domenica 31 gennaio 2021

ONORE AI GALLI!

E al loro Kouign-Amann.
 

La Bretagna è culla di gente fiera, che ha saputo resistere all'invasione romana combattendo da un piccolo villaggio, sotto la guida di un piccoletto biondo.
La Bretagna è terra di menhir che il ciccione amico del piccoletto biondo scagliava contro il nemico, come fossero palloni da rugby.
La Bretagna è patria di una delle migliori qualità di burro. Nella pozione magica di Panoramix l'ingrediente segreto fu certamente il burro. Cosa che spiega anche la potenza e la stazza di Obelix, cadutoci dentro da piccolo.
Uno dei dolci tipici della Bretagna è il Kouign-Amann, che tradotto dal bretone significa dolce di burro.
Qui la ricetta che il frutto di una 'pozione', ovvero una commistione di indicazioni prese qua e là.
 


Ingredienti:
per la pasta
125 gr. di farina 00
125 gr. di farina da pane
14 gr. lievito di birra
6 gr. di sale
125 ml di acqua tiepida
20 gr. di zucchero
per la farcitura
200 gr. di burro salato
125 gr. di zucchero
per la piegatura
50 gr. di zucchero


Mischiate nell'impastatrice tutti gli ingredienti per la pasta e impastate per 5 minuti, fino a che non diventa un impasto liscio ed elastico. Lasciate lievitare per almeno 2 ore a temperatura ambiente, finché il volume non sia aumentato un bel po'.
Nel frattempo togliete dal frigo il burro salato e lasciatalo ammorbidire. Una volta morbido, frullatelo in una ciotola in modo da ottenere una crema.
Quando sono passate le due ore stendete su una spianatoia leggermente infarinata l'impasto formando un rettangolo piuttosto stretto e lungo.
Imburratelo in modo uniforme con la crema, avendo l'accortezza di lasciare libero un bordino di circa 1 cm. su ogni lato. Versate lo zucchero sullo strato di burro e premete leggermente con le mani in modo che si attacchi. A questo punto piegate in tre il rettangolo con il lato imburrato all'interno. Quindi ruotatelo di 90° e ripiegatelo nuovamente in tre. Avvolgetelo nella pellicola e mettetelo in frigo per un'oretta. 
 

Passato il tempo, sempre sulla stessa spianatoia leggermente infarinata, ristendete il cofanetto di impasto con cura formando il solito rettangolo, zuccherate leggermente la superficie (25 gr. di zucchero saranno sufficienti) e ripiegate esattamente come la prima volta, in tre e poi di nuovo in tre, ma girando la sfoglia dei soliti 90°. Rimettete in frigo per un'altra oretta il solito cofanetto (o in freezer per 15 minuti), sempre avvolto nella pellicola.
In questo tempo sulla leccarda del forno stendete un tappetino di silicone da forno, imburratelo e inzuccheratelo e fate lo stesso sui bordi interni dei coppapasta (7 cm. di diametro) che accoglieranno i rotolini.
Ultimo passaggio, stendete sulla solita spianatoia il cofanetto dandogli la forma di un rettangolo piuttosto allungato. Zuccherate con i restanti 25 gr. di zucchero la superficie, quindi con grande cautela lungo il lato lungo arrotolate il rettangolo, avendo cura di staccarlo dalla superficie infarinata, qualora si fosse attaccato, con una lama affilata.
Tagliate una decina di rotoli alti quanto i vostri coppapasta. Disponeteli nei coppapasta che avrete messo in bell'ordine sul tappetino imburrato e zuccherato steso sulla leccarda. Fate passare il tempo giusto finché i rotolini non abbiano raddoppiato il loro volume e accendete il forno a 180°.
 
 
Infornate e fate cuocere per 35 minuti circa.
La spennellatura con burro e zucchero del silicone sulla leccarda ha lo scopo di caramellare maggiormente il fondo dei Kouign Amann.
Quando li sfornate metteteli a intiepidire ancora nei coppapasta su una gratella.
 

 
E poi assaggiateli e sarete pronti a sconfiggere qualsiasi legione romana...
Da tiepidi, danno il loro meglio.


Carla
 
Le principali due fonti
 



 

venerdì 29 gennaio 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

FRA DESIDERI E STELLE


E’ possibile immaginare che frammenti di meteoriti, e quindi di stelle cadenti, possano trasformarsi in piante capaci di realizzare i desideri di bambini e adulti?
Questo è lo spunto a partire dal quale si costruisce il romanzo di Azzurra D’Agostino, pubblicato da De Agostini: ‘Il Giardino dei Desideri’. Ma per arrivare al cuore della narrazione è necessario comprendere gli antefatti: siamo in un paese dell’Appennino, in cui sono andati ad abitare Davide, il nostro protagonista, il fratellino Dario e il papà; la mamma dovrebbe arrivare nel giro di poco tempo, perché ha continuato a lavorare in città.
La famiglia di Davide ha preso in affitto la depandance di una curiosa villa abitata dalla famiglia del Conte di Caramà ( è una mia impressione o ricorda proprio il marchese di Carabas di Perrault?). E’ facile intuire che si tratta di un oscuro maniero, pieno di segreti e abitato da Fulvio, custode della magione dopo l’incidente del fratello minore, Berto, ormai ridotto in stato vegetativo.
Davide è un ragazzino curioso e così scopre, nel giardino della villa, una serra, da cui promanano strane luci e in cui sono ospitate strane piante.
La curiosità appartiene alla natura dei più giovani, e quindi Davide cerca notizie da una ragazzina, Margherita, che tempo prima aveva tentato di introdursi maldestramente all’interno della villa.
Mentre la vita di Davide scorre sotto un velo di apparente normalità, i due ragazzini riescono a farsi accettare da Fulvio, che li assume, si fa per dire, come giardinieri; nella serra i ragazzi trovano un taccuino scritto in codice, che Davide riesce a decifrare. E’ una sorta di manuale, scritto da Berto, dedicato ai Giardinieri di Stelle, persone in grado di far crescere delle piante dai frammenti di stelle cadenti e di realizzare il più grande desiderio di una persona grazie alla presenza di un suo oggetto nel terriccio che le alimenta.
Non tutti desideri sono buoni: Fulvio in realtà sta sfruttando i due ragazzini per imparare i segreti che il fratello gli ha sempre nascosto.
Il finale drammatico consacra la vittoria dei due ragazzi, che hanno imparato moltissimo da questa avventura.
‘Il giardino dei desideri’, romanzo d’esordio dell’autrice, che finora ha pubblicato testi poetici, ricalca alcuni stilemi classici del romanzo fantastico per ragazzi: la magione misteriosa, l’incontro casuale dei protagonisti, il destino magico che li lega, il cattivo che merita adeguata punizione. Nella struttura della narrazione, comunque ben costruita, non si hanno molte sorprese, mentre lo spunto di partenza è originale: che la vulgata, che lega desideri e stelle cadenti, potesse avere una sua realtà materiale e che quindi il destino delle persone potesse essere influenzato non dal cielo astrologico, ma dalla materia stessa dei corpi celesti, è un’idea interessante, che in qualche modo fornisce un corpo a qualcosa di assolutamente impalpabile come un desiderio, nascosto o esibito. I due protagonisti si trovano ad avere fra le mani il destino delle persone ed è una grande responsabilità. In realtà alla fine della strana serra non resta traccia, se non per realizzare un ultimo importante desiderio. Tra le righe, ma non troppo, gli accenni alle dinamiche familiari, alle gelosie fra fratelli, alla solitudine che la separazione dei genitori provoca nei figli.
‘Il giardino dei desideri’ rappresenta una lettura scorrevole, avvincente, adatta ad avvicinare alla lettura bambini e bambine che cercano magia e amicizia, cattivi non realmente tali, piccoli drammi familiari e misteri a profusione. Lettura consigliata a partire dai nove anni.
 
Eleonora
 
“Il giardino dei desideri”, A. D’Agostino, De Agostini 2020



mercoledì 27 gennaio 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL PICCOLO CONTRIBUTO 
 
La piccola Anna, Inger e Lasse Sandberg (trad. Laura Cangemi)
Vanvere Edizioni 2020


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)


"Mentre camminava per strada la Piccola Anna vide un Signore Alto alto.
Era così alto che non entrava nella pagina. Aveva un cappello verde e ci fece sedere sopra la Piccola Anna."


Il cappello con tutta la bambina arrivò sulla testa del Signore Alto Alto e da lassù Anna poteva vedere a grande distanza. Le cose che vide furono diverse, ma forse è meglio non svelarle. Andranno scoperte, girando le pagine, una a una. Così come te che hai il libro in mano, anche Anna le guardò una per una.
Messe tutte insieme, però, fecero riconoscere ad Anna qualcosa di 'familiare'.

È piccolo, ma davvero molto piccolo, ma mantiene onorevolmente la forma del libro. È la prima cosa che colpisce di questo oggetto: il suo essere un libro, un libro grande, in miniatura. Ha la sua copertina cartonata, i suoi angoli vivi, la carta delle sue pagine è uso mano e anche il numero di pagine è regolamentare. Però sta nel palmo di una mano di adulto. L'aver ripetuto la copertina anche nella controcopertina rende il libricino ancora più prezioso.
 
 
C'è da supporre che questo formato abbia a che fare con il contenuto della storia.
Il suo essere lillipuziano è una sorta di eco 'formale' di quello che è il carattere distintivo della protagonista, la Piccola Anna e del suo gentile amico, il Signore Alto Alto. Infatti l'atto di aver rimpicciolito ulteriormente l'originale svedese, il contenitore libro a tali minuscoli termini rende ancora più ingombrante il Signore Alto alto che lo attraversa a fatica. Pezzi di lui rimangono fuori scena ed è questo uno dei divertimenti del libro, ma non l'unico. L'altro consiste nel chiamare dentro il proprio lettore fin dalla seconda pagina quando la Piccola Anna comincia la sua osservazione. 
 

Una domanda diretta - Secondo te cosa vide? - dà l'avvio a un gioco da fare con gli occhi e con la voce. In ogni pagina è raffigurato qualcuno o qualcosa che viene solo enumerato a parole nella pagina di sinistra e disegnato in quella di destra. Alla voce del lettore il compito di riempire quel silenzio del testo. A una prima lettura non sempre si indovineranno le definizioni corrette, in alcuni casi occorre la giusta dose di capacità di osservazione. 
 

Ma già dalla seconda volta che lo si sfoglia, sarà gustoso e soddisfacente per il piccolo lettore non sbagliarne neanche mezza. E questo è il secondo divertimento del libro.
Le cose da notare però non finiscono qui. Un libro costruito in questo modo, con un protagonista così ingombrante, e una così minuscola, apre a una riflessione sul concetto di spazio reale e spazio immaginato. Un ragionamento per una mente 'in costruzione' non esattamente banale.
Nel 1964 , anno in cui uscì, già un bel po' di strada era stata fatta riguardo alla questione del rapporto fra il disegno, ovvero lo spazio circoscritto e progettato della pagina, e lo spazio reale che prosegue dal filo del foglio. 
 
 
Anche La Piccola Anna, per come è disegnata, porta il suo 'piccolo' contributo alla riflessione. Ogni volta che sottoponiamo a un bambino uno spazio disegnato o dipinto (o chiediamo a lui di realizzarlo) mettiamo in essere un meccanismo di pensiero tutt'altro che semplice. Inger e Lasse Sandberg, per come hanno immaginato la loro storia, richiedono al piccolo lettore di 'credere ciecamente' allo spazio bianco disegnato, del tutto costruito ad arte per il suo sguardo, e contemporaneamente lo mettono in guardia dal non dimenticare lo spazio che nella realtà occuperebbero effettivamente le 'cose' disegnate. Quello spazio reale che parte proprio laddove la pagina termina.
In altre parole, il Signore Alto Alto è così grande che mai in nessuno dei disegni che lo ritraggono riesce a comparire per intero, come a confermare che lui è contemporaneamente finto, perché è un disegno, ma anche molto vero, infatti non ha abbastanza spazio per starci, nei disegni, nelle pagine...
Bella capriola! 


Sulla questione del 'tradimento dell'immagine' non sarà necessario ricordare pipe che non sono pipe... Ma è un po' quella roba lì.


Carla
 
Noterella al margine. Forse sulle orme del Signore Alto Alto dietro i libri di questa coppia di autori di culto di tutta la Svezia è stato costruito un gigantesco sistema familiare (Tresandberg Ab) che governa tutti i diritti dei personaggi dei loro libri che sono diventati da cartoni animati, a decorazioni di piscine, da musei/laboratorio a pupazzi di stoffa, da fumetti a magliette che Inger Sandberg, nel festeggiare i suoi novant'anni, sorridente e sorniona indossa.

lunedì 25 gennaio 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

UN ALTRO SPICCHIO DI MEMORIA


Più passa il tempo dagli anni terribili della guerra e dell’Olocausto e più riceviamo testimonianze che svelano di volta in volta aspetti personali, testimonianze, episodi finora trascurati, almeno nell’editoria per ragazzi.
La storia che Anna Sarfatti ci racconta in ‘Pane e ciliegie’, pubblicato nella collana Contemporanea della Mondadori, riguarda gli ebrei arrivati a Milano nel 1939, profughi dai paesi dell’Est Europa invasi dall’esercito nazista. Ai bambini di queste famiglie si dedica Israel Kalk, che insieme ad altri volontari fonda la Mensa dei Bambini. Grazie alla generosità dei donatori, questa mensa, che si ingrandirà progressivamente, riesce a dare prima uno, poi due pasti al giorno ad un centinaio di bambini. Ma ci sono anche le gite al parco o le gare di nuoto, c’è un medico e si cerca di sostenere le famiglie in difficoltà, creando una rete solidale. Tutto questo con il consenso delle autorità.
Il 10 giugno del 1940 l’Italia entra in guerra; poco prima era stato deciso l’internamento in appositi campi degli ebrei non italiani. Vengono portati in questi campi solo gli uomini al di sopra dei diciotto anni. Le famiglie si dividono e l’inesauribile Kalk si prodiga per far avere agli internati vestiti, provviste e notizie dei cari lasciati a Milano.
Lo scoppio della guerra peggiora la situazione già precaria, con la penuria di cibo e i bombardamenti. Ma il momento peggiore è dopo l’8 settembre, quando l’Italia viene divisa in due e per gli ebrei della Mensa l’unica via è la fuga verso la Svizzera. Anche l’edificio della Mensa viene bombardato e così quell’esperienza si chiude. Alcuni dei protagonisti di questa storia, rigorosamente documentata, si salvano, nascondendosi o fuggendo; altri restano impigliati nella rete dei rastrellamenti e finiscono i loro giorni un un campo di sterminio.
La scelta dell’autrice di mescolare ricostruzione storica e vicende familiari dei protagonisti, quindi in una chiave necessariamente romanzata, fa risaltare un aspetto che credo interessante.
Nell’esperienza della Mensa dei Bambini c’è un esempio di auto organizzazione, un esempio davvero stupefacente, e di solidarietà: niente di ciò che realizzò Kalk sarebbe stato possibile senza la partecipazione di tanti alla realizzazione di un progetto così ambizioso. Il lato migliore della convivenza civile, che riesce a vedere nell’altro un simile a sé. E’ anche interessante come nella visione illuminata di Kalk non ci fosse solo l’obbiettivo di nutrire e curare tanti bambini e bambine, ma anche di riuscire a conservare una sorta di normalità familiare, osservando le festività ebraiche, celebrando i compleanni, creando un’isola di normalità mentre il mondo intorno stava crollando. C’è il tempo per studiare il violino, c’è il modo di assistere una gattina e i suoi piccoli, si impara a fare le torte e si fa festa quando maturano le ciliegie.
E’ un’idea di umanità che, a distanza di tanto tempo, ancora commuove, soprattutto pensando contro quale nemico questi volontari disarmati stessero combattendo. E ferisce la nostra coscienza fare il paragone con l’indifferenza con cui oggi si assiste, alle porte di casa, alle tragedie dei barconi che affrontano il mare d’inverno o dei profughi che bussano alle nostre porte, provenendo dai Balcani. Forse la coscienza d’Europa si è fermata a Moria.
Il racconto documentato e preciso di Anna Sarfatti è accompagnato dalle immagini firmate da Serena Riglietti; lettura consigliata a ragazzi e ragazze a partire dai dieci anni.
 
Eleonora


“Pane e ciliegie. Israel Kalk, l’uomo che difendeva i bambini ebrei sotto il Fascismo”, A. Sarfatti e S. Riglietti, Mondadori 2021

venerdì 22 gennaio 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

"TROVARE UNA LINGUA NUOVA..."
 
Vicini lontani. Otto racconti di anime in viaggio, Angela Tognolini
Il Castoro, 2020


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)


"In testa, la donna Rossa aveva un turbante alto e rosso, che più rosso non esiste. Erano rossi persino i suoi sandali, un paio di ciabatte di plastica un po' malridotte che stonavano in tanta sanguigna eleganza.
Edna Zanon rimase a bocca aperta a fissare quel tripudio di rosso che fiammeggiava sul suo pianerottolo. La Donna Rossa stava lavando le scale."


Edna ha ottantotto anni e vive più o meno tranquilla, nelle sua quotidiana routine con Flick il suo cane. Pochi contatti con il resto del mondo. Oramai è piuttosto sicura che nella sua lunga vita abbia visto abbastanza. Ma ciò che ha sotto gli occhi, aprendo la porta di casa quella mattina, davvero la lascia senza parole. Una donna completamente vestita di rosso, con la pelle del colore del cioccolato al latte, piegata a metà nell'atto di lavare il pavimento del suo pianerottolo
La signora Zanon sa naturalmente che al mondo ci sono persone diverse da lei che provengono da altri paesi, ma mai le era capitato di fare un incontro tanto ravvicinato con una creatura così affascinante, una regina-animale. E tutta rossa.
Per la signora Zanon questo incontro, peraltro fugace, le cambia la giornata. Le cambia anche di più: non smette di pensare alla Donna Rossa e ogni mattina si apposta dietro lo spioncino della sua porta per studiarne i movimenti e le abitudini. La Donna Rossa non è sempre rossa, si veste anche di giallo oro ed emana un odore particolare e nel fagotto che ha sulle spalle ci tiene avvolto il suo bambino. La Donna Rossa da quel giorno in poi abita i pensieri della signora Zanon, persino i sogni. Per saperne di più la segue per strada e per starle dietro, sconfina dal suo solito giretto ristretto con il cane Flick. Scoprendo ogni giorno di più nuove cose su quella donna misteriosa e piena di fascino, la signora Zanon, senza accorgersene, riconquista pezzi della sua città che non vedeva da anni. Riconquista anche l'energia necessaria per passare del tempo con la sua nipotina preferita ed è con lei che, tra una partita a rubamazzetto a una caramella alla liquirizia, condivide un racconto meraviglioso su quella creatura. Si sa che spesso sono i bambini a farsi carico della verità, rompendo l'incanto, come accadde una volta davanti a un imperatore che sfilava in mutande...
Nelle parole della sua nipotina, cric, la Donna Rossa cessa per incanto di esserlo e diventa quello che è.


Bella storia, accidenti. Costruita su un fatto piccolo e quotidiano che letteralmente esplode in una sequenza di immagini, odori, suoni così tanto vividi da diventare percepibili.
Ogni lettore immaginerà in autonomia.
Colpisce questo racconto per il taglio prospettico e per la sapiente costruzione narrativa. Conosciamo la signora Zanon attraverso le due pagine iniziali che ne descrivono le semplici abitudini. Ai nostri occhi questa vecchietta ci sembra di conoscerla già da tanto. Poi il racconto sterza bruscamente nell'incontro/non incontro con la sconosciuta donna delle pulizie che attraverso gli occhi della protagonista diventa immediatamente altro. Qualcosa che ha molto a che fare con i sensi: la vista, quando per esempio il turbante rosso lentamente 'sorge' dalla prima rampa delle scale per poi arrivare al pianerottolo. L'olfatto, nell'odore che questa creatura emana e che la signora Edna annusa, socchiudendo la porta subito dopo il suo passaggio. L'udito, quando ne sente il canto mentre stende le lenzuola. E via andare.
Da un lato, l'angolazione prospettica sempre originale e differente (nel primo e ultimo racconto per esempio la diversa prospettiva di una stessa vicenda diventa addirittura strutturale) e dall'altro questa sorta di carattere 'sensuale' della narrazione sono due grandi pregi che segnano l'intero libro. E che ne generano un terzo, massimamente apprezzabile, che consiste nell'assoluta mancanza di retorica: una lingua nuova...
La cosa si percepisce ancor prima di averlo aperto, nel leggere il sottotitolo che parla di 'anime in viaggio'. Ancora una volta Angela Tognolini dimostra di avere una buona capacità di spostare l'obiettivo che, per convenzione, sarebbe facilmente andato dritto su un lessico (e su racconti) più triti che conosciamo dai molti libri che di migranti trattano.
Niente migranti, qui sono anime in viaggio. Questo modo di inquadrare la questione è frutto di una evidente 'abitudine' a leggere oltre la realtà dei fatti, a darne un contorno e una definizione inaspettati, a coglierne il senso profondo, a volare un po' più in alto del consueto rasoterra.
Volare alto significa anche essere capaci di rendere il più universale possibile le vicende dei singoli protagonisti. Vuol dire anche aver 'masticato e digerito' con maturità le questioni; in questo caso la storia personale di Angela Tognolini ha aiutato. Tuttavia, senza una profonda sensibilità e capacità di elaborazione, questo libro avrebbe potuto essere tutt'altro.
Questa angolazione, frutto di una diretta esperienza trasformata in buona letteratura, nei fatti, incolla le singole storie e i personaggi al nostro sentire, inevitabilmente.Ed è empatia.
Universale è per esempio il dialogo notturno tra le due giovani donne alla vigilia della partenza dal Libano, inaspettata è l'immaginazione della signora Zanon, originali sono spesso i finali, inattesa è la strada che prende la fortuna, magnifico è il riscatto, prima di tutto interiore, di un facchino afgano.
E così, quasi inevitabilmente, siamo con Yara e Raawa o con la signora Zanon dietro lo spioncino, o con  Zarak, o con Madou con sei dita in una caserma. 
E, come se non bastasse, Angela Tognolini, ci àncora al racconto attraverso vere e proprie percezioni sensoriali : percepiamo le dita di Laura che si aggrappano a una roccia oppure riconosciamo e vediamo con Marta quanto possano essere tristi i datteri in un supermercato di Bologna o Trento.
Gran bel libro, gran bell'esordio.


Carla


mercoledì 20 gennaio 2021

FAMMI UNA DOMANDA!

FRA MEMORIA E RICORDO



Quello di Lia Levi è un piccolo libro importante: ‘Il giorno della Memoria raccontato ai miei nipoti’, pubblicato da Piemme, è contemporaneamente un discorso impegnativo sul tema dell’antisemitismo e dell’Olocausto e, nello stesso tempo, il racconto dell’esperienza personale dell’autrice.
Il suo più grande pregio sta nell’affrontare questioni fondamentali per comprendere la nostra storia in termini semplici, immaginando un pubblico di ascoltatori costituito dai nipoti insieme a bambine e bambini, fra quelli incontrati nelle scuole.
Il primo punto è la definizione di memoria in senso storico, che è qualcosa di più di un insieme di ricordi, diventando patrimonio collettivo di una comunità. Per questo si è sentita la necessità di istituire il Giorno della Memoria, decretato dall’Onu nel 2005. Già qui ci si potrebbe chiedere perché sia passato tanto tempo da quando il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche varcarono i cancelli di Auschwitz, mostrando al mondo cosa era stato perpetrato nei confronti degli ebrei.
Ma le domande, i quesiti aperti sono molti e spesso le risposte possono essere fuorvianti: l’idea che la ‘soluzione finale’ fosse solo l’opera di un folle e non un’operazione scientificamente pianificata a tavolino, alla cui realizzazione si sono prestate migliaia di persone ‘normali’. La ‘straordinarietà’ dell’obbiettivo che questa operazione si proponeva, sterminare gli ebrei europei come ‘razza’, indicando in essi dei nemici irrecuperabili del Reich e della Germania. Dunque, Hitler incarna quello che si definisce il ‘male assoluto’, qualcosa di ulteriore e diverso rispetto alle innumerevoli atrocità che hanno attraversato la Storia.
Il tema delle origini dell’antisemitismo è estremamente complesso e qui se ne accennano alcuni aspetti, storici, psicologici, culturali. Mentre è estremamente interessante il discorso sull’Italia fascista, quella delle leggi razziali, dell’espulsione degli ebrei dalle professioni e dalle scuole: un’Italia solerte nel seguire l’ideologia nazista, così come la schedatura dei cittadini ebrei ha consentito ai nazisti di ricercare gli ebrei italiani. Triste dimostrazione non solo della subalternità del regime fascista al Terzo Reich, ma anche del profondo antisemitismo già presente nell’ideologia fascista.
Ecco che si arriva alle vicende personali di Lia Levi: è raggiunta dalle leggi razziali a Torino, dove vive; deve lasciare la sua scuola e iscriversi a una scuola ebraica; anche il padre perde il lavoro. La famiglia si trasferisce a Milano, poi cerca di raggiungere la Francia. Infine, Lia e i suoi arrivano a Roma. Qui, una telefonata provvidenziale li avvisa che devono fuggire al più presto, trovarsi un rifugio: è la vigilia del 16 ottobre 1943 e nella Roma occupata dai nazisti sta per avere luogo il rastrellamento del Ghetto e, come tutti sappiamo, dei mille mandati nei campi di sterminio ne sono tornati solo sedici.
Ma di tutto questo né Lia né la sua famiglia sanno nulla: le bambine sono ospitate in un convento di suore, raggiunte dopo qualche tempo dalla mamma. Il padre è nascosto altrove. Si cambia nome, si imparano le preghiere cattoliche, si aspetta che gli americani liberino Roma.
Che pericolo avevano corso realmente lo hanno saputo dopo e solo col tempo, leggendo per esempio i libri di Primo Levi, hanno compreso il baratro di orrore cui erano sfuggite.
Lia, che pure aveva dovuto nascondersi, cambiare nome, avere paura, si è sentita in colpa per non aver condiviso la sorte di quegli ebrei che avevano attraversato l’inferno.
Ma tutte le testimonianze che col tempo sono emerse e hanno svelato la sinistra grandezza dell’orrore messo in atto dal Reich hanno fatto sì che l’Olocausto divenisse memoria collettiva, non più solo degli ebrei e degli altri perseguitati, ma di tutti noi che vogliamo ascriverci a un mondo civile.
E’ per questo che ogni anno ci fermiamo un poco ad ascoltare il racconto degli ultimi testimoni, a leggere quanto è stato scritto. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare quello che è stato, anche perché l’antisemitismo non è morto, come non lo sono le sotterranee ideologie naziste.
Sono grata a Lia Levi, che ho incontrato più volte nel corso degli anni, per questa testimonianza e per le importanti riflessioni che l’accompagnano, necessarie per affrontare con chiarezza, insieme a ragazze e ragazzi, temi sempre attuali, e decisivi per la nostra democrazia.
Lettura importante per capire la Shoah per ragazze e ragazzi dai dieci anni in poi.
 
Eleonora


“Il giorno della memoria”, L.Levi, Piemme 2021



lunedì 18 gennaio 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

A DISTANZA RAVVICINATA
 
Jip e Jannecke. Amici per sempre,  
Annie G.M. Schmidt, Fiep Westendorp (trad. Valentina Freschi)
Lupoguido 2020


NARRATIVA ILLUSTRATA PER PICCOLI (dai 4 anni)


"Dall’altro lato del buco c’è una bambina. Ha la stessa età di Jip. 'Come ti chiami?' le chiede. 'Janneke' dice la bambina. 'Abito qui.' 'Ieri non abitavi ancora qui' osserva Jip. 'Oggi sì' risponde Janneke. 'Vieni a giocare con me?' 'Passo dal buco' dice Jip, e ci infila per prima cosa la testa. E poi un braccio. E poi l’altro braccio. E poi rimane incastrato. Janneke lo tira per un braccio. E poi per l’altro braccio. Ma non serve a niente, Jip è incastrato. Allora Jip inizia a piangere. E a strillare. A quel punto esce in giardino il papà di Jip. E il papà di Janneke esce nell’altro giardino. E assieme aiutano Jip a tornare indietro. 'Ecco' dice il papà di Jip, 'adesso hai una vicina. Per giocare con lei, devi uscire dalla porta di casa e rientrare da quella di Janneke'. E così Jip e Janneke giocano assieme, un giorno nel giardino di Jip, il giorno dopo in quello di Janneke. "


Si potrebbe riassumere così: il gioco è fatto. Da oggi in poi questi due bambinetti che sono vicini di casa, con solo una siepe che divide i loro giardini, non smetteranno di passare il loro tempo assieme. Condivideranno il gioco, il cibo, le uscite in città. Diventano fin da subito un punto di riferimento reciproco, per cui quando qualcosa ostacola il loro vedersi quotidiano, per esempio la febbre di Janneke, chiacchierano assieme attraverso il vetro chiuso della finestra, oppure attraverso la cornetta del telefono. 
 

Non sempre vanno d'accordo sui giochi da fare, ma a parte una molletta per il bucato che pizzica il naso, un trasloco inaspettato nella casa di bambole e un cannocchiale 'sparito', per il resto del tempo fanno squadra; come per esempio quando dei bambini più grandi nascondono le scarpe di Janneke sull'albero o quando leggono la storia del gigante spaventoso. Si aiutano anche di fronte al cibo, mangiando l'una i panini avanzati dall'altro, seppure con qualche conseguenza, sbucciando una valanga di mele o decorando ad arte la torta per gli ospiti della cena.
Ma la cosa più bella che capita loro è quella di essere fraterni.


Fraterni.
Su questo libro di brevi racconti è già stato detto e scritto molto. Numerosi e variegati ragionamenti sono stati fatti su quanto Jip e Janneke diano di loro un'immagine di autenticità, seppur sempre e solo narrativa. Il loro presentarsi a noi, attraverso dialoghi e azioni, ce li fa riconoscere come bambini 'veri' e come tali li apprezziamo.
Visto il contesto culturale e gli anni in cui le due figurine nere sono 'nate', 1953 in Olanda, il fatto non costituisce esattamente una novità per chi si occupa di queste questioni. Infatti è cosa nota che nell'immediato dopoguerra parta una vera e propria crociata, per l'Europa dobbiamo guardare al Nord, per l'altra parte del mondo, dobbiamo guardare agli Stati Uniti, guidata spesso e volentieri da magnifiche donne che si fanno paladine di un cambiamento culturale che ha come obiettivo il riscatto dell'infanzia. Quindi, anche in ambito letterario viene data loro la patente di autenticità e dignità, sia che facciano o dicano cose che fanno e dicono i bambini, quelli in carne e ossa, sia che sollevino cavalli o cerchino la poesia sotto il letto.
In una mappa più generale, si potrebbero fissare come punti di riferimento i seguenti nomi, in rigoroso ordine alfabetico: Krauss, Lepman, Lindgren, Montessori, Nordstrom, Schmidt, Wise Brown.
Detto questo, per una volta lascerei qui in ombra chi è in luce, Jip e Janneke, per mettere invece in luce chi è in ombra, i loro genitori.
Parlo dell'aspetto fraterno che attraversa i racconti della Schmidt, ovvero torno al lato fraterno di questa amicizia.
 

Il quid che rende fraterna un'amicizia sta nell'intimità che tra amici si può decidere di condividere, ovvero quella spartizione di spazi e tempi quotidiani che -giocoforza- in una famiglia avviene tra fratelli, da cui l'aggettivo.
In questa prospettiva, nelle storie di Jip e Janneke, un ruolo dirimente lo giocano proprio i protagonisti adulti, e in particolare i rispettivi genitori che, programmaticamente, la Westendorp ha deciso di non rappresentare. Unica eccezione la fa per il dottore e per il signor Dekker.
Pur non disegnati, la presenza delle due mamme e dei papà si percepisce molto nelle parole della Schmidt: quei genitori, così come ce li racconta, hanno il grande merito di mettere alcune regole utili, ma anche di assecondare e nutrire, fornendo loro tutte le occasioni possibili, quella che gli adulti conoscono come la normale insaziabilità dei bambini a frequentarsi.
Fosse per loro, i bambini, non verrebbe mai il momento di smettere di stare con il proprio amico o amica: non verrebbe mai l'ora di cena, non verrebbe mai l'ora di lavarsi i denti, l'ora di dormire, a meno che cena, bagno e letto non fossero condivisi, anche quelli, con i propri amici.
Con la mia psicologia d'accatto mi verrebbe da dire che la ricerca da parte dei bambini di qualcuno come loro con cui condividere le giornate nasca anche dalla necessità di spartire, nelle salite come nelle discese, il carico emotivo del crescere: in sintesi in due è meglio che da soli.
Chi non ha sentito supplicare un bambino, dopo otto ore di scuola assieme, di poter rimanere a giocare con il proprio compagno di banco (i più furbi supplicano già direttamente per una cena o un pigiama party condivisi)?
 
 
Si vuole alludere a questa fame qui.
I genitori di Jip e Janneke concepiti dalla Schmidt questa roba la conoscono e riconoscono e si impegnano a nutrirla. 
 

E, semplicemente facendolo, portano il loro fondamentale contributo a che questi due amici diventino, giorno dopo giorno, fraterni. Creano il terreno ideale perché questa loro amicizia radichi per bene, affinché le loro sicurezze aumentino, le loro individualità si determinino: li fanno dormire assieme, li spediscono alle feste assieme, li fanno visitare dal dottore assieme, li portano a fare compere assieme, li fanno cucinare e cenare assieme. 
 

Se così è, diventa necessario non tralasciare il fatto che la bellezza letteraria di questi due bambini sta anche nella condizione ideale in cui si trovano immersi.
Una sorta di attenta supervisione a distanza ravvicinata che fa intervenire questi adulti illuminati solo - la differenza la fa questo 'solo' - quando la circostanza lo richieda: quando è utile mostrare la strada di casa, quando occorre una fasciatura ben fatta, quando è necessario salvare un gatto e un cane da incipienti sevizie, quando bisogna trovare un modo per sedare la rabbia, quando diventa fondamentale un secondo vassoio, quando c'è da smascherare un ladro o finanziare un giro di giostra in più.
Meditate, genitori, meditate.
 
Carla
 


Noterella al margine. Anche del successo editoriale di queste storie, prima apparse a puntate su uno dei più importanti quotidiani olandesi dell'epoca, l'Het Parool, quindi lette da legioni di bambini sotto forma di libri con le figure in bianco e nero e poi colorate, è stato detto abbastanza. A me non resta che la scultura di Ton Koops che li ritrae sul lungocanale di Zaltbommel, la città natale di Fiep Westendorp.

venerdì 15 gennaio 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

IL RITORNO DEI CLUE


A poco più di sei mesi dall’uscita del precedente romanzo, ecco tornare in azione i Clue, Cecilia, Leo, Une e il cane Egon, già protagonisti de ‘Il mistero della Salamandra’. L’autore Jørn Lier Horst, noto giallista norvegese, ce li propone nuovamente all’opera in ‘Il mistero dell’orologio’.
L’ambientazione è identica, la cittadina di villeggiatura dove sorge la pensione Perla, diretta dal padre della protagonista, Cecilia; identici i personaggi di contorno, come il vecchio Tim, dispensatore di quesiti filosofici di grande rilievo.
Questa volta gli ingredienti dell’intreccio sono più chiari, rispetto al romanzo precedente: il mistero della scomparsa della mamma di Cecilia, avvenuta un anno prima, costituisce il filo conduttore che lega i vari romanzi: la comparsa di una foto, scattata poco prima della sua scomparsa, in cui lei porta un vestito diverso da quello indossato al momento del ritrovamento, aveva chiuso la storia precedente, lasciando il lettore in attesa di una spiegazione; la stessa cosa avviene anche in questo caso, grazie a un ciondolo che compare nelle ultime pagine.
Dunque sappiamo che c’è un mistero da risolvere, più complesso e doloroso di quello che di volta in volta vede impegnati i tre ragazzini nelle vesti di investigatori.
Anche questa volta, nel caso dell’orologio rubato, si susseguono indizi e personaggi misteriosi, di cui sfuggono le relazioni reciproche: c’è un furto clamoroso, di un anno prima, di cui si è reso colpevole un uomo cresciuto proprio lì e che, fuggiasco, si pensa sia ritornato nei luoghi della sua infanzia; c’è un tesoro da ritrovare, la ricca refurtiva del furto, comprendente un raro, preziosissimo orologio. Ci sono luoghi misteriosi legati al passato, come i bunker costruiti dai tedeschi. Infine, ci sono loschi figuri che si aggirano nottetempo intorno alla pensione, poliziotti privati che intervengono al momento giusto, tasselli che piano piano vanno al loro posto.
La trama è imbastita con grande mestiere, portando per mano la lettrice e il lettore a scoprire il senso dei tanti intrighi. Più efficace nel disegno generale, quello relativo al mistero della scomparsa della madre di Cecilia, soprattutto per la curiosità che suscita nel lettore, il breve romanzo si apprezza per due punti fondamentali: la ricostruzione d’ambiente, la vivacità dei personaggi secondari, i riferimenti storici, tutte cose che danno spessore alla narrazione. E, il secondo punto, le riflessioni filosofiche che compaiono spesso attraverso le parole del vecchio Tim, aprendo finestre su questioni importanti. Questa volta si parla, grazie alle parole di Agostino d’Ippona, del tempo e della sua natura. Pochi concetti sono più sfuggenti, definendo qualcosa che appare empiricamente evidente, ma concettualmente difficile da definire. E la nostra Cecilia si addentra nei paradossi, nei molti dubbi e nelle poche certezze che circondano uno dei termini più usati e meno conosciuti.
Non è certo Horst il primo scrittore di gialli a utilizzare la narrativa di genere per parlare anche d’altro, di una realtà storica, o sociale o umana: senza scomodare Simenon, basta pensare agli autori di noir americani o gli stessi giallisti nordici, a partire da Mankell.
Siamo di fronte a un esperimento interessante, che unisce la facilità di lettura, con una narrazione fluida e avvincente, a una certa densità di contenuti.
Consiglio la lettura alle lettrici e ai lettori magari un po’ pigri, a partire dagli undici anni, che apprezzino la fluidità del racconto, accompagnata dalla giusta dose d’intelligenza.
 
Eleonora
 
“Il mistero dell’orologio”, J.L. Horst, Salani 2021