale che investe alcune aree del Paese, sia una certa diffidenza rispetto alle materie scientifiche, che un retaggio 'antico' che considera, anche con il maggior affetto possibile, le ragazze inadatte a svolgere determinati ruoli. Dispiace constatarlo, ma sì, esistono ancora persone che, convinte del proprio pensiero, affermano che l'astronomia è 'troppo astratta per le ragazze'. E se la scuola non riesce a fare il proprio mestiere, chi spingerà le ragazze verso una maggiore competenza tecnica e scientifica? Non bastano, anche se aiutano, le belle biografie di scienziate, non basta l'enfasi sulle bambine ribelli o sulle donne di successo. Ci vuole un grande lavoro che abbracci tutta la società a partire dalla scuola, ma ciascuna di noi, nel proprio ruolo, deve prendere seriamente questo discorso.


Ho assistito con emozione, durante l'ultimo Festival di Internazionale di Ferrara, a un incontro con Angela Davis, leader del movimento nero degli anni Sessanta in America. Lei ci ha detto, con un grande sorriso, che questo è un bel momento per i più giovani. Per lottare. 
Svegliatevi, ragazze. Svegliamoci tutti e tutte.

Eleonora

“Atlante dell'infanzia a rischio. Lettera alla scuola”, Save the Children Italia, Treccani 2017


mercoledì 13 dicembre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


DELLA NOTTE E BASTA

Storie della notte, Kitty Crowther (trad. Lisa Topi)
Topipittori 2017


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Non molto lontano da qui, in mezzo al bosco, viveva la custode della notte.
Ogni sera, prima che facesse buio, suonava il gong.
Dooooonnnng - Dooooooong
'È giunta l'ora di andare a dormire', gridava la custode, 'tutti, grandi e piccini'.
'Aspetta', supplicò il pesce, 'voglio giocare ancora un po''.
'Ti eserciterai domani a saltar fuori dall'acqua'.
Dooooonnnng - Dooooooong"

Ed è così che comincia il primo dei tre racconti che Mamma Orso ha promesso al suo piccolino che le ha detto tre volte ti prego.
La custode della notte, dopo aver messo a dormire pesci, formiche ed ermellini, torna a casa per trovare anche lei il suo sonno, ovvero la sua stella che la porterà fino a domani. Non prima di un altro colpo di gong e di un gioco con se stessa.
Il racconto di Mamma Orsa prosegue con la storia della ragazzina con la spada che si è perduta: la piccola Zhora in cerca di mora. Tra tramestii e pipistrelli anche la sua avventura si conclude con un buon sonno, per poi lasciare posto alla terza storia in programma: quella di Bo, un omino con cappello e cappotto che ogni notte va in cerca del sonno perduto. Nonostante le piume di civetta lunatica che gli rendono morbido il letto, Bo si gira e rigira insonne e parte verso il mare con l'idea di trovare il suo amico Otto, lontra poeta sui sassi. Un buon consiglio, un regalo, una poesia e un caro amico sono gli ingredienti necessari perché anche Bo abbia un sonno sereno.
E quello di Orsetto, di sonno? Con la stella giusta e le tre promesse fatte da Mamma Orso che sono ponti verso domani, può chiudere gli occhi e addormentarsi tranquillo tra bambine, custodi e omini.

Piccolo, quasi quadrato, rosa, meravigliosamente e fermamente rosa (di un rosa che non ha uguali; un rosa quasi fosforescente che fa da sfondo, che si sfuma con l'acqua e che colora di sé persino il firmamento ed è ideale contrappunto con i diversi neri che lo circondano) il nuovo libro di Kitty Crowther riconferma il valore di questa autrice.
Uno a uno si ritrovano i motivi che caratterizzano il suo stile, il suo registro, il suo tono e i temi a lei cari.
All'interno della storia cornice che ne contiene altre tre, ancora una volta la Crowther costruisce una calda, accogliente e rassicurante relazione piccolo-grande. Nonostante gli orsi protagonisti, lontana anni luce da ogni mielosa cadenza, sulla scia di Minarik e Milne.


Una Mamma Orsa affettuosa e nello stesso tempo ferma nel tenere la barra del timone di una barca che sta per intraprendere il viaggio notturno del suo piccolino. Condiscendente nel raccontare tre storie al posto di una e partecipativa nel saper creare aspettativa verso nuovi progetti per il domani: raccogliere more o scrivere sassi, Mamma Orso è solida nel suo ruolo. Disegnata nel suo grigiore peloso ha sempre un lieve sorriso e gli occhi attenti e pieni di cura, rivolti a Orsetto, unico vezzo concessole: un gonnellone a righe che le copre le zampe, evidente omaggio alla mamma di un altro Orsetto, quello di Minarik e Sendak, appunto.
Accanto ai due protagonisti della storia cornice, una sfilata di personaggi unici, belli nella loro imperfezione, aggraziati nelle loro sproporzioni: dalla custode dalle lunghissime e ordinate chiome (che richiama la capelluta mamma di Medusenkind), alla bambina con la zucchetta a pois e le trecce (che rende omaggio a Elsa Beskov e nella postura alle bambine di Astrid Lindgren), fino al goffo e tenero Bo con Otto, la lontra poeta.

L'altra confortante conferma risiede nei contesti che la Crowther crea. Da un lato gli interni: una tana calda quella degli orsi, una grotta accogliente quella della custode della notte, con materasso di foglie, scendiletto, panorama stellato dalla finestra e brocca dell'acqua per sete notturna. Altrettanto accoglienti la tana di Jacko Mollo con teiera e stufa economica, e quella di Bo, un nido dismesso pieno di morbide e calde piume. Pochi segni, apparentemente incerti, creano l'atmosfera calda di quattro piacevoli ripari dal buio e dal freddo notturni che però trovano sempre modo di comunicare con l'esterno.

Dall'altro, per l'appunto, gli esterni: con la botanica diffusa, animata e in qualche misura parallela a quella nota. Funghi, fiori, erbe, cespugli, fusti, tronchi e rami espressionisti, ottenuti con linee parallele di molti colori. E con la notte, essa stessa da considerare personaggio accanto agli orsi, a Bo, alla custode e a Zhora.
Appare declinata talvolta con ombre scure di boschi e cespugli, ma più spesso con un orizzonte rosa acceso (che ricorda più l'aurora, se non fosse che è stellato) che ne connota e conferma la quasi univoca scelta cromatica e la sua originalità rispetto alla consuetudine di colorarla di scuro.


Accanto a tutto questo ruota l'indefinitezza, data da certa incertezza e velocità del tratto a matita, che ha il compito implicito di sfumare i contorni (si potrebbe dire confondere lo sguardo verso l'inessenziale) per creare una sorta di alone foschioso (come quello che si crea talvolta intorno alla luna), di sogno impalpabile, di tempo sospeso in cui tutto accade.


Ecco, si potrebbe ancora parlare del tempo sospeso che è un ulteriore carattere comune in diversi suoi libri, oppure concentrarsi sull'aspetto un po' magico, quasi mitico, che permea personaggi e situazioni. Purtroppo però sento in lontananza, ormai da ore, un gong che suona anche per me...
Sarà per un'altra volta.

Carla

Noterella al margine: che bellezza che nel titolo non c'è traccia dell'aggettivo che da sempre perseguita la parola notte. E' finalmente una notte e basta. Come è giusto e saggio che sia.