lunedì 28 febbraio 2022

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

VINCENT

Il nocciolo del romanzo firmato da Enne Koens ‘Sono Vincent e non ho paura’, pubblicato da Camelozampa, è il racconto di una fuga, per altro prevedibile, di un ragazzino ostaggio dei bulli che lo perseguitano. Qualcosa che abbiamo, quindi, già letto, ma con delle particolarità di rilievo.
Intanto il personaggio: Vincent ha undici anni, è all’ultimo anno delle elementari, è il classico ragazzino timido con genitori distratti che non colgono nulla dei suoi drammi scolastici. Lui, allora, si attrezza da solo ad affrontare una situazione sempre più insostenibile. Ha letto un discreto numero di manuali per la sopravvivenza le cui pagine e le cui citazioni introducono ciascun capitolo: si è costruito un kit di sopravvivenza che porta sempre addosso, pronto in ogni momento alla grande fuga. Vincent ha però dalla sua due amici: un gruppetto di quattro amici immaginari, un cavallino, uno scoiattolo, un coleottero e un verme, e l’ultima arrivata in classe, più grande di un anno, dalla storia esotica, surfista e palesemente anticonformista, Jasmijn, detta La Jas.
In realtà ha dalla sua parte anche la baby sitter Charlotte, con cui ha però un patto del silenzio, ragione per la quale i suoi genitori sono del tutto ignari delle quotidiane aggressioni subite dal figlio.
Questa è una situazione frequente nei gruppi di bambini e ragazzi: nel gruppo dei pari la cosa più vietata è la delazione, la denuncia degli episodi, più o meno gravi, di bullismo. In questo romanzo, in ogni caso, gli adulti, genitori e insegnanti, sono degli spettatori distratti e ininfluenti e quindi, come nella natura selvaggia, Vincent se la deve cavare da solo.
Da tempo si sta allenando fisicamente e mentalmente per affrontare la grande fuga, nel caso si rendesse necessaria; oltre alle quindici flessioni quotidiane, che in realtà non riescono ad irrobustirlo più di tanto, si sottopone ad un training psicologico per vincere quella paura che lo paralizza, che gli impedisce di reagire alle angherie.
L’occasione per mettere alla prova tutta questa preparazione si presenta al campo scuola, in cui, già dalla prima notte, i suoi nemici si scatenano. Eccolo dunque entrare in azione e fuggire nottetempo nella foresta vicina agli edifici. Ferito, confuso, impaurito, si inoltra nel bosco perdendosi per strada un po’ della sua preziosa attrezzatura. Tutto sembra più difficile, vissuto realmente, ma il suo motto è VdV, ovvero volontà di vivere, che fa affrontare qualsiasi difficoltà.
Dunque un personaggio che ispira tenerezza, per la fragilità e l’ingenuità che lo contraddistinguono; ma anche un ragazzino pieno di risorse, compresi i suoi ineffabili amici immaginari, determinato a sottrarsi, con i mezzi che ha, alla interminabile sequenza di prepotenze che ha subito; riesce, alla fine, a vincere le sue paure e ad affermare le sue ragioni in un mondo adulto davvero deprecabile.
Se Vincent riesce nel suo intento è anche grazie alla presenza di La Jas, anche lei fuori dal coro e anche lei contenta di affermare la sua preziosissima individualità. Costantemente il lettore e la lettrice sono invitati ad entrare nel mondo solitario di Vincent, nella sua ostinata e metodica ricerca di una via di fuga.
Un altro indiscutibile punto di forza del libro è la cura con cui è stato prodotto: dai caratteri ad alta leggibilità, al colore delle pagine che segnano l’inizio del libro e di ciascun capitolo, alle illustrazioni, discrete ed efficaci, di Martje Kuiper. Non solo i titoli dei capitoli e le pagine che li precedono, l’illustratrice interviene qui e là con piccole illustrazioni che riprendono l’andamento del racconto. Il romanzo è risultato finalista in due importanti premi , in Germania e in Olanda, e probabilmente sarà portato sul grande schermo.
La lettura è scorrevole ed avvincente, adatta a lettrici e lettori avventurosi a partire dai dieci anni.

Eleonora

“Sono Vincent e non ho paura”, E. Koens, ill. di M. Kuiper, Camelozampa 2022





venerdì 25 febbraio 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

ELIMINARE IL SUPERFLUO

Il giorno felice, Ruth Krauss, Marc Simont (trad. Sara Saorin) 
Camelozampa 2022 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni) 

"Scende la neve. I topi di campagna dormono, gli orsi dormono, le chioccioline dormono nei loro gusci; e gli scoiattoli dormono dentro gli alberi, e le marmotte dormono nelle loro tane sottoterra. Ecco: aprono gli occhi. Annusano. I topi di campagna annusano, gli orsi annusano..." 

Anche le chioccioline lo fanno, così come gli scoiattoli dai tronchi degli alberi. E poi anche le marmotte annusano. Tutti loro annusano e poi cominciano a correre. Tutti insieme e nella stessa direzione. Le chioccioline nei gusci e gli scoiattoli lasciandosi dietro le tane negli alberi. 
Tutti, ma proprio tutti hanno finalmente davanti agli occhi la misteriosa ragione di questo brusco risveglio durante l'inverno, durante una nevicata. 
Ne valeva di certo la pena, hanno di certo pensato tutti loro, disposti in cerchio, intorno a una unica meraviglia... 

Che Ruth Krauss fosse una donna geniale, ma non certo mansueta o accondiscendente sono in molti a raccontarlo. Il primo è proprio Maurice Sendak che, giovanissimo e timido, viene chiamato da Ursula Nordstrom a illustrare il primo di una più lunga serie di suoi libri. 


Lui non è ancora nessuno e lei è già un gigante (per non parlare del grande e mansueto Dave, in arte Crockett Johnson). Comincia così per il poco più che ventenne Maurice uno dei periodi più intensi della sua vita lavorativa e umana: facendo su e giù da NY per raggiungere nei fine settimana la casa di Rowayton dove la coppia Krauss/Johnson aveva scelto di ritirarsi. 
La ragione ufficiale di questi incontri era il piacere di stare assieme, ma il motivo vero era che Ruth Krauss voleva seguire, controllare, discutere e ridiscutere con Maurice i suoi disegni, i suoi bozzetti. 
La seconda persona che ha più volte raccontato di quanto Ruth Krauss ci tenesse che i suoi testi fossero rispettati nel profondo è la sua editor dentro Harper, Ursula Nordstrom. 
L'affetto e la stima reciproche le ha tenute strette per una vita. Ciò nonostante tra loro spesso nascevano interminabili discussioni. 
Un autentico tiraemolla si verificò per esempio su una singola parola che nel testo originale di questo libro compariva e che la Nordstrom invece voleva eliminare. Alla fine di ogni frase - obiettivamente molto musicale e con la consueta purezza adamantina, carattere distintivo dei testi della Krauss - l'autrice aveva messo, come sorta di ritornello a chiusa della frase un see?, vedi?,  che la Nordstrom considerava superfluo. 


Alla Krauss invece piaceva, se non altro il suono di quella parola see. Ne nacque una vera e propria disputa che finì, come si può ricavare anche nella traduzione di Sara Saorin, con una vittoria della Nordstrom che chiese come regalo di natale alla Krauss proprio quella parola: vedi! 
A parte l'aneddoto divertente, ma emblematico dei rapporti che tenevano unite queste due stelle dell'editoria per l'infanzia, non si può non notare quanto la lingua della Krauss anche in questo libro - con o senza quel vedi? in finale - si dimostri rivoluzionaria e nello stesso tempo perfetta per delle giovani orecchie. 
Il suo più grande merito, o forse talento, è stato quello di aver saputo parlare - senza nessun accento - la lingua dei bambini e di averla fatta diventare letteratura allo stato puro. 


La Krauss con i bambini ci parlava, i figli degli amici o dei vicini di casa, oppure quelli che frequentavano la Bank Street School. Li conosceva a fondo, li capiva, li sapeva ascoltare e soprattutto li rispettava, nel loro essere così diversi dagli adulti. 
Sapeva tradurre il loro pensiero in una lingua poetica, alta ed esatta, maledettamente onesta e semplice, la quale essi potevano riconoscere senza sforzo. 
Le cose sono chiamate con il loro nome: i topi di campagna, le chioccioline, orsi, marmotte: un solo diminutivo necessario, ma nessun aggettivo di corredo. 
La sequenza temporale è coerente: dormono, si svegliano, annusano, corrono. Tutti verbi all'indicativo: non c'è nessuna magia o tempo sospeso. 
Tanta precisione è anche diffusa nel contesto spaziale: nei gusci le chiocciole, negli alberi gli scoiattoli, nelle tane sotterranee le marmotte. 
Di dove si trovino orsi e topi, il testo iniziale tace e lo lascia dire alle figure. 
E a proposito di figure, anche con Marc Simont, che all'epoca aveva già alle spalle almeno dieci anni di carriera come fumettista e come illustratore, la Krauss si impose. 


Avevano già collaborato, l'anno precedente in un altro magnifico libro, The Big World and the Little House e, visto il risultato, si devono essere intesi. 
In questo secondo la Krauss fu molto chiara fin dal principio: pretese di discutere con lui, circostanza che per lui non era consueta, persino la collocazione del suo testo, dei singoli a capo, nello spazio della pagina, addirittura a quale distanza porre il testo rispetto alle immagini. E già che erano lì assieme, anche sui disegni si confrontavano. Ma è lo stesso Simont che, a posteriori, ha dovuto riconoscere che questo metodo di lavoro ha dato i suoi frutti, vista anche la Caldecott Honor, in altri termini un onorevole secondo posto, al più ambito dei premi per un illustratore. Premio che poi vincerà nel 1957, con Janice May Udry, con A Tree is nice
La qualità del disegno è sotto gli occhi di tutti. Il libro, necessariamente in bianco e nero, visto il finale, è pieno di magnifici dettagli che emergono a una rilettura più approfondita, ancora prima che la storia abbia inizio. Con Ruth Krauss collaborerà ancora una volta in un altro libro geniale, di nuovo a colori, anche se con un tipo di segno completamente diverso, The Backward Day, che c'è da augurarsi di vedere presto tradotto e pubblicato per i bambini italiani che di giornate felici hanno certo molto bisogno, ma anche di giornate alla rovescia!


Carla

Noterella al margine. Credo vada dato merito allo stampatore che, in un libro così difficile per il così tanto nero e grigio, ha saputo fare così bene.

mercoledì 23 febbraio 2022

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

LA VERA BESTIA


L’ultimo romanzo, tradotto in italiano, di di Kevin Brooks è piuttosto spiazzante: ‘La Bestia dentro’, pubblicato da Edt giralangolo.
In realtà è un romanzo difficilmente rappresentabile all’interno di un genere letterario: si tratta sicuramente di un thriller, come recita la copertina, e aggiungerei ‘ad alta tensione’,ma, come sempre nei suoi romanzi, è anche un passaggio in una situazione mentale ‘al limite’.
Il protagonista, Elliot, è un quattordicenne particolare, schiacciato da uno stato di panico permanente, tenuto a malapena sotto controllo grazie ad un farmaco. La sua vita è tutta circoscritta dalla sua camera, perfettamente insonorizzata e dotata di tutto il necessario. Detesta gli esseri umani, a parte tre persone, la madre, la zia e il dottor Gibson; Elliot chiama gli uomini cavernivori, a sottintendere la loro natura ferina.
L’azione si svolge nell’arco di poche ore e si snoda su una serie di sfortunate coincidenze, che portano dritte alla scena finale, con tutto quello che ne consegue.
Siamo alla vigilia di Natale ed è in corso una bufera di neve; per errore della farmacia, Elliot non ha potuto ricevere il consueto rifornimento del farmaco che gli consente di tenere sotto controllo la sua devastante paura. La madre, dunque, si accinge ad andare in paese per recuperare la medicina, ma è costretta a lasciare da solo il protagonista. Anche questa soluzione fallisce e ad andare in paese dev’essere la zia, di cui però ben presto si perdono le tracce. La madre di Elliot a questo punto decide di raggiungere a piedi la casa della sorella, i telefoni, cellulari compresi, sono fuori uso.
Ecco Elliot da solo a casa, in attesa spasmodica, con l’unica compagnia di Ellamay, la sorella gemella morta al momento del parto, che lo accompagna costantemente.
Nel frattempo, la zia Shirley è stata aggredita dentro la propria casa da due balordi che vogliono aspettare il ritorno del figlio, direttore di banca, per costringerlo ad aprirgli la cassaforte. Ma il giovanotto è stato drogato dai suoi dipendenti, durante la festa aziendale.
Dunque, la zia di Elliot, e poi la madre, sono impossibilitate a muoversi per aiutare il ragazzo e lui è costretto ad affrontare le sue paure tutte insieme: deve uscire di casa per trovare sua madre e recuperare il farmaco da cui dipende la sua già ridotta normalità.
Si tratta di uno scenario tipico del thriller: il protagonista inconsapevole di una parte degli eventi, è isolato e sottoposto ad una gigantesca prova di coraggio.
Il percorso che porta Elliot verso la casa della zia è fitto di pericoli reali e immaginari; il ragazzino si ferisce, scappa da chi cerca di aiutarlo, perde uno stivale, si trascina nella neve, terrorizzato dalle pecore quanto dai cani. Incontra ‘cavernivori’ amichevoli e ostili. Poi succede qualcosa che cambia i termini della situazione: la Belva oscura, il panico che si impossessa progressivamente di lui, diventa qualcos’altro, e così cambiano le sue sorti.
Come nei suoi romanzi precedenti, di cui secondo me ‘L’estate del coniglio nero’ è il migliore, Brooks costruisce la sua trama con precisione, incastrando i pezzi di questa notte disperata con geometrica sapienza, portando il lettore e la lettrice verso la scena finale con il cuore in gola.
Bello l’arco narrativo del personaggio del protagonista, non so quanto credibile sul piano psicologico, ma convincente sul piano narrativo: un esito che appare scontato vien ribaltato grazie alla trasformazione del protagonista, rovesciando, momentaneamente, i ruoli.
Interessante il rapporto fra Eliot ed Ellamay, la sorella vera o sognata, in ogni caso presente; incarna il buon senso, la ragionevolezza, il realismo, di cui Elliot, o comunque la parte prevalente della sua personalità, ignora.
Infine, fra le righe, s’insinua una non facile riflessione sul Male e su i suoi molti aspetti, la sua ambiguità.
Insomma, un bel romanzo, che si legge d’un fiato, insinuando inquietudine in lettrici e lettori senza paura a partire dai quattordici anni.

Eleonora


“La Bestia dentro”, K. Brooks, Edt Giralangolo 2022




lunedì 21 febbraio 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

QUELLO SGUARDO LI'

Il mondo a testa in giù
, Mario Ramos (trad. Tanguy Babled) 
Babalibri 2022 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Quando giocava con gli altri topolini, loro lo prendevano in giro. Allora lui andava a sedersi sul ciliegio e ascoltava il canto degli uccelli. A volte andava a scuola per distrarsi un po’. Un giorno il maestro disse: 'La terra è rotonda come un’arancia'. La piccola Sofia esclamò: 'Quindi quelli che vivono dall’altra parte camminano a testa in giù?'. Tutta la classe scoppiò a ridere. Ma Remì non ascoltava più: da qualche parte nel mondo c’erano persone come lui!" 

Il piccolo topo Remì vede il mondo che lo circonda al contrario. 


Quando lui è a testa in su tutti gli altri, mamma e papà compresi, sono a testa in giù. Quando va sull'altalena non si siede sul seggiolino per dondolare, ma sulla grande trave che tiene le catene. Anche a scuola non può sedersi nel banco, come gli altri, ma si rannicchia nella cornice delle finestra. Ed è proprio da lì che sente che al mondo ci sono altri esseri che vivono a testa in giù. 
Con questa notizia in tasca, torna a casa a annuncia ai genitori la volontà di partire. 
Si mette in marcia, lungo il cornicione di casa, poi sotto l'arco di un ponte attraversa precipizi, infine sappiamo che solca l'oceano perché lo si intravede nell'oblo di un cargo nero. Poi la giungla, quindi la banchisa di ghiaccio, poi il deserto a pancia di dromedario e quindi, dopo aver scalato in discesa ripide montagne arriva davanti a un fachiro in meditazione: anche lui a testa in giù. 
La prima creatura che ha come Remì i piedi per aria. L'imprudenza del topo però sta proprio nell'aver mollato la presa sulla roccia. 
Perso l'appiglio, perso l'equilibrio cade dal cielo e precipita sulla pancia di una cicogna. L'impatto è così forte che al topo Remì il mondo gli si capovolge di altri 180 gradi. 
E alla cicogna che lo raccoglie con il becco, come fanno le cicogne, non resta da fare altro che depositarlo dove lo aspettano mamma e papà: a casa. 
Una certa propensione per le verticali a Remì restò sempre e seppe come farla fruttare. 

Questo libro ha la sua bella età, pubblicato nel 1995. Ed è il primo albo in cui Ramos è unico autore. 
Il fatto di vederlo in giro, si può leggere come un buon segnale di ripresa di questo autore che ha fatto ridere intere legioni di bambini. Con la sua morte prematura, tutto intorno a lui ha cominciato a rallentare... 
Già da questo suo titolo d'esordio sono evidenti alcuni tratti che poi hanno attraversato per intero la sua carriera ventennale dentro Pastel, la costola belga della francese L'ecole des loisirs
Il disegno, come lui stesso tante volte ha detto, arriva da una folgorazione per il segno di Steinberg e per quello di Ungerer, avuta al principio degli anni Ottanta, durante la sua formazione come graphic designer. Quella linea potente e chiara che segna il profilo dei disegni, quel tratto sicuro ma sempre un po' vibrante, come a trasmettere un lieve tremolio della mano con il pennino a china. 


E ancora, il gusto per la costruzione di uno spazio di azione in cui far muovere i personaggi, ma nessun horror vacui quando si rende necessario. I tagli prospettici, le vedute dall'alto. 
Un uso molto canonico del colore, pur senza mai perdere di vista il possibile impatto visivo che esso può avere sui lettori, per cui alla luce chiara di una bella giornata per partire, si avvicenda una scura notte sul mare e poi una ombrosa giungla verde, un candido polo e un caldo e deserto sabbioso. 


Ma dei suoi due maestri elettivi la cosa che sembra aver voluto mutuare è soprattutto lo sguardo, quello sguardo lì,  ossia il modo 'insolito' di leggere il mondo circostante che entrambi - Steinberg e Ungerer - hanno sempre dimostrato di possedere. Qui il capovolgimento di prospettiva diventa addirittura argomento di narrazione e di conseguenza sguardo a testa in giù. 
Per quasi tutto il libro gli occhi fanno fatica ad abituarsi a una visione 'impossibile' che solo con il ragionamento poi ridiventa in qualche modo comprensibile e quindi leggibile. 
Guardare le figure fa davvero un effetto strano, ossia straniante. A ogni giro di pagina, i nostri occhi hanno bisogno di resettare ciò che vedono disegnato sul foglio. Devono mettere a fuoco alcuni dettagli e ricollocarli in linea teorica nel loro giusto verso, per poi ridere nel vederli invece capovolti. Lo stesso Ramos racconta che disegnare al contrario è stato per lui rigolo, buffo. 


Ungerer, del capovolgimento di prospettiva, ne ha fatto una sua cifra, non solo visiva, ma soprattutto mentale. Spiazzare il pensiero comune, dando una chiave di lettura del tutto inedita - briganti che mettono su un orfanotrofio, orchi che si convertono alla cucina gourmand, gatti che partoriscono cani e viceversa - è uno dei modi consueti per costruire le proprie storie. 
E come Ungerer , anche Ramos dimostra di prediligere in questo libro almeno, ma anche in altri successivi, il ribaltamento delle convenzioni. 
Come Ungerer ama far trapelare dalla storia un nocciolo di contenuto che la renda non solo puro divertimento. 
In questo libro, tutto capovolto, il suo intento viene dichiarato fin dalle prime righe: sentirsi fuori posto in un mondo di gente a posto. 
Ungereriano è anche il finale in cui, dopo un percorso fatto di esperienze e incontri, il protagonista, si ritrova al punto di partenza, ma del tutto cambiato.


E ancora come Ungerer anche Ramos sembra prediligere il registro dell'ironia, e soprattutto, come il suo modello, fa in modo che ogni cosa, nel finale, trovi una sua soluzione felice. 

Carla

venerdì 18 febbraio 2022

FAMMI UNA DOMANDA!

VIVA DARWIN (SECONDA PARTE)


Con tempismo perfetto, esce per i tipi di Editoriale Scienza un bel libro dedicato al padre dell’evoluzionismo: ‘Charles Darwin. L’origine delle specie’, scritto da Anna Brett e illustrato da Nick Hayes.
Le prime pagine di questo volume di grande formato sono dedicate ai cenni biografici su cui non mi soffermo, rimandando all’eccellente libro già esaminato
Il testo prosegue esaminando le idee in voga ai tempi del giovane Darwin, raccontando in breve le teorie di Erasmus Darwin, nonno di Charles, del geologo Lyell, di Lamarck. Segue la breve descrizione del viaggio sul Beagle, per poi affrontare il cuore dell’evoluzionismo darwiniano.
Con grande chiarezza, l’autrice descrive in termini generali la teoria evoluzionistica: la presenza di variazioni spontanee nella trasmissione di caratteri ereditari all’interno della stessa specie e la lotta per la sopravvivenza, che consente il prevalere dei soggetti più adatti, realizzando quello che chiamiamo selezione naturale. Ad influenzare il pensiero di Darwin concorre la teoria sulle popolazioni di Malthus: sulla Terra le risorse naturali crescono più lentamente delle popolazioni che li utilizzano; ne consegue una costante lotta per la sopravvivenza.
La biosfera dunque, non è l’espressione di un progetto divino, che ha collocato ciascun tipo di animale in un habitat a lui destinato: le specie sono, al contrario, continuamente mutate e alcuni di questi cambiamenti sono risultati favorevoli rispetto all’ambiente, anch’esso soggetto a cambiamenti. Proprio questi cambiamenti sono stati all’origine del fenomeno delle estinzioni.


Fa parte del patrimonio ereditario anche quell’insieme di comportamenti che consentono la sopravvivenza, concetto che sarà alla base della moderna etologia.
Darwin notò anche che la competizione fra membri della stessa specie non riguardava solo le risorse alimentari, ma anche la possibilità di riprodursi: il soggetto con maggiori capacità ‘seduttive’ aveva dunque anche maggiori probabilità di avere una numerosa discendenza.
Non erano pochi i problemi teorici da affrontare: come si trasmettessero i caratteri tipici di una specie e quali meccanismi ne determinassero i mutamenti; il tempo richiesto per l’effettivo affermarsi di nuovi becchi, nuove ali, nuovi zoccoli; il senso di caratteri non più utili, che tuttavia permanevano, nonché variazioni del tutto inessenziali alla sopravvivenza; la difficoltà di ricostruire, considerata la scarsa quantità di fossili, le forma intermedie fra due tipi, antico e recente, della stessa specie; la spiegazione dell’altissima specializzazione di organi e morfologie, che hanno sempre fatto pensare ad un disegno divino.
A risolvere in parte questi quesiti hanno contribuito la genetica e la geologia. La genetica ha spiegato i meccanismi di trasmissione dei caratteri e le loro mutazioni; la geologia ha descritto i mutamenti della Terra, lo spostamento dei continenti, i sommovimenti della crosta terrestre. L’albero della vita immaginato da Darwin ha acquisito nuova concretezza e numerosissimi dettagli.


Così siamo arrivati ai giorni nostri, con questa interessante, approfondita carrellata su una delle teorie scientifiche più ‘scandalose’ della storia recente.
Di questa appassionante storia il libro scritto con precisione da Anna Brett è una sintesi preziosa, forse il miglior libro sull’evoluzionismo, dedicato ai ragazzi, che abbia letto finora: è estremamente chiaro anche nei passaggi più complessi, ricostruisce il clima culturale dell’epoca, sottolineando l’impatto rivoluzionario nel contesto dell’Inghilterra vittoriana. Infine mette in luce quelle problematicità che solo lo sviluppo successivo della biologia ha potuto superare.
Come è giusto che sia, si fornisce a ragazze e ragazzi un’immagine complessa della scienza, del suo faticoso farsi strada per comprendere al meglio ciò che ci circonda.
Consiglio caldamente la lettura a ragazze e ragazzi curiosi e appassionati di scienza, a partire dagli undici anni, così come indicato dall’editore italiano. Dispiace notare che l’editore anglosassone indica i nove anni come età di riferimento.
Abbiamo ancora molta strada da fare.

Eleonora

“Charles Darwin. L’Origine delle specie”, A. Brett e N. Hayes, Editoriale Scienza 2022



mercoledì 16 febbraio 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

PIU' SI E' MEGLIO E' 

Barnabus, The Fan Brothers 
(trad. a cura del lab. Tradurre la letteratura per ragazzi, Fond. Unicampus San Pellegrino) 
Gallucci 2020 



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Il laboratorio si trovava in una strada come tante altre, nascosto sotto il negozio Perfect Pets. Laggiù, nessuno l'avrebbe mai scoperto. Era lì che fabbricavano gli animaletti perfetti, Barnabus, però, tanto perfetto non era. Per questo lo avevano depositato nella sezione dei Progetti Scartati." 

Barnabus era per metà topo e per metà elefante e in quel laboratorio ci viveva da sempre insieme a tante altre creaturine insolite come lui. Quella che lui considerava la sua casetta, facile da tenere pulita, era una campana di vetro. Anche tutti gli altri erano sotto vetro. 
Quelli che Barnabus chiamava i Giganti Verdi un giorno si affacciarono nel corridoio del laboratorio, non per distribuire il cibo, ma per stampigliare su ciascun involucro di vetro un timbro a lettere rosse: scarto. 
Pip, l'amico scarafaggio di Barnabus, libero di entrare e uscire, che tante cose belle del mondo di fuori gli aveva raccontato, è quello che sa cosa sta succedendo là sotto: Barnabus e tutti gli altri verranno riciclati, perché così come sono non sono conformi. 
Barnabus, spiega Pip, avrà un pelo più soffice e avrà gli occhi più grandi, solo così, sostiene con sicurezza Pip potrà accedere al piano di sopra, nel negozio dei Perfect Pets. 
Il fatto è che due cose ostano: Barnabus vorrebbe tanto vedere il mondo di fuori che Pip gli ha descritto come meraviglioso, e soprattutto non ha nessun desiderio di avere occhi più grandi e pelo più soffice: lui si piace così. 
Complice un sospiro più forte degli altri, complice la proboscide, Barnabus capisce che ha per le mani una concreta possibilità di fuga. 


Questa è la storia dell'evasione di un manipolo di creaturine più una creaturona, guidati da uno scarafaggio che sa cosa significa essere liberi. 

Quando i due fratelli Fan, Terry ed Eric, diventano tre. 
Fino al libro su Barnabus, il terzo fratello, Devin, con loro non aveva mai collaborato, se non in un libro fatto da ragazzi.
Ma con Barnabus la sua presenza è diventata necessaria: è infatti suo il disegno originale di un pupazzino meccanico, metà elefante e metà topo, un disegno che i due fratelli ricordavano lui avesse fatto circa 25 anni prima, quando di anni ne aveva solo 19. 
Il disegno, come per incanto, torna a galla e, rispettosi della sua 'paternità', i due chiamano dentro anche il terzo fratello Fan. E a proposito di paternità, la presenza di Devin, per Eric e Terry ormai molto affiatati, ha significato parecchio. 
Dato che lui è l'unico ad avere figli di fatto ha rappresentato una maggiore garanzia di realizzare un libro che intercettasse gli interessi autentici di un bambino e soprattutto ne attestasse lo scarto di pensiero rispetto a quello di un adulto. Ma non solo, la sua collaborazione di fatto ha in qualche modo scardinato e smontato certe 'routine' esistenti tra i due, smuovendo le cose. 
Cosa che in ambito creativo è sempre un bene. 
Sulla copertina dell'edizione canadese si vedono due bolli di prestigiosi premi vinti in patria e, come se non bastasse, dal 2020 in poi ha continuato a vincerne ed è shortlisted per la Kate Greenaway 2022. Come sempre nei loro libri, quello che colpisce all'istante è la qualità altissima dell'illustrazione, minuziosa e coerente fino all'ossessione e la capacità che essa ha di dire cose. 
Si può già partire dalla copertina, scura con una fonte luminosa alla sua sinistra che sbatte su una campana di vetro dentro cui un piccolo - metà elefante e metà topo - ci guarda dritto negli occhi e con le sue zampe preme sul vetro. 
Le interpretazioni, ognuno faccia le proprie. 


Nei risguardi, viste dall'alto e sparpagliate, si vedono schede con figure di creaturine, catalogate numericamente e per nome. E un riccio di mare. 
Si gira pagina e, accanto ai crediti, la storia in qualche modo è già cominciata: un topo/elefante alle prese con una nocciolina; a destra sul frontespizio la scheda che si vede è quella del protagonista e nei fogli che contiene si intuiscono i calcoli per costruirlo. E uno scarafaggio. 
Se si va avanti, sul fondo candido della doppia pagina successiva c'è lui: Barnabus e qualche riga di presentazione. 
Segue uno scorcio di quella che Devin in un'intervista ricorda essere uno scenario tipico di un quartiere periferico di Toronto, dove i tre (anzi sei) Fan sono cresciuti, e dove loro si sono divertiti a disegnare i negozi dell'infanzia e a popolare la strada di amici e parenti. Circostanza questa, che, non saprei dire come, ma si percepisce chiaramente: quelle non sono comparse. 
E per di più nella pagina successiva si sono mosse, come se le due immagini fossero due frame di una pellicola. 
Sotto la sede della Wilke's Paperclips su cui svetta una insegna che è difficile non notare, c'è il negozio dei Animaletti Perfetti, frutto di ingegneria genetica, a leggere quanto scritto sul vetro. Davanti alle vetrine si accalcano le persone Ma c'è anche un'elica di DNA, davanti alla quale già qualcuno si interroga. Bel colpo! Neanche a dire che nella doppia pagina successiva il punto di vista si allarga per vedere in sezione, sotterraneo, il complesso laboratorio dove i Perfects Pets vengono prodotti.
 


A osservare con attenzione tutti i dettagli si possono scoprire, sempre a posteriori, un sacco di cose che il testo non dice. E che è - ci si può scommettere - il risultato del lavoro delle tre teste diverse dei Fan su un unico progetto. Questo per dire che poter condividere e i propri spunti con degli altri, magari anche affiatati come fratelli, non può mai far male. 
Mentre il lettore è lì tutto concentrato arriva una pagina illuminante. 
Il testo chiarisce una serie di particolari e nel contempo tocca l'emotività, definendo "casa piccolina e facile da tenere pulita" una campana di vetro spoglia che contiene Barnabus e basta. Accanto a lui, sullo stesso scaffale e sotto campane di vetro analoghe, altre creature frutto di ingegneria genetica. 
Una di loro è irresistibile oltre che essere - e lo si capisce solo dopo - l'origine del raggio luminoso della copertina.

 
Già da due pagine il lettore è nell'oscurità del laboratorio, e poi della città notturna, e poi del sogno di Barnabus. Poi quell'incanto si interrompe. Sparisce l'ombra e certa tranquillità e arriva il Verde, ingombrante e spaventoso. E la luce e i timbri. 
Di come prosegue la storia non c'è bisogno di dire altro a parte un particolare che, e parrebbe sia stata una idea di Devin, mi ha colpito il cuore, perché inaspettato. 
Mentre si viene catturati dal ritmo incalzante della fuga attraverso i meandri del grande laboratorio e si corre con il pensiero verso il finale glorioso verso la libertà e la luce, c'è una battuta d'arresto: il libro stesso si deve girare perché la pagina non ce la farebbe a contenere per intero una delle grandi cisterne, snodo del reticolo di tubi. Sulla lamiera c'è il solito timbro rosso.



Intrappolato lì dentro c'è qualcuno, o meglio c'è lo sguardo di qualcuno. E, come a me ha insegnato la vita, se i tuoi occhi incrociano quelli di qualcuno che soffre, non è più possibile far finta di niente. Barnabus si ferma, non può fare diversamente e questo, come in ogni buon film di azione, mette a repentaglio il risultato finale. 
L'ultima frase tiene in sé il senso di tutta la storia, ma anche il senso di questa collaborazione fraterna. 
E nessuno mi convincerà che i due anziani foraggiatori di noccioline agli scoiattoli non siano il loro papà e la loro mamma. 

Carla 

Noterella al margine.  Se è vero il motto finale, sarà facile dimostrare che 4 occhi vedono meglio di 2 e 2 teste ragionano meglio di 1. Quindi non resta altro suggerimento che quello di mettersi lì insieme a dei bambini a ragionare fra i risguardi che chiudono il libro e la tavola in cui i Progetti Scartati sono tutti lì sotto le loro campane di vetro. A me è capitato di farlo con una bambina di 29 anni. Oltre a essere un bellissimo gioco per aguzzare lo sguardo è un esercizio mentale per capire che tra perfetto e imperfetto la differenza è spesso e volentieri ininfluente ai fini di una vita felice, imperfetta, libera, al posto di una infelice, perfetta, inscatolata.

lunedì 14 febbraio 2022

FAMMI UNA DOMANDA!

VIVA DARWIN (PARTE PRIMA)


Ho già segnalato la collana di biografie ‘irriverenti’ dal titolo invitante ‘Losche storie’, pubblicata da Franco Cosimo Panini. L’ultimo volume, pubblicato da poco, è dedicato a Darwin: ‘Charles Darwin. Viziato Ipocondriaco Rivoluzionario’ è sicuramente una delle migliori biografie dedicate a questo straordinario personaggio della storia della scienza.
Intanto è molto curata la ricostruzione d’ambiente, l’Inghilterra vittoriana, l’agiata famiglia d’origine, la cui ricchezza consentì al giovane svogliato Darwin di portare avanti le sue ricerche e di finanziare il viaggio sulla Beagle. In secondo luogo, emerge un ritratto dello scienziato sfrondato dalla consueta agiografia, che spesso caratterizza i testi dedicati ai ragazzi. Infine, coglie a pieno quella portata rivoluzionaria che la teoria dell’evoluzione ancora esprime.
Vediamo i singoli punti: per comprendere l’eccezionalità del pensiero darwiniano bisogna comprendere come i cosiddetti ‘filosofi naturalisti’ inglesi all’inizio dell’Ottocento fossero permeati dalla cultura cristiana espressa dalla chiesa anglicana. Che la natura fosse espressione dell’intento creatore di Dio era fuori discussione. Le evidenze che mettevano in discussione l’interpretazione letterale della Bibbia, con un unico atto creatore, il diluvio universale e la perfezione umana come atto finale del processo creativo, erano in qualche modo trasformate per non contraddire il verbo biblico. Esisteva il problema dei fossili e delle estinzioni, esisteva il problema del tempo della Terra, delle ere geologiche e degli sconvolgimenti, di cui si trovavano molte tracce, che ne avevano modificato l’aspetto: cosa ci poteva fare una conchiglia fossile in mezzo alla campagna inglese?
Era dunque il tempo per vedere le cose in un modo diverso.
A seguire il percorso di vita e di studi del giovane Darwin si stenta a credere che sia stato lui il grande pensatore che ha rivoluzionato la biologia. Da ragazzo non era stato uno studente modello, preferiva di gran lunga la caccia e la ricerca di coleotteri, di cui era appassionato collezionista.
Destinato a proseguire il lavoro del padre, medico di grande fama, lasciò gli studi dopo due anni, disposto anche ad accettare la carriera di diacono piuttosto che continuare gli studi di medicina. La proposta di imbarcarsi sul brigantino Beagle lo tolse dall’impiccio di doversi dedicare agli studi di teologia; il viaggio di cinque anni, dal dicembre 1831 al 2 ottobre 1836, lo portò a fare un lunghissimo viaggio di esplorazione che toccò Sud america, Africa, Polinesia, Australia.
Non mi soffermo su questo aspetto della sua vita, già ampiamente trattato da altri interessanti testi. Qui emergono due aspetti attinenti al lavoro dello scienziato: la paziente, metodica raccolta e catalogazione dei reperti, un lavoro di raccolta di dati senza il quale non esiste ricerca attendibile; e poi la gestazione del nuovo punto di vista, quello destinato a cambiare il mondo, che non si afferma come una subitanea illuminazione, ma è il frutto di riflessione, confronto e anche reticenza ad ammettere qualcosa che può cambiare il modo di pensare di tutti. Mentre il racconto del viaggio sulla Beagle, ‘Viaggio di un naturalista intorno al mondo’, ebbe grande successo, ‘L’origine delle specie’, che Darwin concepiva come un primo approccio ad una nuova teoria della vita, fu pubblicata nel 1859 e suscitò un vespaio. Nel frattempo anche un altro naturalista, Wallace, era arrivato alle stesse conclusioni.
Ed ecco il terzo aspetto, la portata rivoluzionaria dell’evoluzionismo: il mondo dei viventi, oggi la chiameremmo la biosfera, non è più il frutto di singoli atti creatori, ma il frutto di un processo naturale fatto di ereditarietà dei caratteri, variazioni casuali e selezione naturale. Il principio creatore esce di scena, l’uomo perde definitivamente la sua centralità.
Ma il bello di questa collana, curata dalla brava Paola Cantatore, che è anche autrice di questo testo, è mettere insieme serietà e ironia, fornita dalle pungenti incursioni di Alessandro Vicenzi. A completare la cura editoriale ci sono le illustrazioni di Federico Manzone.
Ottima proposta di divulgazione intelligente, puntuale e divertente nello stesso tempo.
Consiglio caldamente la lettura a ragazze e ragazzi curiosi, ma anche a chi vuole farsi un’idea più precisa della scienza e della sua storia, a partire dai dodici anni.

Eleonora

“Charles Darwin. Viziato Ipocondriaco Rivoluzionario”, P. Cantatore e A. Vicenzi, ill. F. Manzone, Franco Cosimo Panini 2022



venerdì 11 febbraio 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DEL DNA E DELL'EREDITARIETA'

La casa del contrabbandiere
, Annet Huizing (trad. Anna Patrucco Becchi) 
La Nuova Frontiera 2022 



NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni) 

 "Mio padre è nato così, con una gamba e mezzo. 'Cattivi geni' dice sempre. 'Già Arie aveva dei problemi, ma i miei genitori non se ne sono resi conto, finché non sono nato anch'io. Altrimenti non avrebbero neanche provato ad avere un secondo figlio'. 'Ma allora non ho anch'io un po' gli stessi geni?' ho chiesto una volta. A scuola avevamo parlato del DNA e dell'ereditarietà. 'Sì, eppure sei venuto straordinariamente bene. Per questo ci siamo limitati a te. Avevamo paura che i geni buoni fossero finiti'. Questo lo faceva ridere un sacco e anch'io in effetti ho riso. Mia madre mi aveva avuto a quarantacinque anni. Una grande sorpresa, la chiamava."  

Ole, che ora ha tredici anni, ha una famiglia piccola piccola: il padre Piet che di anni ne ha sessantotto e che adesso è in pensione, gira in bici e in tandem, una madre di cinquantotto che sta per partire per il suo viaggio lungo tre mesi, in Tibet, e lo zio, Arie, che non "è come tutti gli altri, ma puoi benissimo passarci del tempo insieme", e che ha un anno più del padre, ma la testa di un bambino di circa sette anni. Lui vive in un istituto con un bel giardino, ride come un Muppet e porta sempre giacca e cravatta. 
Nella normalità delle loro vite arriva una telefonata che annuncia la morte del nonno di Ole, il padre di Piet e Arie. Un nonno della cui esistenza Ole non sapeva nulla. 
Dalle poche parole che riesce a scucire al padre, Ole capisce di aver avuto un nonno terribile e che è stato meglio per tutti essersene tenuti alla larga e che di questo nonno è arrivata in eredità la vecchia casa di famiglia in Brabante, isolata e nascosta in un bosco, a poca distanza dal confine con il Belgio. Affidatane la vendita a un agente immobiliare 'in gamba', anche la casa del nonno sembra sparire dai pensieri dei suoi genitori (ma da quelli di Ole, no) Tuttavia, una sfavorevole congiuntura finanziaria li obbliga a cambiare i piani. 
Padre e madre, di comune accordo, decidono che l'unica possibilità di risparmio sia il trasferimento - temporaneo - nella vecchia casa del nonno. 
E così, a inizio estate, Ole e suo padre, non volendo che la madre rinunci al viaggio in Tibet per trovare se stessa, si occupano del trasloco e di far ripartire le loro vite da lì. Da Orpel, paesino del Brabante da cui, a sedici e a diciassette anni, Piet e Arie andarono via senza ritorno. 

In un contesto storico piuttosto dettagliato, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, scopriamo quale fosse la vita dei piccoli contrabbandieri di burro. 
Il nonno di Ole era uno di loro. Uno dei peggiori, un uomo senza scrupoli che contrabbandava in prima persona, ma anche truccava i mezzi per il carico e soprattutto, come fabbro, produceva i temibili 'piedi di corvo', marchingegni in ferro che con la loro punta rialzata e affilata avevano la funzione di squarciare le ruote delle macchine dei doganieri, durante gli inseguimenti. 
La sua casa cadente avvolta nella vite americana, le rimesse fatiscenti che la circondano, le mezze frasi sentite in paese, le chiacchiere con il medico condotto, danno modo a Ole di ricostruire una fetta di storia del paese e anche, in parte, il pezzo mancante della sua personale storia di famiglia, su cui suo padre ha sempre taciuto. 
Questo è lo scenario in cui Annet Huizing colloca una seconda storia, più intima e nello stesso tempo più universale e potentissima, che costituisce il grande valore del libro. 
Sono almeno cinque le cose che colpiscono. 
La prima: l'autenticità nel racconto della complessità delle relazioni che tengono insieme - o dividono - i membri di una stessa famiglia. Per intenderci quella connessione che ha a che fare da un lato con la sfera delle emozioni, della ragione, della cultura e dall'altro con la chimica di un codice genetico. Su questo si potrebbero scrivere pagine su pagine. Sta di fatto che ognuno di noi ha sperimentato sulla propria pelle quanto una relazione familiare sia - salvo eccezioni - un continuo scambio emotivo o intellettuale tra quello che si può chiamare il 'sentire di pancia', e il 'sentire di testa'. E su tutto questo gioca un ruolo definitivo quello che Huizing, per voce di Ole, riassume con il concetto di ereditarietà. 
A prescindere da ogni scelta, sembra al contrario imprescindibile per ogni individuo il proprio passato, le proprie radici. Per tutto il libro Piet e in qualche modo anche Ole con questo si confrontano, e in particolare Piet combatte una difficile battaglia personale. 
La seconda: l'originalità e la coerenza dei personaggi che la Huizing mette insieme a comporre un coro intorno alla voce narrante di Ole. Nel bene e nel male, tutti questi - da Anastazja, la compagna di classe polacca, anche lei appena arrivata che con Ole fa subito squadra, a Gary, l'irlandese hippie che si intende di edilizia e di saper vivere, da Pola la ceramista 'materna', all'orribile agente immobiliare, dalla saggia Agnes che fa i gelati in casa, al marito di lei, Sjef che sa perdonare - arrivano dritti a colpire l'anima di chi legge. 
La loro bellezza letteraria, ma anche umana, sta in una di quelle regole d'oro che nel suo romanzo precedente la Huizing aveva insegnato ai propri lettori: show, don't tell. 
Tutti i suoi personaggi li conosciamo attraverso gli atti che compiono: dal viaggio in Tibet della madre, al taglio della cipolla per il padre, dai pensieri su cancro e separazione che fa Ole precipitandosi a casa, alla gita in farmacia con il dottor Oie, dalle cene messe su in quattro e quattr'otto e dai continui bicchieri di vino rosso di Pola, dallo studio dell'agente immobiliare alla casa di Anastazja. 
Ma il loro principale merito forse sta in altro: nel rappresentare, ognuno per la propria parte, un punto di vista differente da quello di Ole e di suo padre che, protagonisti principali, offrono al lettore che in loro si immedesima, inevitabilmente, una linea di pensiero dominante. 
La terza: la qualità di un plot che si dimostra robustissimo. Come vuole un'altra regola d'oro, anche qui tutto nasce da un contrasto, da qualcosa che non va come dovrebbe andare. Pieno di colpi di scena e fili narrativi, anche frutto di una accurata documentazione da parte dell'autrice, che poi vanno a tessersi l'uno con l'altro per comporre un tessuto di grande efficacia e spessore letterario. Su tutto, un grande mistero da svelare. Un vero giallo in cui i tasselli che lei sparge qua e là poi vanno a ricomporsi in coda. 
La quarta: a proposito di valore letterario, la scrittura della Huizing che è sempre molto scorrevole (forse anche grazie alla traduzione di Anna Patrucco Becchi) convincente e avvincente. 
La quinta: i registri che variano e si alternano. Dall'ironia che in una storia del genere non era per niente scontata alla drammaticità di alcune pagine finali, che andrebbero lette e rilette, e ancora lette. 
Gran libro, davvero.

Carla