IL RITORNO DEI CLUE
A poco più di sei mesi dall’uscita
del precedente romanzo, ecco tornare in azione i Clue, Cecilia, Leo,
Une e il cane Egon,
già protagonisti de ‘Il mistero della Salamandra’. L’autore
Jørn Lier Horst, noto giallista norvegese, ce li propone nuovamente
all’opera in ‘Il mistero dell’orologio’.
L’ambientazione è identica, la
cittadina di villeggiatura dove sorge la pensione Perla, diretta dal
padre della protagonista, Cecilia; identici i personaggi di contorno,
come il vecchio Tim, dispensatore di quesiti filosofici di grande
rilievo.
Questa volta gli ingredienti
dell’intreccio sono più chiari, rispetto al romanzo precedente: il
mistero della scomparsa della mamma di Cecilia, avvenuta un anno
prima, costituisce il filo conduttore che lega i vari romanzi: la
comparsa di una foto, scattata poco prima della sua scomparsa, in cui
lei porta un vestito diverso da quello indossato al momento del
ritrovamento, aveva chiuso la storia precedente, lasciando il lettore
in attesa di una spiegazione; la stessa cosa avviene anche in questo
caso, grazie a un ciondolo che compare nelle ultime pagine.
Dunque sappiamo che c’è un mistero
da risolvere, più complesso e doloroso di quello che di volta in
volta vede impegnati i tre ragazzini nelle vesti di investigatori.
Anche questa volta, nel caso
dell’orologio rubato, si susseguono indizi e personaggi misteriosi,
di cui sfuggono le relazioni reciproche: c’è un furto clamoroso,
di un anno prima, di cui si è reso colpevole un uomo cresciuto
proprio lì e che, fuggiasco, si pensa sia ritornato nei luoghi della
sua infanzia; c’è un tesoro da ritrovare, la ricca refurtiva del
furto, comprendente un raro, preziosissimo orologio. Ci sono luoghi
misteriosi legati al passato, come i bunker costruiti dai tedeschi.
Infine, ci sono loschi figuri che si aggirano nottetempo intorno alla
pensione, poliziotti privati che intervengono al momento giusto,
tasselli che piano piano vanno al loro posto.
La trama è imbastita con grande
mestiere, portando per mano la lettrice e il lettore a scoprire il
senso dei tanti intrighi. Più efficace nel disegno generale, quello
relativo al mistero della scomparsa della madre di Cecilia,
soprattutto per la curiosità che suscita nel lettore, il breve
romanzo si apprezza per due punti fondamentali: la ricostruzione
d’ambiente, la vivacità dei personaggi secondari, i riferimenti
storici, tutte cose che danno spessore alla narrazione. E, il secondo
punto, le riflessioni filosofiche che compaiono spesso attraverso le
parole del vecchio Tim, aprendo finestre su questioni importanti.
Questa volta si parla, grazie alle parole di Agostino d’Ippona, del
tempo e della sua natura. Pochi concetti sono più sfuggenti,
definendo qualcosa che appare empiricamente evidente, ma
concettualmente difficile da definire. E la nostra Cecilia si
addentra nei paradossi, nei molti dubbi e nelle poche certezze che
circondano uno dei termini più usati e meno conosciuti.
Non è certo Horst il primo scrittore
di gialli a utilizzare la narrativa di genere per parlare anche
d’altro, di una realtà storica, o sociale o umana: senza scomodare
Simenon, basta pensare agli autori di noir americani o gli stessi
giallisti nordici, a partire da Mankell.
Siamo di fronte a un esperimento
interessante, che unisce la facilità di lettura, con una narrazione
fluida e avvincente, a una certa densità di contenuti.
Consiglio la lettura alle lettrici e
ai lettori magari un po’ pigri, a partire dagli undici anni, che
apprezzino la fluidità del racconto, accompagnata dalla giusta dose
d’intelligenza.
Eleonora
“Il mistero dell’orologio”, J.L.
Horst, Salani 2021
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